Il sindaco di L’Aquila, Massimo Cialente, ha emesso un’ordinanza che vieta parolacce e bestemmie nei parchi e in altri luoghi pubblici. L’iniziativa, pare, ha riscosso successo. Peccato, però, osservano in molti, che non ci siano vigili per farla rispettare…
A South Pasadena, vicino a Los Angeles, un ragazzino di 14 anni, McKay Hatch, ha fondato il “No cussing club” (club anti parolacce). Oltre a vendere T-shirt e bracciali con slogan anti-turpiloquio, il Club ha lanciato – con l’appoggio del consiglio comunale – “la settimana senza parolacce” ogni prima settimana di marzo. E oltre 20 mila persone hanno firmato l’adesione al Club, che recita: “Non voglio insultare, imprecare, usare un brutto linguaggio o raccontare barzellette sporche. Un linguaggio pulito è segno di intelligenza e chiede sempre rispetto. Userò il mio linguaggio per elevare, incoraggiare e motivare. Lascerò le persone migliori di come le ho trovate!”.
Bei propositi, già. Ma irrealizzabili. Tanto che negli Stati Uniti i grandi network televisivi stanno valutando di affrontare il problema alla radice: non mandare in onda le trasmissioni in diretta per non rischiare le multe salate (fino a 325 mila dollari) che l’agenzia per le comunicazioni (Fcc) commina a chi trasmette parolacce nelle fasce orarie protette.
Ma è davvero necessaria tutta questa mobilitazione di intelligenze, controllori, censure, multe e magliette per proteggere le delicate orecchie dei bambini???
Francamente, no. Mi ero già occupato dell’impossibile eliminazione delle parolacce dei bambini qui. Quel che resta da dire, ora, è un discorso altrettanto serio: se le parolacce facciano male ai bambini oppure no. Mi sono preso la briga di leggere decine di ricerche internazionali sull’argomento. E la risposta non è univoca, come non è univoco l’uso delle parolacce: un conto è dire “Merda!” per sfogare un momento di rabbia e di sorpresa, un conto è dire “Merda” a qualcuno per offenderlo.
Per chi vuole la bibliografia e un’esposizione completa sull’argomento, vi rimando al mio libro.Qui riassumo i risultati. Se le parolacce sono dette per offendere e svilire un bambino (“Non capisci un c a z z o”) avranno effetti negativi sulla sua psiche (bassa autostima); se invece sono usate per esprimere violenza o rabbia, possono portare – ma non sempre – a una desensibilizzazione emotiva (il bambino non saprà valutare l’intensità delle emozioni e la loro espressione adeguata); infine, se sono usate per palare di sesso, per ridere, per sfogo, possono essere un modo liberatorio di esprimere emozioni (a patto che il loro uso sia adeguato all’età e al livello di consapevolezza).
Sorpresi? Vi ricordo cosa ha scritto (in “Grammatica della fantasia”) un indiscusso genio della letteratura infantile, Gianni Rodari:
«Quella parte dell’opinione pubblica che rispetta i “tabù” fa presto ad accusare di oscenità, a far intervenire le autorità scolastiche, a sventolare il Codice Penale. Che un bambino osi disegnare un nudo, maschile o femminile, completo dei suoi attributi, e facilmente contro il suo maestro si scateneranno la sessuofobia, la stupidaggine e la crudeltà del prossimo. Ma quanti insegnanti riconosceranno ai loro scolari la libertà di scrivere, se occorre, la parola “merda”? (…) Niente come il riso può aiutare il bambino a sdrammatizzare, a equilibrare le sue relazioni con l’argomento, a uscire dalla prigione delle impressioni inquietanti, delle teorizzazioni nevrotiche. C’è un periodo in cui è quasi indispensabile inventare per lui e con lui storie di “cacca” e di “vasetti” e affini. Io l’ho fatto. Conosco molti altri genitori che l’hanno fatto e non se ne sono pentiti».
Perciò, a conclusione di questo intervento, voglio citare 2 episodi di cronaca che vanno contro corrente. Il primo è un modo, efficace e non moralista, di far prendere consapevolezza del significato di un insulto emarginante e razzista: all’istituto tecnico Giovanni Falcone di Corsico (Milano), uno studente che aveva offeso un altro chiamandolo “terrone” è stato sospeso per 2 giorni, con l’obbligo di studiare la tolleranza e l’uguaglianza sancite dalla Costituzione (“Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale”): plauso agli insegnanti dell’istituto Falcone! Sicuramente il ragazzo ora sa che cosa significa discriminare e qual è il peso di certe parole.
Provocatoria, ma impeccabile, la decisione di un prof britannico, che ha dato un voto di 2/27 a un ragazzo che ha svolto il tema intitolato “Descrivi la stanza dove sei seduto” con sole due parole: “F u c k off” (vaffanculo). Il professore, Peter Buckroyd, non ha dato zero al tema, bensì 2 punti: uno perchè non c’erano errori di ortografia o di sintassi e l’altro perchè la frase esprime un pensiero compiuto: «Meglio un insulto che lasciare il foglio in bianco come fanno molti nostri ragazzi. Sarebbe stato sbagliato dare zero, perchè quel fuck off ha mostrato una istruzione di base».
Voglio concludere con le parole di Rodari: «Se un giorno scriverò un romanzo escremenitzio, consegnerò il manoscritto al notaio, con l’ordine di pubblicarlo intorno al 2017, quando il concetto di “cattivo gusto” avrà subito la necessaria e inevitabile evoluzione. A quel tempo sembrerà di “cattivo gusto” sfruttare il lavoro altrui e mettere in prigione gli innocenti e i bambini, invece, saranno padroni di inventarsi storie veramente educative anche sulla “cacca”». Caro Gianni, il 2017 è fra soli 9 anni. Spero tu abbia ragione, ma – visti i tempi – forse sei stato un po’ troppo ottimista.
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