L’articolo di Focus sulle parolacce ha aperto un dibattito anche vivace. Felice di Bologna ha scritto questa lunga lettera, che abbiamo dovuto sintetizzare per motivi di spazio:
Sono un assiduo lettore di Focus e aggiungo anche di essere un “frocio”. Perché mi preoccupo di informarvi sui miei gusti sessuali? Su Focus 169, nell’articolo dedicato alle parolacce, scrivete che gli insulti emarginanti possono prendere di mira i “vizi morali” (puttana, frocio, porco, rompicoglioni…). Non vi viene il dubbio di aver dato un giudizio morale alquanto retrogrado? Sembra, a mio parere, scritto da un giornalista di 60 anni fa. Come può un giornalista di oggi catalogare la parola “frocio” come “vizio morale”? Vorrebbe dire che nel 2006, mentre si conducono giornalmente lotte aspre al razzismo sessuale, c’è ancora chi classifica noi omosessuali come dei viziosi secondo la comune morale italiana?! Scrivendo quelle frasi si fomenta e giustifica l’odio verso chi non è gay! E vi permettete anche il lusso di definirci viziosi! Mettetevi nei panni di tutta quella gente che vorrebbe dichiararsi a parenti, amici, colleghi, ma non può perché ci sono ancora persone che la pensano come voi. Così si rafforzano le loro paure e molti di loro continueranno a vivere nell’ombra grazie a queste gravi affermazioni che il vostro giornale scrive.
Caro Felice,
ho deciso di rispondere pubblicamente alla tua lettera (celando il tuo cognome, ovviamente) in quanto autore del libro da cui è stato tratto l’articolo di Focus. E perché fa emergere un tema scottante, su cui sarebbe interessante aprire un dibattito con i nostri navigatori.
Innanzitutto una precisazione (che era impossibile inserire nell’articolo per ragioni di spazio): definendo l’omosessualità come “vizio morale”, non abbiamo espresso l’opinione di Focus ma quella del sentire comune (purtroppo). L’ingiusto disprezzo ed emarginazione che, da secoli, colpiscono i gay sono insiti nelle parole stesse con cui sono designati: non solo frocio, ma anche ricchione, rottinculo, culattone, checca, finocchio, invertito…
Perché condannare una scelta sessuale, che è una dimensione intima e delicata, se non lede nessuno?
Nel mio libro (pag. 45-46 e 269-272) do risalto a questa emarginazione, cercando di ricostruirne le origini. E mettendo a nudo la sua contraddittorietà: spesso si disprezza l’omosessualità per la paura di ammettere la propria natura bisessuale, oppure perché l’omosessualità rischia di far vacillare la propria identità sessuale. E quindi, probabilmente, prima ancora che disgusto, l’omosessualità suscita, in realtà, paura: perché in genere non la sappiamo spiegare.
E’ un dato di fatto che nella nostra civiltà gli insulti sull’identità sessuale (frocio per gli uomini, puttana per le donne) siano i più offensivi che si possano dire. Ma anche, per certi versi, i più insensati perché fanno riferimento a un’etica sessuale tagliata con l’accetta, che non si pone il problema di analizzare le differenze e le ragioni che la animano. Il punto non è giustificare le scelte sessuali, ma capirle nel profondo prima di tracciare rigidi confini fra ciò che è naturale e ciò che è “contro natura”, tra il lecito e l’illecito.
Purtroppo, la visione emarginante è adottata persino dalla magistratura: una sentenza del Tribunale di Roma (2004) sostiene che “l’attribuzione a un noto personaggio di una relazione omosessuale (…) ha contenuto meramente denigratorio”. In questo caso (e in molti altri) i giudici hanno avuto la pretesa di stabilire quale sia l’ortodossia sessuale, giustificando il razzismo e il disprezzo verso i gay.
Dietro ogni insulto si nasconde, in realtà, la paura del “diverso”: l’emarginazione verso i negri o i terroni, per esempio, nasconde il timore verso possibili rivali sul lavoro o in amore. E i navigatori di Focus che cosa pensano di tutto ciò?