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Si fa presto a dire zoccola

L’ambigua copertina di un disco degli Squallor.

Dicendo quella parola alla moglie, Otello combinò una tragedia: «”Puttana!”, a me: non so nemmeno dirlo questo nome, e soltanto a pronunciarla questa brutta parola mi ripugna”», si sfogava Desdemona.
Ma perché “puttana” ha una carica offensiva così forte? Perché fa orrore una persona che vende la cosa più sacra e intima: il sesso, l’amore. Eppure – e qui sta il primo problema – gli uomini che fanno la stessa cosa sono visti con più indulgenza: li si designa con un termine raffinato, “gigolò”, privo di disprezzo. E anche la parola che indica i clienti delle prostitute, “puttaniere”, è ben poca cosa rispetto alla valanga di spregiativi con cui si denominano le prostitute (troia, zoccola, mignotta, vacca….).
Le ragioni di questa disparità di trattamento (la “doppia morale“) stanno nella nostra cultura: si è portati a ritenere “naturali” le forti pulsioni sessuali dei maschi, capaci di separare sesso e amore. Mentre se una donna fa sesso senza coinvolgimento emotivo, addirittura per denaro, è considerata “contro natura”. E perciò fa paura.
Anche per un altro motivo, come ha notato Freud: l’uomo ha bisogno di trattare con disprezzo le prostitute, per prendere le distanze dai propri istinti più bassi. Disprezza le donne per non criticare anche se stesso.
Dunque, dietro la parola “puttana” c’è tutto un sistema di valori morali, di visioni filosofiche, di dinamiche psicologiche.

Ecco perché questa parola ha assunto nella storia una miriade di significati, anche sorprendenti. Proviamo a riassumerli?

  1. prostituta, donna che vende il proprio corpo, senza dignità, disapprovata socialmente, quindi da emarginare. In questo disprezzo, la donna è considerata mero corpo per appagare gli istinti: non più una persona, degna di rispetto, ma solo un oggetto da usare e gettare via.
  2. donna che si concede facilmente e con più uomini, ma non a pagamento. Qui c’è il disprezzo sociale verso le donne considerate traditrici della propria “natura” accogliente e sentimentale, e che si comportano – secondo la nostra cultura – da maschi.
  3. donna indegna, da disprezzare in generale come persona (a prescindere da qualsiasi aspetto sessuale): «Puttana!» detto a una donna che sbaglia manovra in auto per strada
  4. donna che gode del sesso senza problemi: il termine “puttana” (in questa accezione) può essere usato tra moglie e marito per eccitarsi («Sei la mia puttana»). Il linguista Usa Reinhold Aman, direttore di “Maledicta”, l’unica rivista scientifica mondiale sul turpiloquio, mi ha raccontato che, fra i  neri Usa, il termine “donnaccia” (“bitch“) è usato come sinonimo giocoso e affettuoso di “girlfriend”, ragazza, fidanzata. Un modo provocatorio e controcorrente di accettare il lato “animalesco” della libido anche nelle donne, manifestando la duplicità di sentimenti verso la propria partner: non solo “madre, sorella, santa” ma anche… “porcellina” come noi.
  5. persona fredda, calcolatrice, senza freni morali, opportunista e non solo nel sesso: il termine si può riferire anche agli uomini («Quel politico è proprio una puttana»). Il termine può essere usato anche in senso affettuoso («Ciao vecchia puttana!»), esprimendo con libertà e ironia la duplicità, l’ambivalenza di sentimenti (odio/amore, ammirazione/invidia), che caratterizza ogni relazione umana. Insomma, siamo tutti un po’ puttane.
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