Dopo aver letto “Parolacce”, Roberto F., un amico, mi ha raccontato un aneddoto divertente che voglio condividere. Anche perché si presta a riflessioni interessanti.
“Avevo 14 anni e vivevo in Toscana, dove la bestemmia è considerata un’imprecazione come un’altra. E questa abitudine aveva contagiato anche me. Ma mi dava fastidio bestemmiare per motivi futili, più volte al giorno… Così decisi di cambiare abitudini, e mi condizionai a usare un’espressione innocua, Topo Gigio, che aveva le stesse vocali di una bestemmia ma non avrebbe infastidito nessuno.
Ripetevo questa espressione più volte, perché mi entrasse in testa. E riuscii a usarla quotidianamente, divertendomi anche.
Ma un giorno accadde l’imprevisto: insieme ad alcuni amici ero entrato per gioco nel campo di un contadino. Quando ci scoprì, siamo fuggiti. Ma, correndo, io sono andato a finire con il petto contro la recinzione del campo, fatta di un invisibile (ma dolorosissimo) filo di acciaio. Non c’è stato nulla da fare: al momento dell’impatto ho urlato un sonoro bestemmione, con buona pace di Topo Gigio!!!!”.
Il racconto di Roberto si presta a una riflessione importante: molte parole possono diventare parolacce, ma non quelle che hanno un significato neutro (o tenero, come nel caso del simpatico Topo Gigio). Le parolacce, infatti, servono per esprimere emozioni forti (rabbia, sorpresa, paura…) e riescono in questo scopo perché utilizzano espressioni con una forte carica emotiva: principalmente, le parole tabù, ovvero quelle che parlano, in modo diretto e abbassante, delle pulsioni fondamentali dell’uomo: sesso, aggressività, religione.
In altre parole, le parolacce esprimono emozioni forti proprio perché sono vietate: dirle significa infrangere un tabù, liberando le energie compresse dalla censura sociale. Tanto che quando una parolaccia non è più tabù, perde il suo potere espressivo od offensivo: nessuno, oggi, direbbe a un altro “manigoldo” o “ribaldo” per offenderlo, anche se anticamente erano considerate parole insultanti.
La parabola di Topo Gigio, infine, mette a nudo un altro aspetto delle parolacce: il fatto che non sono controllabili razionalmente, per lo meno quando si provano emozioni molto forti. Le imprecazioni, infatti, sono controllate dall’emisfero destro del cervello, che traduce immediatamente le emozioni in suoni emotivamente carichi (le imprecazioni, in fondo, non sono altro che questo): nei momenti di rabbia, sorpresa, dolore, il cervello ha bisogno di tradurre immediatamente le emozioni in parole, senza troppi ragionamenti (altrimenti, addio sfogo).
Ecco perché, anche le persone più educate del mondo (come è Roberto) quando trovano l’auto ammaccata o si pestano un dito col martello, non dicono “Perdindirindina” o “Accipicchia” (né tantomeno Topo Gigio) ma esplodono in un “Porcadiquellaputtan…..” e simili.