Il ritornello preferito di Charlie è: «Sega! Sega! Mezza sega!»…. Barney ha un repertorio ancora più volgare: a chi gli si avvicina, gli esclama in faccia «Vaffanculo!» oppure «Puttana!».
Vicende di ordinaria maleducazione? No, visto che Charlie e Barney sono pappagalli. E hanno creato non pochi imbarazzi ai loro padroni.
Charlie è un pennuto di St Gorge (Gran Bretagna): i suoi proprietari si sono rassegnati a venderlo, dopo le proteste dei vicini, esasperati dai suoi ritornelli volgari, come riferisce il Daily Mirror qui .
Quanto a Barney (anch’egli un pennuto di anglosassone), è andato oltre: non solo ha insultato i turisti dello zoo di Nuneaton, ma anche il sindaco e 2 agenti di polizia. E – caso raro – si è messo a insegnare il suo repertorio sboccato ad altri pennuti, come racconta il Daily Mail qui.
I casi non sono isolati. In “Parolacce” racconto la storia di Charlie, il pappagallo a cui Churchill aveva insegnato a sfanculare i nazisti, o il pappagallo israeliano che ha rischiato la condanna a morte per volgarità.
In questi casi, gli esperti consigliano un solo modo per correre ai ripari: se il vostro pappagallo impara le parolacce (e di solito lo fa per attirare l’attenzione del padrone), l’unico modo efficace per interrompere il comportamento è ignorarlo quando le dice, e premiarlo (con cibo) quando usa un linguaggio pulito. Gli animali, si sa, funzionano con premi e punizioni (rinforzi positivi e negativi)…
Del resto, che pappagalli e merli indiani possano ripetere parole o intere frasi, è risaputo; e quando il padrone ha uno spirito goliardico o si lascia andare a sfoghi senza censure, i pennuti imparano anche le parolacce. Con effetti comici, visto che dagli animali non ci si aspetta un comportamento così umano, ovviamente del tutto inconsapevole: ecco perché su YouTube impazzano molti video di pappagalli che ne dicono di tutti i colori (“c a z z o vuoi” Mortaci tua” e bestemmie): per vederli, basta digitare “pappagallo + parolacce” oppure “parrot swearing”…
Polly, il pappagallo-pupazzo che dice parolacce.
Dunque, le parolacce sono un’abilità esclusivamente umana, e attribuita impropriamente agli animali? Ovvero un antropomorfismo, per dirla con parole raffinate?
La risposta, sorprendentemente, è no.
Secondo diversi etologi, i comportamenti di minaccia e irritazione di diversi mammiferi (mostrare i denti, grugnire, sputare, fare movimenti bruschi) sono il corrispettivo delle espressioni umane: “Non rompermi i coglioni”, “Vaffanculo”, “Sono incazzato (come una bestia…)”. Ovvero, segnali di aggressività e di collera, che servono a tenere lontano un individuo della stessa specie minacciandolo di aggressione.
E l’etologo Irenäus Eibl-Eibesfeldt, ha fatto una scoperta sensazionale: I cercopitechi (una specie di scimmie) utilizzano l’erezione come minaccia ritualizzata di monta. In altre parole, mostrano a potenziali invasori il pene eretto per avvertirli di stare alla larga: l’organo sessuale, insomma, è usato non a scopi riproduttivi, ma simbolici. Le espressioni umane “Ti inculo a sangue”, “C a z z o vuoi” avrebbero, insomma, un’origine animale e poi si sono evolute in forme più raffinate e simboliche: ai comportamenti si sono sostituite le parole. E scusate se è poco.