Misurate le parole. D’ora in poi, se insultate un vigile (ma anche un poliziotto, un medico, un controllore sul treno, un pilota d’aereo, un insegnante…) rischiate grosso: fino a 3 anni di carcere. Molto meno di quanto rischierebbe se lo facesse lui: rischierebbe al massimo 1 anno di galera.
In Italia gli insulti non sono più uguali per tutti. Da luglio, infatti, è stata ripristinata una nuova categoria di intoccabili, almeno a parole: i pubblici ufficiali. Per loro, il governo giallo-verde ha riesumato, nell’agosto 2019, il reato di “oltraggio”, che era stato depenalizzato 20 anni fa. In realtà l’aveva fatto già il governo Berlusconi nel 2009 (vedi qui); ora nell’ennesimo decreto sulla sicurezza (DL 53/2019, articolo 7) le pene vengono ulteriormente inasprite.
In pratica, chi insulta un pubblico ufficiale in servizio rischia pene molto più severe rispetto a chi insulta un comune cittadino. Due pesi e due misure: solo se si tocca un rappresentante del Potere si “va oltre misura” (“oltraggio” significa proprio “andare oltre”).
Perché questa disparità di trattamento, quando la nostra Costituzione (art. 3) stabilisce a chiare lettere che “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali”?
Per rispondere a questa domanda, bisogna prima capire chi sono i pubblici ufficiali: per il Codice Penale sono le persone che esercitano una pubblica funzione legislativa (i parlamentari), giudiziaria (i magistrati) o amministrativa (gli impiegati pubblici con compiti di autorità o certificazione). Ovvero, come ricorda Wikipedia, oltre alle forze dell’ordine e ai militari anche molte altre figure professionali: assistenti sociali, ausiliari del traffico, insegnanti, ufficiali giudiziari, medici e infermieri, guardie venatorie, piloti di aerei, treni, navi, notai, membri di seggi elettorali, avvocati, curatori fallimentari, direttori di lavori di opere pubbliche…
In una parola: tutti quelli che rappresentano, nel loro agire, lo Stato.
E che, proprio per questo, lo Stato tutela in modo particolare. Come racconto in “Parolacce”, il reato era esistito fino al 1999, poi fu abolito per sgravare i Tribunali da procedimenti di minor peso. Nel 2009 è stato reintrodotto: perché? Su richiesta delle stesse forze dell’ordine, “per rendere più incisiva l’azione di polizia e più autorevole l’immagine della Polizia”. Ora, l’ulteriore inasprimento del 2019 mira a tutelare “le manifestazioni in luogo pubblico e aperto al pubblico (come treni e bus)”.
Ma prima della riforma, chi offendeva un pubblico ufficiale era comunque punito, con le pene previste per l’ingiuria aggravata. Un’operazione di facciata, per mostrare i muscoli del governo? Oppure un modo per tacitare le voci critiche? Difficile dirlo. In ogni caso, al governo è costato senz’altro meno ripristinare una norma di principio come questa che dare gli agognati rinforzi (uomini, mezzi e finanziamenti) alle forze dell’ordine…
Motivazioni a parte, la disparità di trattamento tra un pubblico ufficiale e un semplice cittadino risulta evidente non solo valutando la diversità di pene previste, ma anche se si considera che la parola di un pubblico ufficiale vale di più: secondo il Codice Civile la sua testimonianza è assunta sempre come vera a meno che qualcuno riesca a provare che menta. Ma se un vigile a cui sei stato antipatico ti accusa di averlo chiamato “stronzo”, come fai a dimostrare che mente?
Ecco perché la nuova legge pone una serie di condizioni per evitare o limitare gli abusi: l’offesa deve avvenire “in luogo pubblico o aperto al pubblico e in presenza di più persone” e deve offendere contemporaneamente “l’onore (= il valore sociale) e il decoro (= le doti fisiche, intellettuali e professionali)” del pubblico ufficiale. Ed è stata introdotta una pena minima: 6 mesi di reclusione. Il presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha criticato un aspetto della legge: il fatto che non preveda eccezioni, neppure se l’offesa è molto tenue.
Insomma, una clamorosa retromarcia rispetto al quadro generale del nostro ordinamento giuridico: negli ultimi 20 anni erano stati depenalizzati non solo gli oltraggi ai pubblici ufficiali, ma anche a pubblici impiegati, a un corpo politico, alla Repubblica, alla bandiera (ora puniti con semplici multe).
Anche per questo motivo, quando il blogger Piero Ricca qualificò come “buffone” Silvio Berlusconi all’uscita dal processo Sme, fu assolto: si trattava di una “forte critica” a un personaggio politico, e come tale legittima.
Finora, le uniche eccezioni privilegiate nel nostro Codice Penale erano (e continuano a essere) i giudici in udienza e il presidente della Repubblica. Loro sono più “uguali” degli altri cittadini: chi li insulta rischia fino a 5 (cinque!) anni di carcere.
Queste contraddizioni, in Italia, passano sotto il solito silenzio rassegnato. Non così avviene in Francia: al Convegno internazionale sugli insulti a cui ho partecipato all’università di Chambéry è stato oggetto di dibattiti appassionati. Anche perché Oltralpe è stato fondato il Codedo (Collectif pour une dépénalisation du délit d’outrage, Collettivo per la depenalizzazione del delitto di oltraggio), un’associazione che sta raccogliendo firme per abolire il reato di oltraggio, definito “obsoleto, iniquo e retrivo”. Sottolineando 2 aspetti aberranti: nell’oltraggio, chi constata il reato ne è al tempo stesso anche la vittima. E in tribunale la sua parola vale di più di quella di un semplice cittadino.
Ma non è tutto. In Francia, dicono i membri del Codedo, le denunce per oltraggio sono aumentate del 42% negli ultimi 11 anni. Il motivo? Un clima “sempre più repressivo”, per coprire e legittimare i crescenti soprusi della polizia. E anche perché, da quando Sarkozy era ministro dell’Interno (2002) le denunce per oltraggio erano usate come strumento per mostrare una maggiore efficienza nella repressione dei reati.
Ma, secondo il Codedo, il reato di oltraggio sta diventando uno strumento con cui il presidente Sarkozy vorrebbe zittire gli oppositori in nome di una sorta di “delitto di lesa maestà”: di recente un francese è stato condannato a pagare 30 euro di multa per aver brandito un cartello con la scritta “Smamma, povero pirla” (“Casse-toi, pauvre con”), durante il passaggio del corteo presidenziale. È stata considerata un’offesa a tutta la nazione… Eppure, proprio quella frase era stata pronunciata mesi prima da Sarkozy al Salone dell’agricoltura (v. filmato qui sotto), a un cittadino che non gli aveva voluto stringere la mano.
Ora, argomenta il Codedo, “quale rispetto accordare a un presidente della Repubblica così poco rispettoso dei suoi concittadini?”. Ecco perché il Codedo spera di raccogliere abbastanza firme per cancellare il reato di oltraggio dal Codice Penale. Dunque, i nostri cugini francesi, figli della rivoluzione illuminista, si dimostrano ancora una volta più sensibili di noi nel reclamare l’attuazione dei principi di uguaglianza (libertè, Égalité, Fraternité è il motto della Repubblica francese). Ma io credo che sia un’utopia: è impensabile che il Potere tolleri di essere messo in discussione, o peggio ancora svilito, preso in giro, disprezzato. Perché questo gli toglierebbe… potere.
L’aveva già capito un grande critico letterario russo, Michail Bachtin (1895-1975), sottolineando come il Potere statale sia sempre collegato alla violenza e ai divieti, all’autoritarismo: “il potere, la violenza, l’autorità non usano mai il linguaggio del riso (= le parolacce). C’è sempre in questa serietà un elemento di paura e di intimidazione”. Soprattutto se chi rappresenta il Potere non ne è affatto degno.
Credo sia più realizzabile, quindi, introdurre una norma per compensare le disparità ed eventuali abusi. Se l’autorità ha bisogno di essere rispettata, soprattutto se è davvero rappresentativa di un popolo, è giusto punire severamente chi la insulta.
Ma se l’autorità abusa del proprio potere, non rispettando i propri cittadini, deve essere punita ancora più duramente, perché approfitta della propria posizione di vantaggio per fare violenza. Se un cittadino che insulta un’autorità rischia 3 anni di carcere, un’autorità che insulti un cittadino deve rischiarne almeno 6. Per non avere la tentazione di abusare del proprio potere. Come, purtroppo, è accaduto (e senza grandi conseguenze penali) alle forze dell’ordine che hanno commesso abusi durante il G8 di Genova 2001: molti manifestanti sono stati portati in caserma e qualificati con epiteti come “bastardi, stronzi, figli di puttana, drogati, comunisti di merda, stronzi, coglioni, puttana, troia“… Trovate tutto nella sentenza della Cassazione su Bolzaneto che trovate qui…
Un’autorità degna di questo nome non dovrebbe mai spingersi così “oltre”.
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Pagliacci ai vigili e’ offesa a pubblico ufficiale?
Possono fare querela?
Sì: nelle sentenze “pagliaccio” è sempre stato condannato come termine ingiurioso. E nel caso dei vigili, diventerebbe un oltraggio a pubblico ufficiale. Quindi, i vigili possono querelarla e in tal caso lei perderebbe. Ma è tutto da vedere se lo faranno: non si angosci, e nel caso si faccia assistere da un bravo avvocato.