Enzo Jannacci e Franco Califano, uniti nella morte, avevano effettivamente alcuni aspetti in comune: l’abbiamo scoperto nella puntata precedente. Avevano una vena popolare che nelle loro canzoni si esprimeva descrivendo, spesso in modo teatrale, personaggi, stati d’animo e situazioni. Ecco perché tutti e due hanno usato diverse parolacce nelle canzoni (59 volte Jannacci, 141 Califano).
Ora è venuto il momento di scoprire in quali modi le hanno usate. E che cosa le parolacce rivelano della loro arte. Partiamo da Jannacci. Se esaminiamo le sue 15 canzoni con parolacce, le possiamo dividere in 2 grandi tipologie.
O “Songo venuto“, la storia di un immigrato meridionale (un “terun”) venuto al nord col mito del lavoro, che si ritrova in un mondo di sfruttamento bieco: E l’ingegnere ch’è gentile, dice: “Posa i valige nel curtile” Dice: “S’accomoda, permette?” Che persunaggio giust’e curretto poi come un gioco come di parole dice :”Famme vedé i tette” che città ganza da murire e io ignurante che non ci volevo neanche venire. Altrettanto emblematica “Natalia“, storia di una bimba di 7 anni gravemente malata di cuore: Jannacci era un cardiologo bravo e appassionato del proprio lavoro: Natalia che non puoi sapere cos’è bradicardia cioè che tutto sta andando a puttane e così sia Natalia, tu non sai che bisogna riaprirti il torace che è una cosa che rompe sempre i coglioni (…) Natalia che hai solo sette anni e fai la figlia di ferroviere proprio quello al quale il professore di Torino ha chiesto venti milioni ben sapendo che male che vada c’è sempre la colletta e siamo bei freschi di tasse
Poi ci sono le canzoni arrabbiate, che sono un’analisi amara delle storture della società. A partire dal disprezzo verso i cantanti, come racconta “Parlare con i limoni“: Jannacci non ha mai nascosto di essere stato emarginato dai propri colleghi medici: molti non gli perdonavano la libertà di pensiero, il suo essere tanto preparato professionalmente quanto estraneo alle logiche di spartizione del potere e della carriera, come ricorda un suo collega medico qui. Infatti, per nascondere la propria pochezza morale, molti colleghi lo guardavano dall’alto in basso con la scusa che lui faceva il cantante, l’uomo di spettacolo. E così, alla fine Jannacci – un cardiochirurgo che aveva studiato con Christian Barnard – ha dovuto archiviare le proprie ambizioni per fare il medico di famiglia. Altrettanto graffianti i testi che attaccano il menefreghismo di certi politici. Nei “Soliti accordi” (canzone di 20 anni fa, tristemente attuale): O l’arroganza del potere, descritta in “Come gli aeroplani“:
che verrà il giorno che spariranno tutti i rompicoglioni, sì
io sarò pronto lì a parlare con i limoni
quanta fatica per farsi accettare con le canzoni
una vita intera per rincorrere due o tre illusioni
c’e uno che grida, che grida e fa i versi
da quella finestra.
Si cambiano i nomi,
rimangon bastardi,
tu guarda alla radio, le solite facce,
i soliti accordi. (Quali accordi?) I soliti.
Oh eccone un altro che fa schifo
e gli fan comandare una rete televisiva
e lo fa da prepotente come te che sei arrogante
e se rispondi lo fai sempre malvagiamente,
sgarbatamente perchè in tasca hai la pistola
ma al posto del cervello hai solo merda
hai solo merda che non puzza nemmeno curiosamente.
Dunque, tutte parolacce che esprimono indignazione e delusione verso le ingiustizie sociali e personali. Parolacce “di pancia“.
E quelle del Califfo? Anch’esse riservano molte sorprese. Perché svelano che la sua arte si ricollega a quella di due illustri poeti degli ultimi 2 secoli. Volete sapere quali? Appuntamento alla prossima puntata (segue).