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Parolacce come anti-spam? Meritano la pubblicazione!

removeCoverPuò un documento intitolato “Cancellatemi dalla vostra fottuta mailing list” essere accettato per la pubblicazione da una rivista scientifica? Sì. Anche se il documento consiste nella mera ripetizione di quella frase per 862 volte? Ebbene: sì. Succedono strane (e divertenti) cose, nel mondo scientifico. Il caso è emerso in questi giorni, e somiglia a quello di Stronzo Bestiale: è uno scherzo fra scienziati che ha avuto un effetto imprevisto. E’ stato preso sul serio.

La home page del sito del prof. Mazières.

La home page del sito del prof. Mazières.

La vicenda è recente, ma ha le sue radici nel 2005. Quell’anno c’era la 9a Conferenza mondiale di informatica a Orlando, in Florida, e gli organizzatori continuavano a bersagliare di inviti gli addetti del settore. Ma due di loro, David Mazières ed Eddie Kohler, informatici della New York University e dell’Università della California (oggi lavorano rispettivamente a Stanford e Harvard), avevano deciso di reagire allo spam promozionale con un messaggio inequivocabile: “Get me off Your Fucking Mailing List”, cancellatemi dalla vostra fottuta mailing list. Tra informatici – abituati alla complessità dei linguaggi della programmazione – spesso, per compensazione, la comunicazione è molto diretta. Soprattutto se devono liberarsi di un problema.

Ma Mazières e Kohler hanno fatto di più: hanno ripetuto il messaggio per 862 volte in 10 pagine, dandogli la veste grafica di un paper scientifico con riassunto, introduzione, 3 paragrafi, sommario e bibliografia. E pure 2 diagrammi.

Uno dei diagrammi inserito nella finta ricerca.

Uno dei diagrammi inserito nella finta ricerca.

Insomma, una mossa da “nerd”: hanno dato una veste intellettuale a un volgare gesto di stizza. Ma il contenuto era uno e uno solo: cancellatemi dalla fottuta mailing list.
A vederla da un altro punto di vista, come una stringa di comando che si ripete all’infinito. O come il “Capra! Capra! Capra! Capra! Capra! Capra! Capra!” che ha reso celebre Vittorio Sgarbi.

L’iniziativa si è esaurita lì, ma il pdf del finto paper è circolato tra i ricercatori. Finché, poco tempo fa, un informatico australiano, Peter Vamplew (Federation University Australia’s School of Engineering and Information Technology) l’ha usato per reagire alle continue mail di una rivista, l‘International Journal of Advanced Computer Technology (IJACT), che lo sollecitava a inviare studi da pubblicare.
Vamplew gli ha mandato il pdf: si aspettava che l’avrebbero letto e si sarebbero fatti una risata. Ma non che l’avrebbero tenuto in considerazione per la pubblicazione.

E invece, come rivela il sito Scholarly Open Access, la rivista Ijact ha scritto a Vamplew, comunicandogli che la ricerca era stata accettata per la pubblicazione: bastava versare 150 dollari su un conto della filiale di Nuova Delhi della Banca di Stato dell’India (il sito della rivista, invece, ha sede nelle isole Vergini britanniche).

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Il modulo di revisione della rivista Ijact, con giudizi lusinghieri sul paper-burla.

Com’è possibile che sia accaduto un caso del genere? E’ uno degli effetti aberranti della guerra in atto nella scienza di oggi. La guerra fra le testate scientifiche classiche (consultabili a pagamento) e quelle open access (gratuite). Ciascuna si contende le ricerche degli scienziati, costretti a pubblicare se vogliono mantenere la cattedra e lo stipendio. “Publish or perish”, pubblica o muori.
Pubblicare su una rivista “classica” è gratis ma è difficile e comporta lunghe attese; quelle open access pubblicano subito ma chiedono un rimborso agli scienziati. In questo caso, però, per far soldi, alcune arrivano a pubblicare qualsiasi cosa, senza troppi filtri da parte dei revisori della rivista. Sono le “predatory open access”, le riviste predatrici: gli scienziati seri le tengono d’occhio e le mettono all’indice nei loro blog.

Che arrivassero a voler pubblicare persino un paper di questo genere, però, nessuno poteva immaginarlo. Eppure è accaduto. Scarsa conoscenza della lingua inglese da parte dei sedicenti “redattori” della rivista? Io credo invece che sia stata colpa di un computer: può darsi che il sito di Ijact abbia un algoritmo in grado di riconoscere il testo di un documento allegato (Word, Pdf), estrarne il titolo e poi compilare in automatico i giudizi, con annessa richiesta di pagamento bancario. Se così fosse, stavolta l’uomo ha battuto il computer: il prof. Vamplew si è rifiutato di pagare la somma e ha sollevato il caso. Intanto, i due autori dello scherzo si stanno facendo una grassa risata.

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