Più di 800 ore ininterrotte di bestemmie, insulti, oscenità da tutto il Paese. Oltre ad avere la più antica parolaccia scritta in una chiesa, l’Italia detiene un altro record: la maratona radiofonica più lunga e volgare della storia. Il primato non lo trovate sul Guinness, ma lo meriterebbe: quasi 50mila minuti di volgarità trasmesse nell’etere in 35 giorni da Radio Radicale – ribattezzata per l’occasione “Radio parolaccia” – sono un evento unico al mondo. Ma che cosa era successo? Lo racconto in questo articolo, perché proprio in questi giorni ricorre il 30° anniversario dell’evento (a 3 mesi dalla scomparsa di Marco Pannella, storico leader radicale).
Era il 10 luglio del 1986, infatti, quando Radio Radicale si trovò in grandi difficoltà economiche. L’emittente era stata fondata 10 anni prima a Roma da un gruppo di attivisti, e svolgeva (come oggi) un doppio ruolo: non solo megafono del partito, ma anche radio di servizio, che trasmetteva in diretta le sedute del Parlamento e altri dibattiti istituzionali. Ma all’epoca la radio non riceveva contributi dal Governo: e così, di fronte a costi di gestione sempre più alti, quell’estate Radio Radicale era arrivata al punto di rischiare la chiusura. I dirigenti i decisero di sospendere tutti i programmi, per lasciare la parola agli ascoltatori: installarono 30 segreterie telefoniche, invitando gli italiani a registrare un messaggio di 1 minuto con le proprie opinioni sulla radio. A quell’epoca – giova ricordarlo – Internet ancora non c’era.
Dalla politica ai goliardi
E così le segreterie telefoniche di Radio Radicale iniziarono a registrare le voci degli ascoltatori. Ma ai messaggi di stima e solidarietà per la radio si affiancarono subito le critiche dei detrattori. Una pensionata napoletana disse, contestando gli scioperi della fame dei radicali: “Nuje a fame a’ facimme senza ‘o sciopero. La nostra è ‘na fame radicale”.
Ma la politica passò rapidamente in secondo piano: l’occasione di avere un palcoscenico nazionale era troppo ghiotta per goliardi e disturbatori. C’era chi telefonava per trasmettere il rumore del vento, chi fischiettava, chi faceva pernacchie, chi simulava un orgasmo, chi cantava (da “Faccetta nera” all’ultimo successo di Eros Ramazzotti), chi diceva filastrocche senza senso. Alcuni incidevano messaggi d’amore (“Cerco Carla, senza di lei non posso più vivere”), altri protestavano per piccoli incidenti quotidiani (“Sono in campeggio e se n’è andata via la luce. Intervenite”), altri ancora che si facevano pubblicità (“Venite nella mia panetteria, è in via Garibaldi…”).
E ben presto si diffuse l’abitudine di lasciare messaggi sempre più osceni. Non solo insulti a sfondo politico (contro i radicali, i fascisti, i comunisti, i democristiani…) ma anche a sfondo calcistico fra opposte tifoserie: laziali contro romanisti, interisti contro juventini, etc. Ma la parte del leone fu presa dall’odio etnico: i settentrionali invocavano che l’Etna eruttasse per distruggere la Sicilia, i meridionali che invitavano Gheddafi a bombardare Milano o Torino… Ma anche telefonate contro “negri”, ebrei, paninari, e così via.
Sfogatoio a luci rosse
Ecco alcuni esempi: «Sono Roberto e chiamo da Milano, (…) volevo dire a quella manica di terroni di Roma che siete delle teste di cazzo inaudite a fare quelle telefonate oscene, pirloni, barboni, andate a lavorare, pirlaaa! Grazie».
«Filippo bastardo, figlio de ’na mignotta, bastardo che non sei altro… milanesi dovete crepare tutti, bastardi che non siete altri, venite a Roma che ve famo un culo come ’na capanna… mortacci vostri mortacci vostri… a voi e a tutto il Nord!».
Insomma, Radio Radicale divenne lo sfogatoio dei peggiori istinti degli italiani. Nel video qui sotto potete sentire dal vivo le voci dell’epoca: audio sconsigliato alle persone sensibili per la presenza di bestemmie.
I leader radicali, comunque, fedeli al loro approccio libertario e anarchico, decisero di non intervenire con censure: “la radio era in mano agli ascoltatori” ricorda l’ex direttore Massimo Bordin, “ed era giusto che dicessero ciò che volevano senza intermediari”. Insomma, Radio Parolaccia divenne un “troll” di massa. E in breve tempo, Radio Radicale battè tutti i record, diventando l’emittente più chiamata e ascoltata d’Italia. D’altronde, era un palcoscenico nazionale e privo di rischi: allora non c’era l’identificativo del chiamante, quindi tutte le telefonate restavano nel totale anonimato. Ma in una nazione guidata dall’asse catto-socialista moderato (Psi-Dc-Psdi, Pri, Pli, con Bettino Craxi presidente del consiglio) e la presenza del Vaticano, l’esperimento non poteva durare a lungo. Tanto più che diverse telefonate violavano le leggi: vilipendio delle istituzioni, apologia di fascismo, diffamazione, solo per citare alcuni reati.
Lo stop dei magistrati
Sommersa da denunce, interpellanze parlamentari, articoli di giornali indignati, la magistratura di Roma intervenne: il 14 agosto, dopo 35 giorni di trasmissioni, emise un decreto di sequestro degli impianti usati per trasmettere le telefonate. Tre funzionari della Digos e due tecnici della Questura si presentarono a Radio Radicale e portarono via le segreterie telefoniche che registravano i messaggi degli ascoltatori. L’emittente dovette ripiegare trasmettendo musica classica. Finché, in serata, ai microfoni Pannella si scagliò contro i magistrati: “Quando la Rai attenta ai diritti politici dei cittadini, non si trova un magistrato in tutta Italia che abbia il coraggio e la serietà di avviare un’indagine. Quando si tratta di Radio Radicale, invece, la magistratura scopre di essere armata per difendere la legge”.
Il giorno seguente, Ferragosto, Pannella tornò in radio per una diretta non-stop: un modo per tenere alta l’attenzione sui destini di Radio Radicale, ma anche delle radio in generale. La vicenda si risolse in autunno, quando il Parlamento intervenne per salvare l’emittente, estendendo alle radio il finanziamento pubblico per l’editoria di partito. Ma “Radio parolaccia-Radio bestemmia”, come fu ribattezzata, non terminò nel 1986 la sua esistenza.
Dopo una replica nel 1990, ancora nel 1993 (sempre per salvarsi dalla chiusura) l’emittente riattivò la segreteria telefonica, sempre con analoghi risultati.
Una foto dell’Italia
Con questa iniziativa, Pannella fu accusato di aver tolto il coperchio ai più bassi istinti degli italiani. Ma lui non era d’accordo: “E’ giusto che questo tetro mondo a luci rosse venga finalmente alla luce del sole. E’ una fotografia inquietante ma straordinariamente interessante dell’Italia. Ci sono tanti moralisti che borbottano, ma non c’è neanche un sociologo che si prenda la briga di studiarle quelle voci, e nemmeno un linguista che si mette ad analizzare la diversità delle parlate. Un enorme patrimonio di conoscenza e loro lo sprecano così”.
In effetti, su questo caso unico fu pubblicato solo un libro: “Pronto?! L’ Italia censurata delle telefonate a Radio radicale” (Mondadori). Ma è solo un’antologia impreziosita dalla prefazione di Oreste Del Buono. Insomma, quella miniera di fango è ancora tutta da esplorare: fu profetica nel mostrare non solo la voglia di protagonismo di tanta gente (in cerca di un palcoscenico nazionale, seppur anonimo e momentaneo), ma soprattutto la carica di odio razziale, di xenofobia e di intolleranza che di lì a poco sarebbero stati cavalcati dalla Lega Nord e da altri partiti. A distanza di 30 anni, peraltro, lo scenario non è molto cambiato: le ossessioni sono rimaste più o meno le stesse. Con la differenza che, oggi, le discariche emozionali sono a portata di mano sempre: basta andare su Twitter, Facebook o YouTube. L’unica differenza è che invece di nascondersi dietro a una voce anonima oggi ci si cela dietro un nickname. Un progresso? Dal punto di vista tecnologico senz’altro, ma da quello comunicativo non molto: sui social network manca il tono di voce, che rivela le reali intenzioni di chi parla. Insomma, su queste piattaforme è più difficile capire se chi insulta lo fa per semplice goliardia, odio violento, ribellione al sistema, sfogo liberatorio o disagio sociale. E così il rischio di equivoci e incomprensioni diventa più alto. Insomma, rispetto a 30 anni fa abbiamo molto più potere, ma il mondo è diventato più complicato: anzi, maledettamente ambiguo.