Cosa succede quando si esporta all’estero un prodotto di successo? Il rischio di fare flop c’è sempre: gusti e sensibilità cambiano a ogni latitudine. Ma quando il suo nome, in altre lingue, acquista significati imbarazzanti, il fiasco è assicurato.
Ne sanno qualcosa i produttori, grandi e piccoli, che hanno fatto figuracce epocali scoprendo – troppo tardi – che all’estero il nome del loro prodotto (un’auto, una bibita, un telefonino, uno snack) richiamava i termini volgari usati per indicare il sesso, gli escrementi o gli insulti. Col risultato di diventare involontariamente comici, di perdere prestigio o, peggio, di offendere la sensibilità di un intero Paese.
In inglese questo tipo di errori si chiama “brand blunder” (sbaglio di marca), e la storia del marketing ne ha archiviati a decine, commessi anche da multinazionali molto celebri.
Dopo aver parlato dei loghi volutamente volgari, registrati all’Ufficio marchi italiano, dei vini e dei cibi con un nome osè, in questo articolo ho radunato invece 43 “falsi amici”, cioè nomi commerciali che, in un’altra lingua, diventano parolacce.
Alcuni sono effettivamente sfociati in una gaffe internazionale, altri no (o non ancora). I primi 30 casi sono in italiano, e i successivi sono in inglese, spagnolo, francese, svedese, tedesco, cantonese…. Buon divertimento.
In italiano…
PIPI PLOPP POM’PIN SEGA FROCHO INKULATOR CHIAPPLE
FESSENGER FANCL Si chiama così una società giapponese, quotata in Borsa, che produce cosmetici e integratori alimentari. Fondata nel 1981, oggi ha 900 dipendenti e sedi anche in Cina, Taiwan, Hong Kong, Singapore. Certo, il logo che campeggia sulle insegne dei negozi non è beneaugurante verso i clienti.
KHA GAI AZZO JETTA ZOKOLA POPO BELIN BELINO
STRONZO COLLON
BOOKEEN CULINEA KAGAN MELDA
KAGATA LADY KAGA
CATSY STIKEEZ ZOOMER DINO TOPA
QUINOTTO
CACAZI LUPILU
VINCULUM MERDA
Come si fa a bere una bibita con questo nome? Eppure esiste: è un’aranciata prodotta a Spalato, in Croazia. E’ stata la bevanda più diffusa negli anni ‘80 e ‘90 (anche nelle versioni limonata e acqua tonica), ma oggi il suo produttore, Dalmacijavino, risulta in guai finanziari. Chissà cosa sarebbe accaduto se avesse tentato di esportare la Pipi in Italia…
Chi è andato in Svezia le ha viste esposte nei supermarket: sono barre di cioccolato al latte con un ripieno di caramello. Ma accostare questo suono, che ricorda – anche in inglese – la defecazione, non è molto beneaugurante… Con l’aggravante che anche il produttore ha un nome respingente, almeno in italiano: Cloetta, che evoca la cloaca.
Fra le specialità gastronomiche del Belgio ci sono le patate. La ditta Lutosa ne confeziona vari tipi, fra cui le crocchette a forma di pigna: perciò le vende col nome di Pom’pin, contrazione di “pomme de terre” (patata) e “pomme de pin” (pigna). Dato che un marchio del genere sarebbe sconveniente in Italia (richiama il sesso orale), le hanno ribattezzate Pata’Pigna.
Il celebre produttore giapponese di giochi elettronici, Sega, è un acronimo formato dalle prime due lettere di Service Games. Ma questa sigla, in italiano, è il nome volgare della masturbazione. Gli appassionati di videogames lo sanno da tempo, e non gli fa più effetto. Ma il problema c’è: così, non potendo cambiare il proprio nome, negli spot pubblicitari “Sega” è pronunciata volutamente in inglese: “siiga”.
SecondCup Coffee è il gemello canadese di Starbucks: una catena di 300 caffetterie fondata nel 1975. Di recente ha inventato (e registrato come marchio) un nuovo prodotto: Frocho, contrazione di frozen chocolate (cioccolato congelato). E’ una bevanda fresca per l’estate, ottenuta mescolando latte, ghiaccio, vaniglia e cacao. Se arrivasse in Italia avrebbe però il sapore dell’omofobia.
Nel 2013, SurfaceSoft aveva lanciato un’app per Windows 8, descritta come un “modo nuovo e figo di fare calcoli”. Mescolando le espressioni “digital ink” (inchiostro digitale) e “calculator” (calcolatrice), la società informatica aveva sfornato un nome elegante in inglese, ma esilarante in italiano: Inkulator. Dopo l’ilarità e le proteste degli italiani, l’app è stata ribattezzata Kanakku (dai Kanak, abitanti della Nuova Caledonia): ma in tedesco kanake significa immigrato (in senso spregiativo) e in giapponese kanaku significa “persona malvagia”. Insomma, nonostante le buone intenzioni, anche in questo caso SurfaceSoft ha… fatto male i conti.
Negli Stati Uniti, la moda per i cibi organici ha prodotto un preparato a base di semi di chia (Salvia hispanica) e mela. Il suo nome commerciale? Chiapple (composto di chia e apple, mela). Se mai arrivasse sul mercato italiano, difficilmente potrebbe mantenere questo nome (peraltro divertente, per l’assonanza con le chiappe).
Il nome sembra uscito da uno sketch di Crozza: sembra un mix fra fesso e kazzenger, l’imitazione di Roberto Giacobbo. Invece, è il nome di un’altra app per computer: serve come interfaccia per usare Facebook attraverso i Google glass: il nome, infatti, è l’effetto della fusione fra Facebook e messenger.
La Knorr vende questa zuppa di noodle thailandese, la Tom Kha Gai (a base di pollo con latte di cocco, zenzero e lime) nei mercati del Nord Europa: soprattutto in Germania, Francia, Svizzera, Svezia. Se decidesse di esportarli in Italia, forse potrebbe avere successo… fra gli stitici, vista l’assonanza con “cagai“.
Come poteva chiamarsi una raffinata linea di prodotti di bellezza femminili (shampoo, olii, maquillage) di una casa francese? Azzo. Per la precisione: Azzo professionnell (non so se mi spiego). Se decidessero di entrare sul mercato italiano, lo slogan sarebbe bell’e pronto: “Fatti bella. Azzo!”. Da far pronunciare a un toscano.
La Volkswagen lanciò la Jetta, una berlina compatta a coda, nel 1979. Non aveva fatto i conti con l’infelice assonanza con la parola “jella” (sfiga) in italiano: un nome, un destino. La vettura, infatti, fu un flop: fu ritirata dal mercato italiano (che non ama quel genere di berline). E a scanso di assonanze negative il nome fu corretto in Vento e poi in Bora.
A Poperinge, in Belgio, un produttore di cioccolato ha scelto un nome spiritoso per i propri dolcetti: “Zokola”. Il termine ricalca la pronuncia infantile, in francese, della parola “chocolat”. Se mai volessero esportare le loro praline in Italia, andrebbero avvisati dell’assonanza con zoccola (puttana), una parola sicuramente non adatta ai bambini.
Il nome di questa confezione di carne trita sembra lo slogan di un vegano: si chiama infatti Popo, il nome infantile della cacca. In realtà è un prodotto finlandese mai sbarcato sul mercato italiano. L’infelice nome deriva dalla fusione delle iniziali di “porsas-porkkana”, ovvero maiale e carote. Qualcosa di vegano c’è davvero…
Come si chiama uno dei più grandi produttori francesi di crackers e patatine fritte? Belin, che in ligure è l’appellativo volgare del pene. Se questa ditta esportasse in Italia susciterebbe l’ilarità dei genovesi. D’altra parte, essendo usato anche come imprecazione, il termine si presterebbe a un facile slogan: “Belin, che snack!”.
Poteva mancare la variante del ligure belin? No, che non poteva. E infatti c’è: in Bulgaria producono una linea di croissant che si chiamano belino. Se si unisce la forma vagamente fallica della brioche, a una campagna ammiccante (ma inconsapevole) come quella raffigurata a lato, il risultato è davvero comico.
E’ stata chiamata così una birra artigianale prodotta in Danimarca fino al 2014: ne avevo parlato in un post sui nomi volgari degli alcolici (a cui si aggiunge la birra Minchia, di cui ho parlato qui). Non sappiamo se i titolari del marchio fossero consapevoli del significato della parola, scelta forse per il suo suono espressivo. Sarebbe stata la bevanda perfetta da abbinare alla… Popo di cui sopra.
Ha un’infelice assonanza con colon, ma soprattutto con “coglione” (e il corrispettivo veneto “coiòn”) questo dolcetto giapponese: sono lunghi stick di wafer con un ripieno di crema. Se dovessero arrivare in Italia, il cambio di nome sarebbe inevitabile. Per non passare per collon.
In Francia hanno lanciato un lettore di libri digitali, chiamato Bookeen giocando col termine inglese “book”, libro. Peccato, però, che la pronuncia di questo nome (buchiin) ricordi pericolosamente il termine bucchin, termine napoletano per bocchino (sesso orale). Pensate di chiederlo alla commessa di un negozio: “Vorrei un Bookeen”…
La catena di grande distribuzione Lidl, in Germania ha fatto una bella pensata. Lanciare una linea di piatti pronti (pasta, spuntini, involtini…) chiamandoli con un nome italianeggiante: linea culinaria, ovvero… Culinea. Peccato che l’acronimo diventi ridicolo in italiano. Magari potrebbe andar bene a chi vuol tenere in forma il deretano.
Quando dovevano scegliere il nome per la loro produzione vinicola, una coppia di texani, Emily e Mark Ellenberger, hanno voluto ricordare la loro piccola barca a vela, che si chiamava Kagan. Non immaginavano che un vino con quel nome sarebbe stato tutt’altro che raffinato. E per vini che costano dai 35 agli 80 dollari a bottiglia non è proprio un abbinamento ideale…
Arriva dalla Turchia una linea di pasta dal nome tutt’altro che invitante: Melda. Li produce una società alimentare di Istanbul, la GTT Foods, che li confeziona anche sotto altri brand (Golda, Afra, Al Fakher, Dona Mia, Bello Grano e Perfetto): nella remota ipotesi che riuscisse a esportarla anche in Italia, il marchio Melda sarebbe decisamente sconsigliabile. Soprattutto per i gestori di un ristorante cinese: “Vuole pasta? Qui abbiamo spaghetti Melda!”.
Affidereste la costruzione di un palazzo o di un ponte a una società chiamata Kagata corporation? E’ proprio questo il nome imbarazzante di una blasonata società di ingegneria civile giapponese, con più di un secolo di storia. Il nome svetta, in caratteri occidentali, sul tetto del loro quartier generale a Niigata. Molto fotografato dai turisti italiani e spagnoli.
Il marchio imbarazzante indica – dal poco che si può capire con Google Translate – un servizio di guide per turisti. E probabilmente è nato come calco di Lady Gaga. Ma le assonanze intestinali non c’entrano: questo sito, infatti, nasce in omaggio a una città giapponese costiera, che si chiama per l’appunto Kaga. Raccoglie qualche decina di guide turistiche – tutte donne – per tour guidati nella città.
E’ un cibo per gatti venduto in Svizzera. La marca ha escogitato un gioco di parole basato sull’inglese “cat” (gatto); ma la sua pronuncia, però, in italiano evoca ben altro. “Caro, hai comprato la pappa per il micio?”. “Sì, ‘sti Catsy!”.
Tempo fa la catena di supermercati Lidl ha lanciato una linea di pupazzi a ventosa da attaccare al frigorifero: venivano dati in omaggio ogni 15 € di spesa. Sono stati chiamati “Stikeez“, un gioco di parole fra stick (stecco) e kids (bambini). La pronuncia corretta è “stikiz”, ma se letto come è scritto, sembra un’espressione in pugliese: stikeez!
E’ un piccolo dinosauro-robot per bambini, capace di camminare evitando gli ostacoli. I suoi occhi cambiano colore a seconda dell’umore, e quando si muove emette suoni giurassici. Il suo nome significa, in inglese, “Dino che si impenna“; ma in italiano, se pronunciato nella sua interezza, evoca ben altro.
E’ il nome di una marca di carta igienica venduta in Germania. Peccato che il nome, in toscano, evochi l’organo genitale femminile: la topa. A quel punto, tanto valeva usarlo come marchio per assorbenti igienici?
La quinoa è una pianta erbacea che appartiene alla stessa famiglia degli spinaci e della barbabietola. E’ uno dei cibi sani che vanno per la maggiore. Certo, in Francia non sanno che “quinotto”, vezzeggiativo di quinoa, in italiano ha lo stesso suono di “chinotto“, termine gergale per designare il rapporto orale.
Come si possono chiamare quelle persone che suonano alla tua porta di casa proprio mentre stai dormendo o cenando? In italiano, “cagacazzi”. Forse è per questo che un produttore cinese di campanelli wireless ha deciso di chiamarli “Cacazi“?
La catena di supermercati Lidl colpisce ancora. Ha lanciato una linea di prodotti per bambini, chiamandola – chissà perché – Lupilu. Sembra una trovata di Antonio Albanese: “Cchiù pilu pi’ tutti!”. Nei dialetti meridionali, “pilu” indica il sesso femminile.
Voleva essere un vincolo, cioè un legame forte. Ma questo chip elettronico, Vinculum, prodotto nel Regno Unito, in italiano assume un significato di tutt’altro genere. Diventa, insomma, un componente minaccioso: un hardware molto… hard.
Quale potrebbe essere il peggior nome per un alimento? “Merda” sarebbe senz’altro in vetta alla classifica. Eppure. In Polonia c’è una ditta avicola che si chiama proprio così: Merda. Sarebbe una pessima idea se decidessero di esportare i loro polli in Italia, Francia o Spagna… Il motivo del nome? L’azienda, come spiega il sito ufficiale, è stata fondata nel 1990 da Florian Merda.
… E in altre lingue
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Ringrazio quanti hanno arricchito questa lunga lista con le loro segnalazioni: Licia Corbolante (Pom’pin, Inkulator, Fessenger, Chiapple); WordLo (Quinotto); Eugenio Tafazzi, Carlo T. (Belin e Belino), Suomitaly (Popo), Lorenzo Tomasin (Kha Gai, Azzo), Rosa Cangiano (Bookeen), WordLo (collon), Olivier (Culinea), Nevio Gentile (Melda), Cinzia (Follador), Paolo Attivissimo e i suoi followers su Twitter, JHack.
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ma in tedesco kanake significa immigrato clandestino (in senso spregiativo)
Veramente in tedesco significa (spregiativamente sì) immigrato extraeuropeo. Senza distinzione tra clandestino e regolare.
Grazie delle segnalazioni! Corretto l’articolo 🙂
puffs significa bordello, casa d’appuntamenti
In realtà bordello è “puff”, non “puffs”… ma la vicinanza rimane…
C’era anche la fiat RUSTICA che in inglese si legge come “rusty car” (macchina arrugginita), bisognerebbe fare qualche ricerca per capire come era andata a finire la commercializzazione nei paesi anglofoni.
MR2 in francese suona più come “emmerdeur” cioè “rompicoglioni”, “rompipalle”.
In Croazia c’è uno strudel chiamato “Figa”….![]()
Divertente, ma non lo metto in elenco: infatti non è il nome di un prodotto ma un nome comune (significa fico…). Grazie comunque della segnalazione!
Ciao, ti segnalo il nome dell’ebook reader Bookeen, la cui pronuncia ricorda quella di un termine osceno presente nel dizionario napoletano https://it.glosbe.com/nap/it/bucchin
Rosa
Fantastico!!! Aggiorno l’elenco!
È vero che Lumia in spagnolo significa prostituta (http://dle.rae.es/?id=NhbNLCL) ma credo sia una parola caduta in disuso, quando uscì il telefono vivevo in Spagna e chiesi conferma ad amici e conoscenti e nessuno conosceva la parola in questione, immagino che sia per quello che Microsoft lasciò comunque il nome.
In effetti il Dizionario della Real Academia spagnola (che lei cita nel link) precisa che si tratta di una parola “poco usata”.
Non sappiamo, però, se Microsoft (e Nokia, prima di lei) fossero davvero consapevoli del significato poco edificante di quella parola in spagmolo!
Bellissimo articolo, grazie! Ho riso di gusto. Io conoscevo solo un esempio di questo tipo, citato in molti libri di marketing: l’americana Ford Nova, che in Messico non si vendette perché suonava come “no va”, cioè “non va / non funziona”. Dopo quel fiasco, pare che la Ford abbia prestato maggiore attenzione alle traduzioni. Ma giustamente questo esempio non trova posto in questo articolo, perché non si tratta di parolacce. I tuoi esempi sono molto più divertenti.
“Collon” in catalano si scrive proprio tale e quale, ovviamente anche il significato è quello… Si usa anche come interiezione piuttosto comune (al plurale, “collons”), un po’ come il nostro “cazzo”
Ne aggiungo un’altra: una marca di prosecco del trevigiano, “Follador”, cognome relativamente comune, un giorno ha deciso di esportare nei paesi di lingua spagnola, dove “follador” significa letteralmente “scopaiolo”: Successo assicurato 🙂
Credo che la traduzione più corretta sia “scopatore” ma resta comunque una storia divertente! Grazie della segnalazione
Se non ricordo male la Mitsubishi Pajero cambiò nome in Spagna e America Latina perchè Pajero è colui che si dedica alla masturbazione
Ricorda benissimo! Come può verificare sul dizionario della Real Academia spagnola, “pajero” significa “masturbatore”, e anche “bugiardo” e “cazzaro”. Forse le è sfuggito, ma il caso l’avevo comunque già citato nell’articolo.
Avete dimenticato il più diffuso al mondo… lo statunitense “Piccoloesoffice”. La maggior parte di voi lo tiene sulla scrivania… Microsoft.
Canbiate colori alle pagine, si leggono a stento.
Non ho dimenticato Microsfot perché “piccolo soffice” non è una parolaccia. Quanto alla leggibilità delle pagine, lei è il primo ee l’unico che si lamenta. Le pagine sono bianche, le scritte nere: non capisco perché non sarebbero leggibili
Wow! Come progettista ho usato il chip VINCULUM per anni e ad ogni problema di funzionamento la battuta era scontata…