Per un linguista, studiare le parolacce di Elio e le storie tese è come per un bambino entrare in un negozio di giocattoli: non uscirebbe mai. Mi sono sentito così nelle scorse settimane: le ho passate a studiare tutte le canzoni (164) che gli Elii hanno scritto in 37 anni di carriera, facendo il primo censimento ragionato delle loro volgarità. Passare in rassegna il loro turpiloquio mi ha fatto entrare nei gangli del loro mondo artistico, popolato di personaggi fantastici (l’orsetto ricchione, Supergiovane, Shpalman), piccoli trattati sociologici (“Fossi figo”, “La follia della donna”, “Licantropo vegano”) e psicologici (“Cara ti amo” e “Servi della gleba”), parodie (“Burattino senza fichi”, “Pensiero stupesce”, “La bella canzone di una volta”)…
Un mondo raccontato con un caleidoscopio di invenzioni linguistiche: neologismi (craccracriccrecr, namalagamba, olfare, fenderi), arcaismi (ignudi, energumeni, capinere), termini scientifici (anellide, meato, benzodiazepine), forestierismi (inglese, ma anche bulgaro, turco e singalese), espressioni gergali (paciugo, uollano)…
E parolacce, tante parolacce. Ne ho contate 55 diverse, che ricorrono 224 volte (nel calcolo ho inserito anche quella contenuta nell’ultimo album “Arrivedorci“). Credo che nessun artista abbia saccheggiato il dizionario scurrile con tanta padronanza e fantasia, attingendo da espressioni colloquiali, gergo giovanile, dialetti (dal milanese al siciliano). E reinventandoli con nuove storpiature. Eppure, nessuna di queste parolacce è buttata lì solo per fare scandalo: anzi, ha un ruolo preciso nella narrazione delle loro storie.
Ripercorrere le loro volgarità è il modo migliore per celebrare (ahinoi) il loro scioglimento: piegandosi dal ridere. Tanto più che ho avuto il privilegio di approfondirle direttamente con uno degli autori: Rocco Tanica. Abbiamo passato un pomeriggio a parlare del lato scurrile degli Elii: condivido una parte di questo frizzante incontro nella videointervista che trovate qui sotto. Una delle più divertenti che mi sia capitato di fare. Grazie Rocco!!
Le scurrilità degli Elii: come e perché le hanno usate
Come ha confermato anche Rocco (tastierista della band e coautore di molti celebri brani), nessuna di queste volgarità è usata in modo sciatto, messa lì solo per fare audience. «La parolaccia fine a se stessa non fa ridere» conferma Rocco. «Se l’intenzione è sviluppare una canzone che possa durare nel tempo, deve parlare di qualcosa: se hai una storia da raccontare, allora la parolaccia ha un senso perché può essere usata come un fregio, un merletto. In generale, non abbiamo mai scritto canzoni con volgarità gratuite, tranne “La ditta”, un brano in cui la parolaccia è fine a se stessa (una strofa: “Mangio merda di cane, frammista alla merda di alcune puttane”). In genere, comunque, stiamo stati attenti a dosare le scurrilità. Anzi, nei nostri primi dischi ci siamo preoccupati di realizzare versioni “blippate” delle nostre canzoni, ovvero ripulite dalle parolacce. Ma è stata una preoccupazione inutile: la verità è che le radio, tranne rare eccezioni, non hanno mai trasmesso nostre canzoni».
Le parolacce degli Elii sono come i colori per un pittore, o gli stili per un musicista: servono a rendere ricco e variopinto il loro racconto, un crogiolo di citazioni culturali e musicali, figlio della loro insaziabile curiosità. E portano una ventata di spensierata goliardia nei loro racconti. Servono a rendere comici i loro testi, ma anche a esprimere un ventaglio di emozioni (oscenità, rabbia, provocazione…).
E, in più, l’incisività dei suoni di alcune parolacce riesce ad arricchire l’efficacia dei testi. Come il finale di “Parco Sempione”: “Se ne sono battuti il cazzo, ora tirano su un palazzo, han distrutto il bosco di Gioia, questi grandissimi figli di troia”. «Effettivamente queste espressioni suonano robuste, come un buon vino rosso persistente al palato» commenta Rocco. «Questo brano è particolarmente riuscito, anche perché si sposa bene con la musica creata dai miei compagni. Ogni volta che l’ascolto mi emoziona».
Insomma, se volessimo riassumere in una sola immagine la complessa anima degli Elii, basta pensare a un loro celebre personaggio, Supergiovane (che descrivo più sotto): gli Elii sono un gruppo di liceali con la voglia di imparare, di osservare il mondo e divertirsi, prendendosi gioco del “sistema”. Raccontando in musica le loro emozioni, in modo diretto ma al tempo stesso rielaborato con uno sguardo irridente.
Per studiare tutta la loro produzione ci vorrebbero interi studi accademici (e anch’io mi sono dovuto dilungare per raccontarla).
Dunque, parolacce tutt’altro che banali: al servizio di un’arte “alta”, di un intrattenimento intellettuale giocato sulle corde dell’ironia e dell’autoironia: i primi a non prendersi sul serio sono proprio loro. E questo gli dà la libertà di parlare di tutto senza filtri.
Ora lascio spazio alla divertente intervista esclusiva con Rocco Tanica, che racconta molti retroscena del gruppo e delle canzoni. L’analisi linguistica riprende dopo il video…
I dati: 55 volgarità per 224 volte
Partiamo dai dati. Forse vi sorprenderà sapere che non sono loro gli autori della canzone con più parolacce della storia musicale italiana: i lettori di Parolacce già lo sanno, perché in un mio precedente articolo avevo assegnato la palma a Fabri Fibra, sebbene gli Elii siano nella Top Ten, al 5° posto. Ma il loro record è un altro, ed è probabilmente insuperabile: sono gli artisti che hanno usato la più ampia tavolozza di volgarità: ne ho censite 55 diverse, citate in tutto per 224 volte, più 6 eufemismi. In media, 1,3 parolacce a canzone. Mantenere una media del genere in quasi 40 anni non è da tutti. E lo hanno fatto in modo costante, anche se il loro picco è stato negli anni ‘90. Nell’infografica qui sotto (clic per ingrandire, foto Hukapan), trovate un quadro riassuntivo sulle volgarità degli Elii.
Il turpiloquio usato dagli Elii è molto ricco: nel box a scomparsa trovate tutti i dettagli.
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L’esame dei dati nel box qui sopra permette di fare alcune interessanti considerazioni:
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gli Elii hanno una grandissima tavolozza linguistica: nessun artista aveva inserito nei testi delle canzoni così tante diverse parolacce. Modi di dire colloquiali, ma anche dialettali (milanese, ma anche napoletano, bolognese, romanesco, toscano, veneto, siciliano, sardo…), espressioni del gergo giovanile (tema su cui torneremo), ed espressioni inventate o storpiate come “li immortacci” o “pistulino”.
- se si confrontano queste frequenze d’uso con la statistica delle volgarità più pronunciate dagli italiani (di cui avevo parlato in questo articolo), emerge subito un dato: gli Elii sono nella media italiana per quanto riguarda l’uso di cazzo, stronzo, culo, balle, coglioni; fanno un uso più alto della media delle parole merda, culo, cagare, figa, sborra, inculare e degli insulti omofobi (ricchione, busone, finocchio); fanno un uso più basso della media di scopare e chiavare; non usano insulti etnici (terrone è assente, negro appare una sola volta) e imprecazioni religiose (Cristo appare una sola volta).
- gli Elii non hanno paura di usare espressioni forti (figa, bocchino, sburra), ma – come vedremo – lo fanno con giocosità, ironia e leggerezza. Le loro provocazioni non sono becere e fini a se stesse, ma al servizio dei contenuti che vogliono esprimere.
I contenuti delle canzoni
Già, ma quali sono questi contenuti? Nella loro lunga carriera hanno affrontato tanti temi, che possono essere riassunti in questi 4 filoni principali:
1) IL MONDO GIOVANILE: gli Elii sono particolarmente legati al mondo della loro infanzia, e ancor più dell’adolescenza. D’altronde, non a caso sono dei gran giocherelloni, oltre che giocolieri: così hanno dipinto in modo tragicomico le feste dei teen-ager (“Tapparella”), i loro discorsi (“Adolescenti a colloquio”), l’oratorio (“Oratorium”). E soprattutto ne hanno riprodotto il gergo, sia in modo fedele che storpiandolo per renderlo ancora più comico: come avviene in “T.V.U.M.D.B.”
La personificazione di questa passione è un eroe inventato di sana pianta: Supergiovane, emblema dell’allegria e della spensierata gioia di vivere adolescente. E’ un ribelle, detesta il governo, i matusa e i secchioni, e li combatte a suon di miccette, raudi, bombette puzzolenti, gavettoni. E soprattutto a suon di parolacce: figu, puttano, paciugo, figa, figa pelosa, figlio di puttana, porco dighel…”. Il testo di questa canzone è di una comicità irresistibile. E, non a caso, è il più ricco di parolacce di tutta la carriera artistica degli Elii.
2) HUMOR ESCREMENTIZIO: come già detto sopra, l’humor escrementizio è uno degli assi portanti della poetica degli Elii. La merda, e i concetti correlati (cacca, cagare, cesso, etc) ricorrono spesso: c’è un intero brano, “Cani e padroni di cani” dedicato a una spiacevole situazione: “ho appena pestato una merda di cane, che ora è un tutt’uno con le righine delle suole delle mie scarpe sportive nuove” (che poi vengono ripulite col bastoncino di un ghiacciolo). Anzi, la cacca ha ispirato un altro supereroe creato dagli Elii: Shpalman, il supereroe che “shpalma la merda in faccia” ai cattivi. “Ad ogni farabutto tinge il viso color maròn, poi lo asciuga col phon”. Come spiegano gli Elii, “In una società di vincenti in cui la faccia di merda è necessaria per emergere, un eroe che spalma la merda in faccia sembrerebbe inutile. Invece Shpalman piace per quei suoi modi un po’ spicci”.
3) INDIGNAZIONE POLITICA, senso civico tradito: quando l’indignazione raggiunge il livello di guardia, gli insulti sono inevitabili e se sono espressi in forma articolata danno vita alle invettive. Anche gli Elii ne hanno fatte, ma il loro impegno sociale non è fra gli aspetti dominanti della loro arte. Il caso più clamoroso è “Sabbiature” in cui denunciano vari scandali italiani facendo nomi e cognomi (furono interrotti in diretta tv al concerto del 1° maggio 1991): “E gli unici sfigati che non sono stati archiviati sono stati Gui e Tanassi per il caso della Lockheed”. Ma l’invettiva più efficace è nel finale di “Parco Sempione”, dove si racconta la vicenda del Bosco di Gioia, un’area verde di Milano cancellata per far posto al nuovo grattacielo della Regione nonostante la massiccia protesta degli abitanti del quartiere. Alla protesta aderì anche Rocco Tanica che fece un digiuno, ma le ruspe cancellarono il bosco durante il ponte di Capodanno 2005. Ecco come i fatti vengono raccontati nella canzone: “Sedicimila firme, niente cibo per Rocco Tanica ma quel bosco l’hanno rasato mentre la gente era via per il ponte. Se ne sono battuti il cazzo, ora tirano su un palazzo… han distrutto il bosco di Gioia questi grandissimi figli di troia!”.
4) SATIRA SOCIALE: molti brani prendono posizione su temi attuali, dall’alcolismo come forma di autodistruzione (“Alcol snaturato”: “Bevi, bevi, bevi E ti credi un grande figo … Voglio andare a danneggiarmi Tutti gli organi del corpo Tracannando come un porco Non ci vuole molto a deturpare questo giovane organismo Basta bere Ho deciso, mi alcolizzo! È una figata!”) alle leggende metropolitane (“Mio cuggino”), al bullismo (“Il mistero dei bulli”: “il bullo è il figlio del tamarro che picchiava pure me”). Senza contare tutti i testi dedicati ai rapporti di coppia, visti con occhio satirico e impietoso. Gli Elii, insomma, guardano il mondo con occhio critico e curioso. Con una particolare attenzione verso i microcosmo di Milano, la loro città, popolata da modaioli inconsistenti, gente che si dà un tono con l’inglese, i rapporti sociali improntati alla convenienza, etc etc.
Le parolacce nell’approccio artistico
Per capire l’arte degli Elii, non basta identificare i loro contenuti. Questi temi, infatti, sono stati sviluppati con un approccio artistico particolare, che si può riassumere in questi 5 punti:
1) COMICITA’: Elio e le storie tese nascono come gruppo goliardico, parodistico, cabarettistico. Tanto che fra i loro riferimenti ci sono gruppi comici come gli Squallor e gli Skiantos. Gli Elii suonano per divertirsi e per divertire, e l’uso delle parolacce (come raccontavo qui) è un modo efficace di far ridere perché sono trasgressive, portano una ventata di libertà giocosa. Basti ricordare “Risate a denti stretti”, una sequenza di barzellette e di battute in musica, o “Burattino senza fichi”, un Pinocchio che vorrebbe un organo sessuale, e Geppetto glielo costruisce facendolo diventare “un ceppo con la ceppa”.
2) SINCERITA’: da tutte le loro canzoni traspare l’insofferenza verso i mistificatori, verso chi usa un linguaggio oscuro, affettato, modaiolo (come quelli che chiamano gli occhiali “eye wear” e le riunioni “briefing”). Insomma gli Elii odiano gli “stronzi che si inculano tutti con parole incomprensibili” come cantano in “Parla come mangi”. Come raccontavo qui, le parolacce infatti sono il linguaggio della sincerità. E’ proprio grazie a questa sincerità che il loro uso di parolacce, gergo e modi di dire ha una naturalezza rara e irresistibile. E instaura subito un’atmosfera di intimità e di complicità con gli ascoltatori. Come questa strofa di “Baffo Natale“, che ironizza sulla frenesia degli acquisti di Natale: “Ventiquattro sera diciannove e ventinove negoziante, stai chiudendo. Mi accontento di qualunque puttanata una maniglia colorata, un portaspilli, un portafogli, un portafogli, una cagata, qualcosa”.
3) DISSACRAZIONE E ABBASSAMENTO: come molti comici, da Rabelais a Benigni, gli Elii usano le parolacce per far scendere dal piedistallo le persone tronfie, e per riportare le discussioni su temi anche impegnati (la vita, la morte, l’amore) a un livello terra-terra. E così l’amore diventa uno scontro di istinti e opposte visioni (“Mettiamola sull’affetto… chiaviamo”, cantano in “Cara ti amo”), il misticismo è la visione ravvicinata della vulva (“La visione”), l’essere alla moda è solo il tentativo di “essere fighi e avere tante fighe” (“Fossi figo”).
E cosa c’è di più dissacrante che ricondurre tutta la nostra vita mentale e sociale alle funzioni fisiologiche? Ecco perché, com’è tradizione nella letteratura grottesca, gli Elii fanno tanti riferimenti al corpo: hanno dedicato canzoni alle mestruazioni (“Essere donna oggi”, in cui gli assorbenti sono “tappi per la figa pelosa”), alle sostanze secrete dal nostro corpo (“Silos”), agli organi del corpo (“Il congresso delle parti molli”), capitanati dal “buco del membro”.
L’operazione di abbassamento viene giocata dagli Elii anche in senso contrario: innalzando (cioè dando dignità artistica a) gli aspetti più piccoli e apparentemente insignificanti della vita, come “Gli uomini col borsello” o la gola, coi suoi piaceri e i suoi dolori (“Gargaroz”).
4) SENSO DI SFIDA, GUSTO DELLA PROVOCAZIONE E SPERIMENTAZIONE: molte canzoni affrontano temi spinosi, e nascono per il gusto di tentare l’impossibile. Innanzitutto con se stessi. Per esprimere il loro virtuosismo, per tentare strade nuove, per vedere l’effetto che fa. Hanno dedicato canzoni all’aborto (“Gomito a gomito con l’aborto”), all’abbandono di neonati nei cassonetti (“Cassonetto differenziato per il frutto del peccato”). All’omosessualità, descritta nel pezzo omonimo con queste strofe: “Vivo come voi, soffro come voi, rido come voi, lo prendo in culo come voi. Ma amo più di voi”. E in “La follia della donna”, si parla di “un cartello di ricchioni che ha deciso che l’anno scorso andava il rosso E quest’anno il blé”. Eppure, nonostante l’apparente omofobia e misoginia dei loro testi non hanno sollevato ondate di protesta: sono fra i pochi (con Checco Zalone) che possono permettersi di essere politicamente scorretti senza fare più di tanto scandalo.
Del resto, tutta la loro carriera è costellata di sfide: giusto per fare un esempio, hanno suonato per 12 ore la canzone “Ti amo” con infinite variazioni, finendo nel Guinness dei primati.
5) CREATIVITA’: il vero tabù degli Elii è essere banali, perché sono dotati di uno spiccato senso critico. E quindi non solo rimescolano le carte per sperimentare frontiere inesplorate, ma creano dal nulla. Anche dal punto di vista linguistico: il finale di “Supergiovane” è un capolavoro di creatività linguistica: “Siamo forse secchioni? No. Siamo forse matusa? No. Siamo forse governi? No. Siamo forse checchineris [storpiatura di caghineris, frocio in sardo]? No. Siamo forse bulicci [froci in genovese]? Iarrusi [froci in siciliano]? Buhi [froci in toscano]? Puppi [froci in siciliano]? Posapiano? Orecchioni [storpiatura di ricchioni]?… e così via.
Come ha raccontato Rocco nell’intervista, in diversi brani gli Elii si sono impegnati a dribblare le parolacce. «Ci diverte l’uso copioso della parolaccia, ma anche lo slalom per rimanerne distanti, in modo che, in certe canzoni, passasse il messaggio, ovvero il contenuto principale della canzone». Un principio che si è rivelato efficace proprio nell’affrontare gli argomenti più delicati. Infatti, alcuni temi che in teoria si prestavano a un alto uso di scurrilità sono stati giocati (per sorprendere, e per non scadere nella trivialità becera) con un linguaggio pulito: basti pensare alla canzone dedicata al porno attore superdotato John Holmes, che ha strofe come “soffrivo le pene per colpa del pene” o “il pene mi dà il pane”.
Il testo con più slalom linguistici è “Piattaforma”, dedicato a un tema spinoso e tabù: l’incesto. La canzone è densa di allusioni e la più indiretta è: “Fremo a immaginarti fra i cateti” (ovvero con un angolo di 90°). L’uso di perifrasi, tra l’altro, rende più efficaci alcune battute, che diventano una sorta di enigma che l’ascoltatore deve risolvere: come gli escrementi, definiti “un dirigibile marrone senza elica e timone dentro me” o i peti, descritti così: “Seduto nella vasca, emetto certe bolle che, salendo a galla, corron sulla schiena fandomi felice; giunte in superficie non mi piaccion più…” (ambo i versi sono tratti da “Nubi di ieri sul nostro domani odierno”).
Fra gli eufemismi, invece, nelle canzoni spiccano i sostituti delle bestemmie (Porco dito/porco dighel/zio cantante) che hanno un notevole effetto comico in “Supergiovane“.
E poi, sempre in questa linea, spiccano i numerosi sostituti per i termini sessuali che appaiono in diverse canzoni, con notevole inventiva linguistica: l’organo maschile è chiamato pennarone, maccherone, pippero, peperone, poparuolo, tubatura; lo sperma è chiamato paraflu, pasta del capitano, e così via. «I termini più originali arrivano soprattutto da Faso» svela Rocco «sono il gergo che usava al liceo milanese che frequentava da ragazzo (il liceo scientifico Cremona, ndr)». Un gergo con un uso circoscritto, che grazie alle canzoni è diventato patrimonio nazionale.
Per concludere, ripropongo un vecchio brano degli Elii che è la sigla ideale: “Unanimi“. La canzone dice: “Siamo Elio e le Storie Tese, pronunciamo tante parolacce…Siamo al centro delle vostre attese, Siam gli alfieri dell’impero Sbor… Siam d’accordo pressoché su tutto ma talvolta divergiamo, per esempio sulle parolacce ognun dice quella che gli va“. Ecco la canzone:
Infine, per i maniaci che vogliano rileggere le oltre 200 strofe degli Elii con le volgarità: basta cliccare sul box qui sotto e le trovate tutte. Ma proprio tutte.
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Questo post è stato ripreso da AdnKronos, Tiscali News, Padova News.
E dal sito ufficiale di ElioELeStorieTese.
Ottimo articolo. Segnalo un’omissione nella sezione “tutte le parolacce strofa per strofa”, ovvero “buliccio” pronunciata ne “lo stato a, lo stato b” (lo stato b si ha quando quel ragazzo è molto ciccio ma spiccio, possibile buliccio). Qui il link al testo: http://elioelestorietese.it/canzoni/lo-stato-a-lo-stato-b/
Grazie Ruggero! Aggiorno l’articolo: “buliccio” era stato un inserimento dell’ultimo momento, mi ero dimenticato di controllare se fosse anche in altre canzoni oltre a Supergiovane. Tra l’altro, in quella stessa canzone mi sono accorto che c’era un’imprecazione (porca l’oca) che mi era sfuggita. Ho inserito anche quella, porca l’oca!
Due piccole considerazioni.
– Chissà se è consapevole o no il fatto di non aver mai inserito una parolaccia nel titolo di una loro canzone (inizialmente “Pagano” aveva come titolo “Un dito nel culto” e “Il congresso delle parti molli” doveva essere “Buco del membro”)
– Una piccola perla purtroppo scartata è situtata nel finale della prima versione de “La visione”. Dopo aver giocato per tutto il testo con l’inizio di alcune parolacce che poi significavano altro il tutto “svaniva” con lo splendido “Ti sborro nel cu – Tu sborro nel cu- Ti sborro nel cucchiaio” ove la parolaccia veniva volutamente ripetuta e accostata all’innocuo “cucchiaio”.
Infine come non dimenticare la versione originale di Plafone ? 😉
https://www.youtube.com/watch?v=OHx-nynSK68
Avendo conosciuto di persona Rocco Tanica (ed Elio al telefono) posso assicurare che nulla negli Elii è causale. In ogni caso, però, i titoli che lei segnala, per quanto non siano stati usati, erano comunque privi di parolacce: “culto”, “buco” e “membro” non sono parolacce…
ottimo articolo. Bellissima intervista grazie.
Una cosa, penso ci siano davvero troppi grassetti che trovo tutti superflui, l’articolo è già scritto sufficientemente bene, e ho dovuto leggere in modalità “lettura” di safari perché le colonne a fianco di immagini con solo 3 parole si offuscano ai miei occhi problematici. Perché non mettere le immagini belle in mezzo, non dobbiamo mica fare economia di carta?
Scusa il commento da rompicoglioni e congratulazioni per il sito e il lavoro
Complimenti davvero per l’articolo e l’intervista, mi ha emozionata. Ho avuto il piacere di conoscerli tutti 20 anni fa, persone fantastiche, in particolar modo Sergio…mi piacerebbe tanto rivederlo
anni e anni di ascolti, di ricerca della citazione, della filosofia nascosta sotto lo sterco. e tu li hai riassunti. Che dire? bravo