Stanchi della marea di bufale di cui siamo bombardati? Per fermarle c’è un solo modo: capire cosa spinge a diffonderle. John Petrocelli, uno psicologo della Wake Forest University (Usa), ha indagato questi meccanismi con uno studio scientifico. Scoprendo una verità scomoda: l’abbondanza di stronzate – le frasi dette a casaccio, senza curarsi della loro verità – non dipende solo dai moderni mezzi di comunicazione (tv, social network, Web), che consentono a qualunque idiota di arrivare a un vasto pubblico.
I veri responsabili di tutta questa fuffa, dice Petrocelli, sotto sotto, siamo noi. Noi che andiamo a chiedere opinioni alle persone sbagliate (impreparate), solleticando il loro narcisismo. Noi che le subiamo passivamente e pigramente, senza verificarle, dando agli spara bufale la sensazione di poter farla franca. E noi che possiamo facilmente trasformarci in spara-stronzate se non siamo abbastanza umili da tacere quando ci viene richiesto un parere su un tema di cui sappiamo poco e per sentito dire.
Insomma, se ci sono tante stronzate è perché c’è un terreno fertile, fuori e dentro di noi.
La ricerca di Petrocelli è interessante, ed è stata anche verificata con due esperimenti. Si intitola “Antecedents of bullshitting” ovvero “le precondizioni del dire stronzate”, ed è stata pubblicata sul “Journal of experimental social psychology”.
Prima di raccontarla, però, val la pena ricordare che cos’è la stronzata (che in italiano chiamiamo anche cazzata, minchiata, cagata): è un tipo particolare di menzogna, quella detta non per ingannare qualcuno, quanto per impressionarlo o semplicemente per non fare scena muta. “Chi dice una stronzata è del tutto indifferente alla verità o alla falsità di quanto afferma” precisa Frankfurt. “Parla a vanvera, solo per dire qualcosa, senza sapere di cosa stia parlando, e senza preoccuparsi delle conseguenze. I suoi discorsi sono aria fritta, parole vuote senza contenuto”.
Dunque, a chi spara stronzate (ai cazzari) non importa un fico secco della verità. Eppure, nei confronti di chi dice stronzate, però, c’è molta più tolleranza rispetto a chi mente. Forse perché a volte chi dice stronzate lo fa per confermare il legame, l’identità di un gruppo intorno a un’idea. E poco importa se quest’idea è un pregiudizio, basato su fatti non veri (tipo: “tutti i migranti sono criminali”).
Dunque, quali sono i fattori che inducono le persone a sparare cazzate? Secondo Petrocelli sono 4:
1) quando siamo (o ci sentiamo) obbligati a esprimere un parere su un argomento di cui non sappiamo nulla
2) quando chi ci ascolta sa poco o nulla di quell’argomento
3) quando chi ci ascolta è un nostro amico o comunque la pensa come noi
4) quando non siamo tenuti a dare le prove di quanto affermiamo
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Quali conclusioni trarre da questa ricerca?
La prima, e molto importante, è questa: se una persona si sente pressata a dover esprimere un’opinione, anche se non è informato su un determinato argomento, pur di non deludere i suoi interlocutori dirà qualcosa, e quel “qualcosa” saranno stronzate. Soprattutto (visto che l’occasione fa l’uomo ladro) quando pensa di farla franca, perché sa che gli altri sono ignoranti quanto lui e non andranno a verificare perché lo stimano e si fidano.
Dunque, sta a noi discernere se qualcuno sia davvero informato su una questione, prima di chiedergli che cosa ne pensa. E questo vale, spiace dirlo, soprattutto per i politici attuali, sempre meno preparati a muoversi in una realtà, dominata dalla finanza e dalla globalizzazione. Colpa loro, se sparano stronzate, ma colpa anche di quanti (giornalisti, presentatori, elettori) che chiedono loro un parere su argomenti di cui sono palesemente all’oscuro.
In ogni caso, sta a noi, il pubblico, tener desto il senso critico: se qualcuno fa un’affermazione, chiedergli le prove. O cercarle noi stessi. Faticoso, ma non c’è altra via.
Ma attenzione: dobbiamo guardarci non solo dagli spara bufale che ci circondano, ma anche dal cazzaro che c’è in ognuno di noi: se qualcuno ci chiede un parere su un argomento che conosciamo a malapena, per sentito dire, quanti di noi si trattengono dal dare un’opinione non documentata, pur di non apparire incolti o impreparati? Non è facile ammetterlo, ma le cose che sappiamo davvero sono poche. Dovremmo, insomma, ricordarci l’antica massima del filosofo greco Socrate: “so di non sapere“.
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Lo diceva anche Cattivik tanto tempo fa: meglio star zitti e far la figura del fess che parlare e dire cose da fess.