“Ti deve venire il coronavirus!”: il primo a ricevere la nuova offesa è stato, a marzo, Juan Jesus, calciatore brasiliano della Roma. Segno dei tempi: la frase gli è arrivata su Instagram da un ragazzino di 15 anni. E mostra che la pandemia è entrata non solo nelle nostre vite quotidiane, ma anche nei modi di dire, dando origine a una nuova espressione offensiva.
Entrerà nei vocabolari? Presto per dirlo, come spiegherò più sotto. In ogni caso, non sarebbe l’unica offesa a sfondo patologico. Le offese, infatti, si possono esprimere non solo usando termini legati ai tabù del sesso, degli escrementi o della religione, ma anche evocando le malattie. Perché hanno una grande forza immaginifica: ci fanno immedesimare in una situazione dolorosa.
Quali sono le espressioni che fanno leva sulla paura delle malattie? Sono molte e hanno una lunga storia: risalgono a un’epoca molto antica, quando si credeva nell’efficacia della magia e dei malefici. Queste offese, infatti, si chiamano “maledizioni” e sono molto usate nei nostri dialetti e in alcune lingue straniere come il polacco, lo yiddish (giudeo-tedesco) e soprattutto l’olandese, parlato nei Paesi Bassi e in Belgio. Qui l’espressione “corona” (usato come esclamazione o malaugurio) è già abbastanza popolare.
In olandese c’è un ricco catalogo di espressioni volgari, che sembrano uscite da un trattato di medicina. E l’intensità, l’offensività degli insulti è proporzionale alla gravità della patologia evocata. Ecco l’elenco dei principali modi di dire: ♦ CANCRO (KANKER): è usato come esclamazione di rabbia o sorpresa, (tipo “cazzo!”), ma è usato anche come cattivo augurio (“Krjg de kanker”, prendi il cancro). L’espressione “kankeren” significa “lamentarsi troppo”. “Kankerlijer”, malato di cancro, è un insulto pesante, tipo “figlio di puttana”. Negli ultimi tempi, a questo elenco si è aggiunto (era inevitabile) anche il coronavirus (corona), usato nello stesso modo di cancro, colera, tubercolosi e tifo, cioè come insulto, esclamazione o malaugurio. Da dove salta fuori questa ossessione degli olandesi per le malattie? E’ il ricordo di passate epidemie che hanno funestato i fiamminghi? No: è una sensibilità culturale di tipo religioso. Una ricerca di Tom Ruette, lessicologo dell’università di Lovanio (Belgio) ricollega questo uso al calvinismo: secondo questa fede (il ceppo puritano del protestantesimo, diffuso nei Paesi Bassi dal 16° secolo), la malattia è considerata un segno di dannazione divina,una punizione da parte di Dio per una condotta immorale o antireligiosa. Così come la virtù viene ripagata su questa Terra con prosperità e salute. Dunque, una visione profondamente religiosa, che interpreta gli eventi negativi come voluti da Dio per dare un’avvertenza o un castigo a chi si comporta male. Anche gli ebrei dell’Antico Testamento la pensavano così: la malattia era vista come una punizione divina. Una posizione che mette la religione in un vicolo cieco, perché fa apparire Dio come un essere vendicativo e meschino: tant’è vero che per giustificare l’esistenza delle malattie si è dovuto o incolpare il diavolo o descriverle come occasione per redimere la propria anima attraverso la sofferenza del corpo.
A volte è usato come rafforzativo in senso positivo (“kankerlekker” equivale a “cazzutamente delizioso”)♦ COLERA (KLERE/KOLERE): ha un uso simile a kanker. Anche in questo caso, klerelijer (malato di colera) è un’offesa pesante.♦ ICTUS (TAKKE): usato come aggettivo squalificante. “Krijg de takke” (beccati un ictus) è un’offesa♦ LEBBRA (LAZZARO): è usato come termine gergale per “ubriacarsi di brutto”.♦ PESTE (PESTE): usato come rafforzativo. “Pesten”o “pestkop” (testa di peste) significa “bullo, prepotente”; “de pest in hebben” (avere la peste in) significa essere incazzati.♦ PLEURITE (PLEURIS): è un equivalente di tubercolosi. Si usa nell’espressione “krjg de pleuris” (beccati la tubercolosi) e “alles ging naar de pleuris” (è andato tutto a puttane). “Pleurislijer” (malato di tubercolosi) è un insulto equivalente a stronzo.♦ POLIOMIELITE (POLIO): è usato nell’espressione “heb je soms polio?” (hai la polio?) per insultare una persone eccessivamente pigra.♦ TIFO (TYFUS): usato come esclamazione o come offesa (“tyfuslijer”, malato di tifo). Ma anche come malaugurio: krijg de tyfus (beccati il tifo) e persino “optiefen” (vai via col tifo, ovvero vaffanculo).♦ TUBERCOLOSI (TERING): è usato come imprecazione o come aggettivo insultante ( “teringlijer”, malato di tubercolosi). “Krijg de tering” (beccati la tubercolosi) è un’offesa comune.♦ VAIOLO (POKKEN): usato come rafforzativo. “Pokkenlijer” (malato di vaiolo) è un insulto tipo “figlio di puttana”.
Gli insulti patologici in italiano
Nella nostra lingua, a differenza dell’olandese, restano poche tracce di insulti a sfondo sanitario. Ne ho trovati solo 5, a cui ne ho aggiunto uno in siciliano:
♦ TIFOSO: questo aggettivo designa gli appassionati di uno sport o di una squadra. Ma in origine si riferiva ai malati di tifo, che hanno la coscienza offuscata a causa della febbre alta
♦ ROGNOSO: l’aggettivo indica una persona ingrata, difficile, fastidiosa, pedante. Ma deriva da “rogna”, termine popolare per la scabbia, una malattia della pelle che causa prurito e infiammazione
♦ MICROBO: il termine indica una persona meschina, abietta o insignificante (anche se non tutti i microbi sono patogeni). Peraltro, la pandemia ci ha dimostrato l’opposto: un microbo può mettere in ginocchio intere nazioni.
♦ COLEROSO: di per sè indica un malato di colera. Ma si è trasformato in un insulto (soprattutto negli stadi) da quando un focolaio di questa malattia si è presentato in Campania, Puglia e Sardegna nel 1973. I tifosi delle squadre settentrionali usano questo appellativo per denigrare i tifosi del sud, imputando loro (a torto) scarsa igiene e civiltà.
♦ PESTE/PESTIFERO: il termine è usato (per lo più in modo scherzoso, come iperbole) per indicare un bambino capriccioso, con un carattere difficile da gestire)
♦ CAMURRIA/CAMURRIUSU: sono termini siciliani, resi celebri dai romanzi di Andrea Camilleri. Camurria deriva da gonorrea, e significa “pesante seccatura, fastidio”; il termine è usato nelle imprecazioni (che camurrìa!). “Camurriusu” è una persona o una situazione seccante e fastidiosa.
Le maledizioni: un incantesimo negativo
Quando la scienza ha fatto crollare la fede nella magia, le maledizioni sono un modo immaginifico di sfogare la propria rabbia verso qualcuno, augurandogli ogni male. E in qualche modo hanno mantenuto il loro potere “magico”: perché riescono a trasmettere l’odio di chi le pronuncia, e a far provare un dispiacere a chi le riceve. Non è gradevole, infatti, immaginare di soffrire: che, da un certo punto di vista, è peggio rispetto a morire, dato che la morte libera dalle sofferenze. Ecco perché le maledizioni stimolano la fantasia nei modi più concreti e crudeli, come vedremo.
Va ricordato, però, che queste espressioni hanno effetto nella misura in cui chi le riceve dà loro peso. Se i placebo sono sostanze inerti che hanno efficacia terapeutica se chi le assume crede nel loro potere, le maledizioni sfruttano l’effetto-nocebo: la credenza che qualcosa (una frase negativa) abbia davvero effetto.
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La nostra lingua non è molto ricca di maledizioni a sfondo sanitario. Ecco quelle che ho rintracciato: ♦ ACCIDENTI: il termine designa un evento fortuito imprevisto. Ma questa espressione è la contrazione di “che ti venga un accidente” ovvero una malattia grave e improvvisa. ♦ MANNAGGIA: mal n’aggia, che tu abbia male. E’ un malaugurio generico, che può riguardare malattie ma anche altri generi di eventi. ♦ CHE TI VENGA UN CANCRO: è una delle espressioni che nel volgarometro, un sondaggio fra i navigatori di questo blog, è risultata fra le più offensive in italiano. Fra le varianti: che ti venga un colpo/un infarto. Su questa espressione si è pronunciata la Cassazione nel 2008, con una sentenza di assoluzione che trovo esemplare per la sua lucidità: «la malattia non è mai una colpa, ma un evento naturale che colpisce tutti e per la quale non c’è motivo di vergogna: l’augurio dell’altrui sofferenza denota miseria umana, ma non riveste rilevanza penale». Questa considerazione, ovviamente, vale per tutte le espressioni che cito in questo articolo. ♦ CHE TI VENGA LO SCOLO: espressione in disuso. Lo scolo è un termine popolare per indicare la gonorrea, una malattia sessuale. ♦ CHE TI VENGA/BECCATI IL CORONAVIRUS: Cosa vuol dire esattamente questa espressione? In questo momento storico, il Covid-19 è ancora un nemico oscuro: non sappiamo bene come si diffonde, quanto tempo resti attivo al di fuori da un organismo, se una volta contagiati e guariti si resti immuni per sempre…. E soprattutto non abbiamo ancora strumenti efficaci per diagnosticarlo in modo rapido ed economico, né un vaccino o farmaci antivirali per curarci. Non sapendo quanti siano davvero i contagiati, non abbiamo certezze neppure sul suo reale tasso di mortalità. E’ comunque ben al di sotto dei valori di altri agenti infettivi tipo Ebola: di fatto, risulta rischioso, soprattutto per gli anziani, per i maschi e per chi è immunodepresso o soffre di altre patologie. E il suo impatto mortale è acuito dal fatto che i servizi di rianimazione sono troppo congestionati per garantire a tutti le cure necessarie.
Il discorso però cambia se la malattia che si desidera è legata a un’azione dell’imputato (“Ti faccio venire un infarto”): in tal caso si è in presenza del reato di minaccia, ha stabilito un’altra sentenza della Cassazione.
Dunque, augurare a qualcuno il coronavirus non equivale direttamente a prospettargli la morte. Ma innesca una situazione ancora peggiore: l’angoscia verso un pericolo indeterminato e sfuggente. Non sapere a quale destino si andrà incontro. Ecco perché Juan Jesus si è offeso per la frase, dicendo che chi l’ha scritta aveva “mezzo cervello”.
I dialetti hanno radici più antiche rispetto all’italiano. E così sono molto più ricchi di fantasiose e crudeli maledizioni. E in questo campo, il primato va al sardo e al napoletano: probabilmente in Sardegna e in Campania è ancora diffusa una mentalità magica e superstiziosa. Bolognese
♦ CAT VEGNA UN CANCHER: che ti venga un cancro. Oltre a essere un malaugurio, questa espressione è usata anche come imprecazione, per sfogo contro una situazione sgradita. Milanese ♦ VA A ONGES: vai a ungerti. Si basa sull’antica credenza che si potesse contrarre la peste a causa di unguenti malefici che i malvagi spargevano sulle porte, sui muri, sulle cose. Sardo In sardo, maledire si dice “frastimare”. E le maledizioni sono davvero abbondanti: Napoletano Come il sardo, è un dialetto ricco di immagini macabre, che si spingono non solo ad augurare malattie gravi e pesanti sofferenze: arrivano anche a proiettarsi fino al post-mortem, in una sorta di vilipendio di cadavere.
♦ IS MANUS CANCARADAS/CANCARAU SIADA: che ti si blocchino le mani (per una paresi).
♦ ANCU TI SI BENGADA SU BREMINI: che ti vengano i vermi.
♦ ANCU TI CALIDI GUTTA: che ti venga la gotta.
♦ TINDI DEPPINT’ARRUI IS’OGUS IN SU COMURU: che ti cadano gli occhi nel cesso. Malattia impossibile, ma la prospettiva fa impressione.
♦ PUOZZ’ CACÀ SANG: che tu possa cagare sangue (per un tumore intestinale o emorroidi)
♦ PUOZZ’ CICÀ: che tu possa perdere la vista
♦ PUOZZ’ STRUPPIÀ: che tu possa diventare storpio
♦ PUOZZ’ NZURDISC: che tu possa diventare sordo
♦ PUOZZ JETTÀ O’ SANG: che tu possa buttare il sangue, ovvero subìre una pesante emorragia
♦ TE POZZA VENÌ ‘NU TOCCO: che ti venga un colpo apoplettico
♦ PUOZZE SCULÀ: che tu possa perdere i fluidi corporei (procedimento usato prima di inumare i cadaveri).
♦ PUOZZE SCHIATTÀ: che tu possa scoppiare, cioè (sempre da cadavere) gonfiarti fino a esplodere
Ringrazio Michelangelo Panico per le segnalazioni delle maledizioni in napoletano
A questo post ha dedicato un servizio l’emittente locale “Il 13” (TriVeneto) nell’edizione serale del Tg del 4 aprile. Potete vederlo cliccando sul player qui sotto: