Che culo, faccia da culo, stare sul culo, farsi un culo… In italiano, i modi di dire ispirati dal deretano sono tanti. Ma quanti sono? E soprattutto: perché il lato B ha dato vita a così tante espressioni? Ora c’è un libro che risponde per la prima volta a queste domande. Si intitola “Questioni di culo” ed è stato pubblicato da Gingko edizioni di Verona. L’autore è un toscano trapiantato negli Usa, Samuel Ghelli, docente di Italian studies allo York College di New York.
Ispirato dal sito parolacce.org, Ghelli si è preso la briga di censire tutti i modi di dire sul fondoschiena, classificandoli per aree tematiche e illustrando i loro diversi significati. E’ il terzo libro ispirato da parolacce.org, dopo quello sugli insulti finiti nelle aule di Tribunale e quello sulle offese rivolte a Benito Mussolini durante il fascismo.
Prima di capire perché il deretano abbia accumulato tanta ricchezza linguistica, è utile passare in rassegna quanto ha scoperto Ghelli. Le espressioni che si riferiscono al posteriore in italiano sono quasi 270: l’autore, tuttavia, preferisce non darne un numero preciso, perché le varianti possibili (comprese quelle dialettali) farebbero lievitare il conteggio di molto. Il culo, insomma, è una parola polisemica, cioè con molti significati. Ecco perché l’espressione è ben presente nella storia della letteratura (da Cicerone a Dante e Camilleri), e anche nella canzone e nel cinema.
I 35 significati del deretano
Infatti i glutei possono assumere, come ha scoperto Ghelli, 35 diversi significati. Li riassumo in questa tabella, suddividendoli a loro volta in due macro categorie: significati positivi e significati negativi.
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Un dato salta subito all’occhio: i significati negativi (23) sono molto più numerosi di quelli positivi (12): i primi sono i due terzi del totale. Perché? Anatomicamente parlando, si potrebbe rispondere che i glutei, e in particolare l’ano, sono una zona anatomica sensibile e come tale vulnerabile. Infatti, spesso la parola “culo” è usata come sineddoche, una figura retorica che indica il tutto al posto di una parte.
E c’è un altro motivo ancora più determinante: le parolacce sono il linguaggio del disfemismo, ovvero esprimono in modo diretto e senza giri di parole i significati più sgradevoli, le emozioni negative (rabbia, paura, disprezzo, dolore). È proprio grazie a questa plasticità espressiva che oggi culo è la 7a parolaccia più pronunciata in italiano, dopo casino e prima di stronzo (vedi la classifica qui) e vaffanculo è al 10° posto. A conferma della sua importanza espressiva, negli ultimi anni ha anche un emoji, cioè un pittogramma che lo rappresenta nelle chat di tutto il mondo: la pesca.
I 4 simboli: posteriore, defecazione, fecondità e sodomia
Ora, dunque, possiamo tornare all’interrogativo di partenza: perché il lato B ha accumulato così tanti significati? Come mai il sedere è diventato un simbolo così multiforme, capace di dire tutto e il contrario di tutto? Perché, per restare in tema, abbiamo più culo che anima?
Come racconto nella prefazione al libro, a dispetto delle loro vituperate apparenze, le chiappe svolgono anatomicamente una funzione importante: i due muscoli del gluteo massimo, infatti, sono i più grandi del corpo umano. E’ grazie a loro che riusciamo a mantenere la posizione eretta, a spingere il corpo quando camminiamo e a sopportare il peso della parte superiore del corpo quando siamo seduti. Da questi aspetti anatomici (i glutei come parte posteriore) derivano i modi di dire “culo di pietra”, “avere le pezze al culo”, “stare in culo al mondo”, “stare col culo per terra” e “avere il culo di velluto”.
Ma il sedere è soprattutto il simbolo di due aspetti importanti della nostra esistenza: la defecazione e la fecondità. Come mostra l’incerta etimologia di questa parola millenaria: culo deriva infatti dal latino culus, che a sua volta potrebbe risalire al greco antico “κόλον (kòlon)” ossia “intestino”, oppure dalla radice indoeuropea “*kusl-” da cui il greco antico “κυσός (kysòs)” ossia “buco”. Significato, questo, che rimanda alla sessualità.
Partiamo dal primo significato: il sedere è collegato alle funzioni escretorie ed è una delle prime zone erogene dell’infanzia, come scoprì Freud. Fra gli 1 e i 3 anni d’età, infatti, i bambini imparano il controllo dello sfintere,provando appagamento nel gestire i propri bisogni corporali: in questo modo sviluppano autonomia e autostima. Se il bambino non riesce a superare la fase anale in modo equilibrato, può sviluppare due diverse personalità: espulsiva, ovvero disordinata, crudele, e distruttiva, con tendenza alla manipolazione. Oppure ritentiva, ovvero tirchia, testarda, ostinata, eccessivamente controllata.
Da quest’area di significato derivano i modi di dire come “avere la strizza al culo”, ma anche gli squalificanti “fare le cose col culo”, “faccia di culo”, “leccaculo”. La funzione escretoria, infatti, rende i glutei una parte degna di disprezzo, sebbene sia una funzione fondamentale. Perciò ha ispirato anche locuzioni in cui la personificazione del sedere assume una valenza positiva, come “mi ride il culo”. Il lato B, in alcune espressioni, diventa simbolo dell’intera persona: “muovi il culo” significa “muoviti”. Il deretano, insomma, è una sineddoche in due sensi: “il tutto al posto della parte” se indica l’ano; “la parte al posto del tutto” se indica la persona.
Ma il sedere è anche oggetto di attrazione erotica: è un richiamo sessuale perché, spiegano gli zoologi, offrono un segnale visivo di giovinezza e fertilità. Segnalano la presenza di estrogeni e di sufficienti depositi di grasso per la gravidanza e l’allattamento. Danno un’indicazione sulla forma e le dimensioni del bacino, che influiscono sulla capacità riproduttiva.
In più il lato B è una zona erogena: mi riferisco al sesso anale, sia etero che omosessuale. Non dobbiamo dimenticare, infatti, che l’Italia è uno dei Paesi dove questo genere di coito è più diffuso (il 56% lo pratica, come ricordo qui). La “sodomia”: un tabù tanto stigmatizzato quanto praticato, come testimoniano numerosi modi di dire che lo equiparano a imbroglio (metterlo nel culo, prendere per il culo) o lo rendono oggetto di disprezzo omofobico (rottinculo). A quest’area si ricollegano anche tutte le espressioni che descrivono il deretano come zona sensibile (avere il pepe al culo), tanto da renderlo oggetto di minaccia (ti rompo il culo, fare il culo), malaugurio (vaffanculo) o intangibile certezza (ci scommetto il culo).
Sono tutti questi aspetti vitali a spiegare la ricchezza semantica del deretano, che, nota Ghelli, “dice tutto e il contrario di tutto”. Ma allora “culo” è una parolaccia? Quando ha il mero significato di “fondoschiena” ha una valenza colloquiale e popolaresca; ma quando la parola si riferisce all’ano, osserva Ghelli, diventa sconveniente, sia che si riferisca alle funzioni escretorie che (soprattutto) a quelle sessuali, che hanno un evidente stampo omofobico: l’omosessualità maschile passiva è stata a lungo considerata un atto di sottomissione umiliante.
Ma tutta questa ricchezza espressiva è si trova solo in italiano? No: molte altre lingue hanno un ampio ventaglio di modi di dire centrati sul fondoschiena. Come viene usato il lato B nelle espressioni colorite in inglese, francese, spagnolo, portoghese? Ve lo racconto nel prossimo articolo. Se conoscete modi di dire sul deretano in altre lingue, segnalateli nei commenti: ho pubblicato una tabella per confrontare le espressioni italiane con quelle in inglese, francese, spagnolo e portoghese. In alcuni casi coincidono, ma in molti altri emergono fantasie linguistiche originali. E divertenti.
Grazie per il lato B. E questa, le piace ?
Vito ha avuto un “disculo” nero.
“Disculo” a volte è usato nel significato di “sfortuna”