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Il contrasto (apparente) tra “figata” e “cazzata”

“Che figata”, ristorante italiano a Naperville, Illinois (Usa).

Il contrasto è sotto gli occhi di tutti. Mentre “cazzata” significa “sciocchezza, stupidata, cosa da nulla, inezia”, “figata” sta al suo estremo opposto, perché significa “eccezionale, bello, piacevole, ammirevole”. Dunque, mentre il sesso maschile è sinonimo di disvalore, quello femminile indica il contrario, cioè qualcosa di valore. Un fatto notevole: pur nascendo da una cultura tradizionalista e maschilista, questi termini sembrano ribaltare la scala dei valori, attribuendo al femminile un ruolo superiore. Com’è potuto accadere? In realtà le cose sono più complicate. Perché in italiano esistono anche termini che usano il sesso femminile come sinonimo di “cosa da nulla”. Ma andiamo con ordine…

Cazzata” (con i termini dialettali equivalenti: minchiata, pirlata, belinata) è un termine spregiativo: come molti altri termini, considera il sesso un aspetto animalesco, e quindi inferiore e disprezzabile. Ma perché lo stesso disprezzo non è applicato a “figata”? Com’è che il sesso femminile è visto invece come qualcosa di positivo, anzi di entusiasmante?
A ben vedere, anche questo uso potrebbe essere espressione di maschilismo: dal punto di vista maschile, il sesso femminile è un valore. Ma la realtà è più complessa. Secondo il premio Nobel Dario Fo, “Nel nord e nel centro Italia, prima che arrivassero i Romani, le primordiali divinità celtico-insubri erano quasi esclusivamente di sesso femminile”, scrive nel libro “L’osceno è sacro” (Guanda, 2010). Basti ricordare Cerere, dea madre presso i Romani, chiamata Demetra dalle popolazioni di origine greca (come la Sicilia). 

“Levati di mezzo, ricco coglione!”: titolo di “Libération” contro l’imprenditore Bernard Arnault che aveva chiesto la cittadinanza belga.

In francese, invece, è il sesso femminile ad avere un significato negativo: “con” (vulva”) significa “imbecille”. Lo stesso accade in inglese, con i termini “twat” e “cunt”, che designano sia la vulva che le persone stupide. In spagnolo, invece, la vulva (coño) è usata non come insulto ma come imprecazione e rafforzativo (que coño haces? Che cazzo fai?). Occorre ricordare che “cunt” e “coño” hanno la stessa origine: derivano dal latino “cuneus” a sua volta riconducibile al greco kusòs, buco (da cui deriva cunicolo): il “cuneo” è l’attrezzo appuntito che produce un  buco. 

Perché accade tutto questo? La contraddizione è solo apparente. In generale i termini sessuali, poiché rimandano al nostro lato animalesco, sono connotati dal disprezzo, perché ci consideriamo superiori alle bestie. L’uso di metafore sessuali, maschili e femminili, è al servizio di questo sguardo sul mondo e può usare indifferentemente sia metafore sessuali maschili che femminili. Tant’è che anche in italiano esistono – anche in dialetto – 4 termini che utilizzano una metafora sessuale femminile per esprimere disprezzo: fesseria, fregnaccia, monada e patacca.

 

Fesso, fesseria e “a fess e soreta”

“Totò d’Arabia”, film del 1965.

“Fesseria” deriva da “fessa”, vulva in napoletano: il termine significa infatti letteralmente “spaccatura”. Dunque, fessa = cosa da nulla, fesseria = stupidaggine, sciocchezza, sbaglio;  e fesso = sciocco, tonto. Il sesso femminile è utilizzato anche come maledizione (augurare il male): va fa int’ a’ fessa  ‘e mammeta /soreta, ovvero “vai a fottere dentro la vulva di tua madre/sorella”. Un modo, insomma, di costringere un’altra persona a fare un pensiero sgradevole, ovvero ad augurargli l’incesto.

 

Fregnacce e fregnoni

Sagra della fregnaccia a Montasola (Rieti).

Lo stesso ragionamento è all’origine di “fregnaccia”, termine romano che deriva da “fregna”, vulva. Il termine ha un’origine incerta: potrebbe derivare dal latino fricare ‘fottere’, con -gn- dovuto alla sovrapposizione di frangĕre “rompere”. Il termine fregna è usato anche come sinonimo di stupidaggine, fandonia, come anche fregnaccia, fregno (persona o cosa di scarsa importanza), fregnone (sciocco, minchione, babbeo). “Avere le fregne” significa essere preoccupato di pessimo umore: l’espressione si collega agli sbalzi d’umore legati alle mestruazioni.
Tra l’altro, “fregnaccia” è anche l’appellativo di una frittella romana:
si fa una pastella con acqua, farina e sale; se ne prende una cucchiaiata che si mette a cuocere in padella, con olio bollentissimo, rigirando di quando in quando. Si ottiene così una frittella che viene cosparsa di zucchero oppure pecorino; poi, la frittella si piega congiungendo un punto del cerchio al centro, e poi piegando di nuovo. Le fregnacce, consumate fredde, sono una prelibatezza ma, vista la povertà degli ingredienti e la facilità della preparazione, sono, appunto, fregnacce.

 

Patacca  e pataccari

Una t-shirt beneaugurante.

La “patacca” era una moneta grossa ma di basso valore (perché conteneva poco argento), messa in circolazione dagli spagnoli nel 1500.  Il termine è diventato o sinonimo di “cosa di nessun valore”, ma anche di grossa  macchia di sporco. “Pataccaro” è chi vende monete false, ovvero uno sbruffone, un truffatore.  Nel dialetto romagnolo il termine prende anche a indicare il sesso femminile: i peli pubici formano una macchia scura, una patacca per l’appunto.   

 

Mona e monada

Cartello contro gli incivili a Salgareda (Treviso).

In veneto, “mona” indica la vulva. Deriva dall’arabo maimunscimmia’. Forse un parallelismo fra il corpo peloso della scimmia e i peli pubici. “Mona” indica anche una persona sciocca, balordo,cretino (da cui anche il termine monello). Com’è avvenuto il passaggio? Probabilmente è un’espressione  di  maschilismo: “essere un mona” significa essere una femmina, considerata in passato un essere inferiore. Tanto che “andare in mona” può significare sia “compiere un  atto sessuale” sia andare al diavolo, andare male (“ma va in mona!”).

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