L’hanno etichettato come un uomo “psichicamente immaturo”, o affetto dalla sindrome di Tourette, malattia che ha fra i suoi sintomi la coprolalia, cioè un turpiloquio incontrollato. Le parolacce di Wolfgang Amadeus Mozart sono invece un aspetto diverso e molto affascinante della sua personalità. Ne parlo qui in occasione del 266° anniversario della sua nascita a Salisburgo il 27 gennaio 1756.
Questo aspetto scabroso del compositore austriaco è noto da relativamente pochi anni: per secoli, le parolacce di Mozart sono state un segreto sussurrato fra gli studiosi, che non volevano rovinare la sua memoria con la macchia dell’oscenità. Le sue lettere alla cugina Anna Maria Thekla, ai parenti e agli amici sono zeppe infatti di espressioni scurrili: «Stronzo! – – merda! – – cacca! – o dolce parola! – cacca! – pappa! – anche bello! – cacca, pappa! – cacca, lecca – o charmante! – cacca, lecca! – mi piace! – cacca, pappa, lecca! – pappacacca, e leccacacca!», scriveva alla cugina nel 1778.
Ma l’epistolario di Mozart non è l’unico documento della sua propensione al linguaggio volgare. Accanto al “Flauto magico o al “Requiem” Mozart compose infatti anche alcuni canti licenziosi. Partirò da questi ultimi perché offrono una chiave più diretta per entrare nella sua mentalità.
“Leccami nel culo” e lo scherzo al baritono
Nell’immenso catalogo delle sue composizioni, infatti, figurano anche 4 canoni licenziosi composti fra il 1782 e il 1788, quando Mozart aveva fra 26 e 32 anni. I canoni sono composizioni per sole voci (a cappella) basate sul contrappunto, una combinazione di più linee melodiche. Il canone era considerato la più erudita delle tecniche compositive: come ha osservato lo storico Michael Quinn, «Mozart chiaramente si divertiva dell’incongruenza risultante dai versi scurrili all’interno di un canone». Dunque, un’operazione culturale goliardica: nulla a che vedere con la coprolalia, che nella sindrome di Tourette è invece un tic incontrollabile.
Il primo di questi canoni si intitola Leck mich im Arsch (K. 231), in si bemolle maggiore, per sei voci. Il titolo è stato tradotto con “Leccami il culo”, ma è una traduzione imprecisa. Letteralmente l’espressione significa “Leccami nel culo”: è un beffardo modo di dire tedesco che ha lo stesso significato irridente di “suca” (me ne infischio di te, non vali nulla).
La moglie di Mozart, Constanze, inviò i manoscritti dei canoni alla casa editrice Breitkopf & Härtel nel 1799 per pubblicarli. Ma l’editore censurò il titolo, cambiandolo in Lasst froh uns sein (Gioiamo), sulla falsariga del tradizionale canto natalizio tedesco Lasst uns froh und munter sein.
La versione originale, senza censura, fu scoperta nel 1991 nella biblioteca di musica dell’università di Harvard. Ecco il testo: «Leccami nel culo Gioiamo! Brontolare è inutile! Ringhiare, ronzare è inutile è la vera disgrazia della vita, Ronzare è inutile, Ringhiare, ronzare è inutile! Perciò siamo felici e contenti, felici!».
Il secondo canone umoristico è Difficile lectu (K 559), brano in fa maggiore per 3 voci. Il testo è in latino, anche se non ha alcun senso compiuto: Difficile lectu mihi mars et jonicu difficile. Questo canone era nato per fare uno scherzo al baritono Johann Nepomuk Peyerl (1761-1800), che aveva un forte accento bavarese: cantato da lui, il verso lectu mihi mars, sarebbe sembrato leck du mich im Arsch, ossia leccami nel culo. La parola jonicu, invece, ripetuta all’infinito, avrebbe dato il suono cujoni, ovvero coglioni. Potete sentirlo distintamente nel video qui sotto, che riproduce l’esecuzione (molto divertente) del brano, ascoltare per credere, dal 30” in poi:
I documenti dell’epoca riportano che Mozart fece eseguire il canone a Peyerl, che non si accorse del trabocchetto. Così, alla fine dell’esibizione Mozart e altri amici intonarono un terzo canone, il K. 560a, scritto sul retro dello spartito: O du eselhafter Peierl (Oh, asinesco d’un Peierl!). «Oh asino d’un Peierl! Oh Peierlesco asino! Sei pigro come un cavallo, senza muso né garretti. Con te non c’è rimedio; ti vedo già penzolar dalla forca. Stupido cavallo, sei un pigrone, stupido Peierl, sei pigro come un cavallo.Oh caro amico, ti prego oh baciami nel culo, svelto! Ah, caro amico, perdonami, però ti sigillo il culo. Peierl! Nepomuk! Perdonami!».
Il quarto canone licenzioso è Bona nox (K. 561), in la maggiore, per quattro voci. Ecco il testo, che in tedesco è tutto in rima: «Bona nox! Sei proprio un vero bue; Buona notte, cara Lotte; Bonne nuit, pfui, pfui; Good night, good night, abbiamo ancora molta strada da fare domani; gute Nacht, gute Nacht, caga nel letto, [fa’] che scoppi; Buona notte, dormi bene e porgi il culo alla bocca». Il testo, opportunamente ammorbidito nel finale (“dormi, mia cara, dolcemente, dormi in pace, Buona notte! dormite bene, finché non si farà giorno!”) è entrato nel repertorio dei canti tradizionali tedeschi.
Le lettere alla cugina
Come ricordavo nell’introduzione, le lettere scritte da Mozart ebbero lo stesso destino dei canoni: furono censurate. Vennero a galla timidamente all’inizio del secolo scorso, quando lo scrittore Stefan Zweig mandò in via del tutto riservata a Sigmund Freud le lettere che Mozart aveva scritto alla cugina Maria Anna Thekla, ai parenti e agli amici.
L’epistolario di Mozart è infarcito di espressioni volgari e Zweig voleva sapere che cosa ne pensasse il fondatore della psicoanalisi. Così, dopo aver notato la grande profusione di termini escrementizi, concluse che Mozart era affetto da “immaturità psichica”, rimasta ancorata alla sfera anale. Prendiamo un brano di una lettera scritta il 28 febbraio 1778:
Eppure, nonostante le apparenze, l’interpretazione di Freud, per quanto suggestiva, non coglie le motivazioni più determinanti del turpiloquio del musicista, come ha mostrato – nel 1991 – il sociologo Norbert Elias nel libro “Mozart, sociologia di un genio”.
I passi scabrosi nelle lettere del genio austriaco avevano in realtà un altro scopo: fare uno sberleffo al linguaggio formale e perbenista di corte. «Allocuzioni, fraseologia di circostanza, formule di saluto, arie d’opera, alessandrini – ogni lettera di Mozart alla cugina traspone puntualmente in parodia l’intero guardaroba del decoro di corte. Mozart critica i fossili linguistici dell’ancien régime, abbandonando impietosamente i loro vuoti meccanismi allo scherno» osserva Juliane Vogel, docente di letteratura tedesca all’Università di Costanza nel commento alle lettere pubblicate da Feltrinelli. «Nella scatologia (il gusto per le battute escrementizie) poté compiersi una socializzazione borghese rivolta contro le forme feudali» aggiunge.
Saluti e peti
L’operazione è evidente soprattutto nelle formule di saluto, riprese e variate fino alla nausea per far affiorare l’automatismo insito nel loro uso, il formalismo che le caratterizza:
Lo spirito goliardico ravviva anche le frasi in cui Mozart racconta il suo presente, arricchite da rime e giochi di paroli assurdi:
Wolfgang Codadisuino e lo spirito carnevalesco
Nelle lettere, il musicista prende giocosamente in giro anche se stesso:
Questo nomignolo affibbiato a se stesso ci mette però su una pista importante: «”vecchio giovane Codadisuino” non è che uno dei molti nomi con cui il cosiddetto “ruolo comico” furoreggiava sulla scena del tempo, munito dei suoi lazzi e delle sue libere improvvisazioni. Egli appartiene alla schiera degli Arlecchino e degli Hanswurst, degli Scaramuccia e dei Fuchsmundi, personaggi che con i loro abiti rattoppati, i cappelli verdi e le giubbe bianche mettevano in discussione la gravità del teatro dell’epoca», osserva ancora la Vogel.
E’ questo lo spirito di Mozart: un giocherellone, un buffone pronto a mettere in ridicolo tutto e tutti, compreso se stesso. In questo, Mozart si inserisce nella tradizione popolare del carnevale, e del realismo grottesco in letteratura, nel quale «tutto è ricondotto agli organi genitali, al ventre e al deretano» scrive il critico letterario Michail Bachtin. E gli escrementi, in particolare, sono un elemento centrale perché simbolo di rinnovamento, fecondando la terra.
Le parolacce tedesche e il mistero Spunicuni
Pur avendo inserito nel giusto contesto storico l’epistolario di Mozart, gli studiosi rimangono perplessi su un punto: la propensione ossessiva per i temi intestinali. «Ostinatamente, a gesti o a parole, la celebrata socialità del Mezzogiorno di lingua tedesca ruota intorno al fulcro delle feci. Sia le lettere della famiglia Mozart che le testimonianze linguistiche della vita sociale del tempo documentano una preferenza, non del tutto comprensibile ai posteri, verso la tematica della digestione» dice ancora la studiosa.
A dire il vero, una ragione per spiegare questa preferenza c’è: il tedesco, pur essendo una lingua ricchissima di vocaboli, ha però un ventaglio ridotto di parolacce, basate molto più sulla sfera anale-escrementizia che su quella sessuale, come raccontavo in un precedente articolo. Non è colpa di Amadeus, insomma, se il suo repertorio scurrile era così limitato: il lessico tedesco non gli offriva molte alternative.
Dunque, il turpiloquio di Mozart è uno dei più ricchi di significati. Tanto da avere un mistero ancora aperto dopo 266 anni: che diavolo vuol dire l’espressione spunicunifait?
Appare ad esempio in questo brano: «Apropós: come va col francese? – potrò scriverle presto una lettera tutta in francese? – da Parigi, no? – e mi dica, ha ancora lo spunicunifait? – lo credo bene». Lo Spunicunifait, è invocato tre volte nelle lettere alla cugina – scritto con le iniziali maiuscole o minuscole, unito o staccato: «la cui spiegazione è ancora da trovare. Che esso appartenga al vasto regno delle allusioni erotiche è fuori discussione».
♦ Le parolacce di Dante spiegate bene
♦ Camilleri e le 3.109 parolacce di Montalbano
Fantastiche le tue ricerche, i tuoi studi. Complimenti, Vito. Non avrei mai immaginato che Mozart usava termini così volgare. I suoi concerti per il piano mi piacciono moltissimo. Salute e pace a te e alla tua famiglia.