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“Povero”, “pezzente” e altri insulti economici

Svizzera, campagna contro i mendicanti: il povero è dipinto come ingannatore e criminale.

C’è una forma di razzismo di cui non si parla: quello verso i poveri. Non ci credete? Partiamo da un numero: in italiano gli insulti basati su questo razzismo economico in italiano sono 45, da accattone a straccione, fino a miserabile e così via. Del resto, il “parente povero” è quello di cui ci si vergogna. Ma perché disprezzare chi non ha abbastanza per vivere? Perché questa mancanza di empatia verso persone in difficoltà?
Ci dipingiamo come una società basata sulla solidarietà, ma la realtà è un’altra: disprezziamo i poveri e adoriamo i ricchi. I nuovi eroi sono Steve Jobs o Jeff Bezos, dipinti come santi per il loro innegabile talento, ma pochi mettono in evidenza che hanno costruito le loro fortune sullo sfruttamento massiccio di manodopera sottopagata e una concorrenza spietata. Chi invece non riesce ad accumulare denaro è implicitamente considerato un fallito

Ci siamo spinti, insomma, ben oltre il capitalismo. Persino il padre del liberismo economico, Adam Smith, nel suo libro “La teoria dei sentimenti morali” diceva che «la corruzione del carattere consiste nell’ammirare i ricchi e disprezzare i poveri, invece di ammirare i saggi e le buone persone e disprezzare gli stupidi. Questa è la corruzione di una società: quando una società disprezza quelli che hanno fallito nella vita, quelli che hanno avuto cattiva sorte, è patologico».

Film di Oren Moverman (2014): Richard Gere nei panni di un vagabondo.

In questo articolo parlerò di questa invisibile malattia: la “aporofobia” (da aporos, indigente, e fobia, paura), termine creato dalla filosofa spagnola Adela Cortina Orts. Una malattia molto più diffusa di quanto crediamo: non solo perché la crisi economica sta ingrossando le file dei poveri, ma anche perché è l’aporafobia il vero motore dell’intolleranza verso gli immigrati: non li temiamo perché provengono da altre culture, ma perché non hanno soldi. Tant’è vero che per ottenere il permesso di soggiorno in un Paese ricco, non occorre una fedina penale pulita o un titolo di studio: basta il denaro, bisogna dimostrare di avere un lavoro retribuito. Alcuni Paesi offrono direttamente la cittadinanza a chi dispone di somme cospicue: ad esempio, chi investe 250mila euro in immobili o 50mila euro in una società in Lettonia, ottiene direttamente un passaporto europeo.

I poveri sono stati sempre emarginati nella Storia. Verso di loro nutriamo un sentimento ambivalente: il filosofo tedesco Friedrich Nietzsche diceva che «ai mendicanti è seccante dare qualcosa, ed è seccante non darlo». I poveri suscitano la nostra compassione, ma anche un senso di sospetto se non di disprezzo: perché sono diventati poveri? Per colpa, per scelta, per disgrazia? O sono invece parassiti che vivono sulle spalle degli altri, se non addirittura malviventi? La nostra civiltà non è stata in grado di risolvere questi dilemmi, oscillando fra assistenzialismo, controllo sociale ed emarginazione. Perché pensare ai poveri è, sempre e comunque, un pensiero scomodo.


Questo articolo è anche l’occasione per ricordare i 100 anni dalla nascita di Pier Paolo Pasolini (1922-1975), che dedicò ai poveri il suo primo film,”Accattone” (1961). 

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I POVERI NELLA STORIA
 

La figura del povero nasce nelle città: nelle società primitive o agricole i poveri non esistono, perché tutti riescono a soddisfare i propri bisogni primari. Gli antichi Romani, invece, avevano una società fatta di vari strati sociali, in cui gli schiavi e i liberti non erano necessariamente i più poveri, grazie alle elargizioni dei ricchi. Questi ultimi donavano soldi, cibo, vestiti agli indigenti perché, in quanto “cittadini romani” erano considerati membri del tessuto cittadino di cui i ricchi sentivano il dovere di prendersi cura. Anche perché in questo modo esercitavano un controllo sociale, impedendo che la povertà degenerasse in rivolte e saccheggi. 

San Francesco rinuncia ai beni terreni: dipinto di Giotto, 1292-1296.

Ma questo dovere civico era visto in modo ambivalente. Nei suoi scritti Cicerone associa i bisognosi con i criminali, considera la povertà quasi «un crimine» e i ricchi come coloro «le cui fortune sono state accresciute e procurate dal favore degli dèi», mentre «la plebe miserabile e affamata succhia il sangue alle casse dello Stato». Restavano esclusi da questo scenario gli abitanti delle campagne, che quando l’Impero si disgregò iniziarono a riversarsi nelle città. E qui avvenne il primo cambio di rotta, come sottolinea lo storico Peter Brown nel saggio “Povertà e leadership nel tardo impero romano”: per la prima volta i “poveri” diventarono una categoria generale della società, e non solo i cittadini romani.
«Le città si riempirono di persone che erano tangibilmente “povere”. Esse non potevano essere trattate come “cittadini”, ma nemmeno potevano essere ignorate,la predicazione cristiana sull’amore verso i poveri forniva parole nuove con cui parlare di una nuova, meno differenziata, società post-classica. Furono i vescovi cristiani ad aver inventato i poveri: ascesero a posizioni di potere nella società tardo-romana focalizzando sempre più l’attenzione sui poveri e presentavano le loro azioni come una risposta alle necessità di un’intera categoria di persone (i poveri) che sostenevano di rappresentare». Il potere dei vescovi, dunque, si consolidò grazie al fatto che si fecero carico di un’intera categoria di persone disagiate. Perché uno dei messaggi chiave del cristianesimo era la povertà come sistema di vita: «
È più facile che un cammello passi per la cruna di un ago, che un ricco entri nel regno di Dio» dice il Vangelo di Marco (10, 25). Questo cambiava radicalmente prospettiva. il povero non era tale perché malvoluto dagli dèi o un parassita, ma era, anzi, più vicino a Dio. Quindi andava aiutato:  in ogni povero c’era la sofferenza di Cristo. Ma l’attenzione ai poveri non è un’esclusiva del cristianesimo:  tutte le religioni prevedono, fra i loro precetti, il dovere di fare l’elemosina, un modo efficace di allargare lo sguardo trascendendo l’egoismo e il materialismo. Vedendo come funzionano le società a ogni latitudine, non c’è precetto più disatteso. 

I poveri sui gradini del convento di Ara Coeli (Federico Zandomeneghi, 1872)

Ma torniamo alla Storia. Nel Medioevo le città iniziarono a riempirsi di schiere di poveri. E col passare del tempo le istituzioni furono costrette a farci i conti: innanzitutto perché le masse di accattoni che potevano divenire un serio pericolo di rivolte ogniqualvolta vi fosse una carestia o un aumento dei prezzi dei beni alimentari. In più, fra i poveri si celavano anche alcuni opportunisti che campavano di elemosine pur di non lavorare, così l’unico modo di distinguere un povero “vero” era la malattia (peste, vaiolo, lebbra). Fra il 1500 e il 1600, le istituzioni cominciarono a emanare leggi contro i falsi mendicanti: alcuni libri sostenevano che i poveri fossero parte di organizzazioni criminali dedite alla truffa. L’intolleranza verso i poveri si diffuse soprattutto nell’Europa del Nord, dove la mentalità calvinista e luterana assegnavano al lavoro un posto centrale. Nessuno sa chi è “eletto” da Dio, chi sarà salvato: solo chi fa un duro lavoro può riscattare la propria anima. In questa prospettiva, i poveri erano considerati esseri antisociali e parassiti. E così, per esercitare un controllo sociale sui poveri, l’ospedale diviene una casa di correzione, molto simile a un carcere, dove relegare i marginali. La massima espressione di questo tentativo di controllo fu in Inghilterra, dove nel 1834 fu emanato il Poor law reform act, una legge che aveva come obiettivo quello di  ridurre le tasse dei contribuenti, facendo lavorare i disoccupati. Invece di dar loro dei sussidi, venivano accolti nelle case-lavoro: avevano un tetto se accettavano di fare i lavori che venivano loro offerti. I poveri “meritevoli”, che avevano diritto a ricevere aiuti economici erano solo vedove con figli, anziani, invalidi; tutti gli altri dovevano essere internati. E chi risiedeva in una casa-lavoro perdeva i diritti civili, come quello di voto. Ma il sistema non funzionò: non consentì di ridurre le tasse e non risollevò molte persone da una vita di stenti. Ma è rimasto, nella cultura occidentale, il sospetto che il povero sia, sotto sotto, un fannullone o un criminale.

Un poster che descrive com’erano trattati i poveri nelle case-lavoro inglesi.

Durante le dittature i poveri sono stati oggetto di controlli e persecuzioni: i regimi autoritari non tollerano le persone improduttive e che sfuggono ai controlli. «Col fascismo i poveri persero persino l’effimero diritto di lamentarsi della propria condizione. Si configurò, infatti, una repressione simile a una vera e propria criminalizzazione sociale della povertà. Coloro che soffrivano situazioni di disagio estreme continuavano ad essere considerati alla stregua di “rifiuti sociali” (mendicanti e accattoni), a cui le prestazioni degli Enti di assistenza erano generalmente negate» ricorda lo storico Luciano Villani dell’Università di Torino. La sbandierata assistenza sociale si tradusse in un controllo di polizia, con «sussidi molto bassi e tutele alquanto limitate», come la “Befana fascista” e il “Natale del duce”, durante i quali si distribuivano pacchi dono ai bambini delle famiglie povere. Del resto, le dittature hanno un’economia cristallizzata, nella quale solo gli imprenditori vicini al regime sono tutelati dal potere, e non c’è mobilità fra le classi: chi nasce povero rimane tale. In Italia il reato di accattonaggio  introdotto dal fascismo è stato abolito solo nel 1999.

I POVERI OGGI
 

Copertina di “Panorama” che mostra i poveri come segno di degrado urbano.

E oggi? L’economia è diventata sempre più dipendente da speculazioni finanziarie. Che negli ultimi hanno prodotto uno scenario di grandi disuguaglianze, sia nel mondo che in Italia. Nel mondo, dicono le statistiche di World Inequality Report, un adulto guadagna in media 16.700 euro l’anno, ma con ampie disparità fra un Paese e l’altro (e anche all’interno dello stesso Paese). Il 10% più ricco della popolazione mondiale guadagna il 52% del reddito globale, mentre la metà più povera della popolazione ne guadagna solo l’8,5%.
In media, un individuo che fa parte del 10% più ricco guadagna 87.200 € all’anno, mentre un individuo della metà più povera ne guadagna 2.800 € all’anno. Questo perché c’è una grande sproporzione: la metà più povera della popolazione mondiale possiede solo il 2% della ricchezza totale. Al contrario, il 10% più ricco della popolazione mondiale possiede il 76% di tutta la ricchezza. In media, la metà più povera della popolazione possiede 2.900 € per adulto, e il 10% più ricco possiede in media 550.900 €.

La distribuzione della ricchezza nel mondo secondo World inequality Report (clic per ingrandire)

Ne sappiamo qualcosa anche in Italia. Oggi il salario medio in Italia è di 29mila euro annui, ma la ricchezza è distribuita in modo molto diseguale: metà degli italiani guadagna infatti 12.100 € mentre per il 10% più ricco il guadagno medio schizza a 93.900. Il 10% di italiani più ricchi possiede da solo quasi la metà (47,7%) di tutte le ricchezze. Un processo iniziato negli anni ‘80 e tuttora in corso: la crisi finanziaria del 2008 ha quasi cancellato la classe media, creando una forbice sempre più marcata fra chi è straricco e che fatica ad arrivare a fine mese.

Campagna dei francescani per aiutare gli indigenti.

Secondo gli ultimi dati Istat, in Italia ci sono oltre 5,6 milioni di persone in povertà assoluta: il 9,4% degli italiani. “Povertà assoluta” significa che non possiedono un reddito sufficiente a coprire le spese minime per sopravvivere, calcolate in base a età e luogo di residenza: per una persona fino a 59 anni d’età, si va dai 569 euro/mese per chi vive in un piccolo Comune del Sud agli 839 euro/mese per chi vive in una metropoli del Nord. I senzatetto sono poco più di mezzo milione, dice sempre l’Istat. In questi numeri, sempre più in crescita a causa di crisi economica e Covid, gli stranieri sono la maggioranza. E nel concetto di povertà occorre comprendere anche quanti non hanno le competenze culturali (conoscenza delle leggi, degli strumenti tecnologici e di Internet) per vivere nella società di oggi. Dunque, i poveri sono sempre più numerosi, e fanno paura. “Povero” è ancora sinonimo di malavitoso: se sei povero rubi. Eppure le cronache quotidiane sono piene di ricchi avidi che mettono in ginocchio l’economia con speculazioni senza scrupoli.

«Il muro del Messico, le frontiere dell’Europa, il successo di Le Pen e di Orban  – sottolinea la filosofa Adela Cortina Orts – hanno a che vedere più con l’aporofobia che con il controllo dell’immigrazione clandestina o la xenofobia, la paura dello straniero.  Tutto quello che si fa   lo si fa per escludere i poveri. Perché gli immigrati sono poveri e vengono per complicare la vita. Il povero viene a rompere la comodità. Se sta bene e arriva un altro, bisogna muoversi. Perché hanno bisogno di lavoro e di sicurezza sociale».

“Combatti la povertà, non il povero”: campagna di attivisti negli Usa.

Nei secoli, il disprezzo verso i poveri si è sedimentato nel nostro linguaggio, come vedrete nei box qui sotto, dove ho raccolto tutti i termini spregiativi per indicare i poveri: sono 45, un ventaglio impressionante. Tutti accomunati da un aberrante punto di vista: il povero è da evitare, è disdicevole, in qualche modo perfino colpevole della propria condizione.  Un pregiudizio che serve a soffocare la nostra empatia verso i poveri, per non farci pensare al rischio – sempre presente, in realtà – di finire sul lastrico anche noi. Voltarci dall’altra parte, dipingere i poveri come scarti umani che hanno meritato la loro cattiva sorte ci rassicura di non finire risucchiati anche noi fra gli indigenti. E ci dà l’illusoria sensazione di sentirci ancora più privilegiati, premiati per i nostri meriti: più aumentano gli esclusi, più una ristretta élite può continuare a prosperare.

ASPETTO FISICO
  • barbone
  • clochard (dal francese clocher, zoppicare) 
  • mendicante (da mendicum, malato, con un difetto fisico, quindi povero)

VESTITI
  • sciattone (dal latino exaptum, non adatto) 
  • straccione

COMPORTAMENTO
  • Film del 1961: segnò l’esordio di Pasolini alla regia.

    accattone (da accattare, chiedere l’elemosina)

  • birbante/birbone (dal francese bribe tozzo di pane)
  • bighellone (girovago) 
  • gaglioffo (dallo spagnolo “gallofa”, pane dei pellegrini)
  • morto di fame
  • nullafacente
  • pezzente (dal latino, persona che chiede) 
  • pitocco (dal greco ptokòs, mendicante)
  • questuante (da quaerere, cercare: chi chiede l’elemosina) 
  • sfaccendato
  • vagabondo 

CONDIZIONE ECONOMICA
  • fallito 
  • micragnoso (privo di denaro, la parola deriva da “emicrania”: la povertà fa venire il mal di testa) 
  • miserabile 
  • nullatenente 
  • plebeo
  • povero, poveraccio 
  • senzatetto 
  • servo della gleba
  • spiantato (sradicato, rovinato) 
  • squattrinato

CONDIZIONE SOCIALE
  • “I miserabili”, romanzo di Victor Hugo del 1862

    bifolco (chi guida i buoi) 

  • bovaro/boaro 
  • burino (da burra, parte dell’aratro) 
  • buzzurro (venditore di castagne) 
  • cafone (dal latino cavare “scavare; rivoltare la terra’’)
  • derelitto (abbandonato) 
  • disoccupato 
  • facchino (ambulante, uomo di fatica) 
  • malnato (nato male, cioè di umili origini) 
  • mascalzone (da maniscalco, garzone) 
  • paria (individui appartenenti alle classi sociali più basse dell’India, detti anche intoccabili)
  • proletario 
  • rustico (campagnolo) 
  • servo 
  • sguattero (dal longobardo wahtari “guardiano”, inserviente umile)
  • tamarro (venditore di datteri) 
  • villano/villico  (abitante della villa, cioè della campagna) 
  • zappaterra/zappatore 
  • zotico (da  lat. tardo idiotĭcus «ignorante, incolto»)   

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One Comment

  1. Bravo, bell’articolo che permette di parlare società attraverso la lingua.
    Un concetto mi sembra centrale che hai menzionato: il lavoro e la sua valorizzazione sociale. Sei cio’ che fai (e cio’ che guadagni) e non ….cio’ che sei.

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