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70 anni di censure del…. biiip!

E’ la foglia di fico (sonora) che copre gli insulti più pesanti, salvando da multe salate le trasmissioni radio e tv. Si chiama “bleep censor” (bip censorio) e – in varie forme – ha già quasi 70 anni di vita. Ha ancora senso questo sistema di censura? Negli Stati Uniti sembra destinato a finire in soffitta, mentre in Italia è un sistema ancora molto usato da trasmissioni come “Striscia la notizia” o “Le iene”.
Durante la sua lunga storia, che qui vi racconto, da strumento di repressione delle parolacce sta oggi diventando un loro involontario amplificatore. Una parabola che i suoi inventori, negli Stati Uniti, non avrebbero mai potuto immaginare.

La nascita: le radio americane

Studio radiofonico statunitense in una foto d’epoca

La censura nasce insieme alle prime radio private, subito dopo la prima guerra mondiale.  Il Congresso aveva posto fine al monopolio che la Marina aveva sulle trasmissioni radio. Ma il governo manteneva comunque un controllo severo sui programmi: mandare in onda contenuti offensivi poteva costare la revoca della licenza. Così quando radio WOR di New York, nel 1924, ospitò l’attrice e cantante Olga Petrova – nota per le sue posizioni a favore del controllo delle nascite – i tecnici della radio erano pronti a spegnere il microfono al primo sentore di contenuti scottanti. E così fecero: mentre l’attrice parlava, la luce rossa della messa in onda si spense. Al suo posto, la regia  mandò in onda per qualche minuto un brano musicale.
Decenni dopo fu inventato un sistema di censura più raffinato. Nel 1952 l’emittente radio WKAP di Allentown, in Pennsylvania, decise di avviare un programma “Open mic” (microfono aperto), mandando in onda le telefonate degli ascoltatori. Ma le leggi dell’epoca vietavano di trasmettere conversazioni telefoniche in diretta. Così un ingegnere della radio, Frank Cordaro, inventò un sistema per aggirare il divieto e al tempo stesso non rischiare di trasmettere contenuti inaccettabili: l’uso di due registratori a nastro distanziati di 3 metri l’uno dall’altro. Il primo registrava la trasmissione in onda, il secondo la riproduceva su una bobina di riavvolgimento: in questo modo si avevano 7 secondi di ritardo sulla diretta, sufficienti per cancellare eventuali frasi offensive.
Un sistema simile fu usato da Long John Nebel che nel 1954 conduceva “Party line”, un programma notturno su radio WOR: parlava di ufo, fantasmi, complotti e altri argomenti controversi interagendo con gli ascoltatori al telefono. Il sistema della doppia bobina gli permetteva di stoppare le chiamate offensive o di cancellare le parole inopportune.
Dopo qualche tempo i tecnici radiofonici
iniziarono a utilizzare un oscillatore, un’apparecchiatura del banco regia che genera suoni di prova ad alta frequenza (1000 Hz). Un fischio insopportabile. Un modo per coprire una frase offensiva senza lasciare muto il canale. Una censura, insomma: l’equivalente sonoro di una fascia nera su un’immagine o dei segni tipografici (@#§) negli scritti (e ci sono anche i pittogrammi dei fumetti, di cui ho parlato qui). 

L’arrivo in tv (e le invettive di Sgarbi)

Eventide BD600: dispositivo digitale capace di ritardare una trasmissione di qualche secondo

Oggi lo stesso risultato si riesce a fare con strumenti digitali, come quello nella foto a lato, capace di ritardare di alcuni secondi una diretta per consentire ai tecnici radiofonici di inserire i “beep” quando occorra. E non è l’unico ritrovato in questo campo: Apple, ad esempio, sta lavorando da diverso tempo a una nuova tecnologia in grado di eliminare automaticamente parole e frasi volgari da tutte le canzoni presenti sui propri dispositivi.
Lo stratagemma è poi approdato in tv: nel 1966 un’emittente di Los Angeles trasmise, nello show “Therapy”, le sedute di psicoterapia di gruppo con adolescenti, infarcite di parolacce (bippate).
In Italia, uno dei primi esempi dell’uso di bip censorio in tv fu “Sgarbi quotidiani” su Canale 5: nel 1993, volendo contestare la riforma dell’immunità parlamentare, Vittorio Sgarbi attaccò l’allora presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro; ma, per non incorrere nel reato di vilipendio alla massima carica dello Stato, le sue invettive furono censurate (col suo accordo) con 7 secondi di “biip”.

L’esordio nella pubblicità e nella comicità

Con il passare del tempo, il “biip” ha assunto nuove funzioni, oltre a quella di censurare. E’ stato usato in alcune pubblicità per dare un effetto realistico e simpatico, come lo spot della salsa piccante Red Hot di Frank, con lo slogan “Metto quella merda (biip) su tutto”. in questo spot, la frase è pronunciata da una cameriera alla (finta) regina d’Inghilterra:

D’altronde, si sa: proibire (o nascondere) qualcosa significa renderlo ancora più significativo. E così i censori spesso rischiano, con i beep, di rendere ancor più evidenti le trasgressioni linguistiche: tutti possono facilmente immaginare quali espressioni sono coperte dai segnali acustici. Tanto che i Monty Python, gruppo comico britannico, già nel 1987 hanno scritto una canzone intitolata “I Bet You They Won’t Play This Song On The Radio” (“Scommetto che non trasmetteranno questa canzone alla radio”): il testo è pieno di allusioni volgari, coperte da vari suoni (fischi, campanelli, trombette, clacson, urla, pernacchie), con un effetto molto divertente. Qui sotto riporto il testo con traduzione e il video:

I bet you they won’t play this song on the radio.

I bet you they won’t play this new ### song.

It’s not that it’s ### or ### controversial

just that the ### words are awfully strong.

You can’t say ### on the radio,

or ### or ### or ###

You can’t even say I’d like to ### you someday

unless you’re a doctor with a very large. ###

So I bet you they won’t play this song on the radio.

I bet you they damn ### wellprogram it.

I bet you ### their program directors who think it’s a load of horse ###.

Scommetto che non suoneranno questa canzone alla radio.

Scommetto che non suoneranno questa nuova canzone di ###.

Non è che ###  o ###  sia controverso

solo che quelle ###  di parole sono terribilmente forti.

Non si può dire ### alla radio,

O ### O ### O ###

Non puoi nemmeno dire che un giorno mi piacerebbe ### te

a meno che tu non sia un medico con un grande ###.

Scommetto che non suoneranno questa canzone alla radio.

Scommetto che lo programmeranno alla ###.

Scommetto che i loro ###  di direttori di programma pensano che sia un gran carico di ###  di cavallo.

Le contraddizioni del bip

Il conduttore radiofonico Howard Stern

Ed è la comicità di questa canzone a far comprendere la contraddittorietà del beep, che, proprio mentre tenta di eliminare un contenuto scabroso, lo rende ancora più evidente. Non è l’unica contraddizione. Come tutte le censure, il biip limita la libertà di espressione garantita da tutte le democrazie occidentali. Nel 2002 lo scrittore Stephen King, parlando delle trasmissioni radiofoniche molto provocatorie di Howard Stern, disse: “Se dice cose che non ti piacciono, che ti offendono, allunghi la mano e spegni la radio. Non hai bisogno di un politico nel tuo soggiorno per dire che devi mettere un cerotto sulla bocca di quel ragazzo”. Stern, per inciso, durante la sua carriera ha collezionato ammende per un totale di 2.5 milioni di dollari per oscenità e volgarità, un record.

Ma nessun Paese si affida alla sola libertà degli ascoltatori. Perché le parolacce sono materiale esplosivo: parlano di argomenti delicati (sesso, differenze etniche, malattie, potere economico, religione) in modo offensivo e svilente. Soprattutto se arrivano alle orecchie dei bambini, che devono ancora formarsi una coscienza critica. Anche se, bisogna ricordarlo, ci sono parolacce e parolacce (e diversi modi di dirle) e non tutte sono necessariamente dannose: sulla questione ho già scritto un approfondimento qui.

Le pene: multe fino a 600mila euro e sospensioni

Già dal 1927 negli Usa le trasmissioni radio (e poi quelle televisive) erano controllate dalla Federal radio commission – oggi Federal Communication Commission – che comminava sanzioni pesanti a chi metteva in onda oscenità. E questo succede anche in Italia.
La norma oggi in vigore è
il decreto legislativo 208 (testo unico per la fornitura di servizi di media audiovisivi) del 2021. Prevede che  nelle fasce d’ascolto riservate ai minori (in particolare dalle ore 16 alle ore 19) non si trasmettano contenuti “nocivi allo sviluppo fisico, psichico o morale dei minori, e, in  particolare,  i programmi che presentano scene di violenza  gratuita  o  insistita  o efferata ovvero scene pornografiche”. Le trasmissioni non devono evocare “discriminazioni di  razza, sesso e nazionalità” né offendere “convinzioni religiose o ideali”. E i film vietati ai minori di 14 anni non possono essere trasmessi prima delle ore 23 e dopo le ore 7. Le pene sono pesanti: multe da  30mila a 600mila euro, e, nei casi più gravi, la sospensione dell’efficacia della concessione o dell’autorizzazione a trasmettere programmi per un periodo da 7 a 180 giorni. Queste sanzioni spiegano perché i responsabili dei canali si prendano la briga di usare il bip censorio.

I conduttori dello “Zoo di 105”

Ne sa qualcosa Radio 105, che nel 2021 ha ricevuto dall’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni una sanzione di 62.500 euro per “continue allusioni sessuali marcate dal morboso, offese al sentimento religioso, ricorso gratuito a volgarità e turpiloquio, utilizzo di epiteti, con accezione dispregiativa e denigratoria, per designare le persone omosessuali”. E questo per sole due puntate di “Lo zoo di 105” trasmesse il 26 ottobre e 11 dicembre 2020 dalle ore 14 alle ore 16, in piena fascia protetta. Se avessero usato il bip, avrebbero evitato la multa. Ma probabilmente il programma sarebbe stato un fischio unico, intervallato da poche frasi.

Insomma, il biip censorio mette a nudo il difficile equilibrio fra lecito e illecito, libertà e censura. “Il segnale acustico” dice la scrittrice americana Maria Bustillos, “rivela una verità nascosta: il Super-Io, la coscienza morale che soffoca un impulso indegno. Una lotta che si svolge costantemente sotto la superficie in apparenza tranquilla della vita quotidiana. Il biip richiama l’attenzione su una divergenza di opinioni riguardante l’offensività di una frase. Prima era un fatto inconsapevole, ora lo è. Il “biip” è il rumore di una comunità impegnata nel processo di definizione dei valori, e che lotta per capire se stessa”.

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