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Le parolacce degli antichi Greci

Maschera teatrale in terracotta (200-250 d.C.): fotomontaggio da ASCSA Digital Collections

Gli antichi Greci dicevano parolacce? Eccome: oltre a molte parole colte (metro, atomo, terapia, democrazia…) abbiamo ereditato da loro anche termini volgari, da cacca a culo. E arrivano dall’antica Grecia diversi modi di dire odierni come “fuori di testa”, “schiatta”, “culo rotto” fino al gesto del dito medio. Quando dovevano insultare qualcuno, infatti, gli elleni non erano secondi a nessuno, quanto a fantasia e disprezzo: “locusta”, “montone”, “zotico”, “mangia merda” e “vecchia mummia” sono solo un assaggio del loro ventaglio di insulti, che – ho scoperto – contiene 1.300 espressioni: una stima per eccesso, ma rende l’idea del loro arsenale di espressioni triviali.
E per mandare qualcuno a quel paese utilizzavano espressioni macabre, da “buttati nel baratro” a “che il tuo cadavere sia mangiato dai corvi”. Senza contare gli insulti riservati alle classi basse, agli incolti, agli stranieri, alle prostitute e agli omosessuali passivi. C’è poi un verbo, rhaphanidóo, che significa “ravanellizzare“: era la pena riservata gli adulteri, puniti infilando un ravanello nel sedere depilato con la cenere calda.

Coppa da vino in ceramica: raffigura il partecipante a un banchetto con un’etera, un’escort (480 a.C.).

Dai Greci, insomma, abbiamo ricevuto non solo parte del nostro lessico, ma anche una prospettiva sul mondo, un modo di guardare la realtà, sia nelle vette del pensiero filosofico che nelle bassezze del turpiloquio. Anche se, come vedremo, accanto a suggestive somiglianze ci sono anche rilevanti differenze, soprattutto nel modo di intendere il sesso: i Greci non erano così libertini come potrebbe apparire a prima vista.
Eppure, il turpiloquio antico non è stato ancora esplorato a fondo: gli studi sono pochi e limitati ad alcuni aspetti, e molti dizionari censurano le espressioni oscene. Nel celebre dizionario Rocci, ad esempio, πέος, cazzo, è indicato come “membro virile”: corretto, ma non fedele. Lorenzo Rocci, del resto, era un gesuita e l’impianto del dizionario – pur aggiornato – risale al 1939, epoca in cui era sconveniente utilizzare termini scurrili.  Con questo articolo conoscerete quindi un aspetto della cultura ellenica che nessun professore vi aveva mai insegnato.
Perciò, con buona pace di chi ancora crede che siano un fenomeno moderno, le parolacce risalgono a più di 2mila anni fa: anzi, come ricordavo nel mio libro, quelle greche sono precedute da quelle egizie e babilonesi. Le scurrilità, insomma, sono antiche quanto l’uomo. Questo articolo non vuole essere una rassegna completa sul turpiloquio ellenico (occorrerebbe un libro intero), ma offrirne un’idea concreta e ordinata.

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IL PROBLEMA DELLE FONTI
 

L’antico teatro di Epidauro (360 a.C.)

Ricostruire le parolacce di una civiltà antica non è semplice. I documenti sono pochi: la Storia ci ha tramandato soprattutto la letteratura “alta”: i copisti del passato hanno privilegiato trattati di filosofia, tragedie, poesie rispetto alle opere popolari. All’interno di queste fonti, poi, non è sempre facile identificare quali fossero i termini di registro triviale e quali no, ovvero quali parole suscitassero più o meno scandalo: erano usate per lo più nel linguaggio quotidiano, orale e nessun autore (tranne i grammatici) si preoccupava di precisare se un determinato termine fosse tabù o meno.
Le fonti più antiche sono i frammenti sopravvissuti dei primi poeti lirici greci (600-500 a.C.), che a volte usavano un linguaggio osceno. Soprattutto la poesia giambica, un genere polemico e realistico, caratterizzato da un linguaggio offensivo, osceno e ridicolo. Il suo esponente principale è Ipponatte di Efeso (570-538 a.C.): pare fosse brutto e gobbo, e per reagire allo scherno dei suoi contemporanei componeva versi violenti e feroci.

Busto di Aristofane (1° sec. a.C.)

Altra fonte di rilievo, le commedie attiche del V e IV secolo a.C., che facevano spesso uso di oscenità e umorismo crudo. In questo campo, il sovrano indiscusso è il comico ateniese Aristofane (450-385 a.C.), il Checco Zalone dell’epoca: undici delle sue opere teatrali sono sopravvissute. A queste si aggiungono alcuni testi di lessicografi  ed enciclopedisti.
Ma come orientarsi nel lessico scurrile? Una risorsa formidabile è il dizionario online del lessico scurrile greco (sul sito translatum.gr), che mostra un arsenale notevole: è una raccolta di 1.300 lemmi, e già questo numero dà un’idea concreta di quanto fosse ricco il ventaglio di parolacce nell’antichità. Per fare un confronto, le volgarità nel dizionario italiano sono poco più di 300; salgono a oltre 3.000 solo includendo i termini arcaici o allusivi. Va detto, tuttavia, che in questo dizionario  figurano molti termini che non sono propriamente di registro volgare, da ἀποκόπτω (apokopto, castrare) a χασμώδης (chasmòdes, sonnolento). A questo limite si aggiunge la mancata indicazione delle fonti, tranne rare eccezioni.
Come dizionario, al posto del Rocci, ho utilizzato il GI di Franco Montanari (Loescher).
Alcuni spunti li ho tratti da un libretto antologico “Come insultavano gli antichi”(Melangolo), privo però di un inquadramento culturale. Decisamente meglio il libro “Insults in classical Athens” di Deborah Kamen, docente di lettere classiche all’Università di Washington. Contributi corposi sono tratti da alcuni eccezionali articoli del divulgatore storico Spencer McDaniel: il suo sito, talesoftimesforgotten.com, è ricco di notizie curiose  e interessanti sul mondo antico, al netto di alcune differenze sulla categorizzazione degli insulti. Utile anche uno studio sugli eufemismi di Paolo Martino.

Ho suddiviso le scurrilità elleniche  in 4 grandi categorie, seguendo l’impostazione teorica del mio libro: imprecazioni, maledizioni, insulti (comportamentali, etnici, mentali, escrementizi) e oscenità.

1. Imprecazioni

Anche gli antichi greci imprecavano usando i nomi di varie divinità. Le imprecazioni si costruivano prendendo la parola μά (per) e aggiungendo il nome della divinità al caso accusativo, insieme all’articolo: l’equivalente del nostro “per dio!”:

  • μά τòν Δία (mà tòn Día): “Per Zeus!”
  • μά τήν Ἥραν (mà ten Heran): “Per Hera!”
  • μά τήν Ἀθηνᾶν (mà ten Athenân): “Per Atena!”
  • γιγγρί (ghingrì): interiezione ingiuriosa traducibile con cazzo!, fanculo!, etc. (dal verbo γίγγρας, gridare)

Interessante notare che anche i Greci cercavano di non pronunciare invano il nome degli dèi, scegliendo eufemismi che usiamo ancora oggi: capperi (να τήν κάππαριν, per il cappero), porco cane (μέν τα κύνα, per il cane), porca l’oca (νά τòν χήνα), per l’oca) e cavolo (μά τήν κράμβην, per il cavolo).

2. Maledizioni

Tavoletta di piombo con incise le maledizioni. I fori sono stati lasciati dai chiodi (4° sec. a.C.)

In questo campo i Greci erano maestri indiscussi. Per augurare il male a qualcuno, facevano ricorso a vere pratiche magiche, come racconto più diffusamente nel mio libro. Prendevano un’unghia o un capello del nemico, pronunciavano su di esso la formula di maledizione e poi lo bruciavano o lo gettavano in un pozzo o in un fiume, con una tavoletta su cui era incisa la maledizione. A volte la tavoletta veniva fissata a una parete con i chiodi, come per trafiggere e inchiodare il destinatario. Nella formula erano citati, con un crescendo meticoloso, tutti gli organi del nemico fino alla sua anima. Gli archeologi hanno trovato numerose tavolette di questo genere.
Per quanto riguarda le espressioni più comuni, la più forte era βάλλ’ εἰς κόρακας (báll eis kórakas): “Vai dai corvi!“. La frase significa: che tu possa morire e restare senza sepoltura, in modo che i corvi mangino il tuo cadavere. Al di là dell’immagine truce, era la peggior maledizione per i greci: pensavano infatti che chi non fosse stato sepolto con un funerale rituale, non sarebbe mai entrato negli Inferi, vagando senza metà per l’eternità: la peggior disgrazia immaginabile. Da questa espressione deriva il verbo ἀποσκορακίζω (aposkorakìzo), mandare ai corvi: l’equivalente del nostro “mandare a quel paese”, dato che in questa espressione “paese” sta per “cimitero”, o mandare all’inferno. L’espressione ha avuto così fortuna da essere sopravvissuta nel greco moderno: “άει στον κόρακα” (aei ston kòraka). Con oltre 2mila anni di vita, è sicuramente il “vaffa” più longevo e antico della Storia.
A proposito di morte, l’equivalente del nostro “Va a morì ammazzato” è ἄπαγ᾽ εἰς τὸ βάραθρον (Àpag’eis tò bàrathron), letteralmente “vai nel baratro, nel precipizio”. Da segnalare anche le espressioni ἀποφθείρομαι (apoftheiromai) e ἀπòλοιο (apòloio) che tu sia distrutto, ρρε (èrre!) va in malora! e il notevole διαρραγείης (diarraghèies) scoppia!, crepa! equivalente del napoletano “puozze schiattà” (se volete approfondire le maledizioni in italiano e nei dialetti, ne ho parlato qui).
L’espressione ἐκκορηθείς συ γε (ekkorethèis sý ghè) significa “che tu sia spazzato via”: è l’equivalente del nostro “fuori dai coglioni”. Ma i Greci sapevano anche essere leggeri: l’espressione “datti all’ippica” (Iππευε, Ìppeue) è farina del loro sacco.

L'INVENZIONE DEL DITO MEDIO

La scultura L.O.V.E. di Maurizio Cattelan di fronte alla Borsa di Milano.

E’ il gesto insultante più noto al mondo, ed è un segno fallico: agitato di fronte a un interlocutore diventa un gesto di sfida, di scherno, di minaccia, dato che fra gli animali esibire il fallo è simbolo di preminenza ed autoaffermazione. Ebbene, questo gesto molto diffuso nella cultura angloamericana, è nato in area mediterranea nel 423 a.C., anno in cui Aristofane scrisse la commedia “Le nuvole”. O, quantomeno, questa è la testimonianza scritta più antica che abbiamo di questo gesto, che sicuramente era già molto diffuso ben prima di Aristofane.
Ai versi 650-654 della commedia c’è uno scambio di battute fra Socrate e Strepsiade, un vecchio e rozzo contadino. Il brano gioca il suo effetto comico sull’ambiguità del termine dàktulos, che significa dito ma è anche il dattilo, unità di misura della poesia (una sillaba lunga seguita da due brevi). Ecco lo scambio di battute:

SOCRATE: Ma va’ all’inferno, razza di cafone imbecille! Figurarsi coi ritmi come sei bravo

STREPSIADE: Roba che si mangia? A che mai potrà tornare utile?

SOCRATE: In primo luogo a figurare in società, distinguendo i ritmi di battaglia da quelli che si scandiscono col dito

STREPSIADE: Col dito?

SOCRATE: Sì

STREPSIADE: Ma quelli li conosco!

SOCRATE: E cioè?

STREPSIADE: Ecco qua il dito. Ce n’è un altro? A dir la verità, quand’ero ragazzetto, c’era questo [ e mostra il medio ]

SOCRATE: Sei uno stupido cafone.

3. Insulti

Il vocabolario dei Greci era molto ricco di insulti, che riflettono la loro mentalità snob, che disprezzava ignoranti, poveri e stranieri. I Greci insultavano in particolar modo chi svolgeva lavori umili: «sebbene gli ateniesi della classe operaia fossero cittadini a pieno titolo sia legalmente che ideologicamente, erano tuttavia ritenuti (da alcuni) inadatti a esercitare tutti i diritti di cittadinanza» spiega la professoressa Kamen. Dunque, termini come πονηρός (poneròs), plebeo, diventa sinonimo di miserabile, cattivo, mentre il termine αγοραίος (agoràios, letteralmente “piazzista”), mercante, aveva una sfumatura di disprezzo perché i mercanti erano visti come elementi estranei all’economia delle città-Stato. Di tutte le occupazioni umili, i pellettieri (σκυτοδέψης, skutodèpses) e i calzolai (σκυτοτόμος , skutotòmos) erano i più disprezzati perché all’umiliazione di un’attività manuale abbinavano una carnagione pallida, poiché restavano tutto il giorno chiusi in casa: «il pallore, infatti, era associato alla femminilità» ricorda la Kamen. Per una società guerriera quale era quella greca, il concetto di onore – ossia di reputazione pubblica – era centrale: «dire che qualcuno si sottraeva alla leva o mostrava codardia sul campo di battaglia, anche per scherzo, significava metterne in discussione le qualifiche e la capacità di prestare servizio cittadino in una polis democratica» aggiunge la Kamen.
Se qualcuno diceva insulti pesanti contro un defunto, era passibile di giudizio per κακηγορία (kakēgoría, insulto verbale);  i vivi potevano intentare una causa solo se erano stati insultati davanti ad altri testimoni (come nella moderna diffamazione): ma doveva condividere la multa del risarcimento con lo Stato. Gli insulti puniti più duramente erano quelli che implicitamente accusavano qualcuno di aver commesso un reato: assassino, disertore, e simili. In termini moderni, i casi di calunnia.
Fra gli insulti generici si ricordano κατάῥατος (kataràtos) maledetto (da araomai, pregare, nel senso di imprecare, maledire) e παγκατάρατος (pankatàratos) stramaledettissimo.

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INSULTI COMPORTAMENTALI
 

  • ἄγρειος (agreios) zotico, cafone, lett.: contadino
  • ἄνανδρος (ànandros): debole, codardo, lett: non-uomo
  • κλέπτης (klèptes): ladro, imbroglione (da cui cleptomane)
  • νόθος (nòthos): bastardo (figlio illegittimo), falso
  • οἰνοπίπης (oinopipes): ubriacone
  • πανοῦργος (panoùrgos): farabutto, lett.: capace di qualunque cosa
  • προκύων (prokùon) leccaculo, letteralmente “uno che fa come un cagnolino”
  • φλύαρος (flùaros) ciarlatano, cazzaro

INSULTI MENTALI
 

Femmina di locusta mentre depone le uova.

Gli insulti in questa categoria mostrano quanto i Greci dessero valore alla conoscenza, disprezzando gli stolti, gli ignoranti e  gli appartenenti alle classi sociali più basse. Anche loro, quando volevano disprezzare qualcuno, lo paragonavano a un animale, dagli insetti al bestiame.

  • ἄγγαρος (àngaros) stupido, lett.: corriere postale a cavallo
  • ἀμαθής (amathès) stupido lett. ignorante
  • ἀναίσθητος (anaìsthetos) stupido, lett.: insensibile
  • βαρυεγκέφαλος (baruenkèfalos) stupido, lett.: testa pesante
  • βρόκων (bròkoon) zoticone, lett.: locusta o larva di locusta
  • ἐμβρόντητος (embròntetos) rintronato (da un tuono), rincoglionito
  • ἐνδεητικός (endeetikòs) deficiente
  • ἑνδεκάκλινος (endekàklinos) a 11 posti, detto di testa molto grande (testone, crapone)
  • ἑτερεγκεφαλάω (eterenkefalào) essere fuori di testa, lett.: avere il cervello spostato
  • εἰκαιολόγος (eikaiològos) stupido, ciarlatano, cazzaro, lett.: che parla a caso
  • ἰδιώτης (idiòtes) strano, eccentrico (per noi “idiota” significa stupido)
  • κεπφαττελεβώδης (kepfattelebòdes) scemo, lett.: dal cervello di gabbiano e di locusta
  • κριόμυξος (kriòmuxos) scemo come un montone (pecorone)
  • παχύφρων (pachùphron) tardo di mente lett.: “mente grossolana”
  • ὑηνεύς (ueneùs) porco, grossolano.

INSULTI ETNICI
 

Rovine di Corinto: tempio di Apollo e Acrocorinto

Ho inserito in questa categoria un gruppo di insulti di vario genere (a sfondo sessuale, comportamentale, mentale) che però mostrano, nella loro etimologia, un originario disprezzo o visione stereotipata verso una determinata popolazione. I più bersagliati erano gli abitanti di Corinto e di Lesbo, per i loro costumi sessuali considerati dissoluti.

  • ἀβδηριτες (abderites): stupido, sempliciotto, lett.: abitante di Abdera
  • ἀνδροκόρινθος (androkòrinthos): letteralmente “corinzi maschi”, significa città di prostituti, Puttania
  • βοιωτία (boiotìa) balordo, letteralmente “abitante della Beozia”: il termine italiano “beota” deriva proprio da questa parola
  • βάρβαρος (bárbaros), balbuziente, straniero, rozzo, incivile. Barbaro, per l’appunto
  • κορινθιάζομαι (korinthiázomai)  Questo verbo significa  “comportarsi come un corinzio”, ma, poiché la città di Corinto era famosa nell’antichità per le sue numerose prostitute di alto ceto, il verbo significa “andare a con una prostituta”.
  • κορινθιαστης (korinthiastes): uno che frequenta Corinto = puttaniere
  • κυσολάκων (kysolákòn) “culo spartano”, un uomo che fa sesso anale, con un maschio o con una donna: i Greci pensavano che gli spartani preferissero il sesso anale rispetto a quello vaginale.
  • λεσβιάζω (lesbiázō) deriva dal nome dell’isola greca di Lesbo. Significa letteralmente “comportarsi come una persona di Lesbo”, ma l’omosessualità femminile non c’entra: l’espressione significa infatti “praticare un rapporto orale” (sbocchinare), poiché i Greci pensavano che questa pratica fosse la specialità o l’invenzione delle donne di Lesbo.

INSULTI ESCREMENTIZI
  Diversi insulti sono costruiti usando i termini che designano gli escrementi: κόπρος (kópros, da cui coprolalia), σκῶρ  (skôr). Da segnalare che il termine “cacca” nasce dal greco antico κάκκη (kakke) merda, a sua volta derivato da kακός (kakòs), brutto, cattivo.

  • ἀποκοπρόομαι (apokopròomai) diventare merda
  • βδύλλω (bdùllo) cagarsi addosso (per qualcosa)
  • βόλβιτον (bólbiton) significa letteralmente “merda di bue” equivalente dell’inglese bullshit
  • κοπροφάγος (koprophágos) “mangia merda”
  • κοπρίας (koprìas) sconcio buffone
  • κοπριήμετος (koprièmetos) vomitatore di escrementi.
  • κροκοδιλέα (krokodilèa) sterco di coccodrillo
  • κύνεια (kuneia) sterco di cane
  • σπύραθος (spùrathos) merda di capra.
  • σκερβόλλω (skerbòllo) insultare, lett.: gettare merda, smerdare

INSULTI FISICI

Ricostruzione digitale dei bronzi di Riace (5 sec. a.C.)

Gli insulti fisici (denigrare l’aspetto di una persona) sono diffusi in tutte le culture. In greco hanno una valenza particolare: nella cultura ellenica, il brutto è anche cattivo. Ovvero, l’aspetto fisico repellente è considerato sempre espressione di una bruttezza dell’animo, i due elementi viaggiano sempre insieme: è la kalokagathia, ciò che è bello non può non essere buono e ciò che è buono è necessariamente bello.

  • ἀινòδρυπτος (ainodruptos) cozza, donna molto brutta (lett. lacerata)
  • αἰσχρός (aischròs): brutto, deforme, vergognoso
  • μαλακός (malakós), significa “molle”, ma, quando è usata per descrivere un uomo, implica che è debole, codardo ed effeminato, sessualmente dissoluto.
  • νωδός (nodòs) sdentato, indebolito
  • σορέλλη (sorèlle) vecchia mummia

4.Le parole del sesso

Scena erotica su ceramica apula (4 sec. a.C.)

Il lessico osceno è ricchissimo, ed è normale: anche le lingue moderne sfruttano la forza dei tabù sessuali per creare espressioni volgari, utilizzate non solo per designare genitali e atti sessuali, ma anche per stigmatizzare comportamenti considerati aberranti o esecrabili (come l’adulterio, la prostituzione, il sesso anale e orale,  come vedremo). I termini erotici, infatti, esprimono anche una visione morale e sociale. Ma prima di illustrare quest’ultima, parto dai termini osceni, che designano genitali, zone erotiche e atti sessuali. Da notare che già le antiche greche usavano i dildo in pietra, cuoio, o legno: forse perché i loro partner erano spesso impegnati in guerre, politica o esercitazioni militari.

Termini osceni[ per leggere, apri la finestra cliccando sulla striscia blu qui sotto ] 

ANATOMIA
Anatomia generale

  • βορβορόπη (borborópē) Questa parola significa letteralmente “pozza di fango”, cioè ano
  • κῶλος (kòlos) culo, la parola italiana arriva da questa radice greca
  • ὄρρος (órrhos) ano
  • πρωκτός (proktós) ano, da cui il termine proctologo
  • πυγή (pugè) culo
  • φύσις (fysis) genitali (“natura”)

Anatomia maschile

  • κέντρον (kèntron) “pene eretto”.
  • μύκης (mùkes) cazzo, lett.: fungo (da noi: cappella)
  • πέος (péos) cazzo (la radice confluisce nel termine “pene”)
  • δίδυμα (diduma) gemelli, riferimento ai testicoli o alle ovaie
  • ἄγκυρα (ankura) genitali, lett.: ancora (carico pendente, zavorra)

Anatomia femminile

Statua di una baccante addormentata (2° sec. d.C.)

  • βόλβα (bolba) fica
  • δακτυλίδια (daktulidia) fica, ano (letteralmente: ditalino)
  • δέλτα (delta): fica, un riferimento alla lettera greca che, maiuscola, è un triangolo (Δ)
  • κύσθος (kýsthos) genitali femminili (da kùsos, ano); da questa radice deriva il latino cunnus che ha dato origine allo spagnolo coño, al francese con e all’inglese cunt. Termini che in tutte queste lingue hanno una funzione spregiativa, dovuta al fatto che nell’antichità la vulva poteva essere facile veicolo di infezioni e malattie veneree
  • λειμών (leimòn)  genitali femminili, lett.: prato  “genitali femminili
  • μύρτον (myrton), mirto: genitali femminili (il fiore è bianco, colore femminile, e i pistilli ricordano i peli pubici)
  • ῥόδον (ròdon) fica, lett.: rosa (basti pensare al medievale “Roman de la rose”)
  • σέλινον (sèlinon) fica, lett.: sedano
  • χελιδών (chelidòn) fica, lett.: rondine
  • χοῖρος (choîros) maialino,  genitali femminili: forse per la somiglianza fra i peli della vulva e quelli dell’animale (come nell’inglese “pussy”, gatta, o nell’italiano “topa”). Il dio Dioniso era conosciuto anche con l’epiteto di χοιροψάλας (choiropsàlas), “toccatore di fica”

ATTI SESSUALI

I Greci facevano le falloforie, processioni con grandi falli: propiziavano la fecondità dei campi (470 a.C.)

Cominciamo con il sesso orale. I Greci (e anche i Romani) pensavano che, in generale, essere penetrati fosse degradante; ma consideravano «particolarmente  degradante per una persona essere penetrati oralmente, perché la penetrazione orale implicava la contaminazione orale» spiega Spencer McDaniel. «La bocca è un organo che svolge funzioni sociali particolarmente importanti, poiché è l’organo principale utilizzato per la comunicazione. Per questo motivo, gli antichi greci erano estremamente preoccupati per l’importanza della purezza orale». Occorre ricordare, infatti, che la civiltà greca dava molto valore alla parola.
Ma ancor peggio della “fellatio” (rapporto orale su un uomo) i Greci giudicavano il “cunnilingus”, ovvero il rapporto orale su una donna: lo ritenevano, aggiunge McDaniel,  «l’atto sessuale più disgustoso, degradante e poco virile che chiunque potesse compiere su un altro essere umano era il cunnilingus, considerato l’unico modo in cui qualcuno potesse sottomettersi sessualmente a una donna. Per una persona sottomettersi sessualmente a una donna significava che la persona che si sottometteva era  inferiore  alla donna e anche meno virile di lei. Questo, a loro avviso, posizionava il cunnilinctor (o la cunnilinctrix) come il più basso e il meno virile di tutti gli esseri umani. Inoltre, il cunnilingus, come forma di sesso orale, portava lo stigma aggiunto dell’impurità orale. Proprio come il pene di un uomo, si credeva che la vulva di una donna contaminasse la bocca di una persona, rendendola impura e rendendo tossico il suo respiro». Ecco perché i rapporti orali (e anali) erano praticati per lo più con prostitute e schiavi.
Ecco una piccola lista di termini che si riferiscono ad atti sessuali:

  • βαυβών (baubòn) dildo di pelle. La città di Mileto in Asia Minore, era il principale esportatore di dildo di cuoio nell’Egeo: erano piuttosto diffusi in una società in cui gli uomini erano costantemente in guerra o in addestramento militare
  • βινέω (binéo) scopare.
  • γλωττοδεψέω (glottodepséo) “fare un pompino”.  La parola significa letteralmente “lavorare una cosa con la lingua  finché non diventa morbida
  • γλωσσοτέχνης (glossotèchnes) artista nell’usare la lingua
  • δέφω (dépho) masturbarsi (da δέψω, toccare)
  • δουλοκοίτης (doulokoites) fottitore di schiavi
  • κεράστης (keràstes) cornuto (da cui il termine “crasto” in siciliano): il termine però indica gli animali dotati di corna; l’adultero era designato con i termini γαμοκλόπος (gamoklòpos), λιπόγαμος (lipògamos), μοιχεύτρια (moicheùtria)
  • κολλοποδιώκτης (kollopodioktes) segaiolo: dal verbo kòllops (κòλλοψ), manovella, e διώkω (diòko), faccio muovere
  • κυνοικοίτης (kynoikoìtes) fottitore di cani
  • λαικάζω (laikázo)  a “fare un pompino”, da  λαικός, volgare, popolare, “laico”
  • μύζουρις (mýzouris) fellatio, sesso orale. È formato dalla combinazione del verbo μυζάω (muzáō), che significa “succhiare”, e il sostantivo οὐρά (ourá), “coda” ovvero “pene” (letteralmente succhiare la coda)
  • ὄλισβος (olisbos), dildo, fallo finto
  • πυγίζω (pygízo) “inculare” (da πυγή, culo).
  • τριβάς (tribás) “strofinare”,  in senso sessuale (la vulva sulla vulva di un’altra donna).
  • τρύπανον (trùpanon) trapano, anche in senso erotico

Etica sessuale

La gioventù di Bacco: dipinto di William-Adolphe Bouguereau (1884).

Se immaginate la civiltà greca come libertina e dissoluta, beh: sbagliate. In realtà, i Greci (e anche  i Romani) ponevano un forte accento sull’idea di moderazione e autocontrollo: la  σωφροσύνη (sophrosýne, per i Romani temperantia). Quindi bandivano tutti gli eccessi, compresi quelli sessuali. Pare che anche le orge, in realtà, fossero ben poco diffuse: secondo il professor Alastair Blanshard, della Scuola di ricerche filosofiche e storiche dell’università di Sydney, le orge dei Greci e dei Romani furono per lo più un’invenzione propagandistica dei cristiani, per dipingere come dissoluta la civiltà pagana. Lo stesso termine, “orgia”, significa di per sé culto segreto, cerimonia iniziatica, sacrificio: non ha alcuna implicazione sessuale. Ciò non toglie, tuttavia, che alcuni di questi riti potessero comprendere atti sessuali propiziatori della fertilità, ma a fini sacri, di congiungimento col divino.
I Greci, comunque, vivevano la sessualità in modo peculiare. Innanzitutto disprezzavano chiunque corteggiasse i ragazzi (della cosiddetta “pederastia” parlerò più avanti), non si sposasse o si masturbasse. Era considerato vergognoso e poco virile: nelle sue commedie Aristofane prende in giro incessantemente gli uomini di questo genere.  Sicuramente era una società guerriera e maschilista: a Sparta, dove gli uomini passavano gran parte del tempo fra loro, se un uomo non riusciva ad avere un figlio dalla moglie aveva il diritto legale di “prestarla” ad altri affinché la mettessero incinta, senza bisogno – pare – del consenso della donna.
E certamente i Greci non erano paladini dell’amore libertino: basti pensare non solo agli spregiativi riservati agli adulteri (μοιχαλίς moichalis, cornificatrice, adultera), ma anche a un verbo ῥαφανιδόω (rhaphanidóo): “ficcare un ravanello nel culo di qualcuno“. Era la punizione riservata a chi faceva sesso con la moglie di un altro, preceduta dalla depilazione del sedere con cenere calda o pece. Potrebbe sembrare poca cosa viste le piccole dimensioni, ma voglio ricordare che la sua radice è piccante grazie alla presenza di glucosinolati. Era dunque una umiliazione pubblica, una punizione popolare praticata dal marito tradito e dai suoi parenti o amici, che si prendevano la soddisfazione di ridicolizzare l’amante facendolo correre dolorante con il  ciuffo di foglie che usciva dal sedere. A questo si aggiungeva la possibilità, per il marito, di ristabilire il proprio onore uccidendo la moglie fedifraga.
Della punizione del ravanello parla, ancora una volta, Aristofane, sempre nelle “Nuvole”. C’è un dialogo fra due personaggi, “Discorso giusto” (la personificazione dei valori tradizionali) e “Discorso ingiusto” (i nuovi filosofi, capaci solo di ammaliare con le parole), in cui quest’ultimo esalta le capacità retoriche dicendo che possono salvare da situazioni difficili:

DISCORSO INGIUSTO: Se anche ti beccano in flagrante adulterio, basta dire che non hai fatto nulla di male e rovesciare tutto su Zeus: anche lui cede all’amore delle donne. Tu, che sei mortale, come puoi essere più forte di un dio?DISCORSO GIUSTO: E se per averti dato retta gli infilano un ravanello nel culo e lo depilano con la cenere calda, potrà negare di essere un rottinculo?

Scandalo e spregio – basti ricordare la vicenda teatrale di Edipo – erano riservati anche a chi commetteva incesto: μητροκοίτης (metrokoítès: lett: chi va a letto con la madre). In qualche modo è progenitore dell’inglese “motherfucker” (chi si fotte la madre), anche se quest’ultimo ha un significato metaforico più che letterale: significa “persona senza scrupoli, figlio di puttana, bastardo”.

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ESCORT E DINTORNI

In quest’ottica tradizionalista vanno intesi tutti gli spregiativi per designare le prostitute o in generale le donne dai “facili costumi”:

  • ἄβατος (abatos) vergine, lett.: impenetrabile = figa di legno
  • ἀνασεισίφαλλος (anaseisíphallos): “scuoticazzi”, insulto per una donna
  • ἀνεξικώμη (anexikome) puttana, lett.: donna che sostiene un intero villaggio
  • ἑταίρα (hetaíra) etera: prostituta di classe, escort.
  • ἐπίχαλκος (epichalkos) puttana, lett.: coperta di bronzo
  • ἵππος (ippos) puttana, lett.: cavallo
  • κάπραινα (kàpraina) troia (da κάπρος, cinghiale)
  • κασαλβάς (kasalbas) prostituta (da κάσας, capanna: in italiano, casino designa il bordello)
  • λαικάς (laikas) puttana
  • πανδοσία (pandosia) che si dà a tutti, di prostituta
  • πολιτική (politiché) puttana, lett.: donna pubblica (che i politici siano spesso puttane vale anche oggi)
  • πόρνη (pórnè)  puttana (da cui porno, pornografico)
  • πορνογέννητος (pornoghènnetos) figlio di puttana
  • χαλκιδῖτις (chalcidîtis) prostituta molto a buon mercato che farà sesso con qualsiasi uomo per una sola moneta di bronzo. – marchettara

FALLOCENTRISMO E PEDERASTIA

Adulto (erastès , amante) corteggia un giovane (eròmenos): gli insegnava il senso civico, la cultura e l’amore. In cambio, riceveva piacere fisico.

Per quanto riguarda la “pederastia”, ovvero i rapporti (molto diffusi) fra un uomo adulto e un adolescente (per legge sopra i 12 anni), occorre fare una precisazione importante: era innanzitutto una forma tradizionale e regolamentata di istruzione, nel quale gli adulti trasmettevano il sapere ai giovani. E comprendeva anche la pratica sessuale: una consuetudine frequente per una società maschilista e militare, nella quale gli uomini passavano gran parte del loro tempo fra loro. Ma attenzione: i Greci non erano propriamente omosessuali (nel senso moderno del termine) o bisessuali. Sarebbe fuorviante usare queste categorie. «Invece di pensare alla sessualità in termini di genere o generi da cui una persona era attratta, i greci la pensavano in termini del  ruolo che una persona assumeva durante il sesso» spiega McDaniel. «La concezione normativa della sessualità era estremamente fallocentrica e interamente incentrata sulla penetrazione del pene»: per loro il sesso doveva essere «un’attività in cui un uomo adulto libero doveva dimostrare la sua superiorità maschile usando il suo pene eretto per dominare una persona innatamente inferiore, come una donna, un adolescente o schiavo (tutti e tre considerati inferiori ai maschi liberi e adulti), penetrandolo in uno o più dei suoi vari orifizi. Penetrare era visto come tipicamente maschile, glorioso e superiore, mentre  essere  penetrato era visto come intrinsecamente femminile, vergognoso e inferiore. Per un uomo adulto essere penetrato da qualcuno era considerato la massima vergogna, una disgrazia contro la sua virilità».
In questo senso, quindi, vanno intesi gli spregiativi degradanti, riservati non agli omosessuali in quanto tali, ma a chi aveva un ruolo passivo nel rapporto. Giulio Cesare fu preso in giro tutta la vita per essersi concesso, da giovane, al re Nicomede IV di Bitinia.

  • ἁβροβάτης (abrobates) di andatura effeminata;
  • βάταλος (bátalos) ano, ma anche insulto per un omosessuale passivo (culo, culattone). Dal verbo bateo (βάτέω), montare
  • γυναικίζω (gynaikìzo) essere omosessuale; lett.: fare la donna (nel coito)
  • εὐρύπρωκτος (eurýproktos) “dal culo largo”. Si riferisce a una persona che è stata penetrata analmente così tante volte che il suo ano è spalancato: culattone, culo rotto
  • καταπύγων (katapùgon), piglianunculo / dito medio (lett: attraverso il culo)
  • κατωμόχανος (katomóchanos) con il culo aperto fino alle spalle (perché sfondato)
  • κίναιδος (kínaidos) omosessuale passivo  (da kineo, sbattere)
  • κινέομαι (kineomai) essere sbattuto (kineo ha la stessa radice di cinema, movimento)
  • λακαταπύγων (lakatapùgon) rottinculo; pigliainculo;
  • λακκόπρωκτος (lakkpèrpktos) omosessuale sfondato, lett.: col culo a cisterna
  • πισσοκόπος (pissokopos) chi si depila con la pece, un frocio
  • πυγάργος (pugàrgos) vile, lett.: che ha il culo bianco (in quanto depilato): è un insulto omofobo
  • χαυνοπροκτòς (chaunoproktòs) dal culo molle

LESBISMO

Tazza che raffigura la toeletta di due etere (480 a.C.)

I Greci erano però più tolleranti se si parlava di omosessualità femminile, precisa McDaniel: il lesbismo, termine che deriva dall’isola di Lesbo (ma per gli antichi greci, le donne di Lesbo erano specializzate nella fellatio). Pare che, soprattutto a Sparta, anche le ragazze adolescenti prendessero donne adulte come amanti, una sorta di pederastia femminile. In ogni caso, per i Greci i rapporti saffici (dalla poetessa Saffo, che in realtà era bisessuale, secondo i canoni moderni) non erano considerati veri rapporti, dato che non c’era un uomo che penetrava. I termini che designano le lesbiche erano γυναικεραστρια (gynaikerastria, lett. amante donna), ἑταιρίστρια  lesbica (etairistria, amante etera), σαλμακìς (salmakìs) e  τριβάς (tribàs: vuol dire consumato, riferito al materasso), e questi termini designano anche le prostitute.

In sintesi, i Greci (e anche i Romani) percepivano come innaturale, immorale e vergognoso qualsiasi atto sessuale in cui un uomo adulto nato libero mostrasse sottomissione. Per capire quanto fosse complessa la loro etica, ricorda McDaniel, questi atti sessuali stigmatizzati includono:

  • una donna (o un uomo) con un ruolo passivo nel sesso, ovvero penetrato
  • una donna che succhia il pene di un uomo (perché controlla l’atto e non è una semplice ricevente passiva)
  • un uomo che esegue il cunnilingus su una donna (perché l’uomo si sottomette alla donna)
  • una donna che penetra un uomo o un ragazzo con un dildo (perché questo rappresenta un’inversione di ciò che percepivano come l’ordine naturale)
  • un maschio adulto che si masturba (perché questo dimostra che non è abbastanza dominante e mascolino da trovare una donna, un adolescente o una persona schiava da penetrare)
  • una donna che ha qualsiasi tipo di relazione sessuale con un’altra donna (perché rappresenta una donna che tenta di assumere il ruolo che credevano dovesse essere ricoperto da un uomo).

Altro che libertini…

Questo articolo è dedicato al prof. Vittorio Praga, che mi ha aperto le porte del Greco antico, questa meravigliosa lingua, per i 5 anni del liceo classico.
E ha pure rivisto questo articolo.
Grazie prof!

Di questo studio hanno parlato AdnKronos, Rtl 102.5,  La Sicilia, Cremona Oggi, Tiscali cultura, La Svolta, Meteoweb, Day Italia news, Crema oggi, Tv7, La cronaca 24

E ne ho parlato anche a Radio Rai 1 nel programma Il Mondo nuovo

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4 Comments

  1. cavolo… bisogna divulgare maggiormente queste informazioni, non mi piace quando si vuole far credere che “anticamente” tutto fosse concesso, poi arrivò il medioevo brutto e cattivo e poi siamo arrivati noi “moderni”.

    • Sì, purtroppo è una distorsione frequente: di solito il passato più antico viene mitizzato, “tutto era perfetto”… Invece la realtà è molto più complessa. Sia ieri che oggi

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