I suoi esponenti hanno scritto pagine importanti nella storia d’Italia, dal Medioevo fino al secolo scorso. Sono stati notai, condottieri, benefattori e politici di primo piano. Nonostante un cognome a dir poco ingombrante: Coglioni, poi ingentilito, col passare dei secoli, in Colleoni. Ma gli antichi membri di questa stirpe nobile di Bergamo erano invece molto orgogliosi di questo appellativo così diretto, tanto da averlo inserito nel proprio stemma ufficiale: uno scudo con 3 paia di testicoli. Che sono finiti, tali e quali, nel gonfalone ufficiale del Comune di Cavernago (Bg) e sul logo di una delle più antiche fondazioni benefiche, il Luogo Pio della Pietà Istituto Bartolomeo Colleoni di Bergamo. E quegli attributi virili sono oggetto di un rituale scaramantico in uso fra i visitatori di Bergamo: toccare i testicoli dello stemma inciso sulla cancellata della Cappella Colleoni di Bergamo è considerato un porta fortuna.
In questo post racconto la storia eccezionale – per non dire unica – di questa famiglia, che ha fra i propri esponenti il celebre condottiero Bartolomeo Colleoni (circa 1395-1475), ritratto in una famosa statua equestre realizzata a Venezia da Andrea Verrocchio.
Il capostipite: Ghisalberto “il Collione”
La famiglia Coglioni, d’origine longobarda, era una stirpe nobile di guelfi, in buoni rapporti con la Chiesa di Bergamo. Il suo primo rappresentante fu Ghisalberto Attonis (figlio di Attone) vissuto nel XII secolo: fu console della città di Bergamo nel 1117, e morì nel 1160.
Ghisalberto era detto “Collione”, dal latino “coleus”, scroto. Il passaggio è: coleus → coleonis (genitivo) → coleone → colione.
Non sappiamo perché si guadagnò quel soprannome: ma, con ogni probabilità, l’epiteto non aveva un senso insultante.
Secondo il Grande Dizionario della Lingua Italiana (Gradit) la prima attestazione di “coglione” nel significato di “stupido” risale infatti al 1526, in Pietro Aretino (“La cortigiana”): «Io sono in opinione che questo per essere coglione in cremesi, scempio di riccio sopra riccio e goffo di ventiquattro carati diventi il più favorito di questa Corte». All’epoca di Ghisalberto, invece, “collione” designava solo lo scroto. La parola, però, era usata già dagli antichi Romani come metafora per indicare coraggio: “Magnum coleum habet”, ovvero “Ha grandi testicoli.” Anche oggi per indicare una persona in gamba diciamo che “ha le palle”. L’equivalente di “cazzuto”, insomma.
«Anch’io mi sono fatto questa idea» commenta lo storico medievale Gabriele Medolago, autore di diversi saggi sui Colleoni. «Ghisalberto fu console del Comune di Bergamo: non doveva essere stupido. Era un imprenditore abile, molto intraprendente. Da quanto si evince dalla documentazione dell’epoca, era uno che sapeva il fatto suo».
Dunque, “collione” indicava una persona virile. Forse anche dal punto di vista generativo: Ghisalberto ebbe infatti 5 figli, ma nel Medioevo era piuttosto frequente. E’ da escludere, invece, l’ipotesi che Ghisalberto soffrisse di poliorchidismo, una malattia che consiste nel nascere con più di 2 testicoli: non vi è alcuna prova documentale che lo attesti.
Il soprannome “Coglione” diventò poi ereditario, cioè fu trasmesso ai suoi discendenti, perché a quell’epoca era iniziato il processo di cristallizzazione dei cognomi. Questi ultimi diventarono un elemento ufficiale dell’identità a partire dal Concilio di Trento (1563), che stabilì l’obbligo di scrivere nomi e cognomi sui registri di battesimo, la prima forma di anagrafe.
Diventando un cognome, l’appellativo di famiglia fu declinato al plurale Colleoni perché indicava una stirpe (de Collionibus) , così come il soprannome “rosso” (di capelli) ha dato origine al cognome Rossi.
Ma, in assenza di anagrafe e carte d’identità, il cognome fu scritto nei modi più diversi: Coglione/Coglioni, Culione, Colonibus, Colonius, Coijoni, De Coglionis, de Coleono, Collionum, Collionis/Collioni, Colleoni.
Lo stemma con i testicoli
Verso la fine del XIII secolo, il cognome Coglioni fu illustrato, com’era tradizione per i nobili, da uno stemma. Il casato fu rappresentato con uno stemma parlante: ovvero con figure che richiamavano direttamente il cognome. Ad esempio, la famiglia Della Torre aveva una torre al centro del proprio stemma. E quale immagine poteva scegliere la famiglia Coglioni se non… uno scroto?
«La famiglia Colleoni ebbe, nel corso della storia, centinaia di diversi stemmi, che si sono avvicendati nel corso delle generazioni, inserendo nuovi elementi a seconda dei matrimoni con altri casati o a ricordo di imprese o per esibire nuove cariche» spiega Medolago. «Lo stemma con lo scroto è uno dei più antichi in assoluto nella storia d’Italia: il primo risale alla fine del XIII secolo o all’inizio del seguente. Poi nel corso del tempo, gli scroti si sono moltiplicati, arrivando a 2 o 3 o più: non sembra esserci un particolare significato simbolico, la figura è usata come mero elemento ornamentale per non lasciare spazi vuoti. E’ il fenomeno della “moltiplicazione araldica”».
Nella sua forma matura, lo stemma dei Coglioni presentava un aspetto “troncato” (cioè diviso da una linea orizzontale): rosso con due scroti bianchi in alto, bianco con uno scroto rosso in basso. Il rosso simboleggia audacia, valore, fortezza, nobiltà ma anche spargimento di sangue in battaglia o nel martirio. Mentre l’argento, rappresentato dal colore bianco, è simbolo di innocenza, purezza e castità: un significato che stride con la presenza dei testicoli, ma solo agli occhi di un moderno. L’uomo del Medioevo era abituato a leggere e interpretare i simboli e non si scandalizzava per l’uso iconico di elementi sessuali. «L’ostentazione dei testicoli nello stemma è un’ulteriore riprova che venissero esibiti con orgoglio, a rappresentare una stirpe “con gli attributi”» osserva Medolago.
Le modifiche più rilevanti allo stemma avvennero nel XV secolo per merito delle imprese di Bartolomeo Colleoni (di cui parlo sotto): l’aggiunta di due teste di leone con le fauci spalancate e unite da una banda diagonale concesso dalla regina Giovanna II di Napoli; l’inserimento del capo d’Angiò (gigli d’oro in campo azzurro), concesso da Renato d’Angiò; e le bande azzurro e oro e i gigli di Borgogna, concesse da Carlo il Temerario di Borgogna.
Il grido di battaglia: coglia!
Fu proprio con Bartolomeo (1395-1475) che l’appellativo Coglioni raggiunse grande fama in Italia e in Europa. Egli era un soldato di ventura (oggi diremmo un mercenario), ed era una forza della natura: scappò a nuoto da una nave di pirati che l’avevano catturato; riuscì a evadere dai Forni (prigioni) di Monza dove l’aveva fatto rinchiudere Filippo Maria Visconti. E fu il primo a usare in modo significativo le armi da fuoco in battaglia contro i nemici: prima di lui, si usavano solo per abbattere le mura nemiche.
Tutti i potenti dell’epoca lo volevano dalla propria parte, o quantomeno non volevano averlo come nemico, per la fama d’astuzia e di ferocia che precedeva “il bergamasco”: «Asciutto in volto, con gli occhi chiari, fissi e penetranti, forti il naso e le narici, grande, vigorosa e imperiosa la bocca, sporgente il labbro inferiore, in atteggiamento di prepotenza soldatesca …ebbe l’avidità delle ricchezze, e uno sfrenato desiderio di gloria e di grandezza» scrive Bortolo Belotti in “La vita di Bartolomeo Colleoni”.
Bartolomeo cambiò molte casacche nella sua carriera, navigando fra mille intrighi e cambiando rotta a seconda dei venti politici: oscillò tra i Visconti e gli Sforza, per approdare infine al committente più prestigioso: Venezia. Che alla fine della sua carriera gli tributò l’onore di dedicargli una statua equestre: onore interessato, visto che fu lo stesso Bartolomeo a pretendere un monumento in cambio di 100mila zecchini d’oro che avrebbe lasciato in eredità alla Serenissima. La statua, alta 4 metri, fu realizzata in bronzo da Andrea del Verrocchio, ed è tuttora uno dei monumenti equestri più celebri al mondo. Bartolomeo aveva dato disposizioni che la statua fosse eretta in piazza San Marco: ma i veneziani, che non tolleravano questa smania di protagonismo (per di più da parte di un bergamasco), lo collocarono sì vicino a San Marco…. intesa come la Scuola Grande di San Marco, nella piazza dei Santi Giovanni e Paolo. Una beffa.
Il letterato Antonio Cornazzano, che dimorò presso la corte di Bartolomeo a Malpaga e ne scrisse la biografia in latino, lo chiama Bartholomeus Coleus cioè scroto. La stessa forma venne usata da Guglielmo Pagello nell’orazione funebre alla morte del condottiero. Lo stesso Bartolomeo si firmava “de Colionibus”.
Il condottiero era talmente orgoglioso del proprio cognome da farne un temuto grido di guerra: «Coglia, coglia!», cioè «Coglioni, coglioni!». Come dire: «Tiriamo fuori le palle!». L’espressione è diventata il nome di un progetto, Coglia, che si propone di valorizzare la figura di Bartolomeo.
Quest’ultimo, in vita, continuò a rappresentare i testicoli nel suo stemma, composto (come scrisse in un atto pubblico) da «duos colionos albos in campo rubeo de supra et unum colionum rubeum in campo albo infra ipsum campum rubeum» («due coglioni bianchi su sfondo rosso, e un coglione rosso su sfondo bianco sotto») seguiti dal motto “Bisogna”.
Quello stemma fu riprodotto in tutti i suoi palazzi: il castello di Malpaga (frazione di Cavernago), il palazzo Colleoni alla Pace a Brescia e infine nella maestosa cappella funebre Colleoni a Bergamo. Al palazzo di Brescia alcuni dipinti raffigurano fanciulle con in mano enormi scroti, come potete vedere nelle foto qui a lato.
Dallo scroto ai leoni
Dopo la scomparsa di Bartolomeo, la stirpe dei Coglioni non ebbe rappresentanti altrettanto celebri. E nei secoli successivi la censura pose fine a quel cognome licenzioso: «Nel periodo che segue al Concilio di Trento (1545-1563)» scrive Gianfranco Rocculi in un saggio sull’araldica, «i testicoli dello stemma furono convertiti in altrettanti cuori rovesciati: durante la Controriforma, infatti, non appariva decoroso mostrare quegli attributi “di potenza e virilità” che erano stati tanto in auge nel carnale e corrusco Medioevo». E Coglioni cedette il passo alla più neutrale forma Colleoni, che per diverso tempo fu – erroneamente – interpretata come “Co’ leoni”, anche perché i leoni furono effettivamente presenti nello stemma concesso a Bartolomeo dalla regina Giovanna II di Napoli. Probabilmente la forma Colleoni si diffuse dopo il 1600, dato che ancora nel 1596 è citato come Bartolomeo Coglione nel libro “Ritratti di cento capitani illustri con li loro fatti in guerra brevemente scritti intagliati da Aliprando Caprioli” .
Dopo che l’Italia settentrionale passò sotto il dominio austriaco a partire dal XVI secolo, i Colleoni si schierarono con gli Asburgo: essendo una delle 64 famiglie di conti, la famiglia aveva una sede ereditaria nell’Herrenhaus, la camera alta del Consiglio Imperiale austriaco. L’ultimo esponente di spicco della famiglia fu Guardino Colleoni (1843-1918) eletto due volte deputato e poi senatore a vita.
Oggi nel Bergamasco ci sono ancora 987 famiglie che portano il cognome Colleoni: in tutta Italia sono 1.380. Chissà se conoscono la vera origine del proprio appellativo. L’antico stemma testicolare è tuttora presente nel gonfalone ufficiale del Comune di Cavernago, nel cui territorio sorgono due castelli di Bartolomeo, quello di Cavernago e quello di Malpaga.
Ed è tuttora in attività il “Luogo Pio della pietà – Istituto Bartolomeo Colleoni“, da lui fondato a Bergamo nel 1466 “per fornire doti alle fanciulle povere e legittime, al fine di facilitarne il collocamento in legittimo matrimonio”. Oggi l’ente – uno dei più antichi al mondo ancora in attività – mantiene il patrimonio artistico di Colleoni e aiuta le donne in difficoltà. Il suo logo ufficiale ha mantenuto i 3 scroti dell’antico stemma.
Nel frattempo si è diffusa una singolare tradizione a Bergamo: quella di toccare con le mani i testicoli raffigurati sullo stemma del cancello della Cappella Colleoni. Un gesto considerato porta fortuna, come lo è a Milano schiacciare con il tacco i testicoli del toro (simbolo di Torino) disegnato in un mosaico sul pavimento della Galleria Vittorio Emanuele II. I testicoli sono simbolo di fecondità e in questo risiede il loro beneaugurante potere.
Questo articolo è stato ripreso da BergamoNews
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