Cronaca e commenti | Parolacce https://www.parolacce.org L'unico blog italiano di studi sul turpiloquio, dal 2006 - The world famous blog on italian swearing, since 2006 - By Vito tartamella Thu, 02 Jan 2025 09:50:11 +0000 it-IT hourly 1 https://www.parolacce.org/wp-content/uploads/2015/06/cropped-logoParolacceLR-32x32.png Cronaca e commenti | Parolacce https://www.parolacce.org 32 32 Parolacce: la “Top ten” dell’anno 2024 https://www.parolacce.org/2025/01/01/parolacce-top-ten-del-2024/ https://www.parolacce.org/2025/01/01/parolacce-top-ten-del-2024/#respond Wed, 01 Jan 2025 10:17:32 +0000 https://www.parolacce.org/?p=21303 Quali sono state le parolacce più notevoli del 2024, in Italia e nel mondo? Anche quest’anno ho preparato la classifica dei 10 insulti più emblematici dell’anno appena concluso. Un periodo segnato, oltre che da forti contrapposizioni politiche e guerre (due… Continue Reading

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Quali sono state le parolacce più notevoli del 2024, in Italia e nel mondo? Anche quest’anno ho preparato la classifica dei 10 insulti più emblematici dell’anno appena concluso. Un periodo segnato, oltre che da forti contrapposizioni politiche e guerre (due ambiti nei quali il turpiloquio impera), anche da episodi clamorosi, come la parolaccia papale, entrata di dirittonella “Top Ten”. La premier Giorgia Meloni, prima donna a diventare presidente del Consiglio, entra in classifica con due episodi: un esordio col botto, anche se non è la prima volta che accade a un premier. Era già avvenuto con Silvio Berlusconi, presente in 3 Top Ten degli anni passati (i link sono alla fine dell’articolo), e anche con Enrico Letta. Senza contare Vittorio Sgarbi e Morgan, ormai degli habituè in questa classifica.
Ma dal mio punto di vista in questo 2024 c’è stata una questione ancora più emblematica: la crociata contro le parolacce in Formula 1 (e anche nel basket NBA). Per la prima volta, infatti, inserisco nella Top Ten qualcuno che non ha detto volgarità, ma ha tentato – in modo insensato – di eliminarle

 La classifica 2024

1) FORMULA 1

Mohammed Ben Sulayem (presidente della Fia): tolleranza zero contro le parolacce.

20 settembre 2024

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IL FATTO

 Il presidente della Federazione Internazionale Automobilismo (Fia), l’ex pilota di rally emiratino Mohammed Ben Sulayem, a settembre aveva rilasciato un’intervista ad “Autosport” lanciando la lotta contro il turpiloquio dei piloti. «Dobbiamo differenziare il nostro sport dalla musica rap. Noi non siamo rapper, eppure quante volte al minuto i piloti dicono parolacce? Noi non siamo così, è una cosa che fanno i rapper, non noi. Bisogna pensare che ci sono anche dei bambini che guardano le gare. Immaginate di essere seduti con i vostri figli a guardare la gara e che qualcuno dica tutto questo turpiloquio. Cosa direbbero i vostri figli o nipoti? Che cosa gli stiamo insegnando sul nostro sport?». Affermazioni del tutto condivisibili, in linea di principio. Anche se il paragone con il rap non è stato felice: anzi, per  Lewis Hamilton, pilota di colore, era una forma surrettizia di razzismo. «Non mi piace come si è espresso. Dice che i rapper sono volgari, e la maggior parte di loro sono neri. Se poi aggiunge ‘Noi non siamo come loro’, diventano parole sbagliate».

Max Verstappen (Oracle Red Bull Racing)

Ma Sulayem ha tirato dritto. E quando, giorni dopo, a Max Verstappen è sfuggita una parolaccia, lo ha subito punito. Durante una conferenza stampa, il campione del mondo in carica si era lasciato andare a uno sfogo contro la sua Red Bull, meno veloce in Azerbaigian rispetto a quella del compagno di squadra: «Non lo so perché, impostazioni diverse. Appena ho iniziato le qualifiche sapevo che la macchina era fottuta (fucked)». Verstappen è stato redarguito dalla Fia e condannato ai “lavori socialmente utili”, come prevede il regolamento (un pomeriggio  passato da Verstappen insieme ai giovani studenti del politecnico di Kigali, in Ruanda).
Il pilota – un campione che a soli 27 anni ha raggiunto primati storici – nella conferenza stampa successiva, per protesta, ha risposto a monosillabi alle domande dei giornalisti. Una forma di protesta, come dire “Non si può dire niente”. In un’intervista si era sfogato dicendo: “Quando non puoi più essere te stesso e quando devi affrontare tutte queste cose stupide, vien voglia di mollare tutto”.

Ma il presidente della Fia ha tirato dritto. E ha proseguito nella “tolleranza zero” contro il turpiloquio. Un mese dopo, durante le interviste del dopo gara in Messico, a Charles Leclerc ne è scappata un’altra: “Ho avuto un sovrasterzo prima da un lato e poi dall’alto e quando ho ripreso il controllo ho pensato: cazzo (fuck)… e poi per fortuna…”. Si è subito scusato, ma gli è stata comminata una multa di 5mila euro. A quel punto l’associazione dei piloti (Grand Prix Drivers Association ) ha scritto un comunicato senza precedenti: “Per quanto riguarda le parolacce, c’è differenza tra quelle usate intenzionalmente per insultare qualcuno e quelle casuali, come quando si descrive il maltempo o una situazione di guida. Per questo esortiamo il Presidente della Fia a misurare il suo tono quando si riferisce ai nostri piloti. Sono adulti e non hanno certo bisogno di consigli su questioni banali, come indossare gioielli o delle mutande”.

Una lezione di vita e di linguistica. Già, perché in ambo i casi le espressioni usate dai piloti erano espressioni enfatiche: erano un modo colorito di rafforzare un concetto, uno sfogo emotivo. Senz’altro scurrili, ma non insultavano nessuno. Erano uno stile comunicativo, proprio come i gioielli o le mutande lo sono per l’aspetto. Obiezione ineccepibile.

Ma c’è un’obiezione di fondo ancor più importante che andrebbe fatta al presidente Sulayem, il quale vuole estendere la censura linguistica anche alle comunicazioni via radio fra i piloti e il loro team durante le gare. Come può pretendere di tappare la bocca a piloti che rischiano la vita correndo a più di 300 km orari? Senza contare le pressioni mediatiche (le gare sono in mondovisione) e quelle economiche (per gestire una scuderia occorrono 90 milioni di euro, senza contare gli interessi degli sponsor). 

Per molto meno, quando noi siamo in automobile, nel traffico, se qualcuno ci taglia la strada imprechiamo senza limiti. Perché anche in questo caso, nel nostro piccolo, viaggiare in auto mette in gioco la sopravvivenza e il denaro (se si rompe l’auto). Lo aveva evidenziato anche una ricerca che avevo raccontato qui.

Dunque, è una crociata insensata quella di impedire ai piloti di sfogarsi. Del resto, come avevo scritto in un altro articolo, molti modi di dire evidenziano che chi fa un lavoro duro impreca più degli altri (bestemmiare come un camallo/facchino/marinaio). Se la Formula 1 vuole essere meno “diseducativa”, l’unico intervento efficace è non trasmettere in tv le comunicazioni fra piloti e team durante le gare.

2) PAPALE PAPALE

Papa Francesco: «C’è già abbastanza frociaggine nei seminari».

Roma, 20 maggio 2024

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IL FATTO

A Roma c’è l’assemblea generale della Conferenza Episcopale Italiana. Un incontro a porte chiuse fra il papa e 270 vescovi italiani. Uno dei temi in discussione è la presenza dei gay nella Chiesa, e nei seminari in particolare. Per chiarire il suo pensiero, il papa ha detto: “C’è già abbastanza frociaggine nei seminari”. L’espressione ha sollevato qualche mormorio fra i presenti: dopo qualche giorno è finita su Dagospia e poi su tutti i giornali. E ha fatto il giro del mondo.

Un’affermazione forte, in tempi di “politicamente corretto” e lotta all’omofobia. Il Papa l’ha usata solo perché l’incontro era a porte chiuse, fra i vertici della Chiesa: non l’avrebbe mai usata in pubblico. A pochi mesi dalla sua elezione aveva anzi affermato: «Se una persona è gay e cerca il Signore e ha buona volontà, chi sono io per giudicarla?».

Il gay pride ha cavalcato l’espressione usata dal papa

Dunque, quell’espressione doveva rimanere fra i partecipanti all’assemblea. Si può supporre che il papa abbia scelto quell’espressione per far arrivare il messaggio a destinazione (“basta seminaristi gay”, o almeno: “basta gay che sbandierano in modo teatrale il proprio orientamento sessuale e non seguono la castità”), senza tanti giri di parole, evocando un’immagine concreta e diretta. Un termine usato, presumibilmente, in modo pittoresco e bonario, ma pur sempre uno spregiativo volgare e di origine omofoba. Che esprime una presa di distanza, se non un dileggio, verso gli omosessuali. Ma va precisato che il papa è di madrelingua spagnola, e pertanto è comprensibile che non padroneggi le connotazioni e le origini delle parole italiane.

Risultato? Un’uscita infelice, in un momento storico infiammato dalle discussioni sugli orientamenti sessuali e sulla presenza di omosessuali fra i sacerdoti. E infatti, assediato dalle polemiche (la notizia ha fatto il giro del mondo), alla fine Bergoglio ha dovuto correggere il tiro: la Sala stampa vaticana ha precisato che il Papa «non ha mai inteso offendere o esprimersi in termini omofobi, e rivolge le sue scuse a coloro che si sono sentiti offesi per l’uso di un termine, riferito da altri». Dunque, nessun intento omofobo. E, anzi, Francesco precisa di non conoscere con precisione l’uso e l’origine di quel termine sottolineando di averlo ascoltato da altre persone. E aggiungendo che «nella Chiesa c’è spazio per tutti, per tutti! Nessuno è inutile, nessuno è superfluo, c’è spazio per tutti. Così come siamo, tutti».

Ma con questo scivolone il papa ha perso autorevolezza, come capita a chiunque dica parolacce in pubblico (come racconto qui):  e probabilmente era proprio questo l’obiettivo dei vescovi che hanno spifferato l’episodio ai giornalisti. Peraltro, a giugno il papa è tornato a utilizzare quel termine, ha riferito AdnKronos, durante un incontro con i parroci di mezza età,  dicendo che un giovane omosessuale “non è prudente che entri in seminario”, perché rischia di cadere nell’esercizio del proprio ministero.

Non è l’unico episodio linguistico controverso, come raccontavo in questo articolo:  Il linguaggio colloquiale, con cui il papa cerca di arrivare a tutti, presenta questi inconvenienti. Peraltro Francesco non è il primo pontefice a usare un linguaggio scurrile: il suo predecessore Benedetto XIV ne diceva di più pesanti come raccontavo qui.

3) DISSING A TUTTI

Fedez: “Ogni cazzo della mia vita diventa un caso di Stato

E non mi stupirebbe se un giorno vedessi Myrta Merlino

Fare un servizio sul mio cazzo depilato (…)

Priorità di ‘sto paese: farsi i cazzi di Fedez”

“Real talk”, 3 dicembre 2024

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IL FATTO

Il 2024 è stato l’anno dei veleni per Fedez. Uscito dal matrimonio con Chiara Ferragni e dal pandoro-gate, il rapper ha tenuto banco sulle cronache per il duello a colpi di dissing (canzoni piene di insulti: da disrespecting, mancare di rispetto) con il rapper Tony Effe e con la giornalista televisiva Myrta Merlino.

I dissapori con Tony Effe sono iniziati a maggio, quando Tony durante un’intervista a Radio 105 aveva detto che Fedez gli aveva proposto di collaborare a una nuova canzone e lui aveva rifiutato. Fedez aveva replicato che era stata una proposta informale e che Tony aveva ingigantito l’episodio. Che però non si è chiuso lì: a settembre Fedez ha pubblicato “Di Caprio”: il titolo deriva dal fatto che Tony Effe in un’occasione si era paragonato a Leonardo DiCaprio anche per la scelta di partner sotto i 30 anni d’età. La canzone è una critica graffiante al collega:

La mia pupa dice: “Grossi rapper, cazzi micro”

Se divento scarso, puoi dire che ti somiglio

Se vuoi fare il cane, assicurati di esser Silvio

Nel giro di pochi giorni Tony Effe ha reagito pubblicato un brano in risposta: 64 barre di verità

Devi stare attento a quello che dici (Sosa)

Go, go, la Chiara dice che mi adora (Go, go) [ riferimento alla Ferragni? mesi prima si vociferava che i due si stessero frequentando, dopo che lei si era separata da Fedez] 

 Ti comporti da troia (Seh), seh

La tua bevanda sa di piscio (Go, go) [ la bevanda creata da Fedez, Boem]

 Fai beneficenza, ma rimani un viscido, seh

Il botta e risposta non si è fermato qui. Tempo dopo, Fedez ha pubblicato una nuova canzone “L’infanzia difficile di un benestante”. Un nuovo, pesante attacco a Tony:

Scrivevi a mia moglie mentre mi abbracciavi

Quelli come te io li chiamo infami

Scrivi di merda ma bei pettorali

Prendi la lama con scritto “A morte gli infami”

Sorridi e fai harakiri

Sei finto fuori e marcio dentro

Come i tuoi denti in ceramica

Sei un ragazzino insicuro

Red Bull ti ha messo le ali

Fedez ti ha messo una Boem su per il culo

Tony Effe non è stato l’unico bersaglio delle rime di Fedez. A dicembre ha pubblicato un nuovo singolo, “Real talk”, nel quale attacca il mondo dell’informazione e in particolare la giornalista Myrta Merlino, che gli aveva dedicato alcuni servizi durante la trasmissione “Pomeriggio 5” (Canale 5): 

 Più ci rifletto e penso che forse è tutto sbagliato

Ogni cazzo della mia vita diventa un caso di Stato

E non mi stupirebbe se un giorno vedessi Myrta Merlino

Fare un servizio sul mio cazzo depilato (…)

Priorità di ‘sto paese: farsi i cazzi di Fedez

Magistrato antimafia che mi ha fatto dossieraggio

Arrestatemi per spaccio, vuoi una dose di coraggio?

Non me ne frega un cazzo, lo so che ho un caratteraccio

Fai cagare a rappare, compra una bella recensione

Hanno messo a libro paga un magazine di settore

Io ho ascoltato una canzone scritta dal suo fondatore

Fai cagare come rapper e come intervistatore

Dikele, va bene, mi vorresti boicottare? [ Antonio Dikele Distefano, direttore di Esse magazine ]

Ti rubo le ginocchiere, tu smetti di lavorare

Intendevo che fai i bocchini e non critica musicale

Lì in mezzo siete cretini e le devo pure spiegare

Alcune staffilate, invece, sono dedicate alla ex moglie Chiara Ferragni:

Chi perde un marito trova un tesoro, amore fa rima con patrimonio [ la Ferragni è fidanzata con il ricco imprenditore Giovanni Tronchetti Provera, vertice della Pirelli ]

Insomma, un anno di veleni per tutti. Singolare che Fedez non sia stato querelato da nessuno dei suoi bersagli.

4) BELVA TIMOROSA

 Teo Mammucari: «Vaffanculo va… no no no, vaffanculo».

“Belve” (Rai2), 10 dicembre 2024

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IL FATTO

Il conduttore televisivo Teo Mammucari aveva chiesto alla giornalista Francesca Fagnani di partecipare a “Belve”, su Rai2: un talk show nel quale gli ospiti vengono messi sulla graticola con domande scomode. Ma Mammucari, pur dicendo di conoscere il programma, a un certo punto ha abbandonato lo studio terminando il suo intervento con una parolaccia.

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Al minuto 15 Teo Mammucari inizia a irritarsi perché la conduttrice Francesca Fagnani gli dà del “lei” mentre in privato gli dà del “tu”. La Fagnani gli legge un giudizio di Giancarlo Dotto, che aveva detto di lui “E’ una carogna vera come tutti gli ex animatori disprezza coloro che deve animare”. Ecco come è proseguito (e degenerato) il dialogo:

M: Ragazzi io me ne vado. Pensavo che quello che mi avevi detto in camerino fai tutta la carina…. Non stai facendo parlare di me

F: Non puoi pretendere i complimenti, è un programma così. In programma do del lei. SE non hai visto il programma non so perché mi hai chiesto di venire

M: Così è troppo…Non sono a mio agio ora. Se questo è il programma può piacermi e può non piacermi

F: Se uno che gioca ad attaccare tutti poi non sostiene un’intervista

M: Manda questo, ma è scorretto. Questa non è un’intervista, è un attacco.

F: L’ha presa male, ci sta. A me fa piacere se resta

M: e’ il programma, in bocca al lupo. Il pubblico al buio. Posso a decidere se mi trovo a mio agio?

F: Mi fa piacere se resti, se vuoi andare vai.

M: Sei bravissima, intelligente, però le cose registrate così… Mi sento dispiaciuto per come mi hai trattato.

F: Non ce l’hai fatta, ci sta, succede

M: Non ce l’hai fatta tu. io sono la stessa persona qui dentro e fuori… Ragazzi scusatemi (ed esce dallo studio)

La Fagnani, rimasta sola sul palco commenta al pubblico: “ragazzi è la prima volta”… Da dietro le quinte si sente Mammucari che risponde: “e anche l’ultima! vaffanculo va… no no no, vaffanculo”.

Il colpo di scena è diventato virale sui social e sui giornali. Mammucari non ne è uscito bene. Massimo Gramellini gli ha dedicato un articolo della rubrica “Il caffè” sul Corriere della Sera: «E’ un’istantanea del male del secolo: l’adultescenza, ovvero l’adolescenza infinita di tanti cosiddetti adulti. Teo Mammucari, diventato famoso come conduttore di un programma non esattamente per mammolette (tendeva agguati telefonici agli sconosciuti), chiede di partecipare a Belve, e appena arrivano le domande pepate smette di giocare e se ne va… come se uno studente si offendesse perché il professore con cui aveva cantato “Azzurro” in gita scolastica, rientrato a scuola si permette di interrogarlo senza sconti».

In un’intervista successiva, il conduttore dice di essersi sentito fragile e di essere andato in panico:  “Nella mia testa pensavo di farmi due risate…  Ma il pubblico muto mi ha fatto andare in crisi, Se mi togli il pubblico io mi sento finito” E mi rende insicuro avere a che fare con donne forti”. E sul “vaffa” finale: “L’ho detto mentre entravo in camerino, una persona che era con me, mio fratello, mi ha rassicurato dicendo che non era successo nulla di grave e io ho esclamato “ma vaffanculo!”. La versione di Mammucari non ha convinto. Alla fine ha dichiarato che, dopo questo episodio, vuole prendersi una pausa dalla tv e dal teatro.

5) LO SBROCCO

Vittorio Sgarbi: «La smetta di rompermi i coglioni lei non sa un cazzo, ed è un totale ignorante! Non voglio parlare con lei! Mi sta sul cazzo ha una faccia di merda. Se lei muore in un incidente stradale son contento. Mi fa schifo».

“Report” (Rai3), 29 gennaio 2024

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IL FATTO

“Report”, il programma condotto da Sigfrido Ranucci su Rai3, stava indagando su un quadro di Rutilio Manetti “La cattura di San Pietro”, scomparso nel 2013 dal Castello di Buriasco, in Piemonte. Sgarbi possiede un’opera simile, e sostiene di averla trovata  all’interno di una villa del Viterbese, acquistata da lui qualche anno fa.Non sono Diabolik, ho solo avuto culo a trovarla in quella villa“.

Sgarbi è anche sotto inchiesta della Procura di Imperia per un quadro di Valentin De Boulogne fermato alla dogana di Montecarlo: il critico d’arte è accusato di esserne il vero proprietario, cosa che lui nega. Quando il giornalista di Report Manuel Bonaccorsi gli ha chiesto un commento su quest’ultima vicenda, Sgarbi ha sbroccato: 

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La smetta di rompermi i coglioni lei non sa un cazzo, ed è un totale ignorante! Non voglio parlare con lei! Mi sta sul cazzo ha una faccia di merda”. “Se lei muore in un incidente stradale son contento. Mi auguro che lei abbia un incidente e si schianti, perchè mi fa schifo”.

“Ma no, dai, professore, per favore, noi andiamo a 40 all’ora”, dice il giornalista, facendo gli scongiuri.

“Andate a 30, andate affanculo. Non rompa il cazzo a me, faccia di merda, si tolga dai coglioni! Spero lo mandiate in onda… Tiro anche fuori l’uccello così lo mandate in onda (si alza dalla sedia e fa il gesto di abbassare la cerniera dei pantaloni).

“Toglietevi dai coglioni Vada fuori dalle palle, lei e vada a cagare lei e Ranucci (Sigfrido Ranucci, il conduttore) e Report che mi fa cagare— E’ una trasmissione che quando la vedo mi vede il vomito. Con quella faccia di montanaro di quello lì. Mi fate schifo, non sapete un cazzo, siete ignoranti come delle capre”.

La scenata di Sgarbi ha fatto clamore sui giornali. Sui social Sgarbi è stato bersagliato dalle critiche: è pur sempre un sottosegretario alla Cultura. E la settimana successiva alla messa in onda ha perso il posto di presidente della Fondazione Canova. Il sindaco di Possagno, Valerio Favero,ha detto che la decisione era stata maturata prima dell’inchiesta ma ha aggiunto che “senza dubbio quanto visto in tv è tutt’altro che edificante”.

6) POLITICA SPAZZATURA

Tony Hinchcliffe: «C’è un’isola di spazzatura…. Penso che si chiami Porto Rico»

28 ottobre 2024, New York

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IL FATTO

Le ultime elezioni presidenziali negli Stati Uniti sono state contrassegnate da insulti e veleni nello scontro fra Kamala Harris, Joe Biden e Donald Trump. Durante una convention elettorale al Madison Square Garden di New York, si è esibito sul palco un comico, Tony Hinchcliffe. Che si è lanciato in affermazioni di sapore razzista:  “Sono tempi assolutamente folli… Non so se lo sapete ma c’è un’isola galleggiante di spazzatura in mezzo all’oceano in questo momento… Penso che si chiami Porto Rico… ok, va bene”. Non contento, ha aggiunto una battuta sui latino-americani che “amano fare bambini, lo fanno. Non c’è modo di tirarli fuori. Non lo fanno, vengono dentro, proprio come fanno con il nostro Paese”.

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Porto Rico è un territorio statunitense nei Caraibi. Gli abitanti dell’isola non possono votare alle presidenziali, ma 6 milioni di loro – emigrati negli Usa – sì. La battuta del comico ha fatto il giro del mondo e sollevato vivaci proteste dai portoricani. L’arcivescovo di San Juan, Porto Rico, chiede a Donald Trump di ripudiare i commenti volgari del comico Tony Hinchcliffe: “Mi piace una bella battuta, tuttavia l’umorismo ha i suoi limiti. Non dovrebbe insultare o denigrare la dignità e la sacralità delle persone. Le osservazioni di Hinchcliffe non provocano solo risate sinistre, ma anche odio. Questo genere di osservazioni non ha posto in una società fondata su ‘libertà e giustizia per tutti”.

La Harris ha subito condannato la battuta del comico, ma anche lo staff di Trump ha preso le distanze, dicendo che “non riflette le sue opinioni”. Ma anche alcuni esponenti del partito repubblicano hanno condannato apertamente il comico. La deputata Maria Elvira Salazar si è detta “disgustata” dal “commento razzista” e ha ricordato che “Porto Rico ha inviato oltre 48.000 soldati in Vietnam. Questo coraggio merita rispetto.  Impara!”. Discorso analogo da parte del senatore repubblicano Rick Scott ha dichiarato: “La battuta non fa ridere per due motivi. Non è divertente e non è vera. I portoricani sono persone straordinarie e americani straordinari”.  Il comico Hinchcliffe ha scritto sui social che i suoi critici “non hanno senso dell’umorismo”. 

Ma il presidente uscente Joe Biden, reagendo alla battuta del comico, ha fatto un autogol. Durante un evento elettorale. «Lasciate che vi dica una cosa. I portoricani che conosco sono brave persone. L’unica spazzatura che vedo galleggiare là fuori sono i suoi sostenitori, la sua demonizzazione degli ispanici è senza scrupoli e antiamericana». Una battuta non molto diversa da quelle che fece Silvio Berlusconi quando definì “coglioni” gli elettori del centro-sinistra. Poco dopo, Trump si è presentato a un comizio in Wisconsin vestito da spazzino a bordo di un camion per rifiuti con il suo nome a caratteri cubitali e il motto “Make America great again!”. Peraltro, il mese prima, lo stesso Trump aveva definito “spazzatura assoluta” i membri dell’entourage di Kamala Harris.

7) MULTA RECORD

Anthony Edwards: «Merda, non faccio gli straordinari, fanculo!».  Multa di 100mila dollari

27 dicembre 2024

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IL FATTO

Anthony Edwards, 23 anni, detto “ant” (formica) è un giocatore di basket dei Minnesota Timberwolves. Gioca nella National Basketball Association (NBA) oltre che nella nazionale olimpica.
Il 27 dicembre, dopo una partita contro gli Houston Rockets, era stato intervistato dalle tv a bordo campo. Aveva realizzato il punto vincente durante il suono della sirena di fine tempo (buzzer-beater), impresa che gli ha permesso di far vincere la propria squadra di un punto fuori casa (113 a 112).
Il giocatore, con ancora l’adrenalina in corpo, stava raccontando le fasi concitate della vittoria in diretta televisiva: “Tutto quello che sapevo era che la giocata era per Ju (Julius Randle, compagno di squadra) di andare a 14… Una volta che l’ha presa, merda, chi altro? Devo andare a prenderla. Merda… Merda, ci sto andando per la vittoria. Come ha detto Gilbert Arenas, non faccio gli straordinari, quindi fanculo!” [ “All I knew was, the play was for Ju to go 14… Once he picked it up, shit, who else? I gotta go get it. Shit… Shit, I’m going for the win. Like Gilbert Arenas said, I don’t do overtime, so fuck it!”]. Qui il video dell’intervista, da 0:26.

Pochi giorni dopo, la NBA gli ha comminato una multa di 100mila dollari. E’ una delle sanzioni più elevate per linguaggio scurrile: il record, a quanto mi risulta, va alla multa di 120mila dollari comminata proprio quest’anno a un tennista statunitense, Francis Tafoe, per aver ripetutamente imprecato contro un arbitro di sedia agli Shanghai Masters. E questo può essere comprensibile, trattandosi di insulti contro un arbitro. Ma il caso di Edwards è diverso: ha usato un linguaggio colorito ma non ha insultato nessuno (vedi il caso Verstappen). La NBA ha voluto infliggergli una punizione esemplare, dato che, come ricorda il provvedimento, Edwards non è nuovo al linguaggio pepato: era stato multato di 75.000 dollari meno di una settimana prima “per aver criticato pubblicamente l’arbitraggio e aver utilizzato un linguaggio inappropriato e blasfemo” dopo la sconfitta casalinga dei Timberwolves per 113-103 contro i Golden State Warriors. E a novembre era stato multato di 35.000 dollari per aver fatto un gesto osceno verso gli spalti mentre era in campo durante una vittoria contro i Kings a Sacramento. A conti fatti, quindi, solo quest’anno Edwards paga 210mila dollari per parolacce: una cifra senza precedenti.

8) PRESENTAZIONI

Giorgia Meloni: «La stronza della Meloni»

Caivano, 28 maggio 2024

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IL FATTO

L’episodio può essere compreso solo con una premessa. Il 16 febbraio, Vincenzo De Luca, governatore della Campania, aveva organizzato a Roma una manifestazione di protesta con 550 sindaci che protestavano contro l’autonomia differenziata e per chiedere lo sblocco dei Fondi di Sviluppo e Coesione. Il commento della premier Meloni fu lapidario:  «Se si lavorasse invece di fare le manifestazioni si potrebbe ottenere qualche risultato in più».

Così, De Luca, mentre si trovava in un corridoio di Montecitorio, parlando con altre persone, era stato ripreso di nascosto da una telecamera di La7. Il video, poi pubblicato, lo mostrava mentre diceva: «Ma è tollerabile questo atteggiamento così? Centinaia di sindaci che stanno qua, che non hanno i soldi per l’ordinaria amministrazione… “Lavora”… Lavora tu, stronza!».

Il video , registrato e mandato in onda all’insaputa di De Luca, fece furore sui social, oscurando l’attenzione sulla manifestazione di protesta. 

Così, alla prima occasione pubblica in cui De Luca avrebbe incontrato la premier (l’inaugurazione di un centro sportivo a Caivano) quest’ultima ha fatto la contromossa. Presentandosi a De Luca, nell’atto di stringergli la mano gli ha detto: “Presidente De Luca… La stronza della Meloni… Come sta?”. De Luca, preso in contropiede, ha risposto: “Benvenuta. Bene di salute”. Il video è stato rilanciato sul sito di Atreju e ha fatto furore sul Web. Il giorno dopo De Luca ha commentato l’episodio con una battuta: «la Meloni ci ha tenuto a comunicare la sua nuova e vera identità. Noi non possiamo che concordare».

L’opinione pubblica si è divisa: alcuni hanno plaudito alla sua reazione, altri come lo scrittore Christian Raimo l’hanno contestata definendola “passivo-aggressiva”, peraltro contro un giudizio espresso in privato e pubblicato all’insaputa di De Luca. Per un episodio simile, la Corte di Cassazione, nel 2006, aveva stabilito che «la critica politica può esplicarsi in forma tanto più incisiva e penetrante, quanto più elevata è la posizione pubblica della persona che ne è destinataria». La pronuncia si riferiva al giornalista Pietro Ricca che aveva dato del «buffone» a Silvio Berlusconi. Dunque, più in alto è il destinatario, più quest’ultimo deve mettere in conto (e tollerare) gli insulti.  E, aggiungo, più in alto è una persona, meno dovrebbe usareil linguaggio basso, che dà il cattivo esempio e fa perdere autorevolezza. 

9) GERGO

Giorgia Meloni: «L’infamia di pochi mi costringe a non avere rapporti con i gruppi»

5 ottobre 2024

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IL FATTO

Le schermate della chat di Giorgia Meloni pubblicate sui giornali

E’ autunno e il Parlamento – riunito in seduta comune – deve votare i giudici della Corte Costituzionale. Nelle chat di Lega e Forza Italia appare un messaggio: Attenzione, martedì 8 ottobre, ore 12,30, indispensabile la presenza di tutti al voto per la Corte Costituzionale. Eventuali missioni vanno rimandate o annullate”. Era un pressante invito per partecipare alla votazione e far passare i candidati della maggioranza. Dopo pochi minuti, il messaggio è stato pubblicato sul Web e sui giornali. E la premier si è risentita, scrivendo (sempre in chat) questo commento: «Io alla fine mollerò per questo. Perché fare sta vita per far eleggere sta gente anche no. E L’infamia di pochi mi costringe a non avere rapporti con i gruppi (parlamentari, ndr). Molto sconfortante davvero»

Pochi minuti dopo il ministro della Difesa Guido Crosetto prosegue sullo stesso tono. “Beh, però penso che lavorandoci un po’ gli o l’infame si trova”. 

Perché queste frasi sono nella Top Ten? Non tanto perché la premier abbia insultato colleghi di partito. Lo sfogo è comprensibile, trattandosi di chat private che sono state rese pubbliche. Ma sono in classifica per la scelta del termine: “infame” è uno spregiativo che usano i malavitosi per denigrare chi fa la spia alla Polizia. Può un presidente del Consiglio usare lo stesso gergo dei criminali, paragonando (indirettamente) i giornalisti a “sbirri”?
Come ha detto in un’intervista a “
Famiglia Cristiana” il linguista Michele Cortelazzo «Stupisce il trasferimento al campo politico della parola “infame”, usata nel significato in cui l’adopera la malavita per accusare di tradimento chi collabora con lo Stato: dovrebbe essere una parola che un politico considera tabù, perché ha dei riscontri storici recenti che restano nella memoria e rimandano ad ambienti – le mafie, le brigate rosse -, che in un Paese democratico dovrebbero suscitare ripulsa unanime. Dovrebbe essere uno di quei termini che chi rappresenta le istituzioni, al governo o all’opposizione che sia, tiene chiuso in bocca, perché riferito a settori che sono il rovescio delle istituzioni, della legalità e dello Stato. Non è tanto questione di polemica dura, al limite dell’ingiuria, che nel discorso politico c’è sempre stata e forse è ineliminabile, ma del contesto di riferimento, incompatibile con il ruolo, perché porta nel terreno dei nemici dello Stato». Concordo al 100% con questa analisi. In un certo senso, questo episodio fa il paio con la “frociaggine” di papa Francesco per la scarsa consapevolezza nell’uso del lessico. Con la differenza che Bergoglio è più scusabile in quanto di madrelingua argentina.

10) GAFFE

Francesca Luce Cardinale: «Affanculo, scusate, ho sbagliato riga». 

“Pillole di Poesia” (RaiNews) 12 marzo 2024

Angelo Sotgiu (Ricchi e poveri): “Aprite il microfono, teste di cazzo!”

Rai1, 31 dicembre 2024

[ per approfondire, apri la finestra cliccando sulla striscia blu qui sotto ]

IL FATTO

Su Rainews c’è una rubrica quotidiana chiamata “Pillole di poesia”. Un’attrice, Luce Cardinale (nipote della celebre Claudia) legge versi legati all’attualità. In una delle puntata recitava “La strada non presa”, una poesia di Robert Frost.

Due strade divergevano in un bosco d’autunno

e dispiaciuto di non poterle percorrere entrambe,

fissandone una, più lontano che potevo….

«Affanculo! Scusate… perché? Ho saltato una riga, così…»

Guarda il video

Clicca per vedere il video

La ripresa si interrompe e va in onda la sigla. Probabilmente il video è stato rifatto, ma l’emittente ha mandato in onda per sbaglio quello con l’incidente di lettura. Che è diventato virale sui social. Che poesia. Il presidente della Fnsi (il sindacato dei giornalisti) Vittorio Di Trapani, giornalista di Rainews: “Chi pagherà per danni di reputazione così gravi?”.


La figuraccia fa il paio con quella avvenuta pochi secondi prima della mezzanotte in diretta su Rai1 a “L’anno che verrà”, durante lo show di Capodanno. Proprio mentre iniziava il conto alla rovescia si è sentito Angelo Sotgiu, voce dei Ricchi e poveri, che urlava (rivolto ai tecnici di regia): “Aprite il microfono, teste di cazzo! Ho il microfono chiuso, teste di cazzo!”. Si è sentito tutto in diretta, tanto che poi il conduttore Marco Liorni si è scusato con i telespettatori: “Sembra sia scappata qualche parola sconveniente e volevo scusarmi col pubblico, con chi l’ha sentita e si è sentito disturbato da questa espressione, sicuramente sconveniente”. Il video è visibile qui.

Se volete leggere le classifiche degli ultimi 16 anni, potete cliccare sui link qui di seguito: 2023, 2022, 2021, 2020, 2019,  2018, 2017, 2016, 2015, 2014, 2013, 2012, 2011, 2010,  2009 e 2008.

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Le pubblicità più volgari d’Italia https://www.parolacce.org/2024/10/02/slogan-con-parolacce/ https://www.parolacce.org/2024/10/02/slogan-con-parolacce/#respond Wed, 02 Oct 2024 10:13:01 +0000 https://www.parolacce.org/?p=20858 A volte sono allusive, altre becere. Possono essere simpatiche o urtanti. Ma nessuna passa inosservata: le pubblicità con slogan volgari restano impresse nella memoria. Ma sono aumentate negli ultimi tempi? E funzionano, fanno vendere di più? Dopo aver raccontato l’uso… Continue Reading

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Educazione universitaria e maleducazione: l’università di Macerata strizza l’occhio ai giovani ma perde autorevolezza.

A volte sono allusive, altre becere. Possono essere simpatiche o urtanti. Ma nessuna passa inosservata: le pubblicità con slogan volgari restano impresse nella memoria. Ma sono aumentate negli ultimi tempi? E funzionano, fanno vendere di più? Dopo aver raccontato l’uso delle parolacce nelle campagne sociali delle “Pubblicità Progresso”, ora è il turno delle pubblicità di prodotti e servizi

In Rete esistono varie raccolte di campagne volgari, ma sono parziali. E non indicano un dato importante: ovvero, se siano state censurate o no dall’Istituto di autodisciplina pubblicitaria (IAP), l’ente che regolamenta il settore. Lo IAP, infatti, è l’ente che riunisce i pubblicitari, le aziende e i media, e vigila affinché l’informazione commerciale affinché sia onesta, veritiera e corretta. C’è un articolo del Codice di autodisciplina, il numero 9, che vieta espressamente l’uso di “affermazioni o rappresentazioni indecenti, volgari o ripugnanti” oltre che quelle di violenza fisica o morale.

Alla fine sono riuscito a raccogliere 33 campagne in un arco temporale che va dal 1977 al 2024, cioè 47 anni, e ho verificato quante fossero state esaminate dal Giurì dello IAP. Le trovate tutte più sotto, seguite da un‘analisi linguistica e sociale. Un dato appare subito evidente: le pubblicità che contengono termini scurrili sono un’eccezione. Hanno una media inferiore ad una all’anno, anche se – come vedremo – sono in netto aumento negli ultimi tempi.

IMMAGINI E ALLUSIONI

Campagna censurata: per il doppiosenso e il sessismo.

In ogni caso, gran parte degli spot utilizza, invece delle parole, le immagini: corpi nudi, o in pose provocanti, di donne (soprattutto) e uomini. Oppure allusioni verbali, come nel recente jingle di Elio e le storie tese per Conto Arancio: “hai l’interesse senza fare un tasso / Metti i soldi quando vuoi, li togli quando vuoi / Fai quel che tasso vuoi”, dove il termine “tasso” è un evidente sostituto di “cazzo”.
Ma non sempre le allusioni pagano. Ne sa qualcosa una pubblicità censurata nel 2012 pur non contenendo un lessico scurrile: la parola contestata, infatti, è “chissacchè“.  Basta vedere il manifesto qui a lato per capire il motivo della censura: l’operatore telefonico ItaliaCom ha usato lo slogan “Non vi prendiamo per il chissacché” affiancandolo alla foto di una modella in tanga, con il sedere bene in vista. In questo modo, senza possibilità di equivoci, il vero significato della frase è: “non vi prendiamo per il culo“. Lo Iap ha bocciato la campagna per «la gratuita ed inaccettabile mercificazione del corpo femminile e l’assoluta gratuità della scelta comunicazionale».

Le 33 pubblicità più volgari

Ecco le 33 campagne più scurrili della storia (basta cliccare per espandere le finestre): quelle nei riquadri rossi sono state bocciate dallo IAP o da altre autorità, quelle verdi sono state approvate, quelle nere non risultano essere state censurate.
E tu, ne conosci altre
(con parolacce!) che mi sono sfuggite? Puoi segnalarle nei commenti. Ma attenzione: solo le campagne che utilizzano termini, parole volgari, ovvero un lessico scurrile (escludendo, quindi, le pubblicità che si basano solo su immagini scabrose). 

2021-oggi

2011-2020

2001-2010

1991-2000

1971-1980
 

Il metodo e i risultati

Campagna Netflix con cibi che evocano la vulva.

Dal 1970 al 2023, lo IAP ha emesso 7.017 pronunce. Di queste, solo il 3,3% (230) erano contestate per possibili infrazioni all’articolo 9. Dunque una percentuale molto bassa: la parte del leone, nelle sentenze del Giurì, è rappresentato dalle pubblicità ingannevoli. In più, l’articolo 9 punisce non solo il linguaggio volgare, ma anche le immagini (indecenti o ripugnanti) e le violenze (fisiche o verbali): escludendo dalla ricerca queste ultime due motivazioni (tutt’altro che marginali), la percentuale di campagne esaminate per il linguaggio scurrile si riduce ulteriormente. In ogni caso, passare al vaglio 230 casi andava oltre le mie possibilità di tempo. Così per rintracciare le campagne scurrili, ho usato due metodi: una comune ricerca su Google (concentrando la ricerca sulle pubblicità che usavano termini scurrili, di varia intensità offensiva, escludendo nudi e pose oscene), affiancata dall’interrogazione dell’archivio IAP: sia su questi casi, che inserendo come parole chiave di ricerca le parolacce d’uso più frequente. Con il primo metodo, ho rilevato i casi balzati all’attenzione di giornali nazionali e locali, a cui si sono aggiunti – con il secondo metodo – casi meno noti ma altrettanto significativi.
Su 33 campagne da me censite, 20 sono finite sul tavolo dello IAP: rapportate alle 7.017 pronunce, sono lo 0,3% del totale. Non sono tutte (sicuramente me ne saranno sfuggite diverse), ma danno un’idea concreta del loro scarso peso statistico. «
Rispetto ai social e a Internet, il linguaggio pubblicitario è più abbottonato» spiega  il segretario dello IAP Vincenzo Guggino. «Essendo una comunicazione pervasiva, che arriva a tutti, la pubblicità si contiene di più».

Alcune campagne censurate, invece, non le ho inserite nella raccolta per l’impossibilità a trovarne l’immagine: come una di Diffusion post del 1975 che aveva come slogan Fattela anche tu… la sedia del regista”: la frase era stampata sopra la fotografia di una ragazza nuda a cavalcioni della sedia.

SEMPRE PIU' USATE
 

Il decennio con il maggior numero di casi è quello appena concluso (2011-2020). Ed è intuibile il motivo: le parolacce si sono inflazionate, diffondendosi in politica, sui giornali, oltre che su Internet, radio e tv. «C’è stato uno spostamento di sensibilità nel corso del tempo, che ha reso più digeribili alcune parole», conferma Guggino.  «Il turpiloquio è una materia che dipende dal sentire sociale. Oggi c’è una maggior sensibilità verso le forme di discriminazione e di non inclusione, piuttosto che verso la volgarità in quanto tale».
Insomma, siamo più abituati alle parolacce e questo spiega sia la loro crescita nella comunicazione commerciale, sia (in alcuni casi) la mancata censura da parte dello IAP. Che, occorre precisare, non può intervenire in ogni situazione: «Il Codice di autodisciplina è stato sottoscritto da tutte le grandi imprese, dai pubblicitari, dalle società d’affissione, dai giornali, dalla tv e in buona parte anche da Internet. Ma quando una campagna è locale, territoriale, su scala cittadina, i protagonisti sono piccole società e imprese che non hanno sottoscritto il Codice, e in questi casi non abbiamo giurisdizione per intervenire». In effetti, aggiunge, le campagne più becere di questa raccolta risultano non sanzionate principalmente per questo motivo.

I contenuti: la fantasia scarseggia

Vediamo più da vicino le campagne scurrili. Partendo dagli ingredienti lessicali.
Le 33 pubblicità usano
15 termini, per un totale di 34 occorrenze (in una campagna ne sono presenti due). Ecco quali sono:

termine frequenza
culo* 6
darla 5
palle 3
patata/patatina 3
fanculo*   3
puttana 2
farsi 2
venire 2
figata 2
troia 1
stronzetta 1
pompa 1
passera 1
pacco 1
cagare 1

*Inclusi i gesti

Una campagna sessista contestata in Friuli Venezia Giulia.

La tabella mette in luce diversi elementi. Innanzitutto, la scarsa fantasia: i primi 5 termini coprono quasi ⅔ delle pubblicità. I 15 termini rientrano quasi tutti nell’area semantica sessuale (11 oscenità riguardanti atti sessuali o parti anatomiche), seguita da 2 insulti (troia e puttana), una maledizione (fanculo) e un termine escrementizio (cagare). Gran parte dei termini (8) sono di registro volgare, seguito da 6 termini colloquiali e gergali (darla, farsi, venire, passera, pacco, figata) e 1 familiare/infantile (patata).
Culo” è il termine più usato, in modi di dire ricorrenti (“che culo”, “Fare un culo”), seguito da “darla”. Il primo termine è stato usato in abbinamento a immagini di glutei femminili, e il secondo è stato affiancato a modelle femminili. I produttori e venditori di patatine non si sono astenuti dalla tentazione di usare il tubero come sinonimo malizioso della vulva (“patata”) in vari e prevedibili giochi di parole. Dunque, i termini più usati nelle campagne scurrili sono stati al servizio di uno sfruttamento sessista dell’immagine femminile. Ci sono anche un paio di esempi di sessismo al maschile: la campagna con un fotomodello ammiccante e la scritta: “Fidati… te lo do” (l’occhiale).  E lo slogan “Il vostro pacco in buone mani” abbinato al primo piano di un pube maschile. 

In alcuni casi l’aspetto scurrile della campagna è stato rappresentato attraverso i gesti: il dito medio, l’ombrello, il sedere.

Nell’elenco, oltre a termini popolari, colloquiali e infantili (patata, poppe, passera) figurano anche espressioni pesanti: troia, puttana, pompa, stronzetta, venire. La palma dello slogan più becero va a una stazione di rifornimento di Troia (Foggia): “che Troia sarebbe senza una pompa?”.  Insomma, in molti casi la parolaccia è usata come scorciatoia per attirare l’attenzione: uno stratagemma usato non solo da piccole (e spesso inesperte) concessionarie locali di periferia, ma anche (per la maggioranza) da grandi aziende nazionali: 20 su 33 casi, di fatto sono i casi su cui lo IAP si è pronunciato. 

Un annuncio fuorviante, fatto solo per attirare l’attenzione

«Sono tutti elementi che esprimono carenza di creatività», conferma Guggino. La parolaccia, insomma, è usata per lo più come “effetto speciale”, come facile scorciatoia per attirare l’attenzione e fare clamore. Ma, come dicono le ricerche scientifiche, chi usa una parolaccia è percepito come più sincero, confidente e amichevole, ma al tempo stesso perde autorevolezza. Ne sa qualcosa l’università di Macerata (vedi nei riquadri sotto), che è stata contestata per la campagna a base di gestacci che aveva come slogan “La buona educazione”. Poche le eccezioni fantasiose e ironiche. Fra queste, lo slogan “Fun. Cool” che, pronunciato in italiano, assume un significato volgare. E, con la sensibilità (ridotta) di oggi, forse, lo slogan “Antifurto con le palle” potrebbe risultare accettabile. Le parolacce, se dette in modo leggero, ironico e creativo, possono rendere più frizzante uno slogan: ma troppo spesso, nelle campagne esaminate, l’ironia è interpretata in modo grossolano.

FUOCHI DI PAGLIA
Ma, in generale, funzionano le pubblicità scurrili? «Ho sentito dire spesso dagli esperti di marketing che non si costruisce così il rapporto di fedeltà fra un cliente e una marca» commenta Guggino. «Usando questo approccio hai un momento di gloria all’inizio, ma esaurito il clamore, censurata la campagna, il prodotto ritorna nel buio».

Lo spot di Amica Chips che mescola sacro e profano.

Un esempio? La campagna Amica Chips di quest’anno: un gruppo di novizie è a Messa e al momento della comunione quando la prima della fila chiude la bocca dopo aver ricevuto l’Eucaristia si ode uno scrocchio. Sguardi di sorpresa di suore e sacerdote: nella pisside, infatti, anziché le ostie ci sono le patatine. L’inquadratura successiva svela il mistero: è stata la suora più anziana che sta sgranocchiando un sacchetto di chips ad avercele messe avendo in precedenza trovato la pisside vuota. Lo slogan finale, mentre in sottofondo suonano le note dell’Ave Maria di Schubert, è: «Amica chips, il divino quotidiano».
«Quello spot» ricorda Guggino «è stato, comprensibilmente, contestato dai cattolici ed è finito su tutti i giornali per una settimana. Poi, una volta ritirato, l’interesse è svanito nel nulla
Un fuoco di paglia comunicazionale che, a quanto risulta, non ha ottenuto particolare successo commerciale». 
A detta del titolare dell’azienda, un altro spot di Amica Chips che aveva avuto come testimonial Rocco Siffredi (con i prevedibili apprezzamenti verso la “patata”) pare invece che abbia funzionato. Ed è stata vincente un’altra idea ironica, la campagna delle mutande Roberta che tengono sollevati i glutei: lo slogan “Culo basso? Bye bye” oltre a essere una delle pochissime eccezioni in cui lo IAP non ha censurato il termine triviale, ha fatto raddoppiare le vendite dell’indumento. «Anche perché» sottolinea Guggino «quel termine era strettamente collegato al prodotto: non era una parolaccia inserita solo per attirare l’attenzione». 

Ho parlato di questa ricerca a radio Deejay, nella trasmissione “Chiacchericcio” con Ciccio Lancia e Chiara Galeazzi il 4 ottobre come ospite in studio.
Qui sotto l’audio degli interventi:

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Arriva l’enigmistica senza censure https://www.parolacce.org/2024/09/03/giochi-enigmistici-parolacce/ https://www.parolacce.org/2024/09/03/giochi-enigmistici-parolacce/#respond Tue, 03 Sep 2024 10:07:24 +0000 https://www.parolacce.org/?p=20753 Il 19 verticale: grandissima… sciocchezza. Ha 7 lettere: sarà mica “CAZZATA”? Ebbene sì. Arriva anche in Italia l’enigmistica senza censure: la casa editrice Demetra ha pubblicato il primo “Cruciparolacce”, una raccolta di giochi scurrili “solo per adulti”: non solo cruciverba,… Continue Reading

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Il 19 verticale: grandissima… sciocchezza. Ha 7 lettere: sarà mica “CAZZATA”? Ebbene sì. Arriva anche in Italia l’enigmistica senza censure: la casa editrice Demetra ha pubblicato il primo “Cruciparolacce”, una raccolta di giochi scurrili “solo per adulti”: non solo cruciverba, ma anche rebus, sudoku letterali, labirinti, spiderweb, crucipuzzle, disegni da colorare… Cento pagine fitte di giochi, con relative soluzioni, all’insegna del linguaggio sboccato

Ideatore dell’iniziativa, Dario Zaccariotto, uno dei soci di “StudioGiochi”, società veneziana specializzata da decenni nell’ideare rubriche di enigmistica e giochi da tavolo. Com’è nata l’idea? In inglese le “dirty crosswords” (parole crociate sporche) esistono da più di un decennio…«In realtà l’idea ci è venuta in modo autonomo, non avevamo modelli di riferimento», racconta Zaccariotto, che ha appena conquistato la medaglia d’oro a Master Mind alle Mind Sports Olympiad di Londra. «Volevamo proporre qualcosa di nuovo, così abbiamo creato questa raccolta che comprende l’uso di termini triviali. Gli appassionati di giochi hanno apprezzato: il volume, uscito nel 2023, è stato ristampato quest’anno».

Dario Zaccariotto

E’ stato difficile ideare giochi usando un lessico volgare? «Non particolarmente. Nelle parole crociate e giochi analoghi, le parolacce non hanno un trattamento diverso dalle altre parole. Basta partire da un gruppo scelto di espressioni scurrili (da “becco” a “vaffanculo”, fino a un massimo di 5 per cruciverba) , e poi si costruisce lo schema inserendo altre parole che leghino con esse.  E’ stato più impegnativo ideare i rebus, perché diverse espressioni sono difficili da spezzare in immagini. Ad esempio, la parola “culo”: puoi mettere l’immagine di un cuculo, ma ti resta la sillaba “CU” che non è una parola di senso compiuto e nemmeno una sillaba finale. Difficoltà simili per la parola “cazzo”. Comunque siamo riusciti a inventarne diversi usando altri termini scurrili». Un esempio è lo vedete fra qualche riga più sotto.

Con quale criterio avete scelto le espressioni triviali da inserire? «Abbiamo puntato su quelle di uso comune, evitando però le più pesanti e becere. Il confine fra buon gusto e pessimo gusto è molto labile: abbiamo cercato di non trascendere. E finora nessuno si è scandalizzato». 

Uno dei rebus sboccati: riuscite a risolverlo?

Ci sono giochi che vi ha divertito più di altri inventare? «Senz’altro i labirinti: collegando l’ingresso e l’uscita si generano disegni con battute o scene triviali, come anche nelle vignette a puntini da collegare fra loro. O anche il gioco “note famose”: abbiamo scelto alcune celebri canzoni con versi scurrili, da Francesco Guccini a Elio e le storie tese, chiedendo ai lettori di inserire la parola mancante in un verso».

Unendo i puntini cosa verrà fuori?

Fra le trovate più divertenti, 14 definizioni da ricostruire, usando solo alcune lettere dell’espressione “Teste di minchia”. La prima? “vivono in Germania”. La soluzione è “tedeschi”, ma non c’è intento offensivo: in effetti usa 8 delle 14 lettere dell’espressione scurrile proposta.
Oppure: “Dividi la griglia in aree in modo che ogni area contenga tutte le lettere di “FIGONE”. O ancora: cambia una lettera alle parole elencate in modo da ottenerne altre di senso compiuto: MULO, RIGA….e così via. 

Insomma, una pubblicazione divertente e ironica. Ma non è riduttivo il sottotitolo “Giochi per incazzati”? Le parolacce non si dicono solo nei momenti di rabbia: sarebbe stato più azzeccato dire “Giochi per goliardi”… «Sono assolutamente d’accordo. Se faremo un’altra edizione correggeremo il tiro», conclude Zaccariotto.

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⇒ 7 giochi da tavolo scurrili

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Giuda, Pinocchio e arpia: quando le persone diventano insulti https://www.parolacce.org/2024/08/01/insulti-deonomastici/ https://www.parolacce.org/2024/08/01/insulti-deonomastici/#comments Thu, 01 Aug 2024 08:59:16 +0000 https://www.parolacce.org/?p=20694 “Giuda”, “Megera”, “Teppista”, “Paparazzo”… Alcune offese presenti nel nostro vocabolario hanno un’origine particolare: derivano da nomi di persona, un personaggio storico o inventato (mitologico o letterario). In linguistica si chiamano “deonomastici”: nomi comuni derivati da nomi propri. E’ la figura… Continue Reading

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Il presidente Usa Joe Biden disegnato come Pinocchio da un gruppo di lavoratori autonomi che gli contesta varie promesse mancate.

“Giuda”, “Megera”, “Teppista”, “Paparazzo”… Alcune offese presenti nel nostro vocabolario hanno un’origine particolare: derivano da nomi di persona, un personaggio storico o inventato (mitologico o letterario). In linguistica si chiamano “deonomastici”: nomi comuni derivati da nomi propri. E’ la figura retorica dell’antonomasia, che consiste nell’attribuire il nome di un personaggio famoso a una persona con caratteristiche simili. Sei un bugiardo? Ti paragono al mentitore per eccellenza, la sua personificazione: Pinocchio.
In italiano questi lemmi sono circa 2mila (da mongolfiera a daltonico, dal sandwich al bikini), e fra loro ho censito anche 63 termini offensivi, usati per la loro capacità di evocare caratteristiche negative.  

Avevo già parlato in questo articolo di alcuni insulti dello stesso genere: quelli derivati da toponimi (nomi di luogo, regioni, città: beota, lesbica e così via) o da etnonimi (nomi di popolazioni: zingaro, vandalo, etc). Ora è il turno delle offese derivate da nomi di persone, sia realmente esistite oppure immaginarie. In ambo i casi il passaggio da nome proprio a nome comune comporta una perdita di specificità: un nome proprio si riferisce a un solo individuo, mentre un nome comune ne indica molti. Tant’è vero che spesso il nome proprio, una volta entrato nel vocabolario, perde l’iniziale maiuscola.  Un altro aspetto interessante di questi termini, è che riferendosi a personaggi specifici, è più facile individuare l’epoca in cui questi insulti sono nati.

Una caratteristica su tutte

Alvaro Vitali nei panni di Pierino (1982)

Come funzionano i deonomastici? Si estrapolano alcune caratteristiche della persona (l’aspetto fisico, il comportamento, la mentalità) per indicare quanti possiedono queste medesime qualità. Si condensa l’identità di una persona in una sua caratteristica: l’avarizia per Arpagone, l’aggressività selvaggia per il cerbero.

Un passaggio, questo, che è comprensibile solo se si hanno le basi culturali per capire il riferimento: definire un avvocato “azzeccagarbugli” o un politico “gattopardo”, sono offese che arrivano a destinazione se si conoscono i romanzi di Alessandro Manzoni e di Giuseppe Tomasi di Lampedusa. 

Ecco perché, in genere, questi insulti hanno una carica offensiva minore o ridotta rispetto a quelli derivati da altre metafore: in gran parte dei casi si tratta di spregiativi, più che di insulti a pieno titolo. A parità di significato, “maccabeo” è molto più debole di “coglione” quanto a carica insultante ed espressiva. Ma restano pur sempre offensivi: tanto che molti di loro (lanzichenecco, masaniello, torquemada, barabba, Giuda, megera, cassandra, cerbero, azzeccagarbugli, donchisciotte, Pierino, arpagone) sono stati oggetto di querela, e spesso hanno comportato una sentenza di condanna verso chi li ha pronunciati, come ha rilevato una ricerca dell’avvocato cassazionista Giuseppe D’Alessandro (che ha da poco pubblicato un agile dizionario degli insulti).

Ho raccolto gran parte di questi 63 termini nel libro “Dalie, dedali e damigiane, dal nome proprio al nome comune” di Enzo La Stella (Zanichelli); altri li ho ricavati dai libri di D’Alessandro. In questa raccolta mi sono limitato ai lemmi presenti nel dizionario (lo Zingarelli 2025). 

La maggior parte dei personaggi (54%) sono stati scelti come metafore svilenti per il loro modo di comportarsi (violento, fastidioso, disonesto), seguito dagli insulti di classe (14%) , mentali (12,5%) fisici e sessuali (a pari merito con 9,5%). Dunque, è il comportamento, più che l’aspetto fisico o la posizione sociale a identificarci e qualificarci?  L’ipotesi è suggestiva, ma per affermarla con certezza occorrerebbe confrontare questi risultati con quelli delle altre lingue (francese, inglese, spagnolo, portoghese….) per vedere se anch’esse privilegiano questo aspetto nel coniare i termini deonomastici.

Tornando all’italiano, quali fra questi 63 appellativi deonomastici sono i più pesanti? A mio parere: giuda, teppista, arpia, caino, megera, pulcinella, lazzarone e messalina.

E voi li conoscete tutti? E sapete anche qual è la loro origine, ovvero quale personaggio (storico o immaginario) li ha ispirati?
Mettetevi alla prova
: per sapere le risposte basta cliccare sulle strisce blu.

Insulti comportamentali (34)

Il bacio di Giuda (Cimabue, XIII sec:)

Sono la categoria più numerosa, perché indicano aspetti molto diversi del carattere: dalla parsimonia all’aggressività, dalla maleducazione all’inganno: arpagone, attila, barabba, barbablù, cacasenno, cagliostro, caino, cassandra, cerbero, donchisciotte, fariseo, fregoli, furia, gattopardo, giacobino, giuda, gradasso, hooligan, lanzichenecco, manigoldo, maramaldo, masaniello, paolotto, pierino, pinocchio, pulcinella, qualunquista, squinzia, santippe, torquemada, teddy boy, teppista, vitellone

[ per approfondire, apri la finestra cliccando sulla striscia blu qui sotto ] 

INSULTI COMPORTAMENTALI
 

insulto significato origine
arpagone avaro, tirchio da Arpagone, protagonista dell’”Avaro” di Moliere (1668): è un vecchio vedovo avaro. Il nome è ispirato al latino harpagare, rubacchiare (l’arpagone era un uncino usato dai Romani per arpionare navi nemiche)
Attila uomo feroce, devastatore, distruttore spietato da Attila, re degli Unni (395-453)
barabba malvivente, delinquente da Barabba, il malfattore liberato al posto di Cristo (circa 40 d.C.)
barbablù marito violento e brutalmente geloso dal nome del protagonista di una fiaba di Charles Perrault  (1875): era un uomo molto ricco che aveva fatto sparire 6 mogli
cacasenno saputello, sputa sentenze da Cacasenno, figlio di Bertoldino e nipote di Bertoldo, stupido comprimario dell’omnima novella di Adriano Banchieri, (1670)
cagliostro imbroglione, avventuriero, ciarlatano da Giuseppe Balsamo, conte di Cagliostro (1743-1795) che riuscì a truffare mezza Europa con le sue finte scienze occulte
caino fratricida, traditore dall’omonimo personaggio biblico che uccise il fratello Abele
cassandra menagramo, catastrofista da Cassandra figlia di Priamo (re di Troia), che si era negata ad Apollo e fu punita col dono della profezia unito alla maledizione di non essere mai creduta
cerbero custode, guardiano arcigno

persona intrattabile e sgarbata

mostruoso cane a tre teste posto a vigilare all’ingresso dell’Ade
donchisciotte chi si erge a difensore di principi e ideali generosi e nobili ma superati o comunque irraggiungibili dal nome di Don Chisciotte, il fantasioso e ingenuamente spavaldo protagonista del romanzo ‘Il fantastico cavaliere don Chisciotte della Mancia’ di Miguel de Cervantes Saavedra (1547-1616) 
fariseo ipocrita dal nome di una antica setta giudaica (i perushim) molto attaccati alla legge e severi custodi della tradizione 
fregoli chi cambia spesso atteggiamento od opinione, in modo opportunistico dal trasformista Leopoldo Fregoli (1867-1936)
furia donna iraconda e aggressiva dalle Furie, personificazioni della vendetta femminile nella mitologia romana (corrispondono alle Erinni greche)
gattopardo chi in apparenza appoggia le innovazioni ma in realtà non vuole cambiare nulla  e mira solo a conservare i propri privilegi dal protagonista dell’omonimo romanzo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa, (1958), il principe di Salina (tutto deve cambiare perché nulla cambi)
giacobino rivoluzionario, chi sostiene idee radicali, intransigenti dal “Club des Jacobins”’ (1793), frequentato da rivoluzionari, chiamato così perché fondato nel Convento dei domenicani di S. Giacomo (Jacob)
giuda traditore dall’apostolo che tradì Gesù in cambio di 30 denari
gradasso bullo,  fanfarone, millantatore, spaccone Gradasso, rinomato guerriero saraceno nei poemi cavallereschi
hooligan  tifoso estremista e violento da Patrick Hooligan, buttafuori e ladro irlandese vissuto a Londra alla fine del 1800
lanzichenecco scagnozzo, sgherro soldato mercenario tedesco del periodo rinascimentale. Dal tedesco Landsknecht ‘servo (Knecht) del paese (Land)’
manigoldo boia, carnefice

furfante, briccone

dal nome tedesco Managold, un carnefice (XIV secolo)
maramaldo persona vile e malvagia che infierisce sui vinti e gli inermi da Fabrizio Maramaldo, che nel 1530 uccise a Gavinana Francesco  Ferrucci, ferito e impossibilitato a difendersi 
masaniello agitatore, capopopolo da Tommaso Aniello soprannominato Masaniello (1620-1647), protagonista della vasta rivolta che vide nel 1647, la popolazione napoletana insorgere contro la pressione fiscale imposta dal governo spagnolo 
paolotto bigotto conformista soprannome dei membri della società di San Vincenzo de’ Paoli, fondata nel XIX sec. da Federico Ozanam
pierino ragazzo molto vivace e impertinente da Pierino, protagonista di molte barzellette italiane ispirato al fumetto Pierino di Antonio Rubino che fu pubblicato sul Corriere dei Piccoli negli anni dieci del XX secolo.
pinocchio bugiardo da Pinocchio, burattino protagonista dell’omonimo romanzo di Carlo Collodi (1881): quando diceva bugie, gli si allungava il naso
pulcinella buffone, persona poco seria dal nome dell’omonima maschera napoletana della commedia dell’arte
qualunquista chi  critica in modo generico e semplicistico o indifferente la politica e i problemi sociali dal Fronte dell’uomo qualunque, movimento politico fondato nel 1944 dal giornalista Guglielmo Giannini 
squinzia ragazza smorfiosa e civettuola da Donna Quinzia, personaggio di “i consigli di Meneghino”, una commedia di Carlo Maria Maggi (1630-1691) 
santippe moglie bisbetica e brontolona da Santippe, moglie petulante di Socrate
torquemada chi usa metodi di repressione crudeli e spietati e degni di un inquisitore da Tomás de Torquemada (1420 – 1498) religioso spagnolo, primo grande inquisitore dell’Inquisizione spagnola
teddy boy giovane teppista ragazzo (boy) vestito alla moda del regno negli anni ‘50: portavano lunghe giacche col collo di velluto nello stile di Edoardo VII, (Edward, vezzeggiativo Teddy)
teppista chi commette atti vandalici, mascalzone violento dalla Compagnia della Teppa di Milano, che nel 1816 raccoglieva giovani gaudenti e rissosi (la teppa è il muschio di cui erano ricchi i fossati del Castello Sforzesco)
vitellone giovane che trascorre il tempo oziando o in modo vacuo e frivolo  dal titolo del film di Federico Fellini I vitelloni, (1953)

Il fotoreporter Barillari si definisce paparazzo

Insulti di classe (9)

Prendono di mira gli appartenenti a una classe sociale (spesso umile): azzeccagarbugli, cenerentola, fantozzi, gaglioffo, galoppino, lazzarone, paparazzo, stacanovista, travet

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INSULTI DI CLASSE
 

insulto significato origine
azzeccagarbugli avvocato  da strapazzo  dal soprannome di un avvocato di Lecco nei “Promessi sposi”; era così chiamato per la sua capacità di sottrarre dai guai, non del tutto onestamente, le persone disoneste e potenti.
cenerentola umile serva

persona a torto trascurata,

dalla protagonista dell’omonima fiaba popolare resa celebre da Gianbattista Basile (1635)
fantozzi impiegato di basso rango

persona maldestra e sfortunata

dal personaggio di Ugo Fantozzi creato da Paolo Villaggio (1971): era il cognome di un collega di Villaggio in un’azienda in cui l’attore aveva lavorato come impiegato, la Italimpianti
gaglioffo pezzente, mendicante

cialtrone, buono a nulla

manigoldo, furfante

da Galli offa, boccone del Francese: quello mendicato dai pellegrini al Santuario di Santiago de Compostela
galoppino chi corre dappertutto per sbrigare commissioni o faccende altrui da Galopìn, messaggero nelle Chansons de gestes francesi (XI secolo)
lazzarone straccione

mascalzone, canaglia

fannullone, scansafatiche

da Lazzaro, nome del mendicante coperto di piaghe che appare nella parabola del ricco epulone (Vangelo di Luca). Nome spregiativo dato ai popolani di Napoli che si erano rivoltati guidati da Masaniello
paparazzo fotoreporter d’assalto dal nome di un fotografo nel film “La dolce vita” (1960) di Federico Fellini. Il cognome era appartenuto a un oste calabrese nel romanzo. Il nome pare derivi dal personaggio di un libro di George Gissing che Fellini stava leggendo all’epoca: Coriolano Paparazzo era il nome del proprietario d’albergo che ospitò lo scrittore inglese a Catanzaro durante il viaggio in Italia del 1897 descritto in “Sulla riva dello Jonio”
stacanovista lavoratore troppo zelante dal minatore russo Alexei. Stachanov (1906-1977) che nel 1935 segnò un primato nella quantità di carbone estratto individualmente. Lo stacanovismo movimento sorto nell’Unione Sovietica dopo il 1935 per incrementare la produttività mediante l’emulazione fra lavoratori
travet  impiegato di rango modesto e mal retribuito  dal nome del protagonista della commedia di Vittorio Bersezio (1828-1900) Le miserie d’ Monsù Travet (dal piemontese travet ‘travicello’): era uno scrivano povero, soggetto alle soverchierie del capoufficio, di cui era vittima rassegnata

Il Cottolengo a Torino

Insulti mentali (8)


Sono offese sulle facoltà mentali considerate insufficienti, inadeguate, compromesse: bacucco, barbagianni, beghina, calandrino, cottolengo, maccabeo, mammalucco, manicheo

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INSULTI MENTALI
 

insulto significato origine
bacucco persona vecchia e rimbecillita da Abacuc, profeta ebraico (V secolo a.C.)
barbagianni uomo sciocco e incolto da barba Gianni “zio Giovanni”: il nome Giovanni era spesso usato con intenti spregiativi
beghina bigotta, bacchettona da Lamberto di Liegi, detto “Le begue” (balbuziente) fondatore dell’organizzazione religiosa laica delle beghine
calandrino persona sciocca e credulona dal nome di un personaggio credulone nel Decameron del Boccaccio (sec. XIII): dal pittore fiorentino Nozzo di Pierino, chiamato calandrino perché semplice come una calandra (uccelletto simile all’allodola)
cottolengo stupido, rimbambito da don Giuseppe Bernardo Cottolengo, che fondò a Torino un ospizio per malati incurabili (1832)
maccabeo stupido, sciocco dal soprannome (“martellatori”) del movimento ebraico di ribellione contro il seleucide Antioco IV Epìfane nel II secolo a.C. La desinenza in -eo è considerata ridicola
mammalucco persona sciocca, goffa dai Mamelucchi, milizia scelta composta da schiavi bianchi (turchi, slavi e greci) impiegati dai sultani come guardie del corpo
manicheo persona dogmatica, intollerante, che suddivide il mondo in buoni/cattivi senza sfumature da Mani, filosofo persiano (III secolo) secondo cui il mondo è retto dai princìpi del Bene e del Male, in perenne contrasto fra loro 

Insulti fisici (6)

Orco al Parco dei mostri a Bomarzo

Prendono di mira l’aspetto fisico e in particolare gli acciacchi (fisici, ma spesso anche psicologici) dell’età: arpia, baggina, befana, carampana,  megera, orco

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INSULTI FISICI
 

insulto significato origine
arpia donna di aspetto sgradevole e carattere malevolo, avaro le harpyai, rapaci, erano mostri dell’antica Grecia rappresentati con volto di donna, corpo di vari animali e ali di uccello
baggina persona vecchia e rimbambita soprannome del Pio Albergo Trivulzio di Milano: una storica residenza per anziani (1766) che prende il nome da Baggio, quartiere di Milano
befana donna vecchia e brutta da epiphania, festa che celebra la rivelazione attraverso il Dio incarnato; svolgendosi d’inverno, si è innestata in antiche tradizioni contadine romane che celebravano la morte della natura (una vecchia) in attesa della rinascita primaverile
carampana donna brutta, vecchia, trasandata e volgare da Ca’ Rampani, palazzo di Venezia (della famiglia Rampani) che fu adibito a ricovero per ex prostitute
megera donna molto brutta, spec. vecchia, di carattere astioso e collerico da Megera, una delle tre Erinni (v. anche furia)
orco mostro malvagio

pedofilo

da Orcus, dio latino della morte e dell’oltretomba

Film di Kubrick (1962)

Insulti sessuali (6)


Sono la categoria meno rappresentata: assatanato,  lolita, maddalena, messalina, onanista, sardanapalo

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INSULTI SESSUALI
 

insulto significato origine
assatanato in preda a fortissima passione: libidine o collera   da Satana (l’avversario), nella tradizione ebraica il capo dei diavoli
lolita ragazza provocante, disinibita e attraente dal nome della protagonista dell’omonimo romanzo di Vladimir Nabokov (1899-1977). Il suo personaggio, però, non è una ragazzina perversa, è una povera bambina che viene corrotta 
maddalena peccatrice pentita dal nome della prostituta che si pente e asciuga coi suoi capelli i piedi di Gesù
messalina donna depravata e immorale dal nome. di Valeria Messalina (25-48), imperatrice romana famosa per le sue dissolutezze 
onanista masturbatore, segaiolo dal personaggio biblico Onan di Cananea, a cui fu imposto di sposare la vedova del fratello; ma piuttosto che generare un figlio che per la legge non sarebbe stato suo, preferì disperdere il seme (coitus interruptus, quindi: non masturbazione)
sardanapalo persona dedita al lusso e ai piaceri dal nome con cui i Greci chiamarono Assurbanipal (VII secolo a.C.) celebre per la sua dissolutezza

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Se l’insegnante dice parolacce a lezione https://www.parolacce.org/2024/04/10/parolacce-a-scuola/ https://www.parolacce.org/2024/04/10/parolacce-a-scuola/#respond Wed, 10 Apr 2024 10:00:19 +0000 https://www.parolacce.org/?p=20406 Funzionano le parolacce a scuola? Nei mesi scorsi, mentre tenevo il workshop “Parolacce e comunicazione” all’università Iulm di Milano, alcuni lettori di questo blog (insegnanti compresi) mi hanno rivolto questa domanda. Avevo già affrontato l’argomento in un articolo di qualche… Continue Reading

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Insegnante dice parolacce a lezione (Dall-E)

Funzionano le parolacce a scuola? Nei mesi scorsi, mentre tenevo il workshop “Parolacce e comunicazione” all’università Iulm di Milano, alcuni lettori di questo blog (insegnanti compresi) mi hanno rivolto questa domanda. Avevo già affrontato l’argomento in un articolo di qualche anno fa. Ne parlo di nuovo oggi, alla luce delle ricerche uscite nel frattempo. 

Parto da una considerazione di fondo: non c’è, e non può esserci, una risposta univoca alla domanda se sia efficace usare il turpiloquio a lezione, perché è troppo generica. Le “parolacce”, infatti, includono un ventaglio di espressioni che vanno dagli insulti alle espressioni colloquiali, dalle oscenità alle imprecazioni: in questa categoria, insomma, rientrano espressioni bonarie e spiritose ma anche offese molto pesanti. Come dico sempre, le parolacce sono come coltelli: si possono usare per ferire ma anche per sbucciare una mela.

Ed è troppo vago anche il pubblico dei destinatari: gli studenti possono andare dai 6 ai 24 anni d’età, dalla prima elementare all’università: persone con sensibilità e maturità emotiva molto diverse fra loro. Sarebbe inaccettabile usare espressioni oscene con bambini di prima elementare, così come sarebbe fuori luogo utilizzare l’umorismo infantile “da gabinetto” con un pubblico di 20enni. 

Resta il fatto che il turpiloquio è  un linguaggio molto potente, e sarebbe troppo sbrigativo limitarsi a censurarlo in un’epoca come la nostra, in cui le parolacce sono onnipresenti e destano meno scandalo d’un tempo. A maggior ragione se ci si rivolge a un pubblico di adolescenti, che sono – da sempre – i più scurrili: il linguaggio sboccato potrebbe essere una via diretta per entrare in confidenza con loro.  

Una scelta a due facce

In generale, secondo le ricerche, usare un linguaggio volgare è una scelta a due facce: non è mai completamente vantaggiosa, ma neppure totalmente svantaggiosa. A seconda di come viene attuata, infatti, può avere effetti positivi o negativi. Ecco quali:

effetti positivi effetti negativi
il turpiloquio è un linguaggio sincero, diretto e spontaneo (se usato abitualmente e non come atteggiamento costruito “a tavolino” per strizzare l’occhio al pubblico) fa perdere autorevolezza
accorcia le distanze, creando un clima confidenziale e informale fa apparire meno competenti / professionali
attira l’attenzione fa apparire incapaci di controllarsi

Gli insegnanti, ma anche i comunicatori, i formatori, chi tiene una conferenza, dovrebbero sempre tener presente questa tabella quando valutano se usare o meno il linguaggio scurrile. Ci sono “pro e contro” in ogni caso: la differenza la fa il “perché” e il “come” sono usate. Ovvero, gli scopi comunicativi. Come ricorda Emily Mullins della Wichita State University «le parolacce non sono in sè un problema: tutto dipende dall’intenzione con cui sono utilizzate». O, come diceva Italo Calvino, le parolacce possono dare un particolare effetto musicale nella “partitura” del discorso: quindi, sono efficaci se al servizio di una narrazione, di un preciso scopo comunicativo.
Ma oltre all’efficacia, c’è anche un altro aspetto di cui tenere conto quando si parla di parolacce a scuola: l’opportunità. L’insegnante è un educatore, e come tale deve dare il buon esempio: dire parolacce rischia di minare gli intenti educativi e la propria autorevolezza. Dunque deve essere un’eccezione e non la regola: una scelta che va commisurata all’età e alla maturità degli studenti, per non rischiare sgradevoli equivoci o che degeneri il clima in classe. Possiamo affermare, in termini generali, che la scelta di dire parolacce a scuola sia diseducativa in modo inversamente proporzionale all’età degli studenti: ovvero, è tanto più diseducativa quanto più è giovane l’età degli studenti. 

Cosa dicono le ricerche

Parolacce in una conferenza (Dall-E)

Che cosa hanno scoperto gli studi sull’uso delle volgarità a lezione? Gli insulti («asino») e le maledizioni («vaffa») hanno effetti negativi perché sono aggressivi e umiliano il destinatario, abbassandone l’autostima. Dirli in modo bonariamente ironico ne attenuerebbe l’offensività, ma sono sempre un azzardo da evitare.
Le imprecazioni (“porca vacca”), rivolte a se stessi o agli strumenti di lavoro, danno un’immagine di aggressività e di “incontinenza emotiva” e sono percepite in modo negativo se sono reiterate. Un conto è imprecare perché un libro voluminoso ti cade sul piede, un altro è imprecare come un marinaio ogni volta che la lavagna luminosa non funziona.
«Gli insegnanti non dovrebbero imprecare davanti gli studenti per mostrare la loro frustrazione, poiché questo comportamento può essere visto come aggressivo. E l’aggressività degli insegnanti è negativamente associata all’apprendimento e alla soddisfazione degli studenti», sottolinea Mark Generous, docente di comunicazione alla California State Polytechnic University.

Il discorso cambia se lo scopo delle parolacce è quello di fare una battuta umoristica, enfatizzare un concetto, o attirare l’attenzione: in questo caso, le volgarità possono essere percepite in modo positivo. «Le parolacce inserite nel contenuto del corso, per enfatizzare, attirare l’attenzione o rendere più chiaro un concetto sono percepite come più appropriate rispetto ad altre categorie», sottolinea ancora Generous. Con una precisazione importante: le battute di spirito “salaci” rischiano di far sembrare il docente «uno che si atteggia, che vuole cercare di fare il simpatico usando il linguaggio dei giovani»: dunque, meglio non avventurarsi su questo terreno se non si ha un senso dell’umorismo collaudato.

Escludendo insulti e maledizioni, insomma, gli studenti, in genere, «hanno sentito gli insegnanti più vicini dopo che hanno detto una parolaccia. Si sono sentiti più a loro agio nel parlare con l’insegnante sia dentro che fuori la classe», dice Mullins. Le parolacce, come abbiamo detto sopra, se usate con intelligenza accorciano le distanze e creano un clima più informale e spontaneo.

Le conclusioni

Ci sono parolacce e parolacce. Ma conta di più lo scopo per cui si dicono (Dall-E)

In sintesi, conclude Generous, «mentre l’uso del linguaggio volgare da parte degli insegnanti non è intrinsecamente negativo, la sua percezione da parte degli studenti e l’impatto sul loro apprendimento e benessere emotivo dipendono fortemente dal contesto, dalla funzione e dall’obiettivo delle volgarità. Gli insegnanti dovrebbero essere consapevoli delle possibili implicazioni del loro linguaggio e cercare di mantenere un ambiente di apprendimento rispettoso e incoraggiante». 

«Gli insegnanti che scelgono di usare parolacce» aggiunge «dovrebbero farlo con giudizio e con uno scopo chiaro, collegandole al contenuto del corso per enfatizzare, chiarire concetti o attirare l’attenzione».

Non si potrebbe dirlo meglio: non esistono formule preconfezionate, parolacce consentite o proibite in quanto tali (escluse ovviamente quelle più offensive). Esistono invece scopi comunicativi e contesti (le personalità e le età degli studenti) che vanno valutati di volta in volta.

I contesti, come sempre, fanno la differenza. Come gestire il turpiloquio in una scuola che sorge in un quartiere disagiato? Provate a immaginare una classe come quella del film “Io speriamo che me la cavo” (1992). Un’opera di fantasia, per quanto ispirata da alcuni temi raccolti dal maestro Marcello D’Orta fra gli alunni delle elementari di Arzano (Napoli), con un linguaggio insolitamente scurrile. Come comportarsi con una classe del genere? Scandalizzarsi sarebbe ridicolo, ma usare il turpiloquio significherebbe dare un pessimo esempio. E ancor più difficile se ci si trova a insegnare in un carcere minorile

In tutti questi casi, il turpiloquio è legato a un lessico povero e limitato: la vera sfida, in questo caso, più che strizzare l’occhio alle volgarità, è allargare la prospettiva dei ragazzi, insegnando parole e pensieri alternativi.

GLI STUDI CONSULTATI

Non è semplice studiare il turpiloquio. Le simulazioni (una lezione in cui un finto professore dice parolacce) non sono uno specchio fedele delle vere lezioni in aula, nelle quali l’interazione, il rapporto si costruisce giorno dopo giorno.  Le ricerche che hanno trovato i risultati più interessanti sono stati dei “focus group” in cui le persone ricordavano episodi in cui un loro insegnante aveva detto espressioni scurrili. In ogni caso, è bene ricordarlo, i risultati degli studi offrono un quadro parziale su un tema così ampio e complesso.Inoltre, ogni cultura e ogni epoca possono avere sensibilità molto diverse sul turpiloquio. Quello che è inaccettabile per uno statunitense, potrebbe essere accettabile per un italiano e viceversa; ciò che era tabù ieri potrebbe non esserlo più oggi.
Fatte queste distinzioni, ecco i principali studi che ho consultato per scrivere questo post:

♦ Karyn Stapleton “Swearing and perceptions of the speaker: A discursive approach”, Journal of Pragmatics 170 (2020) 381e395

♦ Mark A. Generous, Seth S. Frei, & Marian L. Houser “When an Instructor Swears in Class: Functions and Targets of Instructor Swearing from College Students’ Retrospective Accounts”, Communication Reports Vol. 28, No. 2, July–December 2015, pp. 128–140

♦  Mark A. Generous & Marian L. Houser “Oh, S**t! Did I just swear in class?”: Using emotional response theory to understand the role of instructor swearing in the college classroom”, Communication Quarterly, 67(2), 178–198, 2019

♦  Emily Mullins, “Watch your mouth: swearing and credibility in the classroom”, Bachelor of Arts, Wichita State University, 2020

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Alla Iulm il primo corso sul turpiloquio in Italia https://www.parolacce.org/2024/02/15/universita-corso-sulle-parolacce/ https://www.parolacce.org/2024/02/15/universita-corso-sulle-parolacce/#respond Thu, 15 Feb 2024 12:44:10 +0000 https://www.parolacce.org/?p=20279 La prossima settimana, per la prima volta in Italia, terrò un ciclo di 6 lezioni (12 ore di insegnamento) in università su un aspetto controverso, ma allo stesso tempo poco studiato, del linguaggio: le parolacce. Il workshop di Ateneo, che… Continue Reading

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L’edificio principale dell’Università Iulm a Milano.

La prossima settimana, per la prima volta in Italia, terrò un ciclo di 6 lezioni (12 ore di insegnamento) in università su un aspetto controverso, ma allo stesso tempo poco studiato, del linguaggio: le parolacce. Il workshop di Ateneo, che inizia il prossimo 20 febbraio, è riservato agli studenti iscritti alle 3 facoltà della Iulm di Milano: Interpretariato e Traduzione, Comunicazione, Arti e Turismo. Consentirà, a chi lo frequenterà per intero, di ottenere un “badge of honour” che potrà valere fino a un punto in più sul voto di laurea. I badge sono pensati come occasioni per «aprire nuovi orizzonti di interesse e partecipazione alla vita intellettuale e civile».
Il workshop, intitolato “Comunicazione e parolacce” ha avuto un boom di richieste da tutte le facoltà, a fronte di 30 posti disponibili. All’estero il turpiloquio è studiato nelle Università: negli Usa , in Francia e nel Regno Unito ci sono da tempo corsi sull’argomento. In passato avevo tenuto conferenze sul turpiloquio nelle Università di Chambéry (Francia) e Caxias do Sul (Brasile), ma è la prima volta in cui lo faccio in un ateneo italiano. Ed è un’iniziativa del tutto inedita per il nostro Paese per il suo livello di approfondimento.

Competenza linguistica

Non andrò a insegnare le parolacce agli studenti: vista l’età, è molto più probabile che siano loro a saperne più di me. L’obiettivo del corso è un altro: fornire ai giovani gli strumenti per comprendere correttamente queste espressioni. L’idea di questo corso mi è venuta vedendo quante volte, troppo spesso le parolacce siano fraintese, e a volte strumentalizzate sui giornali e in tv. Il turpiloquio è il linguaggio delle emozioni e fa parte a pieno titolo della competenza linguistica: chiunque, per poter correttamente parlare e capire una lingua, deve sapere anche che cosa significano queste parole. Perciò non ha senso fingere che queste espressioni non esistano. Al tempo stesso, però, bisogna imparare a riconoscerne il ruolo, e questo è possibile solo studiandone la loro lunga stratificazione culturale e antropologica. Metterò a disposizione degli studenti i miei 18 anni di studi e pubblicazioni sull’argomento.

Casi di studio, traduzioni e arte

Gli studenti delle facoltà di interpretariato e traduzione sono fra i destinatari del workshop. Tradurre le parolacce, in un Paese che ha una grande tradizione cinematografica, è un problema all’ordine del giorno quando si deve doppiare in italiano un film o una trasmissione televisiva che arriva dall’estero. Ma per farlo occorre conoscere i livelli di offensività delle parolacce in diverse lingue, oltre ai loro significati metaforici e ai modi di dire. E occorre sapere quali sono le espressioni più diffuse. E’ un compito molto impegnativo, per il quale darò alcuni strumenti utili e alcune linee guida. Evidenziando gli errori più comuni in cui si incorre.

E c’è molto materiale anche per gli studenti di comunicazione: «Analizzeremo insieme alcuni casi venuti alla ribalta nelle cronache anche recenti, da Morgan a Sgarbi e Trump. L’uso delle parolacce in politica (spesso un boomerang) o nelle campagne sociali o di marketing. Presenterò le statistiche sul turpiloquio, smontando con la forza dei numeri molti falsi miti (ad esempio che le parolacce abbiano solo effetti negativi). Racconterò le scoperte della scienza in questo campo, che sono affascinanti: le parolacce sono radicate in precise aree cerebrali e suscitano effetti fisici oltre che psicologici. Le parolacce riescono a spostare i conflitti da un piano fisico a uno simbolico: alcune scimmie, negli Usa, a cui fu insegnato il linguaggio dei gesti, impararono spontaneamente a creare espressioni insultanti.

Il workshop si rivolge anche agli studenti di arti e turismo: racconterò la millenaria storia delle parolacce, nella letteratura, nell’arte e nel cinema, ricordando che il primo testo in italiano volgare conteneva una parolaccia. Raramente i giovani sono accompagnati a una riflessione non banale su questo tema delicato. Le parolacce offrono una prospettiva straordinaria per comprendere i valori e disvalori, la creatività e le fobie, di un’epoca. Cancellarle è impossibile: impariamo almeno a conoscerle nella loro complessità. Negli ultimi anni diverse università italiane hanno affrontato il tema del turpiloquio durante altri corsi o nelle tesi di laurea, ma il rettore dello Iulm, professor Gianni Canova, ha previsto un intero ciclo di incontri: una scelta inedita e al passo con i tempi. Viste le adesioni, si è rivelata azzeccata. Oggi viviamo in un’epoca di inflazione delle parolacce, eppure le conosciamo poco e male.
Quindi si diranno parolacce in aula? Certo, ma solo in quanto oggetti di studio. Basta farlo in maniera pertinente, non insultante e senza sciatteria. Come si dovrebbe fare nella vita di tutti i giorni.

La notizia del workshop è stata rilanciata dall’agenzia AdnKronos, Il Giorno, Corriere della sera, Milano Today, RadioNumber One, Radio 101Leggo, Donna ModernaSkuolaNet, La svoltaCommenti memorabili, Italy24 Press News e Italian Post (in english), Italy24 Press News (en français), JerryOgConrad (norvegese), 52hrtt  e 0039yidali.com (cinese), Virgilio Sapere scuola, San Marino radio tvStudentville, GreenMe, La città news, Milano events, Quotidiano Canavese, Qui Cosenza, Trash italiano, Università.it, NasceCresceIgnora, mitomorrow, Radio Roma “Kiss & Go” , IdeaWeb tv
Il “Venerdì di Repubblica” ha dedicato una pagina, Gente ne ha dedicate due. Il quotidiano “Il Giorno” ha pubblicato una lunga intervista di Simona Ballatore. Il quotidiano “Libero” mi ha dedicato un lungo articolo di Alessandro Dell’Orto.

Il comico Saverio Raimondo mi ha intervistato a proposito del corso durante la trasmissione “In altre parole” condotta da Massimo Gramellini su La7 il 20 aprile:

Qui sotto la video-intervista di Alessandro Boldrini dell’agenzia AlaNews:

La trasmissione Night call di Radio Deejay con Chicco Giuliani mi ha intervistato in diretta il 19 marzo. Qui sotto l’audio:

 

La trasmissione We-Jay di Radio Deejay mi ha intervistato in diretta il 24 febbraio. Qui sotto l’audio:

La trasmissione “Le mattine – I miracolati” di Radio Capital mi ha intervistato il 4 aprile in diretta. Qui sotto l’audio:

La trasmissione “Breakfast Club di Radio Capital ne ha parlato nella puntata del 20 febbraio, qui sotto l’audio del momento:

La trasmissione “Rock & talk” (con Dr. Feelgood, Massimo Cotto e Antonello Piroso) su Virgin Radio ne ha parlato nella puntata del 5 marzo, qui sotto l’audio:

La radio M2O ne ha parlato in trasmissione con Albertino:

Il quiz “L’eredità” (Rai1) ha dedicato una domanda al mio corso durante la puntata del 16 marzo.  Qui lo spezzone:

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Parolacce: la “Top ten” dell’anno 2023 https://www.parolacce.org/2024/01/02/parolacce-anno-2023/ https://www.parolacce.org/2024/01/02/parolacce-anno-2023/#respond Tue, 02 Jan 2024 11:22:53 +0000 https://www.parolacce.org/?p=20176 Quali sono state le parolacce più notevoli del 2023, in Italia e nel mondo? Anche quest’anno ho preparato la classifica dei 10 insulti più emblematici dell’anno appena concluso. Un anno segnato, ancora una volta, da un’inflazione delle parolacce: si usano… Continue Reading

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Quali sono state le parolacce più notevoli del 2023, in Italia e nel mondo? Anche quest’anno ho preparato la classifica dei 10 insulti più emblematici dell’anno appena concluso. Un anno segnato, ancora una volta, da un’inflazione delle parolacce: si usano sempre più spesso, erodendo il loro potere espressivo. 

In Veneto, un bar a Castello di Godego, nel Trevigiano, ha cercato di frenare questa inflazione comminando multe (da 1 a 5 euro) per i clienti che bestemmiano: lo facevano già gli inglesi in età vittoriana, e i risultati si sono visti. Un provvedimento inutile, soprattutto per le imprecazioni che spesso sono una sorta di riflesso neurologico incontrollabile

Ecco perché, in questo scenario, risultano più apprezzabili quanti allargano lo sguardo, utilizzando espressioni meno inflazionate. Un esempio? Vincenzo De Luca. Il governatore della Campania, fra i personaggi pubblici, è fra i pochi che si preoccupano di perseguire una certa originalità e ironia quando devono criticare qualcuno. Ecco, ad esempio, quanto aveva affermato a proposito dell’ultimo festival di Sanremo: «Un festival di infelici, con gli sfessati, gli sciamannati, gli sfrantumati. Pensano di essere moderni. No, questi sono imbecilli. Un Festival di cafoni e volgari». Oppure il suo commento sarcastico su Mauro Corona, migrato dalla Rai a Rete4: «Spiace non poter più vedere quel Neanderthal, quel troglodita vestito come un capraio afgano, un cammelliere yemenita, sto male a immaginare che non avremo più quell’immagine di raffinatezza».  A riprova del fatto che la cultura (De  Luca è professore di storia e filosofia) è l’unico rimedio efficace contro gli insulti beceri e inflazionati. 

 Ecco dunque la mia “Top ten” con i 10 episodi volgari più emblematici e divertenti riportati dalle cronache nazionali e internazionali. Per sorridere e per riflettere. E’ la 16esima edizione: come in passato, ho selezionato gli episodi con 3 criteri: il loro valore simbolico, le loro conseguenze e la loro originalità. Buona lettura. E buon anno! 

La classifica 2023

1) CANTANTI

Gino Paoli: “lo spettacolo è una merda, emergono le cantanti che mostrano il culo”. 

Elodie: “Ci sono artisti che hanno scritto capolavori, ma nella vita sono delle merde”.

15 dicembre 2023

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IL FATTO
 

In occasione dell’uscita del suo libro autobiografico “Cosa farò da grande”, il Corriere della Sera intervista Gino Paoli, 89 anni. L’autore de “Il cielo in una stanza” “Sapore di sale” e “La gatta”, ripercorre diversi retroscena della sua lunga carriera. Il giornalista, Aldo Cazzullo, gli chiede perché, nel libro, scrive che “Lo spettacolo è un mondo di merda?”. Risposta. «è tutto apparenza. Oggi peggio di ieri. Ieri avevamo Mina e la Vanoni. Oggi emergono le cantanti che mostrano il culo».

Nient’altro. Nessun riferimento concreto a una cantante in particolare. Ma nel giro di poche ore  la cantante Elodie Di Patrizi, 33 anni, scrive su Twitter: «Ci sono artisti che hanno scritto capolavori, ma nella vita di tutti i giorni sono delle Merde, è così. Io preferisco essere una bella persona». 

Insomma una reazione spropositata che ha trasformato il pensiero generico di Paoli in un pesante attacco personale. Un caso clamoroso di “coda di paglia”: se Elodie non avesse reagito, nessuno avrebbe collegato a lei la frase di Paoli, che sarebbe passata inosservata come critica generica. Invece, con il suo tweet, ha acceso i riflettori su se stessa, facendo un clamoroso autogol con una reazione sproporzionata e un pesante attacco personale. E i suoi fan hanno ricordato che anche Ornella Vanoni (a suo tempo legata a Paoli) si esibiva in abiti provocanti.

Interpellato per una controreplica, Paoli ha precisato meglio il suo pensiero: «Oggi l’apparenza è più importante della sostanza. Non è importante quanto tu sia brava a cantare, ma che tu sia gradevole. Siamo nell’epoca dell’apparenza, l’importante è impressionare. Con questa mentalità Lucio Dalla non sarebbe mai diventato Dalla».

Giorni dopo, Striscia la notizia ha mandato sotto casa di Elodie un finto Gino Paoli (Ballandini) che le ha dedicato la canzone “Parigi con le gambe aperte” : “Pensiamo invece a lei, Io metterei il suo culo tra i trofei, Un culo bianco e tondo che non finiva mai, Meglio dei paradisi di Versailles.”

2) PAPALE PAPALE

Javier Milei: Bergoglioimbecille”, “comunistaepresenza maligna”

Papa Francesco: “attenti ai clown messianici”

Argentina, autunno 2023

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IL FATTO
 

La campagna elettorale per le ultime presidenziali in Argentina ha registrato un fatto clamoroso: il candidato ultraliberista Javier Milei  ha più volte attaccato duramente il suo connazionale papa Francesco. In diverse occasioni lo ha definito  “imbecille”; “Un gesuita con affinità con i comunisti assassini”, “un rappresentante del Male nella Casa di Dio”, uno che “porta avanti politiche ecclesiali di merda”. 

Mai un capo di Stato aveva attaccato così un leader religioso. Unica eccezione: l’ex presidente delle Filippine, Felipe Duterte, come raccontavo qui

Gli attacchi di Milei non sono passate inosservate: un documento congiunto firmato dal vescovo ausiliare e vicario generale di Buenos Aires, Gustavo Carrara, e da 71 sacerdoti del movimento dei “curas villeros” ha respinto le offese nei confronti di Bergoglio, ribadendo la necessità “di una politica a favore del bene comune, con la persona umana al centro”. Per i “curas villeros”, che si rifanno alla dottrina sociale della Chiesa, un candidato che afferma che “la giustizia sociale è un’aberrazione” rappresenta “un attacco diretto alla radice della fede“.

Papa Francesco si è ben guardato dal replicare. Anche se in un’intervista  all’agenzia di stampa nazionale argentina Telam ha criticato  i “pagliacci del messianismo” e i “pifferai magici”, respingendo  l’accusa di essere comunista. Quando vuole, il papa sa essere tagliente, come raccontavo qui.

Alla fine il 19 novembre Milei ha vinto le elezioni diventando presidente con il 55,69% dei voti. Forse, spenti i riflettori della campagna elettorale, i rapporti con il papa potranno proseguire su binari più rispettosi.

3) CINEMA

Barbie: “Lei sa fare di tutto. Lui sa solo come scopare”.

Francia, 16 giugno 2023

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IL FATTO
 

E’ uno dei film più visti del 2023: “Barbie”, di Greta Gerwig, ha portato sul grande schermo la celebre bambola bionda della Mattel. Ed è stato un successo al botteghino: è stato il secondo film più visto in Italia, ed è stato il 14° film più visto nella storia del cinema. Il film ha avuto un’intensa campagna promozionale, basata su trailer e poster. In quest’ultimo, lo slogan era (in italiano): “Lei può essere tutto ciò che vuole. Lui è solo Ken”.

La frase è stata tradotta in varie lingue. In francese è stata resa così: “Elle peut tout faire. Lui, c’est juste Ken”. Peccato che in francese “ken” è una parola gergale volgare che significa “scopare”. Lo scivolone è diventato virale sul Web. Alcuni hanno pensato a una svista, ma dato che il termine è così ampiamente conosciuto ai francofoni, è probabile si sia trattato di un doppio senso voluto, per attirare l’attenzione sul film. Un marketing malizioso.

4) ARTE

 Il dito medio fa il giro del mondo

Al Weiwei, 7 aprile 2023

 

 

 

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IL FATTO
 

Dal 1995, l’artista e attivista cinese Al Weiwei ha raccolto in Study of Perspective varie foto in cui mostra il dito medio ai luoghi  del potere, simboli di censura, coercizione, oppressione: da piazza Tiananmen alla Trump Tower di New York, fino al Reichstag di Berlino. 

Quest’anno Al Weiwei ha trasformato il progetto in un’opera collettiva grazie all’intelligenza artificiale: “Middle finger”. Si tratta di una piattaforma web nella quale i navigatori possono selezionare un luogo qualsiasi del mondo su Google Maps, posizionare la foto del dito medio dell’artista davanti all’obiettivo prescelto e scattare virtualmente una foto, per poi salvarla o condividerla sui social network utilizzando l’hashtag #studyofperspective. Le foto sono salvate (in forma anonima) e visionabili sulla piattaforma Middle Finger. Insomma, un vaffa su scala planetaria. «Spesso ci dimentichiamo di avere un dito medio. Penso sia giusto ricordare che questa parte del corpo può essere indirizzata contro qualcosa – un’istituzione o chi detiene un potere – per fargli sapere, e prendere coscienza noi stessi, che esistiamo», spiega Weiwei.

5) LA SENTENZA

P.Q.M. cazzo

Corte di Cassazione, Roma, 13 gennaio 2023

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IL FATTO
 

La sentenza è la n. 35183 del 2022 emessa dalla Suprema Corte di Cassazione, seconda sezione penale. La Corte respinge il ricorso di un imputato per truffa ai danni dello Stato per  la confisca di un’automobile (un’Opel Astra). Dopo aver elencato le considerazioni giuridiche del caso, i giudici hanno introdotto la decisione finale con la formula “P.Q.M.”, ovvero “per questi motivi”. A cui si è aggiunto “cazzo”: com’è possibile?

 AdnKronos, che ha dato per prima la notizia, ipotizza che possa essere stata colpa di un programma di dettatura vocale. Nel frattempo, l’errore è stato corretto nell’archivio della Suprema Corte. Ma da quel momento l’organo giudiziario  ha guadagnato il soprannome ironico “Corte di Cazzazione”.

6) LA PROVOCAZIONE

Vi do un miliardo di dollari se cambiate nome in “Cazzopedia”

Elon Musk, Twitter, 22 ottobre 2023

 

 

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IL FATTO
 

La proposta è arrivata su Twitter/X lo scorso autunno: il sanguigno imprenditore Elon Musk ha offerto 1 miliardo di dollari (circa 946 milioni di euro) a Wikipedia “se cambieranno il loro nome in Dickipedia”, cioè Cazzopedia. Nel post, oltre al proprio messaggio, Musk ha inserito anche una schermata della home page di Wikipedia, sulla quale è possibile vedere il messaggio di richiesta di donazioni del fondatore dell’enciclopedia online, Jimmy Wales.

“Vi siete mai chiesti perché la Wikimedia Foundation vuole così tanti soldi? Certamente non sono necessari per far funzionare Wikipedia – ha poi aggiunto Elon Musk – Potete letteralmente inserire una copia dell’intero testo sul vostro telefono! Quindi, a cosa servono i soldi? Le menti curiose vogliono sapere…”.

La provocazione di Musk è uscita dopo una serie di attacchi da parte di Wales, che contestava la gestione di Twitter/X: “Musk ha rimosso tutte le funzionalità principali che rendevano possibile distinguere i giornalisti veri da quelli falsi”, nel conflitto fra Israele e Palestina. Insomma, l’attacco svilente di Musk aveva tutta l’aria di voler distrarre il pubblico da una questione per lui imbarazzante: l’attendibilità delle informazioni su Twitter.

Nella sua risposta provocatoria, Musk ha anche aggiunto che la sua offerta sarebbe stata valida se Wikipedia avesse mantenuto il nuovo nome anche solo per un anno.
Wikipedia ha replicato che la sola versione inglese occupa 51 gigabytes di spazio, ma aggiungendo tutti i media e le lingue supportate si arriva a 428 Terabytes. “Non siamo finanziati dalla pubblicità, non addebitiamo costi di abbonamento e non vendiamo i tuoi dati.”, a differenza di X/Twitter, hanno risposto piccati.

 

7) INSULTI IN CONCERTO

Brian Molko: “Giorgia Meloni è pezzo di m*, fascista, razzista….vaffanculo!”. Denunciato

 

 

 

Nichelino, 11 luglio 2023

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IL FATTO
 

Nichelino. Allo Stupinigi Sonic Park (Torino), davanti ai cinquemila spettatori Brian Molko, il cantante e chitarrista dei Placebo, gruppo britannico di rock alternativo, ha insultato la premier Giorgia Meloni, parlando in italiano al microfono. Il pubblico ha applaudito. Perché il musicista l’abbia fatto rimane senza risposta.

A fine concerto la band è intervenuta anche a favore dell’accoglienza e della difesa dei figli delle coppie omosessuali. Il video del concerto è diventato virale. Al punto che la  Procura di Torino ha aperto un fascicolo di indagine per vilipendio delle istituzioni. Dopo qualche giorno è circolata la notizia che la premier stessa ha denunciato Molko per diffamazione.

8) STUPIDITA' ARTIFICIALE

Finocchiona? Un insulto. E Facebook censura

2 febbraio 2023

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IL FATTO
 

Il messaggio di censura di Facebook sulla finocchiona.

La finocchiona è un salume tipico della Toscana che si distingue per il suo sapore intenso e aromatico. Questa specialità viene preparata con carne di maiale macinata finemente, insaporita con sale, pepe nero e semi di finocchio selvatico, che le conferiscono il suo caratteristico gusto anice e leggermente dolce. Dopo la macinatura, la carne viene insaccata in budelli naturali e lasciata stagionare per diverse settimane o addirittura mesi.  

Pane e finocchiona è uno dei piatti creati da Interiora Design, il marchio dell’oste toscano Massimo Lanini, che ha deciso di portare a Bari vari panini a base di carne o insaccati. La sua campagna pubblicitaria era stata affidata all’agenzia barese LaboratorioCom, che aveva postato su Facebook una pagina per promuovere il panino alla finocchiona. Quasi subito la campagna è stata bloccata da Meta con un messaggio: “L’annuncio sembra insultare o prendere di mira categorie protette”.

Inutili le proteste: l’algoritmo non ha fatto distinzione fra il salume e l’omofobia, Alla fine Interiora Design ha scritto: “Caro Facebook, vorremo dirti che finocchiona”non è un insulto ma un insaccato tipico toscano! L’offesa sta nel non conoscere questa prelibatezza!”. Nel frattempo la vicenda è finita su tutti i giornali. Ed è stata ricordata in tv da Luciana Littizzetto durante una puntata di “Che tempo che fa”: “E meno male che non era una pubblicità di finocchiona e culatello, gli è andata bene!”

9) NOTE STONATE

Morgan: “Avete rotto il cazzo, coglioni! Frocio di merda!”

Selinunte, 27 agosto 2023

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IL FATTO
 

Selinunte. Morgan esegue concerto-lezione “Segnali di vita e di arte” dedicato a Franco Battiato, con cui aveva avuto un legame d’amicizia. A un certo punto, però, l’artista si allontana dalla scaletta e improvvisa un lungo brano al pianoforte, ispirato dalla suggestione del parco archeologico, mescolando Ravel e Luigi Tenco. Ma parte del pubblico non apprezza e gli chiede di eseguire invece brani di Battiato come da programma.

«Avete avuto abbastanza voi adesso – ha detto rivolgendosi al pubblico – Avete avuto troppo, perle ai porci si chiama questo, se non se ne vanno quei dementi io non canto». E rivolgendosi a chi lo aveva invitato a suonare, ha replicato: «Vai a casa tua, non te lo meriti lo spettacolo, sei molesto, sei venuto a rompere i coglioni». Aggiungendo: «Siete stupidi, la società è una merda», mentre dal pubblico si sono levate voci che lo invitavano a cantare. «Io sono un personaggio, andate a vedere Marracash, Fedez… frocio di merda, coglione!», ha continuato tra i “buu” che gli arrivavano dal pubblico.

Il giorno dopo, quando il caso è stato rilanciato dai giornali, Morgan ha detto: «Chiamatemi maleducato ma non sono omofobo. La mia reazione di ieri sera è stata ingiustificabile, una pessima caduta di cui mi scuso sinceramente», ha aggiunto l’artista. Che spiega la sua reazione: «E’ stata provocata dall’essermi sentito ferito nell’anima perché avevo appena dato tutto me stesso in una canzone improvvisata in quel luogo meraviglioso e commovente. L’avermi chiesto una cover di Battiato come fossi un jukebox, dopo una delle più ispirate performance della mia vita, mi ha letteralmente ucciso».

 E’ stato infatti l’epiteto “frocio” quello che ha fatto più scalpore. Morgan, dal canale di Red Ronnie, ha spiegato in un lungo video di aver usato quell’insulto perché è stato il primo che gli è venuto in mente, senza intenzioni omofobe. L’insulto comunque gli è costato caro: a settembre ha annunciato di aver devoluto metà del suo cachet di X Factor (100-150 mila euro) a favore di Casa Arcobaleno, un’associazione che si occupa di accoglienza nei confronti di giovani che, a causa del loro orientamento sessuale, sono stati allontanati e rifiutati dalle proprie famiglie. Insomma, Morgan è un artista di talento, soprattutto nel farsi male da solo.

10) AL MUSEO COME ALL'OSTERIA

Sgarbi: “storie di figa”, “conosciamo un solo organo, il cazzo”. 

Museo Maxxi Roma, 21 giugno 2023

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IL FATTO
 

La serata doveva essere un faccia a faccia tra Morgan e Sgarbi sui rispettivi gusti e passioni, un confronto aperto tra parole e note suonate al pianoforte. Ma poi, stuzzicato dalle domande di Morgan, Sgarbi ha cominciato a parlare della sua vita sessuale, con stime numeriche sul numero di donne avute. E da quel momento in poi la situazione è degenerata: «Lo scrittore Houellebecq dice che c’è un momento della vita in cui noi conosciamo un solo organo: il cazzo», ha detto tra l’altro Sgarbi. «Il cazzo è un organo di conoscenza, cioè di penetrazione, serve a capire».  Ma poi «arrivi a 60 anni devi fare i conti con questa troia, puttana di merda, la prostata». Poi, ricordando Berlusconi, ha parlato del suo amico Apicella «condannato per questioni di figa. Non si capisce poi perché, uno che suona viene condannato, non si capisce perché. Ma i magistrati vanno così: Apicella suona, suonava, è stato condannato perché l’ha pagato. Cazzo, sarò pagato non perché sto con la figa». 

I video dell’intervento sono diventati virali. Inizialmente Sgarbi si è difeso dicendo che «Scandalizzarsi delle provocazioni significa rinnegare l’arte contemporanea». Ma è davvero arduo definire “arte” le sue battute.

Infatti il caso non si è affatto chiuso Giorni dopo l’incontro, Repubblica ha pubblicato una lettera indirizzata al direttore del Maxxi Alessandro Giuli e firmata da 43 dipendenti sui 49 totali del museo, in gran parte donne. Nella lettera si chiedeva di tutelare la dignità del museo e venivano criticati gli interventi di Sgarbi e Morgan, con la spiegazione che «in nessun modo collimano con i valori che da sempre hanno contraddistinto il nostro lavoro all’interno di questa istituzione». 

Sulla vicenda è intervenuto anche il ministro della Cultura, Gennaro Sangiuliano, che in una lettera aperta a Giuli ha preso le distanze dalle «manifestazioni sessiste e dal turpiloquio» dell’incontro con Sgarbi, definendo quanto accaduto «inaccettabile: quella non è cultura». Alla fine lo stesso Giuli si è scusato: «Mi sento di sottoscrivere completamente e convintamente le osservazioni del ministro Sangiuliano, e cioè che il turpiloquio e il sessismo non possono avere diritto di cittadinanza nel discorso pubblico e in particolare nei luoghi della cultura. Non ho alcuna difficoltà a dirmi rammaricato e a chiedere scusa anche alle dipendenti e ai dipendenti del Maxxi con le quali fin dall’inizio ho condiviso questo disagio […] e a tutte le persone che si sono legittimamente sentite offese da una serata che sui presupposti doveva andare su un altro binario», ha aggiunto Giuli.
L’episodio dimostra che le parolacce non possono essere pronunciate in qualunque contesto: chi trasgredisce questa regola non fa una semplice trasgressione, ma va a infrangere gli assi portanti del rispetto e della convivenza civile.

La mia “Top ten” è stata rilanciata da AdnKronos , La Gazzetta del Mezzogiorno, Libero, La svolta, La ragione, Sicilia reportCorriere della Sardegna, Quotidiano di Bari, Affari italianiMagazine ItaliaOggi Treviso, Informazione.it, Centro studi americaniCrema oggi, Sanremo news, Sbircia la notizia, Vetrina tv, Occhioche.it, L’identità, ViverePesaro, Trash italianoBasilicata veraVivere Senigallia, Vivi centro, Cronache di Milano , La città di Roma, Tf news, Olbia notizie, OglioPo news, Italy24 press spanish , Il dubbio , identità.it, I like Puglia , Giornale dell’Umbria, il Millimetro , Tvsette , Radio Colonna

Se volete leggere le classifiche degli ultimi 15 anni, potete cliccare sui link qui di seguito: 2022, 2021, 2020, 2019,  2018, 2017, 2016, 2015, 2014, 2013, 2012, 2011, 2010,  2009 e 2008.

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Cameriere e clienti al “Karen’s diner” a Sydney.

Il più famoso è “La parolaccia” a Roma: un ristorante dove i camerieri usano un linguaggio volgare con i clienti. Ora la formula potrebbe diventare globale: una società australiana ha aperto infatti una catena di 8 ristoranti del genere, “Karen’s diner”, dall’Australia al Regno Unito fino all’Indonesia. Sono gli unici casi o ce ne sono altri? Sì: non molti (se ne conoscete altri, segnalateli nei commenti a fine articolo), e qui vi racconto le loro storie cercando di capire i motivi del loro successo, e a volte di alcune figuracce: insultare un cliente è un azzardo pericoloso, giocato sul filo del rasoio, e occorre uno spirito realmente ironico e giocoso per alleggerirli, altrimenti le offese pesano come macigni

La madre di tutti i ristoranti

L’ingresso di Cancio “La parolaccia”.

Partiamo da un punto fermo: la formula del ristorante insultante è stata inventata in Italia, per puro caso (non per marketing) nel 1951. In un’osteria, “Da Cencio” (vezzeggiativo dal nome del titolare, Vincenzo De Santis) aperta 10 anni prima. Qui, una sera, l’attore Massimo Serato aveva sentito per caso la titolare del locale che cantava stornelli popolari sboccati. Serrato, divertito, chiese alla donna se poteva replicare lo show la sera successiva. L’attore si presentò all’osteria con un gruppo di amici vestiti di tutto punto: i camerieri li sbeffeggiarono chiamandoli “pinguini” e passarono un’allegra serata fra stornelli e parolacce.

Massimo Serato

Da allora la sua fama crebbe: vi fu paparazzata la principessa Soraya, moglie ripudiata del re di Persia e fu frequentata da molti attori come Anna Magnani, Alberto Sordi, Vittorio Gassman. Ed è aperta tuttora, con un clima di caciara fra insulti, linguaggio sboccato, piatti tradizionali (il locale è nel cuore di Trastevere) e karaoke. Oltre ai camerieri avvezzi a insultare, infatti, nel locale si esibisce un animatore accompagnato da un pianista. Spiritoso l’avviso sul sito Internet per il giorno di chiusura: “domenica semo chiusi. Magnate a casa. Non fare il permaloso, stai al gioco. Tacci (mortacci) tua!”. 

Il locale è stato citato da vari film. Il più celebre (e divertente) è “Fracchia la belva umana” (1981) nel quale però è stato ribattezzato “Da Sergio e Bruno, gli incivili”.

Gli altri in giro per il mondo

Le parolacce accorciano le distanze, creano un clima di schiettezza, di confidenza, di gioco e di libertà: ecco perché la formula del ristorante “a insulto libero” ha fatto presa. Con l’aggiunta che un cameriere che ti insulta rompe un tabù, quello della cortesia e della buona educazione. Questo spiega perché molti cercano questa esperienza insolita.
I ristoranti di questo genere nati all’estero non sembrano aver copiato la formula italiana: sono nati a volte in modo spontaneo, altre con un evidente intento di marketing. Ma quando gli insulti sono giocati senza la leggerezza di un autentico spirito goliardico, in molti casi sconfinano
nella mancanza di rispetto e in un clima greve, tutt’altro che divertente. Spesso i locali di questo genere preferiscono camerieri di sesso femminile, perché un insulto detto da una ragazza suona meno minaccioso per i clienti (ma dipende da cosa e come lo dice, comunque…).

WIENERS CIRCLE - Chicago (Usa) dal 1983
  

Le panche del Wiener’s circle di Chicago.

E’ un chiosco di hot dog, celebre perché, durante i turni notturni, camerieri e clienti usano un linguaggio volgare. La tradizione è nata nel 1992, quando Larry Gold, uno dei proprietari, chiamò “stronzo” un cliente ubriaco, per attirare la sua attenzione. Da allora, di notte, camerieri servono hot dog e insulti ai clienti, in un clima goliardico. E con questo spirito, nel 2016, il locale ha inserito in menu il “Trump footlong”, un hot dog lungo 30 cm. Quell’anno, infatti, il senatore Marco Rubio aveva affermato, in campagna elettorale, che Trump avesse le mani piccole “E voi sapete cosa si dice sui tizi che hanno le mani piccole”, ha aggiunto velenosamente, riferendosi alle dimensioni del sesso. Al che Trump gli ha replicato “Te lo garantisco, non c’è problema. Te lo garantisco”. Così i titolari del chiosco hanno lanciato l’hot dog “superdotato”, ovviamente con lo slogan “Make America great again”.

La locandina con il riferimento agli “Shit hole countries” (Paesi-cesso) di Trump

E quando, nel 2018, Trump definì i Paesi africani, Haiti e l’Honduras come “shit hole countries”, ovvero “Paesi cesso, Paesi di merda”, il locale ha scritto sulla propria insegna “Le persone di tutti i Paesi sono benvenute in questo cesso”. Una buona dose di autoironia, oltre che di satira politica.
L’estate scorsa il Wieners circle ha ospitato come cameriere il cantante Ed Sheeran, che durante una tappa del suo tour ha servito un centinaio di hot dog, ma non si è sentito di insultare nessuno.“Il nostro nuovo apprendista ha ancora molto da imparare” hanno scritto sul profilo Twitter del chiosco. “È troppo educato e amichevole”.

Qui il sito ufficiale. E qui un video andato in onda sul programma “Conan” sulla TBS:

 

DICK’S LAST RESORT - Las Vegas (Usa), dal 1985
  

L’ingresso del “Dick’s last resort” a Las Vegas.

Il nome significa “L’ultima risorsa di Dick”, ma in inglese “dick” indica anche il sesso maschile: il nome vuol dire anche “l’ultima risorsa del cazzo”. E’ una catena di 12 fra bar e ristoranti negli Stati Uniti. La formula prevede uno staff volutamente sarcastico, che insulta i clienti. A questi ultimi viene fornito un cappello di carta con scritti vari insulti: devono indossarlo durante la loro permanenza nel locale.  I camerieri sono volutamente grezzi e provocatori: lanciano senza riguardo i tovaglioli e le posate sui tavoli dei clienti, e danno risposte maleducate. 

Qui il sito ufficiale, e qui sotto un video:

 

KAREN’S DINER - Sydney (Australia), dal 2021
  

I camerieri del Karen’s diner di Brighton posano con  il dito medio. Clienti avvisati

Il nome “Karen”, nel gergo australiano, indica “donna anziana e scortese, ignorante e arrogante” (megera). Durante la pandemia da Covid-19, il termine è diventato popolare perché designava, in modo sarcastico, le donne di 50-60 anni che si opponevano al lockdown e al distanziamento sociale per puro egoismo personale. E in questo contesto è nata l’idea del locale: «Il famigerato meme di Karen stava diventando virale nello stesso momento in cui il nostro personale doveva far rispettare i Green Pass e altre restrizioni, il che implicava il dover gestire molti comportamenti “alla Karen” da parte dei clienti. In realtà le persone erano solo frustrate dal lockdown, ma questo ci ha fatto venire l’idea di capovolgere il mantra dell’ospitalità e creare un locale in cui il personale potesse essere scortese con i clienti ed essere pagato per questo», racconta uno dei fondatori, Aden Levin. 

Il ristorante, all’inizio, doveva essere temporaneo, e rimanere aperto solo per 6 mesi. Ma ha suscitato dibattiti accesi: sui giornali, alcuni temevano che un clima di insulti potesse degenerare, a danno dei camerieri. Tutta pubblicità: il ristorante non solo è rimasto aperto, ma ha aperto 8 filiali fra Regno Unito e Indonesia. Non sono mancate, tuttavia, le scivolate nel cattivo gusto, e a spese dei clienti, più che dei camerieri: nel 2022 il locale è finito nella bufera per un video diventato virale su TikTok: un cameriere faceva commenti offensivi su una cliente minorenne, e dava del “pedofilo” al padre che stava cenando con lei. I proprietari hanno preso le distanze dal comportamento. Da allora al personale è stato imposto di evitare gli insulti basati su razzismo, sessismo e omofobia.

Al Karen’s Diner la maggior parte dei camerieri è di sesso femminile perché «è meglio quando una donna, o un uomo effeminato interpreta una Karen, piuttosto che un uomo minaccioso che insulta i clienti», hanno spiegato i titolari. Tuttavia, guardando i video registrati all’interno, le cameriere, sempre corrucciate, non sembrano molto spiritose. 

Qui il sito ufficiale, e qui un video girato nel locale:

LA TIENDA DEL MUÉRGANO - Barranquilla (Colombia), dal 2022
  

Le cameriere della “tienda del Muergano”.

E’ un ristorante nel quale le cameriere insultano i clienti (la frase tipica è «Che cosa prendi, figlio di puttana?»).
L’atteggiamento rimane comunque ironico, e i clienti hanno altrettanta libertà di rispondere a tono.
Il locale colombiano (l’unico del genere che ho trovato nei Paesi latini) ha fatto furore da quando alcuni influencer colombiani ne hanno parlato pubblicando articoli e video recensioni.

 

Qui il sito ufficiale, e qui sotto un video:

Quelli che hanno chiuso
  

DURGIN-PARK, Boston (Usa). Negli anni ‘70 era noto per le sue cameriere impertinenti e scontrose. Secondo la storia, il ristorante tendeva ad assumere per lo più vedove anziane che non necessariamente avevano bisogno di un reddito ma cercavano qualcosa da fare, e trovavano che lavorare a Durgin-Park fosse molto socievole. A quel tempo, le persone che entravano, per la maggior parte, erano uomini che uscivano da lunghi turni e tendevano a essere scortesi con loro, e arrivarono al punto che iniziarono a ricambiare subito. Poi il locale ha cambiato gestione e ha chiuso nel 2019.

Edsel Fung con alcuni clienti

SAM WO, San Francisco (Usa): Era un ristorante cinese, ritrovo della “beat generation”, frequentato da scrittori come Allen Ginsberg e Charles Bukowski. Ma divenne famoso per un altro motivo: la presenza di Edsel Ford Fung, “il cameriere più grezzo del mondo”. Fung era un omaccione: alto un metro e 80, capelli a spazzola, accoglieva i clienti al grido di «Siediti e stai zitto», imprecava se qualcosa andava storto, non esitava a definire «ritardati» o «ciccioni» i clienti che non gli piacevano (e spesso non li serviva neppure). «Praticava un malvagio sarcasmo che assumeva aspetti di performance art» scrivevano le guide turistiche dell’epoca. Citato in vari film e romanzi americani, Fung è morto nel 1984. Il suo ruolo è stato ereditato dalla figlia, altrettanto scortese e irascibile. Fino alla chiusura del locale nel 2012 per motivi sanitari (feci di ratto in cucina). 

COACH AND HORSES, Londra (Regno Unito). Era uno dei locali più in voga di Soho. Divenne celebre per i modi rudi del proprietario Norman Balon, che vi lavorò dal 1943 fino al 2006. «Sono scortese per natura. Non ho pazienza con nessuno», diceva. E così non esitava a dire frasi come «Non sei un fottuto cliente abituale. Quelle stronze laggiù sono fottutamente clienti abituali». Lui, comunque, era orgoglioso di questa nomea tanto che aveva fatto stampare, sulle scatole di fiammiferi del locale, la scritta “Il barista più rude di Londra”. Qui sotto un breve documentario su Balon:

 Se vi è piaciuto questo articolo, potete leggere anche: 

⇒ I 20 ristoranti più sfacciati del mondo, ovvero i locali esteri con insegne volgari in italiano: da “Pizza cazzo” alla “Cantina della baldracca”, fino alla “Zoccola del pacioccone”.

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Qatar, il Mondiale degli insulti (online) https://www.parolacce.org/2023/08/05/ricerca-offese-calcio/ https://www.parolacce.org/2023/08/05/ricerca-offese-calcio/#comments Sat, 05 Aug 2023 13:01:29 +0000 https://www.parolacce.org/?p=19941 Quanti “leoni da tastiera” e quante parolacce ha scatenato l’ultimo Mondiale di calcio, Qatar 2022? La Fifa ha pubblicato il primo report globale sulle offese più frequenti sui social media verso calciatori, arbitri, allenatori. Da dove arrivano, chi prendono di… Continue Reading

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I calciatori della Germania posano con la mano sulla bocca all’inizio dei Mondiali: una protesta contro la FIFA, che aveva vietato di indossare fasce arcobaleno in Qatar (come solidarietà al mondo LGBT).

Quanti “leoni da tastiera” e quante parolacce ha scatenato l’ultimo Mondiale di calcio, Qatar 2022? La Fifa ha pubblicato il primo report globale sulle offese più frequenti sui social media verso calciatori, arbitri, allenatori. Da dove arrivano, chi prendono di mira, e quando.
La Fifa, infatti, durante il torneo aveva
alzato una barriera protettiva virtuale per i calciatori, il Servizio di protezione dei social media (SMPS): un sistema di intelligenza artificiale che ha monitorato le principali piattaforme di social media (Instagram, Facebook, Twitter, TikTok, YouTube) alla ricerca di post o commenti insultanti. Che sono stati in parte censurati in tempo reale sugli account di giocatori, allenatori,staff, squadre, in parte segnalati alle piattaforme.

Ora, a distanza di mesi dall’evento, la Fifa ha pubblicato un report che fa un bilancio dell’esperienza. E offre molti interessanti spunti di riflessione, anche se l’Italia non ha partecipato al torneo: è una delle prime volte in cui un torneo mondiale è stato monitorato dall’intelligenza artificiale (sebbene affiancata da quella umana) in un’operazione di protezione (o censura, a seconda dei punti di vista) in tempo reale e su scala globale. Alle squadre e ai giocatori la Fifa ha dato infatti un software di moderazione che nasconde automaticamente i commenti offensivi sui loro account: in questo modo sono stati occultati al pubblico 286.895 commenti.

In più lo studio ha risposto ad alcune curiosità: quanto sono frequenti gli insulti a squadre e giocatori? [ Risposta: poco ] Quali offese sono più frequenti e da dove arrivano? [ quelle generiche, e dall’Europa ]  Ci sono squadre più bersagliate di altre? [ la Francia ]. Con molte sorprese: razzismo e omofobia non sono stati i temi più frequenti della fogna virtuale.

Il sistema protettivo

La fasce anti discriminazione consentite dalla Fifa ai Mondiali femminili in Australia e Nuova Zelanda

Che il calcio sia uno sfogatoio dell’aggressività non è una novità. Molti calciatori diventano bersaglio dei tifosi, a ogni latitudine. E spesso questo può pregiudicare la loro serenità e il loro rendimento in campo. L’ex attaccante del Brasile Willian Borges da Silva ha sperimentato in prima persona gli abusi online: i tifosi del Corinthians insultavano lui e la sua famiglia ogni volta che non giocava all’altezza delle loro aspettative. Così, per evitare questi episodi, ha deciso di trasferirsi in Inghilterra (per il Fulham). 

«Un ambiente online tossico è un posto difficile e rischioso per i giocatori. L’odio e la discriminazione nell’ambiente online avere effetti dannosi sul loro benessere generale con attacchi di ansia, depressione, bassa autostima, disturbi del sonno, cambiamenti nelle abitudini alimentari, sentimenti di inadeguatezza, ritiro sociale e isolamento» ammonisce il report. 

Perciò, in vista dei mondiali, la Fifa ha attivato il Servizio di protezione dei social media (SMPS) chiamato “Threat Matrix” della società britannica Signify.ia: i giocatori di tutte le 32 Federazioni hanno fruito di un servizio di monitoraggio, segnalazione e moderazione dei commenti offensivi nelle lingue delle squadre che partecipavano al torneo. In pratica, un sistema di intelligenza artificiale, impostato in modo da riconoscere migliaia di parole-chiave insultanti nelle 7 lingue ufficiali della Fifa (inglese, francese, tedesco, spagnolo, arabo, portoghese e russo), ha analizzato oltre 20 milioni di post e commenti. Gran parte veniva da utenti di Instagram (43%), seguito da Twitter (26%) e Facebook (24%), il resto da TikTok (6%) e YouTube (1%).

Gli insulti? Un’eccezione

Fra i 20 milioni di commenti, il sistema ne ha segnalati 434mila (il 2,17%) agli operatori umani per ulteriore controllo: di questi, quasi 287mila (1,4%) sono stati bloccati (cioè resi invisibili sugli account dei partecipanti al Mondiale e al pubblico) e 19.600 (0,1%) sono stati segnalati alle piattaforme dei social media in quanto verificate come offensive. 

Voglio sottolineare le percentuali in gioco: i commenti sospettati come offensivi erano il 2,17%, quelli effettivamente bloccati l’1,4% e quelli più gravi, segnalati alle piattaforme,solo lo 0,1%.

Una statistica del tutto in linea con i trend che avevo rilevato nel linguaggio parlato (lo studio qui): le parolacce usate nell’italiano rappresentano lo 0,2% (in questo caso, però, ho conteggiato una singola parola, mentre nel report Fifa si conteggiano i post o i commenti, che possono contenere più di un termine insultante). Ed è un fatto insolito che sui social i commenti offensivi siano così bassi, dato che – rispetto al linguaggio parlato – ci si può nascondere dietro uno schermo e un nome falso. In ogni caso, per valutare seriamente la rappresentatività di questo dato bisognerebbe sapere quali e quante parole-chiave siano state impostate nel monitoraggio (e questo non è dato sapere).

Il report precisa che la Fifa «migliorerà ulteriormente i filtri di moderazione SMPS in vista del Campionato del mondo femminile Australia e Nuova Zelanda 2023» che terminerà in agosto.

Gli autori? Chissà

La nota dolente del report riguarda la possibilità di identificare ed eventualmente sanzionare gli autori di commenti irrispettosi: sono stati censiti 12.600 autori di post offensivi (in teoria ne avrebbero scritti 34 a testa) e solo 306 di loro (il 2,4%) sono stati effettivamente identificati per nome, cognome e indirizzo. Le loro identità sono state messe a disposizione dalla FIFA alle Federazioni affiliate e alle autorità giurisdizionali «per supportare l’azione intrapresa nel mondo reale contro coloro che hanno inviato commenti offensivi, discriminatori e minacciosi alle squadre e ai giocatori partecipanti durante la Coppa del Mondo FIFA». Ma il report segnala che «la risposta iniziale di Meta (proprietaria di Instagram e Facebook, ndr) alle loro segnalazioni era spesso una risposta automatica “che il team di revisione non era stato in grado di esaminarle”».
In più, prosegue il report, «
è stato rilevato un abuso razzista proveniente da un account in cui persino il nome dell’account conteneva termini chiaramente offensivi e razzisti, violando chiaramente i termini di servizio di Meta. Ciò ha segnalato una vulnerabilità nel processo di revisione della piattaforma, poiché l’account offensivo è rimasto attivo per più di 4 mesi dopo la fine del torneo, nonostante fosse stato segnalato il giorno della finale».
Non a caso, il p
residente della Fifa Gianni Infantino ha commentato: «Ci aspettiamo che le piattaforme di social media si assumano le proprie responsabilità e ci sostengano nella lotta contro ogni forma di discriminazione».

Dei 12.618 account che hanno inviato messaggi offensivi durante il torneo, è stato possibile identificare le loro provenienze per 7.204. Tre quarti dei “leoni da tastiera” vivono fra Europa (38%) e Sud America (36%).

Gli insulti più usati

Quali tipi di insulti sono stati rilevati? Per lo più generici (26,24%), seguiti da termini osceni (17,09%) e sessismo (13,47%). Solo 4° l’omofobia (12,16%) e il razzismo (10,7%), anche se a quest’ultima voce bisognerebbe aggiungere xenofobia (0,92%), anti Rom (0,37%), antisemitismo (0,18%), e forse anche islamofobia (1,94%), per un totale del 14,11%. Difficile, comunque, districarsi nella miriade di categorie con cui sono stati censiti gli insulti: come l’abilismo (che io ho tradotto con “insulti anti disabili”), o gli “insulti allusivi” (dog whistle: “banchieri internazionali” come sinonimo allusivo di “ebrei”), più altri difficilmente valutabili.

Ciò che conta, comunque, è la prevalenza di insulti generici o osceni, per un totale del 43,33%, quasi la metà dei casi: omofobia e razzismo, che tanto fanno scalpore sulle cronache, messi insieme arrivano solo a un quarto dei casi. Sono episodi emendabili ma non sono i più diffusi. E tra l’altro sono quelli che destano più preoccupazioni alla Fifa, che nel suo statuto ha inserito la lotta alla discriminazione in tutte le sue forme.

Per fare un confronto, «le finali di AFCON 2021 ed EURO 2020 sono state più colpite pesantemente dai contenuti razzisti e omofobi, con il 78% di tutti gli abusi rilevati che rientrano in una di queste due categorie. L’abuso razzista e omofobo è in genere il più eclatante e più facilmente identificabile e perseguibile dalle piattaforme».

D’altronde, nello sport, come nelle guerre, nel traffico o nelle riunioni di condominio (ovvero i contesti ad alto tasso di aggressività) si offende più per sfogare le proprie pulsioni aggressive che per volontà di emarginare: e tutto l’arsenale delle offese va bene pur di per ferire (simbolicamente) un avversario.

I più bersagliati (e quando)

Interessanti le statistiche su quale sia stata la nazione più bersagliata dagli insulti: la Francia, seguita da Brasile e Inghilterra, E più giù Messico, Argentina e Uruguay. La Germania (la nostra bestia nera ai Mondiali) è in coda alla classifica. Lascio agli esperti di calcio ulteriori interpretazioni che non sono in grado di dare.
Interessante, comunque, notare che la partita che ha acceso maggiormente gli animi non è stata la finale Argentina-Francia, bensì lo scontro Inghilterra-Francia, due rivali storiche, bersagliato da oltre 12mila commenti offensivi. Seguono la finale Argentina-Francia, e Marocco-Portogallo, entrambi sopra i 10mila. Accese anche le reazioni durante i match che hanno visto coinvolta la Germania (contro il Giappone e il Costa Rica) oltre ad Arabia Saudita-Messico.
«
La violenza e la minaccia sono diventate più estreme man mano che il torneo andava avanti con le famiglie dei giocatori sempre più referenziate e molti minacciati se sono tornati in un determinato Paese. Nelle fasi finali del torneo, il targeting individuale è stato più pronunciato, a causa di prestazioni, incidenti o rigori sbagliati» conclude il report. Il tifo si è acceso man mano che la posta in gioco si faceva più rilevante.

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La classifica dei giornali più volgari d’Italia https://www.parolacce.org/2023/04/14/parolacce-sui-giornali/ https://www.parolacce.org/2023/04/14/parolacce-sui-giornali/#respond Fri, 14 Apr 2023 08:11:04 +0000 https://www.parolacce.org/?p=19763 Fino agli anni ’90, certe espressioni si leggevano solo sui giornali satirici, come “Cuore“, il “Vernacoliere” o “Il Male“. Ma negli ultimi anni le parolacce si sono diffuse anche su testate di altri generi: prima sui giornali politici d’opposizione, come… Continue Reading

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Prima pagina di Libero (2017): il titolo è giocato con un doppio senso volgare.

Fino agli anni ’90, certe espressioni si leggevano solo sui giornali satirici, come “Cuore“, il “Vernacoliere” o “Il Male“. Ma negli ultimi anni le parolacce si sono diffuse anche su testate di altri generi: prima sui giornali politici d’opposizione, come “La Padania“, “Il Giornale“, “Libero“. E oggi le parolacce si leggono quasi su ogni quotidiano, comprese le testate generaliste considerate più autorevoli, come il Corriere della sera, La Repubblica o Il Foglio. Eufemismi, asterischi, puntini di sospensione hanno ceduto il passo a un crudo realismo. Perché siamo arrivati fin qui? Quali sono i giornali italiani che pubblicano più parolacce nei loro articoli? E quali sono le espressioni volgari più usate?

Una società che monitora i media nazionali, Volocom, ha fatto un’interessante ricerca per rispondere a queste domande. Al netto delle imprecisioni linguistiche, lo studio – che parolacce.org ha ottenuto in versione integrale – offre interessanti spunti di riflessione. Segno dei tempi, dato che le espressioni scurrili sono sempre più usate soprattutto nella vita quotidiana, di cui – ricordiamolo – i giornali sono lo specchio. Basti ricordare che dal 2016 (governo Renzi) le ingiurie sono state depenalizzate. Un atto che ha sancito quanto il turpiloquio sia ormai considerato accettabile quasi ovunque: in una mia precedente ricerca ho scoperto che, rispetto agli anni ’90, oggi diciamo 2/3 in più di volgarità e 3 volte più spesso. Con il rischio che stiamo inflazionando il loro potere espressivo.

Il Web è più volgare della carta

Prima pagina del “Fatto quotidiano” con una parolaccia in apertura.

Per la ricerca, Volocom ha censito 38 espressioni scurrili. In ordine alfabetico sono le seguenti: bagascia, bastardo, battona, bocchino, cacasotto, cagacazzo, cagata, cazzo, cesso, checca, chiavata, coglione, cretino, culattone, deficiente, figa, frocio, imbecille, leccaculo, merda, mezzasega, mignotta, minchia, pippa, pirla, pompino, puttana, ricchione, rompipalle, scopata, sfigato, stronzata, stronzo, stupido, succhiacazzi, trombata, vaffanculo, zoccola. E’ un discreto campione, ma presenta alcuni limiti di cui parlerò più avanti. 

Nel 2022 queste 38 parole sono apparse 63.919 volte, con un aumento del 16% rispetto al 2021. Ciò significa che, sugli organi di stampa, le parolacce appaiono oltre 175 volte al giorno sulle principali testate italiane. Rispetto al 2021, il turpiloquio è aumentato del 10% sulla carta stampata e del 20% sul Web.

Un altro dato importante: le parolacce sono usate maggiormente sui giornali online (60,9%) rispetto a quelli di carta (39,1%). Per diversi motivi: innanzitutto, perché il Web è considerato un medium più colloquiale e diretto, che strizza l’occhio a un pubblico giovane e moderno (e per lo più maschile, dato che gli uomini dicono più volgarità delle donne). I giornali, per farsi leggere in un’epoca di generale sfiducia verso le istituzioni (“i giornaloni”) hanno iniziato a somigliare ai social media anche nel linguaggio informale.
Per converso, la carta stampata è considerata ancora un mezzo più autorevole o quantomeno più vincolato a regole formali.

Del resto, siamo abituati al fatto che sui social si dicono più parolacce rispetto a quante si pronunciano di persona: è l’effetto della CMC, computer mediated communication. Quando siamo nascosti da uno schermo ci sentiamo meno esposti direttamente, quindi più liberi di dire parolacce senza rischiare la faccia. 

Prima pagina de “La verità”: attacca la Annunziata per una parolaccia, ma usa una parolaccia (“balle”) in un titolo vicino (i cerchi sono miei).

Ma c’è anche un altro, e più determinante fattore che spinge a usare le parolacce: il fatto che funzionano come “acchiappa clic”. Le scurrilità fanno sempre audience, perché attirano l’attenzione, soprattutto dei navigatori in cerca di notizie piccanti. E più pubblico significa più introiti pubblicitari.

Gli analisti di Volocom sottolineano questa tendenza con un caso emblematico: «il “Corriere della Sera” nel 2022 ha pubblicato sul cartaceo 20 articoli dove compare la parola “cazzo”, mentre sul suo sito web le citazioni sono più del doppio. Stesso discorso per “Il Giornale”, che sul suo sito riporta la parola 89 volte contro le 38 dell’edizione cartacea».
In ambo i casi, comunque, gioca anche un’esigenza di realismo: oggi che siamo più abituati al linguaggio rude (presente al cinema, alla radio, in tv), possiamo permetterci di leggere una frase senza censure. Ulteriore segnale che le parolacce si stanno inflazionando. Al punto che spesso si crea un corto circuito mediatico altamente contraddittorio: la medesima testata può ospitare un editoriale perbenista sulla volgarità dilagante, e il giorno dopo sparare una scurrilità su un titolo a tutta pagina, in nome dell’audience

Le testate più sboccate: il buongiorno si vede dal… Mattino

Qual è la testata che pubblica più parolacce? Sorpresa: non è né “Libero” né “Il Giornale”, bensì “Il Mattino” edizione di Benevento: nel 2022 ne ha pubblicate 1.242, pari al 2% del totale. Spalmate su tutto l’anno, sono una media di oltre 3 al giorno.

Seguono “Il fatto quotidiano” con 560 parolacce, e a pari merito al terzo posto “Il foglio” e, per l’appunto, “Libero” entrambi con 488 espressioni. Dunque, a parte un quotidiano di cronaca, sono soprattutto le testate con un forte orientamento politico a utilizzare un linguaggio sboccato: “Il fatto quotidiano” è vicino al Movimento 5 stelle, mentre “Il foglio” e “Libero” sono più vicini al centro-destra. “La Repubblica”, vicina al centro-sinistra, con 352 espressioni manca il podio e si classifica al quarto posto. Una tendenza che avevo già rilevato in una mia precedente indagine storica. Non bisogna dimenticare infatti che – da Umberto Bossi a Beppe Grillo – i politici hanno imparato che le parolacce sono utili ad attirare l’attenzione, ad apparire più schietti e diretti.

Meno sorprese sulle testate Web: vince a mani basse “Dagospia” con 2.398 espressioni (più di 6 al giorno), seguito da Liberoquotidiano.it (616) e corriere.it (551). Dagospia, infatti, dedica molto spazio a notizie di gossip e di spettacolo, usando un linguaggio volutamente popolare e immagini piccanti. Sorprende invece la presenza sul podio di un quotidiano blasonato e conservatore come il “Corriere della sera”: sul Web non censura le espressioni più forti, probabilmente per attrarre più pubblico e apparire al passo coi tempi. Basti dire che per scurrilità nel 2022 il “Corriere” ha superato “FanPage” e ilgiornale.it, entrambi con 518 parolacce. 

Le parolacce più usate

La ricerca ha identificato, nella lista dei 38 lemmi, quali sono i più usati: i primi 10 in classifica coprono quasi il 70% delle espressioni censite.

parolaccia % sul totale testata cartacea che la usa di più testata online che la usa di più
stupido 21,5% Libero Informazione.it
merda 14% Il fatto quotidiano Dagospia
cazzo 11,6% Il fatto quotidiano Dagospia
cretino 6,6% Il foglio Informazione.it
cesso 6,5% Quotidiano del Sud (Cosenza) Informazione.it
bastardo 5,3% Corriere dell’Umbria Informazione.it
imbecille 4,3% Libero Informazione.it
puttana 4,3% La Repubblica Informazione.it
stronzo 3,1% Il fatto quotidiano Dagospia
sfigato 2,8% Il Mattino della domenica Informazione.it

Dunque, “stupido” è l’insulto più usato, in un caso su 5. Non è uno dei più pesanti: nei primi 10 posti appaiono epiteti come “puttana” e “stronzo”, che in una mia precedente indagine (il volgarometro)  sono risultate fra le parole più offensive in italiano. Significativo che siano state usate di più da due quotidiani a diffusione nazionale come La Repubblica e Il fatto quotidiano.  

Da notare che “cazzo” – la parolaccia più usata nell’italiano parlato (come avevo riscontrato in una mia recente indagine) – sui giornali risulta invece al 3° posto, superata da “stupido” e “merda”.

Sui giornali, quindi, si usano espressioni diverse rispetto al parlato: nelle prime 10 posizioni figurano espressioni che nell’italiano parlato si usano meno, come cretino (22° nel parlato), cesso (19°), bastardo (15°), imbecille (26°), puttana (20°). 

Per quanto riguarda i termini più grevi, salta all’occhio che siano stati usati da testate autorevoli: bocchino (più usato da “Il foglio”), cagacazzo (“Alto Adige”), figa (“Il fatto quotidiano”), vaffanculo (“Il fatto quotidiano”), stronzo (“Il fatto quotidiano”), coglione (“Il fatto quotidiano”), scopata (“Il fatto quotidiano”), succhiacazzi (“Il fatto quotidiano”), culattone (“La stampa”). Dunque, “Il fatto quotidiano” risulta essere il giornale cartaceo che usa il turpiloquio con maggior disinvoltura, almeno per quanto riguarda le espressioni più forti.

Da segnalare, infine, che la categoria degli insulti generici (coglione, stronzo, bastardo, imbecille, deficiente, cretino, rompipalle, stupido…) è quella più rappresentata: quasi una parolaccia su 3 rientra in questa categoria.

I contesti delle parolacce

Prima pagina de “Il Giornale” con un epiteto volgare e sessista sull’ex cancelliera Merkel.

L’analisi di Volocom non ha rilevato in quale senso siano state usate le parolacce censite: l’analisi si è limitata a censire le espressioni scurrili senza approfondire in quale contesto e in quale significato fossero usate. Un indizio sul loro uso arriva però dalla sezione dei giornali in cui sono apparse: quasi sempre sulle pagine della cultura e degli spettacoli: quelle in cui si raccontano le cronache della tv, dei libri, del cinema, tutti contesti dove le volgarità sono presenti in modo rilevante. Per raccontare la cronaca di una rissa in tv, ad esempio, si devono riferire fra virgolette gli improperi utilizzati dai protagonisti.

Fanno però eccezione gli insulti generici: appaiono di più, oltre che nelle pagine degli spettacoli, in quelle della politica. Perché come ben sappiamo i nostri politici si combattono più a suon di insulti che di argomentazioni razionali. D’altronde, come raccontavo in questo articolo, varie ricerche hanno mostrato che l’uso del turpiloquio in politica per lo più paga.

I limiti della ricerca

La ricerca, pur molto interessante, presenta alcuni limiti che è doveroso segnalare.

  1. la scelta dei lemmi scurrili: lo studio non indica con quali criteri siano stati scelti i 38 della lista. Sarebbe stato più sensato censire i termini scurrili più frequenti nell’italiano parlato (vedi qui), Ad esempio l’indagine ha trascurato termini molto utilizzati come culo,  porco, cagare (ci sono però cagata, cagasotto e cagacazzo), incazzare,  troia, fottere, figata, tette, sega, baldracca, terrone, cornuto, negroE ancor più completo sarebbe stato inserire le oltre 300 parolacce del nostro vocabolario elencate nel mio libro.
  2. la categorizzazione delle parole scurrili: è stata fatta in modo linguisticamente scorretto.  Gli analisti di Volocom hanno utilizzato un criterio etimologico, non sempre corretto, fra l’altro: ad esempio, “mezzasega” è classificato come insulto generico mentre invece è un insulto sessista. Poco senso ha scorporare in una categoria a parte le espressioni dialettali (pirla, minchia, pippa) che sono usate in realtà come insulti. E “succhiacazzi” catalogato come insulto omofobo, può essere usato anche come insulto sessista. Insomma, avrebbe avuto più senso utilizzare un criterio semantico e funzionale: le parolacce andavano catalogate a seconda del significato che avevano all’interno delle frasi. Solo così si può capire se la parola “cazzo” – dal punto di vista etimologico, un’oscenità sessuale – sia stata usata come insulto (“testa di cazzo”), come imprecazione (“Cazzo!”) o come enfasi (“Che cazzo vuoi?”). Senza dubbio questa impostazione avrebbe comportato uno sforzo di analisi ben maggiore.
  3. non è specificata la consistenza del campione: quante testate cartacee sono state censite? Quante testate online? Qual è il totale degli articoli esaminati? E il totale delle parole censite? La risposta a quest’ultima domanda sarebbe stata molto interessante perché avrebbe permesso di calcolare la frequenza d’uso delle volgarità.
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