parolacce e cinema | Parolacce https://www.parolacce.org L'unico blog italiano di studi sul turpiloquio, dal 2006 - The world famous blog on italian swearing, since 2006 - By Vito tartamella Fri, 29 Nov 2024 12:18:46 +0000 it-IT hourly 1 https://www.parolacce.org/wp-content/uploads/2015/06/cropped-logoParolacceLR-32x32.png parolacce e cinema | Parolacce https://www.parolacce.org 32 32 Giuda, Pinocchio e arpia: quando le persone diventano insulti https://www.parolacce.org/2024/08/01/insulti-deonomastici/ https://www.parolacce.org/2024/08/01/insulti-deonomastici/#comments Thu, 01 Aug 2024 08:59:16 +0000 https://www.parolacce.org/?p=20694 “Giuda”, “Megera”, “Teppista”, “Paparazzo”… Alcune offese presenti nel nostro vocabolario hanno un’origine particolare: derivano da nomi di persona, un personaggio storico o inventato (mitologico o letterario). In linguistica si chiamano “deonomastici”: nomi comuni derivati da nomi propri. E’ la figura… Continue Reading

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Il presidente Usa Joe Biden disegnato come Pinocchio da un gruppo di lavoratori autonomi che gli contesta varie promesse mancate.

“Giuda”, “Megera”, “Teppista”, “Paparazzo”… Alcune offese presenti nel nostro vocabolario hanno un’origine particolare: derivano da nomi di persona, un personaggio storico o inventato (mitologico o letterario). In linguistica si chiamano “deonomastici”: nomi comuni derivati da nomi propri. E’ la figura retorica dell’antonomasia, che consiste nell’attribuire il nome di un personaggio famoso a una persona con caratteristiche simili. Sei un bugiardo? Ti paragono al mentitore per eccellenza, la sua personificazione: Pinocchio.
In italiano questi lemmi sono circa 2mila (da mongolfiera a daltonico, dal sandwich al bikini), e fra loro ho censito anche 63 termini offensivi, usati per la loro capacità di evocare caratteristiche negative.  

Avevo già parlato in questo articolo di alcuni insulti dello stesso genere: quelli derivati da toponimi (nomi di luogo, regioni, città: beota, lesbica e così via) o da etnonimi (nomi di popolazioni: zingaro, vandalo, etc). Ora è il turno delle offese derivate da nomi di persone, sia realmente esistite oppure immaginarie. In ambo i casi il passaggio da nome proprio a nome comune comporta una perdita di specificità: un nome proprio si riferisce a un solo individuo, mentre un nome comune ne indica molti. Tant’è vero che spesso il nome proprio, una volta entrato nel vocabolario, perde l’iniziale maiuscola.  Un altro aspetto interessante di questi termini, è che riferendosi a personaggi specifici, è più facile individuare l’epoca in cui questi insulti sono nati.

Una caratteristica su tutte

Alvaro Vitali nei panni di Pierino (1982)

Come funzionano i deonomastici? Si estrapolano alcune caratteristiche della persona (l’aspetto fisico, il comportamento, la mentalità) per indicare quanti possiedono queste medesime qualità. Si condensa l’identità di una persona in una sua caratteristica: l’avarizia per Arpagone, l’aggressività selvaggia per il cerbero.

Un passaggio, questo, che è comprensibile solo se si hanno le basi culturali per capire il riferimento: definire un avvocato “azzeccagarbugli” o un politico “gattopardo”, sono offese che arrivano a destinazione se si conoscono i romanzi di Alessandro Manzoni e di Giuseppe Tomasi di Lampedusa. 

Ecco perché, in genere, questi insulti hanno una carica offensiva minore o ridotta rispetto a quelli derivati da altre metafore: in gran parte dei casi si tratta di spregiativi, più che di insulti a pieno titolo. A parità di significato, “maccabeo” è molto più debole di “coglione” quanto a carica insultante ed espressiva. Ma restano pur sempre offensivi: tanto che molti di loro (lanzichenecco, masaniello, torquemada, barabba, Giuda, megera, cassandra, cerbero, azzeccagarbugli, donchisciotte, Pierino, arpagone) sono stati oggetto di querela, e spesso hanno comportato una sentenza di condanna verso chi li ha pronunciati, come ha rilevato una ricerca dell’avvocato cassazionista Giuseppe D’Alessandro (che ha da poco pubblicato un agile dizionario degli insulti).

Ho raccolto gran parte di questi 63 termini nel libro “Dalie, dedali e damigiane, dal nome proprio al nome comune” di Enzo La Stella (Zanichelli); altri li ho ricavati dai libri di D’Alessandro. In questa raccolta mi sono limitato ai lemmi presenti nel dizionario (lo Zingarelli 2025). 

La maggior parte dei personaggi (54%) sono stati scelti come metafore svilenti per il loro modo di comportarsi (violento, fastidioso, disonesto), seguito dagli insulti di classe (14%) , mentali (12,5%) fisici e sessuali (a pari merito con 9,5%). Dunque, è il comportamento, più che l’aspetto fisico o la posizione sociale a identificarci e qualificarci?  L’ipotesi è suggestiva, ma per affermarla con certezza occorrerebbe confrontare questi risultati con quelli delle altre lingue (francese, inglese, spagnolo, portoghese….) per vedere se anch’esse privilegiano questo aspetto nel coniare i termini deonomastici.

Tornando all’italiano, quali fra questi 63 appellativi deonomastici sono i più pesanti? A mio parere: giuda, teppista, arpia, caino, megera, pulcinella, lazzarone e messalina.

E voi li conoscete tutti? E sapete anche qual è la loro origine, ovvero quale personaggio (storico o immaginario) li ha ispirati?
Mettetevi alla prova
: per sapere le risposte basta cliccare sulle strisce blu.

Insulti comportamentali (34)

Il bacio di Giuda (Cimabue, XIII sec:)

Sono la categoria più numerosa, perché indicano aspetti molto diversi del carattere: dalla parsimonia all’aggressività, dalla maleducazione all’inganno: arpagone, attila, barabba, barbablù, cacasenno, cagliostro, caino, cassandra, cerbero, donchisciotte, fariseo, fregoli, furia, gattopardo, giacobino, giuda, gradasso, hooligan, lanzichenecco, manigoldo, maramaldo, masaniello, paolotto, pierino, pinocchio, pulcinella, qualunquista, squinzia, santippe, torquemada, teddy boy, teppista, vitellone

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INSULTI COMPORTAMENTALI
 

insulto significato origine
arpagone avaro, tirchio da Arpagone, protagonista dell’”Avaro” di Moliere (1668): è un vecchio vedovo avaro. Il nome è ispirato al latino harpagare, rubacchiare (l’arpagone era un uncino usato dai Romani per arpionare navi nemiche)
Attila uomo feroce, devastatore, distruttore spietato da Attila, re degli Unni (395-453)
barabba malvivente, delinquente da Barabba, il malfattore liberato al posto di Cristo (circa 40 d.C.)
barbablù marito violento e brutalmente geloso dal nome del protagonista di una fiaba di Charles Perrault  (1875): era un uomo molto ricco che aveva fatto sparire 6 mogli
cacasenno saputello, sputa sentenze da Cacasenno, figlio di Bertoldino e nipote di Bertoldo, stupido comprimario dell’omnima novella di Adriano Banchieri, (1670)
cagliostro imbroglione, avventuriero, ciarlatano da Giuseppe Balsamo, conte di Cagliostro (1743-1795) che riuscì a truffare mezza Europa con le sue finte scienze occulte
caino fratricida, traditore dall’omonimo personaggio biblico che uccise il fratello Abele
cassandra menagramo, catastrofista da Cassandra figlia di Priamo (re di Troia), che si era negata ad Apollo e fu punita col dono della profezia unito alla maledizione di non essere mai creduta
cerbero custode, guardiano arcigno

persona intrattabile e sgarbata

mostruoso cane a tre teste posto a vigilare all’ingresso dell’Ade
donchisciotte chi si erge a difensore di principi e ideali generosi e nobili ma superati o comunque irraggiungibili dal nome di Don Chisciotte, il fantasioso e ingenuamente spavaldo protagonista del romanzo ‘Il fantastico cavaliere don Chisciotte della Mancia’ di Miguel de Cervantes Saavedra (1547-1616) 
fariseo ipocrita dal nome di una antica setta giudaica (i perushim) molto attaccati alla legge e severi custodi della tradizione 
fregoli chi cambia spesso atteggiamento od opinione, in modo opportunistico dal trasformista Leopoldo Fregoli (1867-1936)
furia donna iraconda e aggressiva dalle Furie, personificazioni della vendetta femminile nella mitologia romana (corrispondono alle Erinni greche)
gattopardo chi in apparenza appoggia le innovazioni ma in realtà non vuole cambiare nulla  e mira solo a conservare i propri privilegi dal protagonista dell’omonimo romanzo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa, (1958), il principe di Salina (tutto deve cambiare perché nulla cambi)
giacobino rivoluzionario, chi sostiene idee radicali, intransigenti dal “Club des Jacobins”’ (1793), frequentato da rivoluzionari, chiamato così perché fondato nel Convento dei domenicani di S. Giacomo (Jacob)
giuda traditore dall’apostolo che tradì Gesù in cambio di 30 denari
gradasso bullo,  fanfarone, millantatore, spaccone Gradasso, rinomato guerriero saraceno nei poemi cavallereschi
hooligan  tifoso estremista e violento da Patrick Hooligan, buttafuori e ladro irlandese vissuto a Londra alla fine del 1800
lanzichenecco scagnozzo, sgherro soldato mercenario tedesco del periodo rinascimentale. Dal tedesco Landsknecht ‘servo (Knecht) del paese (Land)’
manigoldo boia, carnefice

furfante, briccone

dal nome tedesco Managold, un carnefice (XIV secolo)
maramaldo persona vile e malvagia che infierisce sui vinti e gli inermi da Fabrizio Maramaldo, che nel 1530 uccise a Gavinana Francesco  Ferrucci, ferito e impossibilitato a difendersi 
masaniello agitatore, capopopolo da Tommaso Aniello soprannominato Masaniello (1620-1647), protagonista della vasta rivolta che vide nel 1647, la popolazione napoletana insorgere contro la pressione fiscale imposta dal governo spagnolo 
paolotto bigotto conformista soprannome dei membri della società di San Vincenzo de’ Paoli, fondata nel XIX sec. da Federico Ozanam
pierino ragazzo molto vivace e impertinente da Pierino, protagonista di molte barzellette italiane ispirato al fumetto Pierino di Antonio Rubino che fu pubblicato sul Corriere dei Piccoli negli anni dieci del XX secolo.
pinocchio bugiardo da Pinocchio, burattino protagonista dell’omonimo romanzo di Carlo Collodi (1881): quando diceva bugie, gli si allungava il naso
pulcinella buffone, persona poco seria dal nome dell’omonima maschera napoletana della commedia dell’arte
qualunquista chi  critica in modo generico e semplicistico o indifferente la politica e i problemi sociali dal Fronte dell’uomo qualunque, movimento politico fondato nel 1944 dal giornalista Guglielmo Giannini 
squinzia ragazza smorfiosa e civettuola da Donna Quinzia, personaggio di “i consigli di Meneghino”, una commedia di Carlo Maria Maggi (1630-1691) 
santippe moglie bisbetica e brontolona da Santippe, moglie petulante di Socrate
torquemada chi usa metodi di repressione crudeli e spietati e degni di un inquisitore da Tomás de Torquemada (1420 – 1498) religioso spagnolo, primo grande inquisitore dell’Inquisizione spagnola
teddy boy giovane teppista ragazzo (boy) vestito alla moda del regno negli anni ‘50: portavano lunghe giacche col collo di velluto nello stile di Edoardo VII, (Edward, vezzeggiativo Teddy)
teppista chi commette atti vandalici, mascalzone violento dalla Compagnia della Teppa di Milano, che nel 1816 raccoglieva giovani gaudenti e rissosi (la teppa è il muschio di cui erano ricchi i fossati del Castello Sforzesco)
vitellone giovane che trascorre il tempo oziando o in modo vacuo e frivolo  dal titolo del film di Federico Fellini I vitelloni, (1953)

Il fotoreporter Barillari si definisce paparazzo

Insulti di classe (9)

Prendono di mira gli appartenenti a una classe sociale (spesso umile): azzeccagarbugli, cenerentola, fantozzi, gaglioffo, galoppino, lazzarone, paparazzo, stacanovista, travet

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INSULTI DI CLASSE
 

insulto significato origine
azzeccagarbugli avvocato  da strapazzo  dal soprannome di un avvocato di Lecco nei “Promessi sposi”; era così chiamato per la sua capacità di sottrarre dai guai, non del tutto onestamente, le persone disoneste e potenti.
cenerentola umile serva

persona a torto trascurata,

dalla protagonista dell’omonima fiaba popolare resa celebre da Gianbattista Basile (1635)
fantozzi impiegato di basso rango

persona maldestra e sfortunata

dal personaggio di Ugo Fantozzi creato da Paolo Villaggio (1971): era il cognome di un collega di Villaggio in un’azienda in cui l’attore aveva lavorato come impiegato, la Italimpianti
gaglioffo pezzente, mendicante

cialtrone, buono a nulla

manigoldo, furfante

da Galli offa, boccone del Francese: quello mendicato dai pellegrini al Santuario di Santiago de Compostela
galoppino chi corre dappertutto per sbrigare commissioni o faccende altrui da Galopìn, messaggero nelle Chansons de gestes francesi (XI secolo)
lazzarone straccione

mascalzone, canaglia

fannullone, scansafatiche

da Lazzaro, nome del mendicante coperto di piaghe che appare nella parabola del ricco epulone (Vangelo di Luca). Nome spregiativo dato ai popolani di Napoli che si erano rivoltati guidati da Masaniello
paparazzo fotoreporter d’assalto dal nome di un fotografo nel film “La dolce vita” (1960) di Federico Fellini. Il cognome era appartenuto a un oste calabrese nel romanzo. Il nome pare derivi dal personaggio di un libro di George Gissing che Fellini stava leggendo all’epoca: Coriolano Paparazzo era il nome del proprietario d’albergo che ospitò lo scrittore inglese a Catanzaro durante il viaggio in Italia del 1897 descritto in “Sulla riva dello Jonio”
stacanovista lavoratore troppo zelante dal minatore russo Alexei. Stachanov (1906-1977) che nel 1935 segnò un primato nella quantità di carbone estratto individualmente. Lo stacanovismo movimento sorto nell’Unione Sovietica dopo il 1935 per incrementare la produttività mediante l’emulazione fra lavoratori
travet  impiegato di rango modesto e mal retribuito  dal nome del protagonista della commedia di Vittorio Bersezio (1828-1900) Le miserie d’ Monsù Travet (dal piemontese travet ‘travicello’): era uno scrivano povero, soggetto alle soverchierie del capoufficio, di cui era vittima rassegnata

Il Cottolengo a Torino

Insulti mentali (8)


Sono offese sulle facoltà mentali considerate insufficienti, inadeguate, compromesse: bacucco, barbagianni, beghina, calandrino, cottolengo, maccabeo, mammalucco, manicheo

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INSULTI MENTALI
 

insulto significato origine
bacucco persona vecchia e rimbecillita da Abacuc, profeta ebraico (V secolo a.C.)
barbagianni uomo sciocco e incolto da barba Gianni “zio Giovanni”: il nome Giovanni era spesso usato con intenti spregiativi
beghina bigotta, bacchettona da Lamberto di Liegi, detto “Le begue” (balbuziente) fondatore dell’organizzazione religiosa laica delle beghine
calandrino persona sciocca e credulona dal nome di un personaggio credulone nel Decameron del Boccaccio (sec. XIII): dal pittore fiorentino Nozzo di Pierino, chiamato calandrino perché semplice come una calandra (uccelletto simile all’allodola)
cottolengo stupido, rimbambito da don Giuseppe Bernardo Cottolengo, che fondò a Torino un ospizio per malati incurabili (1832)
maccabeo stupido, sciocco dal soprannome (“martellatori”) del movimento ebraico di ribellione contro il seleucide Antioco IV Epìfane nel II secolo a.C. La desinenza in -eo è considerata ridicola
mammalucco persona sciocca, goffa dai Mamelucchi, milizia scelta composta da schiavi bianchi (turchi, slavi e greci) impiegati dai sultani come guardie del corpo
manicheo persona dogmatica, intollerante, che suddivide il mondo in buoni/cattivi senza sfumature da Mani, filosofo persiano (III secolo) secondo cui il mondo è retto dai princìpi del Bene e del Male, in perenne contrasto fra loro 

Insulti fisici (6)

Orco al Parco dei mostri a Bomarzo

Prendono di mira l’aspetto fisico e in particolare gli acciacchi (fisici, ma spesso anche psicologici) dell’età: arpia, baggina, befana, carampana,  megera, orco

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INSULTI FISICI
 

insulto significato origine
arpia donna di aspetto sgradevole e carattere malevolo, avaro le harpyai, rapaci, erano mostri dell’antica Grecia rappresentati con volto di donna, corpo di vari animali e ali di uccello
baggina persona vecchia e rimbambita soprannome del Pio Albergo Trivulzio di Milano: una storica residenza per anziani (1766) che prende il nome da Baggio, quartiere di Milano
befana donna vecchia e brutta da epiphania, festa che celebra la rivelazione attraverso il Dio incarnato; svolgendosi d’inverno, si è innestata in antiche tradizioni contadine romane che celebravano la morte della natura (una vecchia) in attesa della rinascita primaverile
carampana donna brutta, vecchia, trasandata e volgare da Ca’ Rampani, palazzo di Venezia (della famiglia Rampani) che fu adibito a ricovero per ex prostitute
megera donna molto brutta, spec. vecchia, di carattere astioso e collerico da Megera, una delle tre Erinni (v. anche furia)
orco mostro malvagio

pedofilo

da Orcus, dio latino della morte e dell’oltretomba

Film di Kubrick (1962)

Insulti sessuali (6)


Sono la categoria meno rappresentata: assatanato,  lolita, maddalena, messalina, onanista, sardanapalo

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INSULTI SESSUALI
 

insulto significato origine
assatanato in preda a fortissima passione: libidine o collera   da Satana (l’avversario), nella tradizione ebraica il capo dei diavoli
lolita ragazza provocante, disinibita e attraente dal nome della protagonista dell’omonimo romanzo di Vladimir Nabokov (1899-1977). Il suo personaggio, però, non è una ragazzina perversa, è una povera bambina che viene corrotta 
maddalena peccatrice pentita dal nome della prostituta che si pente e asciuga coi suoi capelli i piedi di Gesù
messalina donna depravata e immorale dal nome. di Valeria Messalina (25-48), imperatrice romana famosa per le sue dissolutezze 
onanista masturbatore, segaiolo dal personaggio biblico Onan di Cananea, a cui fu imposto di sposare la vedova del fratello; ma piuttosto che generare un figlio che per la legge non sarebbe stato suo, preferì disperdere il seme (coitus interruptus, quindi: non masturbazione)
sardanapalo persona dedita al lusso e ai piaceri dal nome con cui i Greci chiamarono Assurbanipal (VII secolo a.C.) celebre per la sua dissolutezza

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70 anni di censure del…. biiip! https://www.parolacce.org/2022/09/13/beep-radio-tv/ https://www.parolacce.org/2022/09/13/beep-radio-tv/#respond Tue, 13 Sep 2022 11:00:04 +0000 https://www.parolacce.org/?p=19392 E’ la foglia di fico (sonora) che copre gli insulti più pesanti, salvando da multe salate le trasmissioni radio e tv. Si chiama “bleep censor” (bip censorio) e – in varie forme – ha già quasi 70 anni di vita.… Continue Reading

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E’ la foglia di fico (sonora) che copre gli insulti più pesanti, salvando da multe salate le trasmissioni radio e tv. Si chiama “bleep censor” (bip censorio) e – in varie forme – ha già quasi 70 anni di vita. Ha ancora senso questo sistema di censura? Negli Stati Uniti sembra destinato a finire in soffitta, mentre in Italia è un sistema ancora molto usato da trasmissioni come “Striscia la notizia” o “Le iene”.
Durante la sua lunga storia, che qui vi racconto, da strumento di repressione delle parolacce sta oggi diventando un loro involontario amplificatore. Una parabola che i suoi inventori, negli Stati Uniti, non avrebbero mai potuto immaginare.

La nascita: le radio americane

Studio radiofonico statunitense in una foto d’epoca

La censura nasce insieme alle prime radio private, subito dopo la prima guerra mondiale.  Il Congresso aveva posto fine al monopolio che la Marina aveva sulle trasmissioni radio. Ma il governo manteneva comunque un controllo severo sui programmi: mandare in onda contenuti offensivi poteva costare la revoca della licenza. Così quando radio WOR di New York, nel 1924, ospitò l’attrice e cantante Olga Petrova – nota per le sue posizioni a favore del controllo delle nascite – i tecnici della radio erano pronti a spegnere il microfono al primo sentore di contenuti scottanti. E così fecero: mentre l’attrice parlava, la luce rossa della messa in onda si spense. Al suo posto, la regia  mandò in onda per qualche minuto un brano musicale.
Decenni dopo fu inventato un sistema di censura più raffinato. Nel 1952 l’emittente radio WKAP di Allentown, in Pennsylvania, decise di avviare un programma “Open mic” (microfono aperto), mandando in onda le telefonate degli ascoltatori. Ma le leggi dell’epoca vietavano di trasmettere conversazioni telefoniche in diretta. Così un ingegnere della radio, Frank Cordaro, inventò un sistema per aggirare il divieto e al tempo stesso non rischiare di trasmettere contenuti inaccettabili: l’uso di due registratori a nastro distanziati di 3 metri l’uno dall’altro. Il primo registrava la trasmissione in onda, il secondo la riproduceva su una bobina di riavvolgimento: in questo modo si avevano 7 secondi di ritardo sulla diretta, sufficienti per cancellare eventuali frasi offensive.
Un sistema simile fu usato da Long John Nebel che nel 1954 conduceva “Party line”, un programma notturno su radio WOR: parlava di ufo, fantasmi, complotti e altri argomenti controversi interagendo con gli ascoltatori al telefono. Il sistema della doppia bobina gli permetteva di stoppare le chiamate offensive o di cancellare le parole inopportune.
Dopo qualche tempo i tecnici radiofonici
iniziarono a utilizzare un oscillatore, un’apparecchiatura del banco regia che genera suoni di prova ad alta frequenza (1000 Hz). Un fischio insopportabile. Un modo per coprire una frase offensiva senza lasciare muto il canale. Una censura, insomma: l’equivalente sonoro di una fascia nera su un’immagine o dei segni tipografici (@#§) negli scritti (e ci sono anche i pittogrammi dei fumetti, di cui ho parlato qui). 

L’arrivo in tv (e le invettive di Sgarbi)

Eventide BD600: dispositivo digitale capace di ritardare una trasmissione di qualche secondo

Oggi lo stesso risultato si riesce a fare con strumenti digitali, come quello nella foto a lato, capace di ritardare di alcuni secondi una diretta per consentire ai tecnici radiofonici di inserire i “beep” quando occorra. E non è l’unico ritrovato in questo campo: Apple, ad esempio, sta lavorando da diverso tempo a una nuova tecnologia in grado di eliminare automaticamente parole e frasi volgari da tutte le canzoni presenti sui propri dispositivi.
Lo stratagemma è poi approdato in tv: nel 1966 un’emittente di Los Angeles trasmise, nello show “Therapy”, le sedute di psicoterapia di gruppo con adolescenti, infarcite di parolacce (bippate).
In Italia, uno dei primi esempi dell’uso di bip censorio in tv fu “Sgarbi quotidiani” su Canale 5: nel 1993, volendo contestare la riforma dell’immunità parlamentare, Vittorio Sgarbi attaccò l’allora presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro; ma, per non incorrere nel reato di vilipendio alla massima carica dello Stato, le sue invettive furono censurate (col suo accordo) con 7 secondi di “biip”.

L’esordio nella pubblicità e nella comicità

Con il passare del tempo, il “biip” ha assunto nuove funzioni, oltre a quella di censurare. E’ stato usato in alcune pubblicità per dare un effetto realistico e simpatico, come lo spot della salsa piccante Red Hot di Frank, con lo slogan “Metto quella merda (biip) su tutto”. in questo spot, la frase è pronunciata da una cameriera alla (finta) regina d’Inghilterra:

D’altronde, si sa: proibire (o nascondere) qualcosa significa renderlo ancora più significativo. E così i censori spesso rischiano, con i beep, di rendere ancor più evidenti le trasgressioni linguistiche: tutti possono facilmente immaginare quali espressioni sono coperte dai segnali acustici. Tanto che i Monty Python, gruppo comico britannico, già nel 1987 hanno scritto una canzone intitolata “I Bet You They Won’t Play This Song On The Radio” (“Scommetto che non trasmetteranno questa canzone alla radio”): il testo è pieno di allusioni volgari, coperte da vari suoni (fischi, campanelli, trombette, clacson, urla, pernacchie), con un effetto molto divertente. Qui sotto riporto il testo con traduzione e il video:

I bet you they won’t play this song on the radio.

I bet you they won’t play this new ### song.

It’s not that it’s ### or ### controversial

just that the ### words are awfully strong.

You can’t say ### on the radio,

or ### or ### or ###

You can’t even say I’d like to ### you someday

unless you’re a doctor with a very large. ###

So I bet you they won’t play this song on the radio.

I bet you they damn ### wellprogram it.

I bet you ### their program directors who think it’s a load of horse ###.

Scommetto che non suoneranno questa canzone alla radio.

Scommetto che non suoneranno questa nuova canzone di ###.

Non è che ###  o ###  sia controverso

solo che quelle ###  di parole sono terribilmente forti.

Non si può dire ### alla radio,

O ### O ### O ###

Non puoi nemmeno dire che un giorno mi piacerebbe ### te

a meno che tu non sia un medico con un grande ###.

Scommetto che non suoneranno questa canzone alla radio.

Scommetto che lo programmeranno alla ###.

Scommetto che i loro ###  di direttori di programma pensano che sia un gran carico di ###  di cavallo.

Le contraddizioni del bip

Il conduttore radiofonico Howard Stern

Ed è la comicità di questa canzone a far comprendere la contraddittorietà del beep, che, proprio mentre tenta di eliminare un contenuto scabroso, lo rende ancora più evidente. Non è l’unica contraddizione. Come tutte le censure, il biip limita la libertà di espressione garantita da tutte le democrazie occidentali. Nel 2002 lo scrittore Stephen King, parlando delle trasmissioni radiofoniche molto provocatorie di Howard Stern, disse: “Se dice cose che non ti piacciono, che ti offendono, allunghi la mano e spegni la radio. Non hai bisogno di un politico nel tuo soggiorno per dire che devi mettere un cerotto sulla bocca di quel ragazzo”. Stern, per inciso, durante la sua carriera ha collezionato ammende per un totale di 2.5 milioni di dollari per oscenità e volgarità, un record.

Ma nessun Paese si affida alla sola libertà degli ascoltatori. Perché le parolacce sono materiale esplosivo: parlano di argomenti delicati (sesso, differenze etniche, malattie, potere economico, religione) in modo offensivo e svilente. Soprattutto se arrivano alle orecchie dei bambini, che devono ancora formarsi una coscienza critica. Anche se, bisogna ricordarlo, ci sono parolacce e parolacce (e diversi modi di dirle) e non tutte sono necessariamente dannose: sulla questione ho già scritto un approfondimento qui.

Le pene: multe fino a 600mila euro e sospensioni

Già dal 1927 negli Usa le trasmissioni radio (e poi quelle televisive) erano controllate dalla Federal radio commission – oggi Federal Communication Commission – che comminava sanzioni pesanti a chi metteva in onda oscenità. E questo succede anche in Italia.
La norma oggi in vigore è
il decreto legislativo 208 (testo unico per la fornitura di servizi di media audiovisivi) del 2021. Prevede che  nelle fasce d’ascolto riservate ai minori (in particolare dalle ore 16 alle ore 19) non si trasmettano contenuti “nocivi allo sviluppo fisico, psichico o morale dei minori, e, in  particolare,  i programmi che presentano scene di violenza  gratuita  o  insistita  o efferata ovvero scene pornografiche”. Le trasmissioni non devono evocare “discriminazioni di  razza, sesso e nazionalità” né offendere “convinzioni religiose o ideali”. E i film vietati ai minori di 14 anni non possono essere trasmessi prima delle ore 23 e dopo le ore 7. Le pene sono pesanti: multe da  30mila a 600mila euro, e, nei casi più gravi, la sospensione dell’efficacia della concessione o dell’autorizzazione a trasmettere programmi per un periodo da 7 a 180 giorni. Queste sanzioni spiegano perché i responsabili dei canali si prendano la briga di usare il bip censorio.

I conduttori dello “Zoo di 105”

Ne sa qualcosa Radio 105, che nel 2021 ha ricevuto dall’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni una sanzione di 62.500 euro per “continue allusioni sessuali marcate dal morboso, offese al sentimento religioso, ricorso gratuito a volgarità e turpiloquio, utilizzo di epiteti, con accezione dispregiativa e denigratoria, per designare le persone omosessuali”. E questo per sole due puntate di “Lo zoo di 105” trasmesse il 26 ottobre e 11 dicembre 2020 dalle ore 14 alle ore 16, in piena fascia protetta. Se avessero usato il bip, avrebbero evitato la multa. Ma probabilmente il programma sarebbe stato un fischio unico, intervallato da poche frasi.

Insomma, il biip censorio mette a nudo il difficile equilibrio fra lecito e illecito, libertà e censura. “Il segnale acustico” dice la scrittrice americana Maria Bustillos, “rivela una verità nascosta: il Super-Io, la coscienza morale che soffoca un impulso indegno. Una lotta che si svolge costantemente sotto la superficie in apparenza tranquilla della vita quotidiana. Il biip richiama l’attenzione su una divergenza di opinioni riguardante l’offensività di una frase. Prima era un fatto inconsapevole, ora lo è. Il “biip” è il rumore di una comunità impegnata nel processo di definizione dei valori, e che lotta per capire se stessa”.

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Cinema, le 13 battutacce diventate “cult” https://www.parolacce.org/2021/09/22/modi-di-dire-volgari-film/ https://www.parolacce.org/2021/09/22/modi-di-dire-volgari-film/#respond Wed, 22 Sep 2021 13:38:00 +0000 https://www.parolacce.org/?p=18874 “Sei tutto chiacchiere e distintivo!”. “Domani è un altro giorno”. “Io ne viste cose che voi umani non potreste immaginarvi”. Molte frasi cinematografiche sono uscite dalla pellicola per entrare nei nostri modi di dire. Fra questi, ce n’è anche di… Continue Reading

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“Sei tutto chiacchiere e distintivo!”. “Domani è un altro giorno”. “Io ne viste cose che voi umani non potreste immaginarvi”. Molte frasi cinematografiche sono uscite dalla pellicola per entrare nei nostri modi di dire. Fra questi, ce n’è anche di scurrili? Il cinema ha reso celebri anche espressioni a tinte forti, che contengono parolacce? La risposta è sì. Alcune battute del grande schermo sono diventate “cult”, stampate nella memoria e usate nella vita di tutti i giorni. Sono modi di dire del tutto originali, creati dall’attore o dal regista di turno, come la fantozziana “cagata pazzesca”. Altre, invece, sono espressioni che già esistevano, ma grazie alla particolare interpretazione di un attore o al contesto narrativo della trama hanno trovato nuova linfa, diventando popolari in tutta Italia, da “A cazzo di cane” (reso celebre dalla serie tv “Boris”) al “Dai cazzo!” del duo comico dei Soliti idioti. Tutte queste parolacce sono diventate celebri perché hanno reso più incisive e spettacolari le scene “clou” di molti film: ne hanno amplificato la resa con un “effetto speciale” linguistico. E proprio per questo si sono stampate subito nella memoria. Un’ulteriore riprova, casomai ce ne fosse bisogno, di quanti il grande schermo riesce a entrare anche nel nostro vocabolario, oltre che nell’immaginario.
L’elenco di queste battutacce è, probabilmente, solo parziale: chi vorrà segnalarne altre (nei commenti) è benvenuto.

Ringrazio il gruppo di cinefili Vividex per le preziose segnalazioni.


LAVORATOORI???!!! pernacchia e gesto dell'ombrello

“I vitelloni” di Federico Fellini, 1953

La scena è celeberrima: Alberto Sordi, in auto con due amici, passando davanti a un cantiere stradale, sbeffeggia gli operai con il gestaccio accompagnato dalla pernacchia. Una scena entrata nel mito. E racconta un episodio accaduto davvero a Fellini, quando era giovane: il fatto avvenne in una strada per Fiorenzuola (Piacenza). La scena si svolse proprio come nel film: dopo la pernacchia a un gruppo di operai, la loro auto, una Topolino, si fermò all’inizio di una salita, e i tre goliardi si salvarono da sicuro pestaggio fuggendo per le campagne (come racconta qui la vedova di uno dei protagonisti).

 

’IO HO CARTA BIANCA!’ ‘E CI SI PULISCA IL CULO!’

“I due colonnelli” di Steno, 1963

Totò interpreta il colonnello fascista Antonio Di Maggio, il quale riceve l’ordine dal maggiore Kruger, un nazista, di bombardare il paese e uccidere donne, vecchi e bambini per stanare i nemici inglesi. Ma Totò si rifiuta: «Io l’ordine di sparare non lo darò né ora né mai». Kruger lo minaccia: «Badate colonnello, che io ho carta bianca! (sono autorizzato a fare qualsiasi cosa, ndr)». E Totò gli risponde: «E ci si pulisca il culo!!!!». Una risposta liberatoria: una delle rare volte (come raccontavo qui) in cui Totò ha pronunciato una parolaccia.

 

 

BUTTANA INDUSTRIALE!

“Travolti da un insolito destino  nell’azzurro mare d’agosto” di Lina Wertmuller, 1974

Il film è uno dei film in cui l’uso delle parolacce tocca vette di rara creatività espressiva, come ho raccontato in un mio precedente articolo. Nel film sono presenti molti insulti creati dalla fantasia della regista. Il più celebre è buttana industriale, un rafforzativo grottesco di “puttana”.

Ma non è l’unico: c’è anche socialdemocratica (una forma di disprezzo per chi sta al centro ma strizza l’occhio alla sinistra), che diametro (= che culo), faccio quello che stracatacazzo (un rafforzativo di cazzo) mi pare, scarrafuciona (probabilmente un accrescitivo di scarrafona, scarafaggio), sottoschifo di cameriere…

LA SUPERCAZZOLA
 

“Amici miei”, di Mario Monicelli, 1975

La supercazzola è un’accozzaglia di parole reali e inesistenti, detta per confondere o prendere in giro un altro interlocutore. E’ un modo di parlare senza dire nulla, una frase priva di senso, composta da un insieme casuale di parole reali e/o inesistenti: viene esposta in modo ingannevolmente forbito e sicuro a interlocutori che, pur non capendo, alla fine la accettano come corretta. Il termine è utilizzato per indicare chi parla senza dire nulla. Pare che questo scherzo sia nato da una trovata dello scrittore e cabarettista Marcello Casco, che era solito farsi beffe del potere costituito, rappresentato da vigili urbani, soldati o carabinieri, riuscendo a tenere una conversazione senza senso anche per diversi minuti. Pare che in origine fosse chiamata “supercazzora”. Un esempio?

“Tarapìa tapiòco! Prematurata la supercazzola, o scherziamo?Antani, come se fosse antani, anche per il direttore, la supercazzola con scappellamento.”

 

È UNA CAGATA PAZZESCA!

Il secondo  tragico Fantozzi, di Luciano Salce, 1976

La scena è uno dei cult della comicità italiana. Nel film “Il secondo tragico Fantozzi” il professor Guidobaldo Maria Riccardelli impone ai suoi impiegati la visione di vecchi film d’autore, che lui venera. Una sera gli impiegati sono costretti a perdersi la finale della Nazionale di calcio ai Mondiali per vedere un film mattone, La corazzata Kotiomkin (storpiatura di Potëmkin, film muto di Sergej Michajlovič Ėjzenštejn del 1925). Dopo la proiezione si apre il dibattito. Fantozzi, esasperato, sale sul palco e sentenzia: «Per me… La corazzata Kotiomkin… è una cagata pazzesca!». 92 minuti di applausi!!

Ma non è l’unica efficace invenzione linguistica di Villaggio (di cui mi sono occupato qui): i suoi film hanno portato in auge espressioni come “merdaccia”, “coglionazzo”, o i finti titoli onorifici dei mega presidenti, come “Gr ladr farabut di gr croc mascalz. assas. figl. di gr. putt.”…

EH LA MADONNA!
 

Numerosi film fra gli anni ‘70 e ‘80 interpretati da Renato Pozzetto

Non è strettamente una parolaccia, ma una profanità, ovvero un uso profano di una parola sacra. Pozzetto racconta in un’intervista com’è nata questa espressione: “Per mestiere poi ho inventato, creato, a partire dalle cose che ho sentito in giro. “Eh la Madonna”, ad esempio, era un’ invocazione popolare, dei muratori milanesi che si schiacciano il dito con il martello». Non sono riuscito a ricostruire in quale film l’abbia usata per la prima volta, sicuramente fra la fine degli anni ‘70 e gli anni ‘80.

L’espressione è stata usata in molti film, con marcato accento milanese, per esprimere sorpresa, indignazione, paura, rabbia, sconcerto e molto altro. E si è diffusa in tutta Italia (insieme ad altri modi di dire come “Taaac!” per esprimere la celerità dei milanesi nel risolvere situazioni).

TI INFILO QUEL BASTONE NEL CULO E TI SVENTOLO COME UNA BANDIERA

The Warriors – I Guerrieri Della Notte di Walter Hill, 1979

Il film racconta le vicende di varie gang nel Bronx. Mettendo in scena pestaggi fra bande e atti di vandalismo. La minacciosa battuta passata alla storia è pronunciata da uno dei Warriors contro i Baseball Furies armato di mazza da baseball. Un’iperbole tanto esagerata da diventare quasi comica.

 

IO SO’ IO E VOI NUN SIETE UN CAZZO!

Il marchese del Grillo di Mario Monicelli, 1981

Nella Roma papalina del 1809 il marchese Onofrio del Grillo (un Alberto Sordi in gran forma), nobile romano alla corte di papa Pio VII, trascorre le sue giornate nell’ozio più completo, frequentando bettole e osterie, coltivando amori clandestini e facendo scherzi. Una notte, viene arrestato dalla ronda pontificia per gioco d’azzardo e rissa. Il marchese dichiara subito che “può essere arrestato solo per ordine del cardinal vicario”, ma il capo delle guardie non gli crede. Mentre lo stanno per portare via, arriva il commissario che lo riconosce: lo lascia libero e per punizione mette in galera il capo delle guardie insieme ai clienti dell’osteria. Sordi, prima di salire in carrozza per andarsene, dice ai suoi compagni di gioco: “Mi dispiace. Ma io so’ io e voi non siete un cazzo”. Una frase spietata e diretta, che è passata alla storia. » Non è una creazione di Monicelli né di Sordi: è ripresa dal sonetto «Li soprani der monno vecchio» di Giuseppe Gioachino Belli («C’era una vorta un Re cche ddar palazzo mannò ffora a li popoli st’editto: “Io sò io, e vvoi nun zete un c****”, sori vassalli bbugiaroni, e zzitto»).

 

LURIDISSIMI VERMI

Full metal jacket, di Stanley Kubrick, 1987

Parris Island, Carolina del Sud, 1967. Nel campo di addestramento dei Marines, dei giovani coscritti vengono affidati al rude e spietato sergente maggiore Hartman, che in vista della spedizione in Vietnam li sottopone a un duro addestramento fisico, apostrofandoli con insulti mortificanti e soprannomi ignobili. Il monologo del sergente Hartman è passato alla storia: “Capito bene luridissimi vermi? Se voi, signorine, finirete questo corso, e se sopravviverete all’addestramento, sarete un’arma, sarete dispensatori di morte, pregherete per combattere. Ma fino a quel giorno siete uno sputo, la più bassa forma di vita che ci sia nel globo. Non siete neanche fottuti esseri umani: sarete solo pezzi informi di materia organica anfibia comunemente detta merda”.

A STRONZI, NDO STATE, CHE FATE, NDO ANNATE?

“Viaggi di nozze” di Carlo Verdone, 1995 

Ivano, giovane coatto di famiglia arricchita, sposa Jessica, sua copia esatta. Dopo una trasgressiva cerimonia, i due partono per un viaggio tra alberghi e discoteche, dove consumano rapporti sessuali in situazioni pericolose al grido di “O famo strano?”. Ma alla fine prevale la noia, il già visto e già fatto. Uno dei tormentoni del film è l’annoiato “A stronzi! Ndo state, che fate, ndo annate?” rivolto ai loro compagni di scorribande notturne. La frase è diventata celebre anche fuori dai confini di Roma.

Va detto che Carlo Verdone è uno dei maestri indiscussi nell’uso delle parolacce: le inserisce per spezzare il ritmo delle scene, inserendole nei contesti più inaspettati. Come un seggio elettorale: la scena finale di “Bianco, rosso e Verdone” (1981) è lo sfogo finale di Pasquale Amitrano, che si lancia in un monologo fiume dopo un intero film in silenzio: “Lo sapete che ve dico? Che andatevela a pijà tutti quanti ‘nder culo, arrivederci!”.

A CAZZO DI CANE

“Boris”, di Luca Vendruscolo, Mattia Torre e Giacomo Ciarrapico 2007-2010 

Questa mitica serie tv racconta  porta in scena, in maniera grottesca e caricaturale, il dietro le quinte di un set televisivo nel quale si sta girando una fiction. Una soap opera all’italiana, girata male e interpretata ancora peggio. Tanto che lo stesso regista René Ferretti (Francesco Pannofino) invita un valente attore Orlando Serpentieri (Roberto Herlitzka) a recitare pensando ad altro: “alla spesa, alla moglie, al tempo”, per ottenere così una recitazione “a cazzo di cane”.

“Boris”, oltre a essere una serie di gran valore, usa le parolacce in maniera magistralmente comica. Un’altra frase resa celebre dalla serie è “Bucio de culo!”, il tormentone del comico Nando Martellone:

DAI CAZZO!

I soliti idioti di Enrico Lando, 2011 

I soliti idioti è una sitcom italiana con Francesco Mandelli e Fabrizio Biggio trasmessa da MTV per 4 stagioni dal 2009 al 2012. Dalla serie sono nati due film nel 2011 e 2012. Fra i vari personaggi dei film sono diventati popolari i protagonisti di “father & son”: un padre, Ruggero De Ceglie, e suo figlio Gianluca, agiati esponenti della Roma benestante, convivono in un grande appartamento. Ruggero è autoritario, volgare e disonesto, mentre il figlio è laureato, amante dell’arte e della tecnologia, sensibile ma anche assai ingenuo. Il padre è molto duro con lui e lo spinge costantemente a compiere azioni azzardate e immorali, lasciandolo sempre nei guai. La sua frase ricorrente, rivolta al figlio,  è proprio «Dai cazzo!». 

 

CHIÙ PILU Pì TUTTI

“Qualunquemente” di Giulio Manfredonia, 2011

Lo slogan è stato lanciato dal comico Antonio Albanese che nel film interpreta l’imprenditore calabrese Cetto La Qualunque. Un personaggio ignorante, sgrammaticato e senza scrupoli che pur di farsi eleggere si lancia in promesse demagogiche e irrealizzabili. Prima fra tutte, quella di assicurare “Chiù pilu pi tutti” (più figa per tutti) in caso di vittoria: una parodia delle promesse elettorali acchiappavoti (“ un milione di posti di lavoro”, “niente più immigrati clandestini”, “meno tasse” e così via). “Se mi voterete ci saranno giardini di pilu, parchi di pilu, tutto di pilu, evviva u pilu!”.

Questo grottesco ritratto dei politici demagoghi e corrotti ha avuto grande successo, rendendo popolari anche altri modi di dire dialettali come ‘ntu culu a tia, il malaugurio rivolto ai nemici, seguito dalla litania:Io non ti sputo, se no ti profumo. Io non ti piscio, ché ti lavo. Io non ti cago, ché ti inciprio”.

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“Che nome gli metterò?” — disse fra sè e sè. — “Lo voglio chiamar Pinocchio. Questo nome gli porterà fortuna. Ho conosciuto una famiglia intera di Pinocchi: Pinocchio il padre, Pinocchia la madre e Pinocchi i ragazzi, e tutti se la passavano bene. Il più ricco di loro chiedeva l’elemosina“. Così pensava Geppetto mentre si apprestava a intagliare il suo celebre burattino. Dare il nome a qualcuno significa scegliere il suo avvenire (nomen omen, un nome un destino, dicevano gli antichi) e anche descrivere la sua personalità. E nella fiction – che sia la letteratura o il cinema – il destino dei personaggi è deciso dalla fantasia degli autori. Per esempio, Alessandro Manzoni scelse di chiamare la coprotagonista dei “Promessi sposi” Lucia Mondella: Lucia per evocare la sua natura luminosa, Mondella per alludere alla sua purezza d’animo e alla fase del lavaggio nelle filande.
Perché allora non scegliere anche un nome spinto per un personaggio immaginario?
In questo articolo ne ho raccolti una ventina (e non è detto che siano tutti: se avete segnalazioni, scrivete nei commenti). In questo modo potremo fare un viaggio insolito nella fantasia. Spesso i nomi volgari sono scelti per dare un effetto comico o satirico al racconto, ma a volte anche per descrivere alcune particolari qualità dei personaggi.  

Personaggi cinematografici

 

TONTOLINI

“Tontolini” di Giulio Antamoro, 1910

Tontolini è il burlesco nome del protagonista di questa pellicola del film muto. E’ un popolano sciocco e maldestro, dal viso buffo e con doti da funambolo. Il ruolo è interpretato dall’attore franco-italiano Ferdinand Guillaume.

 

 

CRETINETTI

“Le creazioni svariate di Cretinetti”, 1909 

Il nome è stato reso celebre da Franca Valeri, che così si rivolgeva al marito Alberto Sordi nel film di Dino Risi “Il vedovo” (1959). Ma quel nomignolo non fu un’invenzione della Valeri: era infatti il nome di un protagonista di film comici nell’era del muto, Cretinetti appunto. Era interpretato dal francese André Deed (pseudonimo di Henri André Augustin Chapais), che in Italia recitò in decine di film dando a Cretinetti una gloria internazionale.

CACCAVALLO

“Totò e Carolina”  di Mario Monicelli, 1955 

In questo film totò interpreta l’agente di polizia Antonio Caccavallo, che si lega a una ragazza che arresta per prostituzione (Carolina De Vico).  La pellicola è stata fra le più censurate nella storia del cinema italiano. Soprattutto per i temi affrontati dal regista (prostituzione, figli illegittimi, la morale perbenista).
In origine il protagonista avrebbe dovuto chiamarsi Antonio Callarone: fu trasformato in Caccavallo per far sì che la vicenda suonasse come una farsa fine a se stessa, senza alcun aggancio alla realtà del tempo, a causa delle molte pressioni della Commissione statale di censura dei film.

ROMPIGLIONI

“Il sergente Rompiglioni”  di Giuliano Biagetti, 1973 

Il sergente protagonista del film, Francesco Garibaldi Rompiglioni (Franco Franchi) coltiva due passioni: la musica classica e la disciplina. E istruisce le reclute in modo dittatoriale e isterico: il suo cognome è infatti una contrazione di “rompicoglioni”. Il film ha avuto un grande successo di pubblico, e nonostante il titolo non è infarcito di volgarità. 

NAKA KATA

“Anche gli angeli mangiano fagioli” di E.B. Clucher, 1973

Sonny (Giuliano Gemma) lavora come uomo delle pulizie in una palestra giapponese dove il maestro è Naka Kata (George Wang). Che lo licenzia dopo aver ricevuto da lui un micidiale calcio nei testicoli durante un combattimento.

 

CULASTRISCE 

“Culastrisce nobile veneziano” di Flavio Mogherini, 1976  

Culastrisce sembra un soprannome boccaccesco, invece allude a un antenato Lanzichenecco del protagonista, il marchese Luca Maria Sbrizon (Marcello Mastroianni).
I mercenari svizzeri, infatti,  oltre alle tipiche alabarde portavano brache con spacchi e inserti di stoffe di colori contrastanti: a strisce per l’appunto. Nel film il soprannome viene usato di rado: probabilmente è stato inserito nel titolo solo per evocare le commedie a base di nudi femminili, mariti cornificati e battute triviali.

 

PISELLONIO

“Brian di Nazareth” di Terry Jones, 1979

Il film è una satira dei Monthy Pyton sulla predicazione di Gesù, incarnata da Brian, suo contemporaneo, un rivoluzionario che viene spesso scambiato per il messia. Marco Pisellonio appare accanto a Ponzio Pilato durante la condanna alla crocifissione: è affetto da sigmatismo (zeppola: la “s” fischiante) e deve il suo nome al fatto che nel film originale il personaggio si chiama Biggus Dickus (“big dick” cioè cazzone).

 

KATZONE

“La città delle donne” di Federico Fellini, 1980

Il film è un viaggio onirico nella femminilità. Uno dei personaggi è il dottor Xavier Katzone, un maturo santone dell’eros che vive nell’adorazione di una femminilità che ormai non esiste più. Qui il protagonista Snaporaz (Marcello Mastroianni) scopre la singolare collezione di orgasmi registrati: sono quelli delle innumerevoli amanti di Katzone, che il padrone di casa ama riascoltare premendo dei pulsanti, disposti lungo una doppia parete ricoperta di marmo, che evoca i loculi di un cimitero. Il dottor Katzone li custodisce nella vana attesa di ritornare agli antichi splendori.
Dunque un cognome scelto volutamente per evocare, in modo ironico, l’erotismo.

 

SMERDINO O SMERVINO, SCERIFFO DI RUTTINGHAM

“Robin Hood – Un uomo in calzamaglia” di Mel Brooks, 1993

Il film è una parodia di “Robin Hood – Principe dei ladri” (1991) di Kevin Reynolds, con Kevin Costner. Uno dei personaggi è lo sceriffo di Ruttingham (invece di Nottingham: evoca il rutto), che nell’edizione originale si chiama Mervyn (nome realmente esistente), mentre in quella italiana si chiama Smervino o Smerdino: dal doppiaggio non si riesce a capire quale delle due versioni sia stata scelta (ascoltate il video qui sotto dal minuto 1:33). Ma l’effetto è lo stesso in ambo i casi.

 

CACCA DI NATALE

South Park, di Matt Stone e Trey Parker, 1997

Tra i personaggi di South Park c’è Mr. Hankey, la Cacca di Natale (the Christmas Poo): è un pezzo di cacca con grandi occhi, una bocca sorridente e un cappello da Babbo Natale. Appare nell’episodio intitolato “Uno stronzo per amico”. I bambini della scuola elementare vogliono mettere in scena un presepe tradizionale, ma una donna di fede ebraica chiede di cancellare dalla recita tutti i riferimenti religiosi. Alla fine sarà proprio Mr Hankey a riportare lo spirito natalizio, e alla fine vola via insieme a Babbo Natale. Il personaggio appare anche in altri 6 episodi (fra cui quello intitolato “Un Natale davvero di merda”).

 

CICCIO BASTARDO,  IVONA POMPILOVA, PIRULON, FELICITY LADÀ

Austin Powers – La spia che ci provava”  di Jay Roach, 1999 

Il film è una parodia del mito degli agenti segreti alla 007. Powers è un agente segreto al servizio di Sua Maestà la Regina d’Inghilterra. Rimasto ibernato dagli anni ‘60 a oggi, Powers irrompe nel mondo moderno. Il suo ruolo stride però col suo aspetto fisico piuttosto repellente. A cui lui rimedia col “maipiùmòscio” (nel film originale è il “mojo”, un amuleto),  che gli permette di aver successo con le donne. Fra gli altri personaggi del film ci sono: una ” guardia scozzese ” obesa, Ciccio Bastardo (Fat Bastard); la protagonista femminile, Felicity Ladà (Felicity Shagwell, cioè Felicita Scopabene),  la modella russa Ivona Pompilova ( “Ivana Humpalot” cioè Ivana Scopamolto) e Pirulon (Pirlone), che nel film originale è semplicemente Woody Harrelson che interpreta se stesso.

 

GAYLORD FOTTER e SFIGATTO

“Ti presento i miei” di Jay Roach, 2000

Il protagonista (Ben Stiller) si chiama Gaylord Fotter, un doppio riferimento sessuale: ai gay e all’atto sessuale (come nel film originale, in cui si chiama Gaylord Focker, smile a fucker). Gaylord, detto Greg,  cerca di fare bella figura con i suoceri, in particolare col suocero (Robert De Niro) burbero ex agente della Cia. Fotter cerca di fare di tutto per impressionare favorevolmente i suoceri, ma la sua insicurezza e il nome imbarazzante non lo aiutano. Da segnalare anche il nome del gatto dei suoceri, che nella versione italiana si chiama Sfigatto (Mr Jinx nell’originale: in inglese jinks sono gli scherzi chiassosi), perché ne passa di tutti i colori.

 

THE MOTHERFUCKER

 “Kick-Ass2”, di Jeff Wadlow, 2003

Il film è il sequel di “Kick-Ass”, storia di un ragazzino che diventa supereroe. In questo film il suo coetaneo Chris D’Amico, sconvolto dalla morte della madre, decide di voltare le spalle alla sua precedente incarnazione da eroe e di diventare il primo supercattivo della vita reale, facendosi chiamare Motherfucker, con l’obiettivo di vendicarsi di Kick-Ass. “Motherfucker” letteralmente “uno che si fotte la madre” è l’equivalente di carogna, figlio di puttana. Nella versione italiana non è stato tradotto.

BOGDANA

 “Pazze di me” di Fausto Brizzi, 2013

Il film è una commedia senza molte pretese che racconta la storia di un ragazzo, Andrea Morelli (Francesco Mandelli), unico maschio in una famiglia tutta al femminile. Nel nucleo è presente anche una badante rumena, una scansafatiche cafona che si chiama Bogdana (evidente assonanza con “puttana”). In una scena lei rivela però che quello è “un nome d’arte: il mio vero nome è Niculina” (evidenziando la somiglianza con “culo”).

PHUC

 “The gentlemen”, di Guy Ritchie, 2019

Il film è una storia di gangster della marijuana ambientata nel Regno Unito. Si fronteggiano varie fazioni: protagonista è il boss Michael “Mickey” Pearson (Matthew McConaughey), che ha costruito un impero della cannabis e vuole uscire dal giro. Il boss cinese Lord George gli vuole subentrare, e il suo vice, Occhio Asciutto, congiura per mettersi in mezzo. Uno dei suoi scagnozzi si chiama Phuc, che ha lo stesso suono di “fuck“, fottere. Un gioco di parole provocatorio in una commedia d’azione e sangue decisamente sopra le righe. 

Personaggi letterari

BACIACULO E NASAPETI

“Gargantua e Pantagruele”, François Rabelais, 1542.

Il libro è una satira del suo tempo. In un episodio l’autore racconta che “a quel tempo pendeva nel Parlamento di Parigi un processo su una controversia così alta e difficile «che la Corte del Parlamento non ci capiva più che se fosse alto tedesco». Così il re decise di affidare il giudizio a Pantagruele. I contendenti erano Baciaculo (Baisecul in francese) e Nasapeti (Humevesne): l’episodio è una satira contro la lentezza dei processi e il linguaggio incomprensibile di giudici e avvocati. Alla fine Baciaculo è dichiarato innocente con una lunga e incomprensibile sentenza, che però “lo condanna a tre bicchieroni di latte cagliato, ben mantecati, drogati e preparati secondo la moda del paese, a favore del detto convenuto, pagabili al Ferragosto, di maggio. Ma il convenuto a sua volta sarà tenuto a rifornirlo di tutto il fieno e la stoppa, necessari all’otturazione dei trabocchetti gutturali, con contorno di polpettoni ben arrostiti e conditi. E amici come prima”. E tutti a celebrare la saggezza di Pantagruele.

 

CACASENNO

dalle novelle “Bertoldo, Bertoldino e Cacasenno” di Giulio Cesare Croce, 1620

I racconti riprendono e rielaborano novelle antichissime. Cacasenno è più idiota del padre Bertoldino: il suo nome infatti significa che “defeca la saggezza”, termine che in italiano ancora oggi designa le persone saccente, i saputelli. L’autore lo deride fin dal suo aspetto fisico: “Questo Cacasenno era grosso di cintura, aveva la fronte bassissima, gli occhi grossi, le ciglia irsute, il naso e la bocca aguzza, che certo assomigliavasi ad un gatto mammone, ovvero ad uno scimiotto”. Per dire quanto fosse sveglio e intelligente, basta questo scambio di battute con uno dei personaggi, Erminio:

“Dimmi, come hai tu nome?”. E Cacasenno: “Messer no, che non sono un uomo, sono un ragazzo”. Erminio. “Non ti addimando se sei un uomo, dico il tuo nome: come ti chiami?”. E Cacasenno: “Quando uno mi chiama, ed io gli rispondo”. 

I racconti hanno ispirato tre versioni cinematografiche: la più famosa è quella firmata da Mario Monicelli nel 1984. In una scena, re Alboino solleva in aria il figlio di Menghina e Bertoldino, ma il neonato gli defeca in faccia, “e viene di conseguenza chiamato Cacasenno”.

 

AUGELLO

I gialli di Montalbano, 1994-2020

Camilleri aveva il gusto per i dettagli. Perciò non ha scelto a caso i cognomi de propri personaggi: Montalbano deve il suo cognome a Manuel Vàzquez Montalbàn, prolifico autore di gialli spagnolo che aveva ispirato Camilleri.
Mimì Augello, il vice di Montalbano, è’ un don Giovanni, e proprio per questo il suo cognome sembra evocare l’organo sessuale maschile. Invece così non è, come rivela lo stesso Camilleri (citato in questo studio): “questa storia del braccio destro di Montalbano che si chiama Augello, gli piacciono le donne. L’augello è quello che è, il membro maschile, da noi, il membro virile. Quindi, tutti hanno pensato che io avessi voluto chiamare in questo modo il vicecommissario perché è un gran donnaiolo. Ma manco per idea! Augello è un cognome fra i più diffusi che ci sono tra Siculiana e Realmonte, vicinissima a Porto Empedocle, ecco. Poi il lettore, magari, ci vede chissà quale ricerca etimologica, chissà che cosa. Per me era lontanissima, quest’idea. Augello, semmai, nasceva non dal fatto delle sue capacità virili, nasceva, semmai, dal fatto che svolazzava da una donna all’altra. Semmai, poteva essere lontanissimamente questo”.

Personaggi nelle canzoni

MERDMAN 

dall’album “Henna”, Lucio Dalla, 1994

La canzone parla di un “marziano disgustoso” che precipita sulla Terra, Merdman. Ecco alcune strofe che lo descrivono: A parte il puzzo veramente micidiale, aveva in sé qualcosa di familiare, Sui trent’anni, bocca larga e braghe corte, sempre sporco con uno stronzo sulla fronte. Ogni tanto spiaccicava una parola, e con le dita messe li’ a pistola catturava tutto l’audience della gente…. A poco a poco anche la stampa più esigente, lo trovava bello, fresco e divertente… Non parliamo dei bambini anche i più belli, si mettevano uno stronzo tra i capelli”.
La canzone è una feroce satira contro la tv spazzatura che glorifica il peggio degli uomini.

Qualche anno dopo, nel 2003, Elio e le storie tese scriveranno “Shpalman”, una canzone dedicata a un immaginario supereroe che sconfigge i cattivi” “spalmandogli la merda in faccia”.  

 

GADDA E I SOPRANNOMI DI MUSSOLINI

Fra il 1941 e il 1945, Carlo Emilio Gadda (l’autore del “Quer pasticciaccio brutto de via Merulana”) scrisse “Eros e Priapo: da furore a cenere” una riflessione storica feroce su Benito Mussolini e la sua dittatura (a cui inizialmente Gadda aveva aderito).
Nel saggio non viene mai menzionato il termine “fascismo”, mentre Mussolini viene ribattezzato con decine di nomignoli insultanti: Furioso Babbeo, Sozzo Nostro, Somaro Principe, Primo Racimolatore e Fabulatore delle scemenze, Giuda-Maramaldo, Paflagone-smargiasso, Priapo Moscio, il Gran Correggione del Nulla, il Predappio-Fava, il Culone in Cavallo, Il Fava impestatissimo, il Batrace Stivaluto, il Priapo Tumefatto, Ejettatore delle scemenze, il Giuda imbombettato, il Capocamorra, Appiccata Carogna, il Merda, Primo Maresciallo del Cacchio, il Mascelluto, Gaglioffo ipocalcico, Gran Cacchio,  Maccherone Ingrognato, Scacarcione Mago, Nullapensante, Priapo Maccherone Maramaldo. Solo per citarne alcuni…

Il saggio fu pubblicato solo nel 1967 e in versione censurata, dopo essere stato rifiutato da molti editori.

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Parolacce: la “top ten” del 2020 https://www.parolacce.org/2021/01/02/classifica-parolacce-2020/ https://www.parolacce.org/2021/01/02/classifica-parolacce-2020/#comments Sat, 02 Jan 2021 09:21:01 +0000 https://www.parolacce.org/?p=18324 Le parolacce più notevoli e divertenti del 2020. In Italia e nel mondo. Tra gaffe, sbrocchi e provocazioni. Continue Reading

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Il 2020 su T-shirt (spreadshirt.com), addobbo natalizio (etsy.com), logo (thesilkscreenmachine.com) e su uno striscione goliardico a Venezia.

Quali sono state le parolacce più notevoli del 2020, in Italia e nel mondo? Anche quest’anno ho fatto la classifica dei 10 insulti più emblematici dell’anno. Una “top ten” che non poteva essere immune al Coronavirus: molti episodi, infatti, sono collegati alla pandemia. Era inevitabile. Come forse era inevitabile che un anno funesto come il 2020 diventasse esso stesso un insulto. Fra contagi, crisi economica, isolamento forzato, questo anno è diventato l’emblema della sfortuna, della rovina, del male assoluto. Tanto che sui social in lingua inglese si è diffusa l’espressione “go 2020 yourself”, come equivalente di “go fuck yourself”, vai a farti fottere (“vaffan2020”). E’ presto per dire quanto sopravviverà questo modo di dire, ma con un anno così disgraziato non poteva essere altrimenti.
Ed è un sentimento diffuso: il mese scorso il quotidiano britannico “The Guardian” ha fatto un sondaggio fra i lettori, chiedendo loro di sintetizzare in una sola parola il loro sentimento verso il 2020. La parola più votata è stata “shit“, merda (qui un mio articolo su tutti i modi di dire con questa metafora) seguita da “fucked” (fottuto).
Non stupisce, quindi, che acuni siti abbiano messo in vendita T-shirt e ornamenti natalizi in cui gli “0” del 2020 sono rappresentati con rotoli di carta igienica; negli ornamenti natalizi il 2020 è raffigurato come cacca di cane o come dito medio (vedi foto).
D’altronde, anche in Italia l’espressione “Che ti venga il Coronavirus” ha iniziato a circolare come maledizione (e non è l’unico malaugurio a sfondo sanitario nella nostra lingua, come raccontavo
qui).

La prima serie tv sulle parolacce

Sperando che il 2021 sia migliore, prima di passare alla classifica devo segnalare un evento storico: la prima serie tv dedicata alle parolacce. E’ un documentario in 6 episodi da 20 minuti ciascuno intitolato “History of Swear Words“. Condotto dall’attore Nicolas Cage, è una serie Netflix che andrà in onda dal prossimo 5 gennaio. Ogni episodio sarà dedicato a una diversa espressione in inglese: shit, fuck, pussy, bitch, dick e damn ovvero merda, fottere, figa, troia, cazzo e dannazione. I documentari hanno una base solida: annoverano consulenti di rilievo come il lessicografo Kory Stamper, lo psicologo cognitivo Benjamin Bergen, la linguista Anne Charity Hudley e la studiosa di letteratura Melissa Mohr (per chi vuole approfondire l’argomento in italiano, c’è sempre il mio libro).
Qui sotto il trailer della serie, giocato sull’ironia. Vedremo se la serie sarà all’altezza delle aspettative.

La classifica del 2020

Esaurite le premesse, ecco la mia “Top ten” con i 10 episodi volgari più emblematici e divertenti riportati dalle cronache nazionali e internazionali. Per sorridere e per riflettere.
Come per le precedenti edizioni, ho selezionato gli episodi con 3 criteri: il loro valore simbolico, le loro conseguenze e la loro carica di originalità. Vista l’aria che tira, essendo per di più la 13ma edizione della “Top ten” un po’ di scaramanzia è d’obbligo. Dunque, incrociando le dita, buona lettura. E buon anno! 

1) CANZONE KAMIKAZE

«Le brutte intenzioni, la maleducazione, la tua brutta figura di ieri sera, la tua ingratitudine, la tua arroganza».
Squalificato.
Morgan, 7 febbraio 2020, Festival di Sanremo

 

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IL FATTO
 

Festival di Sanremo. Morgan e Bugo presentano la canzone “Sincero”, scritta da quest’ultimo. E, sul palco, avviene un fatto inaudito: Morgan cambia il testo della canzone, che trasforma in un avvelenato e unilaterale attacco verso il suo partner. Il testo originario diceva: “Le buone intenzioni, l’educazione. La tua foto profilo, buongiorno e buonasera. E la gratitudine, le circostanze. Bevi se vuoi ma fallo responsabilmente. Rimetti in ordine tutte le cose. Lavati i denti e non provare invidia”. Una canzone contro l’ipocrisia delle buone maniere, contro una società che ci vuole tutti uguali. 

Morgan lo ha trasformato così: “Le brutte intenzioni, la maleducazione, la tua brutta figura di ieri sera, la tua ingratitudine, la tua arroganza, fai ciò che vuoi mettendo i piedi in testa. Ma tu sai solo coltivare invidia, ringrazia il cielo sei su questo palco, rispetta chi ti ci ha portato dentro”. Nessuna volgarità, ma una serie di offese pesanti a cui Bugo, umiliato in diretta davanti alle telecamere, non ha potuto e voluto rispondere. Così ha preso il foglio con il testo della canzone e ha abbandonato il palco, lasciando Morgan da solo e preso in contropiede. Dato che il regolamento del Festival vieta di modificare il testo (oltre che di interrompere l’esibizione) i due sono stati squalificati.

Un episodio senza precedenti nella storia del Festival e della canzone in generale. Un litigio che diventa plateale e si trasforma in un suicidio artistico. I motivi di tanta acredine fra i due non sono mai stati chiariti: alcuni video mostrano un animato litigio prima di salire sul palco, per il cattivo esito dell’esibizione della serata precedente in cui i due avevano eseguito una propria versione del brano “Canzone per te” di Sergio Endrigo. (Qui una dettagliata ricostruzione). E gli strascichi continuano tuttora: al prossimo Festival Bugo parteciperà come concorrente, mentre Morgan è stato escluso sia come cantante che come giurato. E per reazione lui ha definito “infami e sciacalli” gli organizzatori (vedi qui). 

 

2) RAZZISMO GEOGRAFICO

«Che mongolo!».
E la Mongolia protesta all’Onu.
Max Verstappen, 23 ottobre 2020, Portimão (Portogallo)

 

 

 

 

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IL FATTO
 

Gran Premio di Formula1. Alle prove libere all’autódromo internacional do Algarve in Portogallo, Lance Stroll (Racing Point) non rallenta in curva e urta l’auto di Max Verstappen (Red Bull). Quest’ultimo impreca alla radio: “Ma è cieco questo cazzone? Che cazzo c’è che non va con lui? Gesù Cristo. Che ritardato. Ho subìto un danno. Che mongolo” [“Is this fucking guy blind? What the fuck is wrong with him? Jesus Christ. What a retard, I have damage. What a mongol”].

La lettera dei protesta dell’associazione “Mongol identity”.

Il suo sfogo fa il giro del mondo. E suscita l’indignazione della Mongolia, che non vuole essere equiparata a un termine offensivo.
La prima a protestare è l’associazione “Mongol Identity” che scrive in un comuncato: “Vogliamo esprimere la nostra disapprovazione e al tempo stesso la nostra preoccupazione nel vedere utilizzato il termine ‘mongolo’ in maniera dispregiativa. Siamo anche abbastanza sotto shock per il fatto che la F1 non abbia preso alcun provvedimento e ci rivolgiamo direttamente ai vertici di questa competizione. Dal 1965 l’OMS ha chiaramente stabilito che il termine ‘Mongoloide’ non poteva essere associato a chi soffre della Sindrome di Down in quanto offensivo per coloro che hanno nazionalità mongola. Chiediamo a Verstappen scuse pubbliche e maggiore sensibilità nei confronti di persone che soffrono. Chiediamo cortesemente che il termine ‘mongolo’ venga utilizzato in maniera corretta”.

Il consigliere-plenipotenziario della Red Bull, Helmut Marko ha preso posizione: “Ho detto a Verstappen che episodi di questo genere non devono più accadere in futuro. Ha sbagliato su tutta la linea”. Ma Verstappen non ne ha voluto sapere: “Se qualcuno si sente offeso dalle mie espressioni non è un mio problema”. Allora la vicenda è diventata un incidente diplomatico internazionale: Lundeg Purevsuren, ambasciatore della Mongolia presso le Nazioni Unite e l’Organizzazione mondiale del commercio (OMC), ha inviato una lettera al fondatore della Red Bull Dietrich Mateschitz per esprimere le sue critiche all’uso di Verstappen dell’insulto e la sua riluttanza a chiedere scusa. E ha scritto anche agli sponsor della Red Bull.
Uno di questi, la Siemens, ha risposto dicendo  di “non accettare discriminazioni, molestie o attacchi personali verso individui o gruppi” e ha rivelato di aver già chiaramente espresso le proprie preoccupazioni alla Red Bull per l’incidente. Ma da Verstappen nessun segno di ravvedimento: Unro Janchiv, l’inviato culturale della Mongolia, ha detto che “ancora aspetta le scuse pubbliche del pilota”.

E’ la prima volta che uno Stato interviene ufficialmente per protestare contro un termine spregiativo geografico. Che non è l’unico del nostro vocabolario, come raccontavo in questo articolo.

 

 

3) DRONI SCURRILI

«Dove cazzo vai? Torna a casa! A calci in culo!»
Cateno De Luca, sindaco di Messina, 25 marzo 2020

 

 

 

 

 

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IL FATTO
 

E’ primavera e l’Italia è in piena emergenza Covid. Il Paese entra in lock down, ma molti faticano a rispettare il divieto di circolazione. Così il sindaco di Messina, Cateno De Luca, annuncia una decisione inusitata: una flotta di droni per controllare il territorio. I velivoli sono dotati di un altoparlante con la voce del sindaco che urla ai trasgressori: “Non si esce! Questo è l’ordine del sindaco De Luca e basta! Dove cazzo vai? Torna a casa! A calci in culo!”.

Mai nessuna autorità aveva intrapreso un’iniziativa simile, che ha fatto il giro del mondo: fra gli altri l’ha segnalata la rete americana NBC. Non si sa se l’iniziativa sia stata attuata in quei termini e con quali effetti, ma non è rimasta isolata: a Pasqua il sindaco ha inviato per la città un’auto che diramava un messaggio con un altoparlante, invitando ogni cittadino a stare a casa “per i cazzi suoi” (“io rustu a casa pi cazzi mei”), aggiungendo gli auguri di Buona Pasqua. La decisione, però, ha sollevato forti reazioni: alcuni cittadini hanno presentato due esposti indignati, a cui sono seguite le proteste del Garante dell’infanzia e del segretario del Comitato pari opportunità dell’Ordine degli avvocati, che hanno contestato il linguaggio scurrile. A loro si è aggiunta, dal pulpito della chiesa,la dura reprimenda dell’arcivescovo di Messina Giovanni Accolla: “in città si sentono linguaggi turpi, è una vergogna. Messina non merita questi insulti. Devono pentirsi pubblicamente. Le persone che sono volgari non possono augurare la Santa Pasqua”. Il sindaco ha dovuto così fare marcia indietro.

 

4) PREVENZIONE A TINTE FORTI

Dito medio a chi non usa la mascherina.

14 ottobre 2020, Berlino

 

 

 

 

 

 

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IL FATTO
 

Il manifesto contro chi non indossa la mascherina anti Covid.

Questa campagna è stata promossa dal Dipartimento per l’economia di Berlino e dall’ufficio turistico “Visit Berlin”. E’ una campagna provocatoria per sensibilizzare i tedeschi a indossare la mascherina per prevenire il contagio da Coronavirus. La campagna è attuata con un contrasto e un doppio senso: lo slogan “L’indice alzato per tutti quelli senza maschera” fa riferimento all’indice (“indice alzato” significa “stai attento”), ma l’immagine mette in evidenza il dito medio.

Il manifesto, che ha fatto furore sui social, è una doccia fredda per spingere le persone a fermarsi e a riflettere sul proprio senso di responsabilità sociale, mettendo fine a comportamenti irresponsabili come circolare senza protezioni contro la diffusione dell’infezione. Un comportamento che mette a rischio soprattutto le persone più vulnerabili come gli anziani: di qui la scelta di usare come testimonial una donna dai capelli argentati. La volgarità dell’immagine ha però sollevato aspre polemiche in Germania. Molti l’hanno trovata offensiva: il leader locale della CDU di Angela Merkel, Kai Wegner, ha criticato il Senato (guidato da una coalizione di socialdemocratici, sinistra e Verdi): “La situazione è troppo grave per scherzarci sopra”, ha detto. E Marcel Luthe, membro del Senato di Berlino, ha presentato una denuncia alla polizia in merito all’annuncio, sostenendo che incitava all’odio contro tutti coloro che non possono indossare una maschera, come i bambini piccoli e le persone con problemi di udito o altri problemi di salute.
In ogni caso, non è l’unica campagna sociale giocata sulle volgarità: in questo articolo ne trovate una raccolta, con 24 casi (e molti italiani).

 

 

5) RAZZISTA IN AFRICA

«I tifosi sono stupidi. Sanno solo urlare come scimmie e abbaiare come cani».
Licenziato ed espulso dal Paese.
Luc Eymael, 27 luglio 2020, Dar es Salaam (Tanzania)

 

 

 

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IL FATTO
 

L’allenatore belga Luc Eymael.

Luc Eymael è un ex calciatore belga che all’inizio del 2020 era stato reclutato come allenatore degli Young Africans (Yanga), una delle squadre più popolari e titolate della Tanzania. Da un decennio, infatti, Eymael lavorava in Africa come ct in varie nazioni. Il 22 luglio gli Yanga avevano pareggiato 1-1 con il modesto Mtibwa Sugar, per poi concludere il campionato al secondo posto, dietro il suo più odiato competitor, il Simba Sports Club. 

Inviperito per il risultato, l’allenatore 60enne, parlando coi giornalisti, si è lamentato dicendo che «i tifosi sono stupidi in questo Paese. Sanno solo gridare come le scimmie e abbaiare come i cani. Non sanno niente di calcio». E non ha risparmiato critiche anche alla Tanzania: «Non mi sto godendo il vostro Paese, siete gente ignorante. Non ho un’automobile, non ho la tv satellitare, lavorare in queste condizioni non fa per me, mia moglie è disgustata, io sono disgustato». Insomma, un incredibile mix di razzismo, arroganza e irriconoscenza.

La pagina Web (in swaili, qui tradotta con Google) dello Yanga.

I dirigenti della sua squadra non ci hanno pensato due volte: quando la notizia si è diffusa l’hanno licenziato e cacciato dal Paese. Ecco quanto ha scritto il segretario generale del club, Simon Patrick: “Siamo rattristati da queste parole e ci scusiamo con la Federazione tanzaniana di calcio, con i tifosi e la cittadinanza tutta per gli insulti e le offese del manager. La nostra società crede nel rispetto e nella dignità e si oppone a qualsiasi forma di razzismo. Per questo la leadership dello Yanga Club ha deciso di licenziare il signor Luc Eymael e assicurarsi che lasci il Paese il più presto possibile”. Eymel – noto per il suo pessimo carattere unito a una grande ambizione – si è poi scusato: “Ero di cattivo umore, quelle affermazioni sono frutto della delusione e della frustrazione per non aver vinto il titolo, ma non sono razzista”, ha dichiarato.

Eppure, questo clamoroso scivolone sembra non aver interrotto la carriera africana di Eymael: il mese scorso è stato infatti reclutato dal Chippa United, una squadra sudafricana che – beffa del destino – gioca le partite di casa allo stadio Nelson Mandela di Port Elizabeth.  Ma non è detto che Eymael ce la faccia: la Federcalcio sudafricana (Safa) ha annunciato che intende opporsi a questa decisione. «La Federcalcio sudafricana ha appreso con sgomento la notizia della nomina del razzista impenitente‚ Luc Eymael a capo allenatore del Chippa United», ha detto in un comunicato. «Troviamo profondamente offensivo che mentre la comunità calcistica globale è unita nella solidarietà intorno alla campagna “Black Lives Matter”, il Chippa United riterrà opportuno assumere un personaggio del genere per lavorare nella città che prende il nome dal padre fondatore della nazione, Tata Nelson Mandela ‚il paladino di un mondo libero dal razzismo e da altre forme di discriminazione. Safa scriverà immediatamente al ministro degli Interni per esprimere la sua opposizione alla concessione di un permesso di lavoro per lui. Chiederemo anche ai comitati etici di Fifa e Safa di incriminare il signor Eymael poiché la sua condotta spregevole è una violazione dei codici di entrambi gli organismi».

 

6) SESSISMO IN TV

«Da stasera la trasmissione se la conduce da sola, gallina!».
Silurato.
Mauro Corona a Bianca Berlinguer, “Carta bianca” Rai3, 22 settembre 2020

 

 

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IL FATTO
 

La trasmissione “Cartabianca” è un talk show di politica e attualità che va in onda dal 2016. Dal 2018 ha come ospite fisso lo scrittore alpinista Mauro Corona, protagonista di siparietti molto seguiti con la conduttrice Bianca Berlinguer. Durante una puntata, Corona tenta di parlare di un albergo in cui era stato, ma la conduttrice lo blocca ricordandogli che “Non possiamo parlare di questo albergo perché è pubblicità e non possiamo fare pubblicità in televisione”. Allora Corona si infiamma “Senta Bianchina, se lei mi vuole qui tutta la stagione mi fa parlare. Altrimenti la mando in malora e me ne vado, lei stia zitta! Stia zitta una buona volta gallina! Da stasera la sua trasmissione se la conduce da sola gallina!”. La Berlinguer allora reagisce: “Io non posso accettare che lei diventi maleducato e sgradevole insultando me che sto qui a condurre la trasmissione. quindi gallina lo dice a chi vuole ma non si permette di dirlo a me, chiaro il concetto?”. Qui sotto il filmato del litigio:

Il giorno dopo la trasmissione, la Rai ha pubblicato un comunicato in cui ha preso le distanze da Corona, chiedendo scusa al pubblico femminile “per le inaccettabili offese verso la conduttrice. Il signor Corona ha violato le disposizioni normative e i principi etici volti a promuovere la parità di genere e il rispetto dell’immagine e della dignità della donna. A tali inderogabili principi è improntata la programmazione della Rai che pertanto intraprenderà tutte le azioni del caso nei confronti di Corona al fine di tutelare l’immagine e la dignità culturale e professionale della conduttrice e il ruolo di servizio pubblico della Rai”.

Dopo l’episodio Corona non è stato più ospite della trasmissione. Ma il finale di questa vicenda è sorprendente. Perché la destinataria delle offese, una donna, è stata molto più tollerante rispetto al direttore di Rai3, un uomo. La decisione di esautorare Corona dalla trasmissione, infatti, non è stata presa dalla Berlinguer bensì dal direttore di Rai3, Franco Di Mare. Anzi, la sua decisione è risultata sgradita alla Berlinguer, che l’ha contestata  in varie interviste . «Corona aveva chiesto scusa subito, la sera stessa. E credo di aver reagito in modo adeguato in diretta» ha detto la Berlinguer. «Di Mare si è dimenticato di prendere in considerazione proprio l’opinione della persona che si sarebbe dovuta sentire offesa, che sono io. E’ stato un maschio a decidere della gravità dell’offesa e della sanzione, ignorando l’opinione della parte lesa. A fronte di ripetute scuse, pubbliche e private, si è intervenuti di autorità sui contenuti del mio programma, mortificando completamente la mia autonomia. Questo, peraltro, è stato l’unico momento in cui il direttore si è interessato della trasmissione. Questa separazione è stata dolorosa per me e per Corona».

 

7) CAMPAGNA ELETTORALE (DIS)EDUCATIVA

«Se 2.500 persone si iscrivono al voto, vi insegno a dire parolacce in 15 lingue diverse».

Samuel L. Jackson su www.headcount.org, 14 settembre 2020

 

 

 

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IL FATTO
 

Negli Stati Uniti, la scarsa partecipazione elettorale rischiava di assegnare a Donald Trump un secondo mandato. Una prospettiva che sarebbe stata un incubo per l’attore Samuel L. Jackson, che non aveva esitato a definire Trump un “motherfucker” (un gran figlio di puttana) a costo di perdere fan fra i suoi sostenitori. Così, sfruttando la sua celebrità (legata all’uso di un linguaggio molto colorito), Jackson ha lanciato su headcount.org, un sito che promuove la partecipazione democratica fra gli appassionati della musica, un appello per spingere le persone a iscriversi alle liste elettorali. Se almeno 2.500 persone si fossero iscritte, lui avrebbe pubblicato un video tutorial per imprecare in 15 lingue diverse.

l’iniziativa ha avuto successo: su Instagram ha superato i 61mila “mi piace” e ha centrato l’obiettivo. Così Jackson ha pubblicato il video, nel quale traduce l’espressione “fuck you” (fanculo) in 15 lingue, dal brasiliano all’esperanto, fino al vietnamita e allo swaili. 

Un video non particolarmente spiritoso (e forse realizzato banalmente, usando Google translate) ma senz’altro un’iniziativa senza precedenti. E nel suo piccolo ha contribuito a un risultato storico: mentre alle presidenziali del 2016 aveva votato il 59,2% della popolazione, a quelle del 2020 l’affluenza è stata del 66,7%, la più alta mai registrata nella storia statunitense. 

 

  

8) L'AUTOGOL DEL CAMPIONE

«Il test anti Covid è una stronzata»

Cristiano Ronaldo, 28 ottobre 2020 Instagram

 

 

 

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IL FATTO
 

Il contestato post di Ronaldo (evidenziato).

Il 13 ottobre l’attaccante della Juve Cristiano Ronaldo viene trovato positivo al Covid. Per sua fortuna è asintomatico, ma come tutti è costretto a stare in isolamento. E a saltare partite importanti, non solo in Serie A ma anche in Champions League, come la partita contro il Barcellona del 28 ottobre. Così dopo aver postrato qualche frase di circostanza sul suo profilo Instagram (“Feeling good and healty” cioè “mi sento bene e in buona salute” e “Forza Juve”) aggiunge una frase indispettita: “PCR IS BULLSHIT”, ovvero il Pcr è una stronzata. Pcr è la sigla di reazione a catena della polimerasi, una tecnica di biologia molecolare che consente di moltiplicare frammenti di acidi nucleici. E’ il metodo usato per diagnosticare l’infezione da Covid: il virus è a Rna, cioè contiene un filamento di acido ribonucleico. Per essere rilevato, va prima convertito in Dna e poi moltiplicato miliardi di volte, così può essere identificato. Un procedimento ideato nel 1983 dal biochimico statunitense Kary B. Mullis, che per questo ha ottenuto il premio Nobel per la chimica nel 1993. Dunque, tutt’altro che una stronzata: una tecnica diagnostica fondamentale, grazie alla quale abbiamo potuto non solo diagnosticare gli infettati da Covid, ma anche diverse malattie genetiche e contaminazioni da Ogm.

Così la frase di Ronaldo, che pure ha ottenuto oltre 6mila “mi piace”, ha suscitato un’ondata di indignazione anche da parte di medici impegnati nella lotta al Coronavirus. E così il campione ha rimosso l’infelice frase da Instagram.

 

 

9) GAFFE AL QUIZ

Definizione di “piccolo diverbio”? Scazzo.

 26 maggio 2020, “L’eredità”, Rai1

 

 

 

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IL FATTO
 

La gaffe è andata in onda durante una puntata dell’Eredità, il celebre quiz condotto da Flavio Insinna. Il presentatore ha proposto al concorrente, Alessandro, la definizione di “piccolo diverbio”. Quando ha visto apparire sullo schermo le lettere “S”, “Z” e “O” ha risposto d’impulso “Scazz…” e si è subito bloccato, suscitando l’ilarità dell’avversaria. Il conduttore Insinna ha glissato dicendo “Eh, nella vita…”. 

La risposta corretta era “Screzio”. D’altronde lo “scazzo” non è un diverbio piccolo, bensì una discussione agitata e violenta, come dice il dizionario. Sarebbe stata una risposta sbagliata comunque.

 

10) FUORIONDA IN CONFERENZA

«Non si sente un cazzo».
Giancarlo Blangiardo, presidente Istat, 8 maggio 2020, Roma

 

 

 

 

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IL FATTO
 

Roma. Come ogni settimana, il ministero della Salute e l’Istituto Superiore di sanità (Iss) organizzano una conferenza stampa per aggiornare sull’andamento del Coronavirus. In questa occasione sono presenti Silvio Brusaferro, presidente dell’Iss, e Giovanni Rezza, Direttore generale della Prevenzione del Ministero della Salute. In collegamento da casa, proiettato su un grande schermo, c’è Giancarlo Blangiardo, presidente dell’Istat, che deve parlare delle statistiche sulle vittime della pandemia. Ma il collegamento non è dei migliori, e ci sono problemi di audio. Dopo quasi un’ora di incontro, una giornalista presente in sala pone una domanda a Blangiardo, e lui (non rendendosi conto di avere il microfono aperto) sbotta: “Ecco, qui non si sente un cazzo”.Imbarazzo generale, risate. L’interprete nella lingua dei segni si blocca.
Rezza ha commentato ironicamente: “E’ stato diretto, diciamo”. Aggiungendo, nell’ilarità generale: “Ha detto che così non si sente una minchia, in siciliano”.  Qui sotto il video della gaffe, dal minuto 52:40

Un po’ di umanità e di leggerezza in un momento ufficiale e drammatico. 

 

Se volete leggere le classifiche degli ultimi 12 anni, potete cliccare sui link qui di seguito: 20192018, 2017, 2016, 2015, 2014, 2013, 2012, 2011, 2010,  2009 e 2008.

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Andrea Camilleri (6 settembre 1925 – 17 luglio 2019).

“Trenta picciotti di un paese vicino a Napoli avevano violentato una picciotta etiope, il paese li difendeva, la negra non solo era negra ma magari buttana”. Questo brano contiene solo 26 parole. Ma sono certo che tutti sapete chi le ha scritte: Andrea Camilleri ne “Il ladro di merendine”. L’autore dei gialli di Montalbano, infatti, si riconosce a prima vista grazie a due tratti inconfondibili: il dialetto siciliano e le parolacce, anzi: le “parolazze”. Ci avete fatto caso? Forse non molto, perché in Camilleri il turpiloquio è così integrato nello stile letterario da non destare sorpresa né scandalo.
Ma quanto sono frequenti le parolacce nei romanzi dello scrittore siciliano? Sono un orpello marginale o svolgono un ruolo importante? Da assiduo lettore di Camilleri, da siciliano e da studioso di turpiloquio, non potevo sottrarmi alla domanda. Così ho deciso di studiarle per celebrare il suo anniversario: oggi avrebbe compiuto 95 anni.

I protagonisti della serie tv su Montalbano.

Data la sua smisurata produzione letteraria, ho scelto di limitare lo studio ai soli romanzi del ciclo di Montalbano, escludendo i racconti brevi (“La paura di Montalbano”, “Un mese di Montalbano”, “Gli arancini di Montalbano”, “La prima indagine di Montalbano”): rimaneva comunque una quantità notevole di romanzi: 28, tutti editi da Sellerio, compreso “Riccardino”, uscito postumo quest’estate.
Così, “con santa pacienza” e “santiando” (imprecando) come avrebbe fatto il commissario alla vista di una pila di scartoffie da firmare sulla scrivania, mi sono messo all’opera. Glielo dovevo, dato che mi ha fatto trascorrere molte giornate di svago leggendo i suoi libri.
Prima di armarvi anche voi di pazienza per leggere i risultati (l’analisi è stata “longa e camurriusa”, cioè lunga e maledettamente complicata) vi anticipo un dato: nei suoi gialli, Camilleri ha usato 52 parolacce diverse, sia in siciliano che in italiano (e può darsi che me ne siano sfuggite altre), per 3.109 volte. Le espressioni volgari appaiono in media quasi una volta ogni 2 pagine. Dunque, il turpiloquio non svolge un ruolo marginale. Anzi, aiuta molto a capire la sua arte. Vedremo come e perché. Ma prima devo raccontarvi come ho ottenuto questi risultati.

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Il metodo della ricerca

Il primo romanzo di Montalbano. E’ quello con più parolacce.

Per studiare quale ruolo hanno le parolacce in un testo, bisogna contarle,  catalogarle e studiarle nel contesto. E per fare tutto questo, bisogna prima cercarle. Impresa non facile, se non si sa quali cercare. Così mi sono avvalso di 5 fonti:
♦ il dizionario dei termini siciliani più usati da Camilleri, compilato dai fan di vigata.org;
♦ il “Camisutra” ovvero l’antologia delle pagine più piccanti delle sue opere, sempre a cura di vigata.org;
♦ il CamillerIndex, database con il glossario di Camilleri;
♦ il mio libro sul turpiloquio;
♦ il mio studio sulle parolacce più pronunciate in italiano.

Ma questa, ahimè, era solo la base, perché strada facendo, rileggendo tutte le sue opere, ne sono emersi diversi altri, e chissà quanti me ne saranno sfuggiti: stiamo parlando di 7.367 pagine in tutto. Un compito immane, alleggerito in parte dall’uso delle versioni ebook dei libri, usando la funzione “cerca”. Da questa scrematura sono emerse 52 espressioni che troverete più avanti. Ho censito ciascun termine in tutti i generi (maschile/femminile), numeri (singolare/plurale), tempi, modi e coniugazioni (per i verbi), e varianti (composti, accrescitivi, diminutivi, peggiorativi, rafforzativi). Sia in italiano che in siciliano. Ad esempio, per il verbo “fottere” ho censito tutte le persone, i tempi e i modi, sia in italiano che in siciliano (futtiri), con le innumerevoli varianti (catafottere, stracatafottere, sfottere).
Non ho conteggiato, invece, le espressioni non usate come insulti: “porco” l’ho calcolato solo quando era usato come offesa verso una persona, ma non per denotare un suino (o il piede di porco inteso come attrezzo da scasso); la parola “Madonna” l’ho conteggiata solo quando era usata come esclamazione (“Madonna!”, “Madunnuzza beddra!”) ma non come nome proprio (“ringraziamo la Madonna”). E così via.

 I risultati: una ogni 2 pagine (ma in calo nel tempo)

I risultati dello studio (clic per ingrandire)

Il censimento, come anticipato, ha dato questo risultato: nei 28 romanzi del ciclo di Montalbano sono presenti 52 parolacce, scritte per 3.109 volte. Su un totale di 7.367 pagine, è una media di 0,42 parolacce a pagina: quasi una ogni 2 pagine. Dato che, facendo una media approssimativa, ogni pagina contiene 200 parole, le volgarità sono lo 0,2% delle parole. La stessa frequenza che avevo riscontrato nella mia ricerca sul turpiloquio nell’italiano parlato. Non è un caso, e vedremo più avanti il perché.
Nel frattempo, però, bisogna segnalare un altro dato: nel corso della sua lunga produzione letteraria durata 25 anni (per la serie di Montalbano) la quantità di volgarità si è progressivamente dimezzata: è passata dal picco delle opere iniziali, che avevano una media di 0,59 parolacce per pagina negli anni ‘90, a 0,44 nel primo decennio degli anni 2000, per concludere con una media di 0,31 negli ultimi 10 anni. Tant’è vero che il libro con la maggior densità di parolacce è “La forma dell’acqua” (1994), con 0,77 parolacce a pagina, mentre quello con la minor densità di parolacce è “La giostra degli scambi” (2015), con 0,19 volgarità a pagina.
Come spiegare questo calo?

Le statistiche libro per libro (clic per ingrandire)

A volte, nella carriera di un autore, il turpiloquio è usato per fare clamore, attirare l’attenzione suscitando scandalo. Poi, una volta che si è affermato, questa esigenza viene meno, anche per rivolgersi a un pubblico più ampio e non incorrere in censure. E’ anche il caso del nostro autore? Improbabile, visto che parolacce anche forti appaiono in tutta la sua produzione: e ne basta anche una sola per fare clamore. Tra l’altro, le espressioni veramente pesanti (pompino, fica, sticchio, chiavare) appaiono pochissime volte: in generale, infatti, gli insulti pesanti sono una minoranza, solo uno su 4. Camilleri sapeva spendere il turpiloquio con equilibrio, solo quando era necessario alla narrazione. Non usava le scurrilità un tanto al chilo, insomma.
Forse, allora, potrebbe aver giocato un fatto anagrafico: quando iniziò a scrivere il primo romanzo della serie, Camilleri aveva già 69 anni; negli ultimi 10 anni della sua produzione aveva superato gli 85 anni d’età, e forse era meno incline alle passioni a tinte forti espresse dal turpiloquio. Può darsi, ma solo in parte. Basta leggere questo passo: 

“Va bene Maria, facciamo in questo modo e poi però prometti che te ne vai. Io ti faccio un regalo, anzi il mio cazzo ti fa un ultimo regalo”.
Ad un certo punto un sorriso ebete gli si disegnò sul volto. Pensavo che la medicina avesse fatto effetto, invece nulla. Solo quel sorriso cretino che continuava ad aleggiare sulle sue labbra. Ci crede che è stato quel sorriso, commissario, a farmi liberare da lui? Ho capito mentre lo guardavo che io lo odiavo, che lo detestavo, che io sì che sarei stata capace di ucciderlo, e allora d’impulso, senza pensarci, presi il tagliacarte che aveva sul comodino e glielo infilai nel cuore. Carmelo non si mosse, non cercò di fermarmi, continuò a sorridere e io a spingere il pugnale. Poi mi sentii libera. Finalmente libera. Lo lasciai sul letto.

Montalbano e le donne: una passione costante.

Questo brano è tratto da “Il metodo Catalanotti”, pubblicato nel 2018, l’anno prima di morire. Quando aveva 93 anni. Per chi non conosce la lucidità di Camilleri, potrebbe sorprendere che un uomo di quell’età sia stato capace di immaginare, e in modo così vivido, una situazione del genere: sesso e sangue. Ma non è l’unica, dato che c’è un’altra passione costante e altrettanto carnale dei suoi racconti: quella per la cucina. Le descrizioni delle scorpacciate luculliane del commissario fra arancini, frittura di pesce, pasta al nivuro di siccia (al nero di seppia) sono memorabili. Un aggettivo quanto mai pertinente, dato che, come Camilleri ha rivelato in un’intervista, parlare di cibo è “come fare penitenza, aspra e dolorosa per chi, come me, a lungo ha gustato i piaceri della buona tavola e ora non può più per l’età e per ferreo diktat medico. Ho preferito continuare a patire nel ricordo di certi sapori, nella memoria di certi odori”.
Camilleri era non solo un attento osservatore delle persone, ma anche delle sensazioni fisiche. E con grande capacità di memoria, evocativa e rievocativa. Dunque, se nel corso della sua lunga produzione ha dimezzato la quantità di termini scurrili, credo l’abbia fatto per una consapevole scelta artistica: li ha considerati meno adatte alle storie che voleva raccontare. E in particolare al protagonista che ha voluto rappresentare: col passare degli anni, infatti, il commissario Montalbano appare sempre più rassegnato alle ingiustizie sociali, agli abusi di potere, alle inteferenze della politica nelle sue indagini. E questa rassegnazione ha spento gradualmente la sua tenacia e la sua rabbia, rendendolo più sfiduciato che “‘ncazzato” e “nirbuso“. E quindi meno incline a sfogarsi con le parolacce

La top ten delle volgarità

E ora vediamo quali sono le 10 espressioni più frequenti, che da sole rappresentano quasi 3 espressioni su 4 (il 72,1%):

PAROLACCIA % SUL TOTALE
1) minchia 17,5
2) fottere/futtere 11,5
3) culo/culu 7,8
4) cabasisi 6,6
5) stronzo/strunzu 6,4
6) buttana / puttana 5,5
7) cazzo 5,0
8) camurria 4,8
9) cornutu /cornuto 3,6
10) sbirro 3,4
TOTALE 72,1%

Questa “top 10” rivela già molte cose. Innanzitutto, un doppio realismo: molti dei termini più usati, infatti, coincidono con i 10 maggiormente pronunciati dagli italiani (minchia, cazzo, culo, stronzo sono anche nella “top 10” delle parolacce più pronunciate dagli italiani). E le espressioni siciliane come minchia (quasi una parolaccia su 5: un’amata minchia, scassare la minchia, non capire una minchia, minchia di ragionamento…), fottere (usato più nel senso di “fregare” che in senso osceno, o anche come “rovinare” nell’espressione rafforzata “catafottere”), camurria (seccatura, da “gonorrea”), cornuto sono effettivamente le più usate dai siciliani: per una serie di romanzi ambientati in Trinacria, non poteva essere altrimenti. A questo scenario abbastanza prevedibile, però, si aggiungono due espressioni inaspettate: “cabasisi” e “sbirro”.

CABASISI E SBIRRI

Una pianta di zigolo, con in vista i tubercoli.

Il primo, “cabasisi”, è in realtà un eufemismo (di cui mi sono occupato in questo articolo): è cioè un termine non volgare che allude ai testicoli. Il nome deriva dalle parole arabe habb, bacca, e haziz, dolce: i dolcichini, cioè i tubercoli del cipero (o zigolo) dolce (Cyperus esculentus) la cui forma ricorda per l’appunto le gonadi maschili. E’ una parola dotta, che in realtà non è popolare fra i siciliani: probabilmente Camilleri l’ha preferita al termine dialettale “cugghiuna” (coglioni) che è un’espressione molto pesante. Camilleri l’ha usata in tutto e per tutto come sostituto di “palle” nelle espressioni “levarsi dai cabasisi”, “rompere/scassare i cabasisi”, “firriamento (giramento) di cabasisi”, “stare supra ai cabasisi” (stare sulle palle). Tant’è vero che le espressioni corrispondenti in italiano sono una minoranza: “palle” è presente solo 11 volte (0,4%), e “coglione” 43 volte (1,4%) ma il termine è usato anche come insulto (“coglione” e “rincoglionito”). Oggi, però, proprio grazie al successo di Camilleri (oltre 100 libri e 25 milioni di copie vendute solo in Italia) “cabasisi” è diventato popolare non solo in Sicilia ma in tutta Italia.

Montalbano e Fazio, sbirri con “teste fine”.

Ancor più particolare l’uso intensivo della parola “sbirro”. Il motivo? Non solo perché i romanzi di Camilleri sono polizieschi, che hanno per protagonista un commissario, Salvo Montalbano.  La parola è uno spregiativo: deriva da birrus (rosso, colore delle divise medievali) indica i servi violenti e ciechi del potere. Ma, in Sicilia, l’appellativo ha anche il significato di spia, delatore, furbo: nel 1800 sotto i Borboni, infatti, il funzionario di polizia Salvatore Maniscalco, palermitano, per garantire l’ordine pubblico organizzò un’efficiente rete di spie e di informatori reclutandoli anche fra i criminali. Ma nella maggior parte delle pagine, questo termine non è usato dai criminali e in senso spregiativo, bensì dallo stesso Montalbano e per lo più in senso positivo, come complimento o con compiaciuto orgoglio: “Fazio era un bravissimo sbirro e ’na gran bella testa fina” (“Il cuoco dell’Alcyon”). Infatti “sbirro” è per lo più presente in espressioni come “istinto di sbirro, doveri di sbirro, testa di sbirro, bravo sbirro”. Insomma, lo sbirro è chi serve lo Stato al servizio della giustizia, usando l’intelligenza. Un “insulto di solidarietà”, come quando le persone di colore chiamano se stessi “negri” ribadendo la propria identità fregandosene del disprezzo degli altri.
Ecco due passi che mostrano questo uso: “
in questo consisteva il suo privilegio e la sua maledizione di sbirro nato: cogliere, a pelle, a vento, a naso, l’anomalia, il dettaglio macari (pure) impercettibile che non quatrava con l’insieme, lo sfaglio (differenza) minimo rispetto all’ordine consueto e prevedibile» (“Un mese con Montalbano”). Montalbano,infatti, era uno sbirro anomalo nel carattere e nel modo di fare: era umorale e istintivo, agiva sempre di testa propria. E spesso fuori dagli schemi e dalle procedure, anche organizzando messe in scena per tendere trappole (sfunnapedi) ai sospettati, per farli cadere in contraddizione: “Fare tiatro a Montalbano l’addivirtiva. Come a tutti i veri sbirri. Essiri tragediaturi era forse condizioni ‘ndispensabili per ogni ‘nvistigatori di rispetto. Sulo che abbisognava essere abbili assà (“Riccardino”). 

Sette tipi di parolacce

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Sappiamo dunque quali sono le parolacce più usate nei romanzi di Camilleri (potete vedere il file completo qui). Ma in quali modi sono usate? Un modo per capirlo è classificarle per tipologia. Le ho riunite in 7 grandi famiglie: insulti pesanti e maledizioni; espressioni enfatiche e colloquiali; espressioni scatologiche (cioè escrementizie), insulti leggeri; oscenità (termini sessuali diretti), profanità (termini religiosi usati come imprecazioni) ed eufemismi.
Ecco i risultati, riassunti nel grafico a torta qui a fianco.

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1) Enfasi

 PAROLACCE Citazioni % sul tot
minchia 545 17,5
fottere / futtere / catafottere / sfottere 357 11,5
culo /culu  /inculare / leccaculo /acculare / rinculo 242 7,8
cazzo / cazzuto / cazzate / incazzare 155 5,0
camurria 148 4,8
sbirro 107 3,4
burdellu / bordello 57 1,8
casino / casinu 49 1,6
cesso 20 0,6
vastaso (cafone) 17 0,5
palle / balle 11 0,4
fissa / fissaria /fesso / fesseria 43 1,4
TOTALE 1751 56,4

In questa categoria, come si può notare, ho inserito diversi termini di origine sessuale (cazzo, minchia, fottere, palle…) per un motivo preciso: queste espressioni, infatti, sono usate nella maggior parte dei casi come rafforzativi espressivi e non come termini osceni. Facciamo qualche esempio: «Siccome che sei stato pigliato come un fissa con tri macchine arrubbate, vali a diri in flagranza di reato, caro Macaluso, stavolta ho l’impressione che sei fottuto» disse Fazio (“Il sorriso di Angelica”).
Oppure: «Buongiorno, dottor Montalbano. Mi scuso per averla fatta viniri fino a qua e mi scuso di cchiù per averla fatta ‘nfaccialare, ma è bene che lei non sappia chi sono».
«Facciamola finita con ‘sti complimenti del cazzo» fici il commissario. «E mi dica quello che mi deve dire». (“La danza del gabbiano”).
Dunque, le espressioni colorite e colloquiali sono quelle col maggior peso (una su due, il 56,4%) nell’opera di Camilleri. E non è un caso, come vedremo più avanti. 

2) Insulti pesanti e maledizioni

 PAROLACCE citazioni % sul tot
stronzo/strunzu 198 6,4
Buttana / puttana / sputtanare 172 5,5
cornutu, curnutu /cornuto / crastu 113 3,6
porco / porcu 44 1,4
coglione /rincoglionito 43 1,4
fitusu (schifoso) 43 1,4
garruso (frocio) 34 1,1
troia 27 0,9
vaffanculo / affanculo / fanculo 16 0,5
bastardo 15 0,5
negro 6 0,2
cajorda (sozza, puttana) 3 0,1
frocio 1 0,0
zoccola 1 0,0
TOTALE 716 23,1

E’ la seconda categoria più numerosa (un caso su 4, il 23,1%). Gli insulti, infatti, servono a narrare i litigi o in generale le forti emozioni. Ecco un esempio tratto da “La luna di carta”: Ogni automobilista, appena arrinisciva a sorpassarlo, si sintiva in doviri di definirlo: garruso, secondo un camionista; stronzo, secondo un parrino; cornuto, secondo una gentile signora; be…be… be, secondo uno che era balbuziente; ma tutte quelle offise a Montalbano da una grecchia ci trasivano e dall’àutra ci niscivano. Solo una lo fece veramente arraggiare. Un tale, un sissantino distinto, l’affiancò e gli disse: “Asino!”. Asino? Ma come si pirmittiva?. Tra l’altro, questo brano è prezioso rispecchia una profonda convinzione di Camilleri: per quanto “asino” sia considerato in genere un insulto moderato, per lui invece, da uomo di cultura, rappresenta un’offesa pesante: perché significa persona incolta, ignorante.
Difficile, comunque, tracciare un confine netto fra insulti ed esclamazioni pepate: la parola buttana/puttana, la sesta più usata da Camilleri, è spesso usata come imprecazione: «Mi sembri così strano stamattina! Ti senti bene?», disse Livia. «Benissimo, mi sento! Da Dio! Buttanazza della miseriazza buttana e figlia di buttanazza porca e futtuta, quantu mi sentu beni! Benissimo mi sento!». «Non parlare in dialetto e non dire parolac…». «Parlo come mi pare, va bene?». (“La danza del gabbiano”). 

3) Eufemismi
  

 PAROLACCE Citazioni % sul totale
cabasisi/ scassacabasisi 204 6,6
caspita 3 0,1
pisello 2 0,1
TOTALE 206 6,7

Non amando i giri di parole, Camilleri ha fatto poco ricorso agli eufemismi, i dribbling linguistici. Ne ho trovati solo due, che però arricchiscono comunque la tavolozza espressiva dei racconti. Come questo memorabile sfogo (uno dei tanti) dello scontroso dottor Pasquano, il medico legale: «Guardi che stamatina ho i cabasisi che mi fumano» fu la cortese avvertenza iniziale del dottore. Montalbano non s’impressionò e arrispunnì a tono. Pasquano addivintava trattabile sulo se uno sapiva tenergli testa. «E i miei lo sa a cosa assimigliano ? Pricisi ‘ntifici a ‘na locomotiva a vapore». «Che càspita vuole?». Aviva ditto càspita. Non cazzo, non minchia. Il che viniva a significari che era veramenti arraggiato. (“Le ali della sfinge”).
Oppure questo brano tratto da “Un covo di vipere”. «Ma macari mentri uno sinni sta a la sò casa a mangiare lei deve viniri a polverizzarigli i cabasisi?! Ma lo sa che lei non è un essere umano ma un robot tritacoglioni? Lo sa qual è la mia più alta aspirazione? Farle l’autopsia!».
«Dottore, mi scusi, ma…».
«Non la scuso! Anzi, la maledico per l’eternità! Che minchia d’una minchia vuole?».

4) Scatologia
 

 PAROLACCE Citazioni % sul totale
merda 55 1,8
cacare /cacarsi 39 1,3
piscia / pisciazza 32 1,0
pìrita 12 0,4
cacca 8 0,3
TOTALE 146 4,7

I termini volgari di significato escrementizio sono pochi. E sono usati più nei modi di dire (“era un omo di merda”, “siamo nella merda fino al collo”, “mi tratti come una merda”) che in senso letterale (“come mosche sulla merda”, “sono annati a ficcare nella discarrica perché nella merda pirchì ‘n mezzo alla merda godivano di più”). Il termine piscia, invece, è usato in senso letterale (“Scusami, ma devo andare a pisciare”, “si lavò con un’acqua accussì càvuda che gli parse pisciazza”).

5) Insulti leggeri
 

 PAROLACCE Citazioni % sul totale
cretino 86 2,8
imbecille 36 1,2
asino/sceccu 3 0,1
TOTALE 125 4,0

Gli insulti leggeri hanno quasi lo stesso peso (in termini di frequenza) degli eufemismi. Anch’essi contribuiscono ad arricchire la tavolozza espressiva. Come in questo brano: Pellegrino è un cretino che si crede sperto (furbo, ndr), mentre sempre cretino resta”. Oppure: Lui s’addivirtiva a fare il cretino totale col Questore, il problema era che il Questore lo cridiva veramente un cretino totale (“La pazienza del ragno”).

6) Profanità
 

 PAROLACCE Citazioni % sul totale
Gesù 39 1,3
Madonna / Madunnuzza 34 1,1
Cristo 20 0,6
TOTALE 93 3,0

Le profanità sono i termini religiosi usati in senso profano, ovvero come esclamazioni. Conoscendo bene la sensibilità religiosa degli italiani e soprattutto dei siciliani, Camilleri sapeva di muoversi in un campo minato. E infatti non ha mai ecceduto sia per quantità che per qualità (nei suoi libri non ci sono bestemmie). Si è limitato a un uso marginale e colloquiale. Come in queste battute:  «Non lo sa? Sono scomparsi». «O Madunnuzza santa! Che viene a dire scomparsi?» (“La gita a Tindari”). Oppure: «Non sto facendo nulla di pericoloso». «Non ci credo». «Ma perché, Cristo santo?». (“Il cane di terracotta”).

7) Oscenità
  

 PAROLACCE Citazioni % sul totale
scopare 17 0,5
ficcare / ficcata 16 0,5
minne 16 0,5
fica 4 0,1
minata / minarisilla 3 0,1
uccello 3 0,1
chiavare 2 0,1
pompino 2 0,1
sega / segaiolo 2 0,1
tette 2 0,1
sticchio 1 0,0
suca 1 0,0
TOTALE 69 2,2

Ancor più rari i termini osceni usati in senso letterale, cioè sessuale. In alcuni brani è stato inevitabile, non solo per per descrivere alcuni delitti a sfondo sessuale, ma anche per raccontare scene passionali o modi di dire pesantemente scandalosi. Come questo botta e risposta fra Montalbano e Gegè Gullotta, ex compagno delle elementari nonché organizzatore di un bordello all’aperto: «Pronto? Pronto? Montalbano? Salvuzzo! Io sono, Gegè sono». «L’avevo capito, càlmati. Come stai, occhiuzzi di miele e zàgara?». «Bene sto». «Hai travagliato di bocca in queste iurnate? Ti perfezioni sempre di più nel pompino?». «Salvù, non metterti a garrusiare (scherzare, ndr) al solito tuo. Io semmai, e tu lo sai, non travaglio ma faccio travagliare di bocca». «Ma tu non sei il maestro? Non sei tu che insegni alle tue variopinte buttane come devono mettere le labbra, quanto dev’essere forte la sucatina?». «Salvù, magari se fosse come dici tu, sarebbero loro a darmi lezione. A dieci anni arrivano imparate, a quindici sono tutte maestre d’opera fina». (“Il cane di terracotta”)

NOMI RIVELATORI

In questa categoria di volgarità sessuali andrebbe inserita anche la scelta del cognome del vice di Montalbano, Mimì Augello: un cognome rivelatore (nomen-omen), dato che Augello (uccello) era un Don Giovanni. Così come l’ingenuo Agatino Catarella è un naif puro (dal greco agathòs, buono, è kàtharos, puro).

Le 4 radici letterarie di Montalbano

Camilleri con Vàzquez Montalbàn.

Per comprendere le ragioni per cui Camilleri ha inserito il turpiloquio nei suoi libri, occorre inquadrare la sua produzione identificando il filone letterario a cui attinge. Non basta dire che è il “giallo”: perché i suoi polizieschi sono molto particolari, perché sono la sintesi di numerosi riferimenti letterari.
Innanzitutto i polizieschi di Leonardo Sciascia, per l’ambientazione in Sicilia e gli intrighi di mafia e corruzione (oltre che per l’affermazione che “il giallo è un genere per eccellenza trasparente, la forma letteraria più onesta”); per quanto riguarda il linguaggio, Sciascia è un autore con uno stile “alto” seppure non privo di parole volgari, ma attribuiti per lo più a criminali, come il mafioso Mariano nel “Giorno della civetta”: (l’umanità)
la divido in cinque categorie: gli uomini, i mezz’uomini, gli ominicchi, i (con rispetto parlando) pigliainculo e i quaquaraquà”.
Nello stesso filone, Camilleri ha come modello anche Georges Simenon, di cui sceneggiò in tv il commissario Maigret: e come Maigret Montalbano è istintivo, umorale e applica una sua personale giustizia ai casi.
Il terzo modello è ovviamente
Manuel Vázquez Montalbán: il suo investigatore Pepe Carvalho aveva, oltre alla passione per la cucina, un linguaggio sboccato almeno tanto quanto il commissario Montalbano (il cui nome è appunto un omaggio all’autore spagnolo). Nei gialli di Carvalho, tra l’altro, non mancano le riflessioni sociali e politiche dell’autore, e anche questo è un elemento in comune con Camilleri.
Non mancano le influenze (più marginali nei gialli) di Luigi Pirandello, soprattutto per i dialoghi interiori del commissario e per il contrasto fra realtà e apparenza.
Ma nessun influsso linguistico, che invece arriva, e molto, da Carlo Emilio Gadda: oltre ad aver scritto un celebre poliziesco (“Quer pasticciaccio brutto de via Merulana”) ha usato il dialetto, introducendo anche vari termini inventati di sana pianta (anche se inseriti in tutt’altro contesto, grottesco e multistilistico). 

UN SICILIANO REINVENTATO

Catarella, macchietta da opera dei pupi.

Ed è soprattutto nell’uso dei termini dialettali che si collocano le radici di Camilleri: nella mia analisi ne ho riscontrati 26 su 52 (la metà esatta) di cui 15 sono usati esclusivamente in siciliano, altri anche con il corrispettivo italiano (che prevale nella gran parte dei casi, tranne per i termine “buttana”). Come ha osservato lo scrittore Pietrangelo Buttafuoco, il siciliano di Camilleri è anche in molti casi siciliano “reinventato, una sorta di gramelot”, cioè un linguaggio a volte senza senso letterale ma usato come strumento espressivo. Basti pensare  a termini come facchisi (fax), uozap (Whatsapp), “Gli occhi gli facevano pupi pupi”, e al celebre “pirsonalmente di pirsona” dell’agente Agatino Catarella. Buttafuoco osserva che questo gramelot è “a uso di messa in scena, come nell’opera dei pupi”: osservazione acuta, dato che spesso Camilleri inventa scene comiche molto corporee, che vedono spesso come protagonista proprio Catarella che costantemente storpia i cognomi delle persone che chiamano al centralino della polizia: Peritore che diventa “Piritone” (grosso peto), Cavazzone che diventa Cacazzone e così via.
Camilleri, infatti, usa spesso alcuni “tormentoni”, cioè situazioni ricorrenti, anche attraverso l’uso di espressioni volgari: la più celebre è “la facci a culu di gaddrina di Pippo Ragonese, il commentatore televisivo che “era sempri dalle parti di chi cumannava”. Oppure “quella grannissima camurria del dottor Lattes”, l’untuoso capo di gabinetto del questore Bonetti-Alderighi.

Le 5 esigenze narrative

Ma al di là di questi riferimenti letterari, l’uso delle parolacce risponde a precise esigenze narrative di Camilleri. Ne ho identificate 5:

Duello verbale col dottor Pasquano, medico legale.

REALISMO: voleva rappresentare fedelmente l’ambientazione siciliana colloquiale, la naturalezza del parlato quotidiano. Camilleri, da abile regista televisivo e teatrale, era un maestro non solo nelle trame ricche di colpi di scena che tengono avvinto alle pagine il lettore, ma anche nei dialoghi. Sempre ritmati, verosimili, efficaci: «Quindi zoppichiava?» (chiese Montalbano). «Non è detto» (rispose Pasquano) «Ha altro da dirmi?». «Sì». «Me lo dica». «Si levi dalle palle». (“La danza del gabbiano”).
Ecco come lo stesso Camilleri racconta la cura con cui si dedicava a ottenere il realismo della lingua parlata: «Scrivo una pagina, la correggo, la rifaccio, a un certo punto la considero definitiva. In quel momento me la leggo a voce alta. Chiudo bene la porta, per evitare di essere ritenuto pazzo, e me la rileggo, ma non una volta sola: due volte, tre. Cerco di sentire – e in questo la lunga esperienza di regista teatrale evidentemente mi aiuta – soprattutto il ritmo». E in questa ricerca di realismo, il siciliano è uno strumento essenziale: non solo perché i suoi gialli sono ambientati in Sicilia, ma soprattutto perché per lui il dialetto è la lingua più immediata, viva, spontanea, senza filtro: «La parola del dialetto è la cosa stessa, perché il dialetto, di una cosa, esprime il sentimento, mentre la lingua, di quella stessa cosa, esprime il concetto». In pratica, il dialetto esprime l’essenza delle cose, la loro natura profonda senza le sovrastrutture artificiali della cultura. L’italiano, invece, è la lingua dell’astrazione, dei temi generali, ma anche della distanza dai sentimenti e dalla spontaneità.

AMBIENTAZIONE: i suoi gialli raccontano il mondo delle caserme e dei criminali. Sia nel loro gergo, che nella crudezza di alcune ambientazioni violente. «Siccome che sei stato pigliato come un fissa con tri macchine arrubbate, vali a diri in flagranza di reato, caro Macaluso, stavolta ho l’impressione che sei fottuto. Macari pirchì sei recidivo, hai due precedenti sempri per ricettazione» disse Fazio. (“Il sorriso di Angelica”).

Montalbano: un commissario umorale e passionale.

CARATTERI DEI PERSONAGGI: molti di loro sono umorali. Non solo Montalbano, ma anche la fidanzata Livia, il vice Augello, il dottor Pasquano. E il turpiloquio rappresenta fedelmente il loro nirbuso. Le parolacce sono il linguaggio delle emozioni, rappresentate in tutta la loro ricchezza: rabbia, sorpresa, frustrazione, disgusto, paura, irritazione… «Mimì, mi hai rotto i cabasisi. Dimmi subito che minchia ti capita». (La gita a Tindari) Oppure: «Lo vedi? Lo vedi?» scattò il commissario. «E dire che avevi promesso! E te ne vieni fora con una domanda a cazzo di cane! Certo che è morta, se dico aveva e viveva!». Augello non fiatò. (“La gita a Tindari”)

EROTISMO: è un tema di fondo, giocato sia nella passione carnale (le donne piacciono anche a Montalbano, non solo ad Augello), sia a volte nei delitti e nelle violenze sessuali. I termini osceni sono usati o per esprimere e indurre eccitazione, oppure per rappresentare lo squallore della violenza. “le coppie non mercenarie e cioè amanti, adùlteri, ziti, se ne andavano dal posto, smontavano («in tutti i sensi» pensò Montalbano) per lasciare largo al gregge di Gegè, buttane bionde dell’est, travestiti bulgari, nigeriane come l’ebano, viados brasiliani, marchettari marocchini e via processionando, una vera e propria Onu della minchia, del culo e della fica” (“Il cane di terracotta”).

UMORISMO: a volte servono ad allentare la tensione, spezzare il ritmo con siparietti o battute comiche. “Quando niscì da casa pronto per la partenza, c’era Gallo, l’autista ufficiale del commissariato, che gongolava. «Taliasse ccà, dottore! Guardi le tracce! Che manovra! Ho fatto firriàre la macchina su se stessa!».
«Complimenti» fece cupo Montalbano.
«Metto la sirena?» spiò Gallo nel momento che partivano.
«Sì, nel culo» rispose Montalbano tòrvolo. E chiuse gli occhi, non aveva gana di parlare. ( “La voce del violino”)

Insomma, Camilleri è come un pianista capace di passare dal jazz al rock, dal liscio alla disco music. Aveva, insomma, grande padronanza espressiva dei più diversi registri linguistici: una consapevolezza che non può prescindere dalle parolacce, come ricorda questo brano tratto da “La pensione Eva” (non appartenente al ciclo di Montalbano): «Aveva imparato che la Pensione Eva si poteva chiamare casino oppure burdellu e che le fìmmine che ci stavano dintra e che si potivano affittare erano nominate buttane. Ma burdellu e buttane erano parolazze che un picciliddru perbene non doveva dire».  Ecco perché chi lo ha conosciuto da vicino racconta che, nei momenti di rabbia (che anche a lui non mancavano, come a tutti) Camilleri si sfogava anche dicendo parolacce, che sono il linguaggio delle emozioni forti e della sincerità: e, ne siamo certi, lo faceva usando l’improperio giusto al momento giusto, con pertinenza e senso delle proporzioni. In tutte le sfumature linguistiche, dalla più aulica alla più greve.
Dunque, se qualcuno affermesse che nei gialli di Camilleri le parolacce svolgono un ruolo marginale, direbbe “una sullenne minchiata”.

Se vi è piaciuto questo post, potrebbero interessarvi anche le mie analisi linguistiche sui testi di Leonardo da Vinci e sulle parolacce nelle canzoni : ho studiato tutte quelle scritte da Fabrizio De Andrè, Elio e le storie tese, Pino Daniele, Lucio Dalla, Franco Califano, Enzo Jannacci.

Dedico questo articolo al mio amatissimo papà, Giovanni Tartamella, scomparso lo scorso 25 settembre.
Sei stato immenso, come il vuoto che sento. 

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Parolacce alla Mostra del cinema di Venezia https://www.parolacce.org/2019/08/29/parolacce-alla-mostra-del-cinema-di-venezia/ https://www.parolacce.org/2019/08/29/parolacce-alla-mostra-del-cinema-di-venezia/#respond Thu, 29 Aug 2019 07:35:41 +0000 https://www.parolacce.org/?p=16072 Quale ruolo hanno le parolacce nei film? Tante volte abbiamo letto e sentito i moralismi dei critici che condannano le volgarità dei cinepanettoni o dei B-movies. Ma come sarebbe il cinema senza il turpiloquio? Per una volta, facciamo una riflessione… Continue Reading

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Quale ruolo hanno le parolacce nei film? Tante volte abbiamo letto e sentito i moralismi dei critici che condannano le volgarità dei cinepanettoni o dei B-movies. Ma come sarebbe il cinema senza il turpiloquio? Per una volta, facciamo una riflessione libera da pregiudizi e moralismi. E la facciamo nel tempio della settima arte, la Mostra internazionale del cinema di Venezia, insieme a un grande esperto: il critico cinematografico Gianni Canova, docente di storia del cinema. Il professor Canova ha approfondito l’argomento sul nuovo numero della rivista  8 e 1/2, con diversi interventi di esperti (me compreso) che hanno analizzato l’uso di scurrilità sul grande schermo.

La copertina di 8 e 1/2 dedicata alle parolacce nel cinema.

E poi mi ha invitato al Lido per parlare di questo argomento a tutto tondo, ripercorrendo le pietre miliari (e talvolta dello scandalo) del turpiloquio nei film, italiani e stranieri. Perché le parolacce non sono al servizio solo dei cinepanettoni o dei B-movies, ma anche di alcuni grandi capolavori del cinema.

Hanno parlato di questo appuntamento l’Istituto Luce-Cinecittà,  Elle.

Hanno raccontato questo incontro Nocturno e Cinecittà news. Cinecittà Luce magazine mi ha fatto anche questa video intervista:

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Gli insulti cult di “Travolti da un insolito destino” https://www.parolacce.org/2019/08/27/parolacce-film-wertmuller/ https://www.parolacce.org/2019/08/27/parolacce-film-wertmuller/#respond Mon, 26 Aug 2019 22:30:44 +0000 https://www.parolacce.org/?p=15985 Quando uscì nelle sale gli fu imposto il divieto di visione ai minori di 14 anni: per le scene erotiche e “per il linguaggio triviale, alquanto persistente”. Eppure è diventato un campione d’incassi e un film cult, che ha segnato… Continue Reading

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Mariangela Melato e Giancarlo Giannini: in questo film hanno fatto un’interpretazione straordinaria.

Quando uscì nelle sale gli fu imposto il divieto di visione ai minori di 14 anni: per le scene erotiche e “per il linguaggio triviale, alquanto persistente”. Eppure è diventato un campione d’incassi e un film cult, che ha segnato la storia del turpiloquio cinematografico. Perché senza tutte quelle volgarità (probabilmente un record) il film non avrebbe fatto epoca. E non sarebbe stato neppure credibile.
Sto parlando di “Travolti da un insolito destino nell’azzurro mare d’agosto” di Lina Wertmüller. Quest’anno il film compie 45 anni: in occasione della Mostra internazionale del cinema di Venezia, ho deciso di dedicargli un articolo. Per mostrare come le parolacce possano essere al servizio di un film profondo, a dispetto delle apparenze scanzonate. E anche perché i suoi dialoghi scurrili sono un vero capolavoro di ritmo, mordacità e comicità. Molte battute folgoranti del film, infatti, sono entrate nella memoria storica e nei modi di dire: ecco perché ho trascritto interi spezzoni del film, che sono ancora oggi un raro esempio di maestria narrativa.

La regista Lina Wertmüller (Wikipedia).

Il film racconta la storia di un marinaio catanese, Gennarino Carunchio (Giancarlo Giannini), che naufraga su un’isola deserta e selvaggia insieme a una donna milanese Raffaella Pavone Lanzetti (Mariangela Melato). I due si innamorano, ma quando poi tornano nella civiltà le loro strade si dividono.
Detta così sembra una trama come tante. Ma in realtà è molto originale, perché la storia si gioca su forti contrasti sociali: quello fra poveri e ricchi, fra sud e nord, fra sinistra e destra, fra uomo e donna. Carunchio incarna infatti il povero, meridionale, comunista e maschilista, e la Lanzetti la ricca, milanese, radical-chic (o socialista) e femminista. Due personaggi interpretati magistralmente dalla coppia Giannini-Melato.
E a questi contrasti sociologici se ne aggiunge un quinto di tipo filosofico: quello fra natura (incarnata dal manesco e pratico Carunchio, oltre che dalle selvagge spiagge della Sardegna) e cultura (la snob ed erudita Lanzetti). “Tu sei l’uomo come doveva essere nella natura, prima che tutto si deformasse”, dice ammirata Raffaella a Gennarino. Aggiungendogli, quando lui le propone di provare a tornare alla civiltà, “Perché rientrare in quegli schemi? E’ un ingranaggio mostruoso”. E infatti quell’ingranaggio alla fine riuscirà a disintegrare il loro amore impetuoso.
Dunque, non un consueto incontro fra uomo e donna, ma un’impossibile sintesi degli opposti: il diavolo e l’acqua santa. Nitroglicerina allo stato puro. Ecco perché, soprattutto fra i due, scoccano scintille sotto forma di litigi, botte e soprattutto insulti. Che esprimono odio allo stato puro. Oltre, naturalmente, alle scintille dell’erotismo, che in questo gioco di contrasti arriva a punti bollenti: “Buttana, io ti odio ma mi piaci”; confesserà Carunchio. E lei perderà la testa.
Se consideriamo che il film fu girato nel 1974 e diretto da una donna, si apprezza ancor più la sua portata rivoluzionaria. Tra l’altro, a ottoobre la Wertmüller riceverà l’Oscar alla carriera.

Di cinema e parolacce parlerò alla 76a Mostra internazionale del Cinema di Venezia (Italian Pavilion, Hotel Excelsior Venezia Lido) mercoledì 4 settembre alle 15:00.
Con un interlocutore d’eccezione: Gianni Canova, critico cinematografico e professore di storia del cinema. Canova ha appena dedicato un numero della rivista 8 e 1/2 (dell’Istituto Luce Cinecittà) proprio al rapporto fra cinema e parolacce.
Dunque, se siete al Lido di Venezia, sarà un’occasione per riflettere – una volta tanto – su come il turpiloquio abbia contribuito a rendere viva la settima arte.

Buttana industriale. E socialdemocratica

Il film si gioca su dialoghi scoppiettanti, nei quali le parolacce sono una continua giostra emotiva, dalla prima (“Questo paradiso di spiaggia lo riempiranno di merda, rifiuti e buste di plastica”) all’ultima battuta (“Ma come cazzo si fa a campare?”).

“Lezione numero 1”: una delle espressioni di Giannini.

La Wertmüller non si è limitata a usare pochi termini scurrili (tre vincono su tutti: buttana, troia, fitusa) ma ha prodotto un vero florilegio di variazioni sul tema, attingendo a più di 30 modi di dire popolari e dialettali, non solo siciliani ma anche napoletani: vaffanculo, rincoglionito, spappolare le palle, palle, cazzo, stronzo, troia, fitusa (in siciliano, puzzolente, schifosa), rompere la minchia, coglione, negro, scemenza, vaffanculo, zoccola, puttana, maiala, cornuto, sticchio (fica in siciliano), vafammocca (in napoletano, vai a fare un bocchino), sgualdrina, cacà u cazz (cagare il cazzo), cazzi da cacare, brutto abissino, terrone, postaccio di merda, porcona, sciacquetta, meretrice, culo, zizze, cretino, fottere, cocò (cocotte, prostituta).
E a questo ricco  repertorio ha aggiunto anche alcune invenzioni espressive che sono passate alla storia: buttana industriale (un rafforzativo grottesco di “puttana”), socialdemocratica (una forma di disprezzo per chi sta al centro ma strizza l’occhio alla sinistra), che diametro (= che culo), faccio quello che stracatacazzo (un rafforzativo di cazzo) mi pare, scarrafuciona (probabilmente un accrescitivo di scarrafona, scarafaggio), sottoschifo di cameriere.

LUI SESSISTA, LEI SNOB

Nel film, tutte queste scurrilità servono ad alimentare la dialettica fra i due protagonisti. E a mostrare il carattere dei due protagonisti così agli antipodi. Lui, Carunchio, usa un dizionario grezzo e di bassa leva anche se creativo; lei, la Pavone-Lanzetti, un lessico più erudito ma meno graffiante. E in questo contrasto le risate sono assicurate. Anche perché le battute sono condite dall’accento siciliano di lui, e da quello milanese (e con l’erre moscia) di lei.

I primi scontri fisici durante lo sbarco sull’isola.

Quando Raffaella, appena sbarcata sulla spiaggia, pretende che Gennaro salga di nuovo in cima al monte dell’isola per guardare se è abitata, e lui si rifiuta, lei sbotta in un “E’ inutile cavare acqua dalle rape”.
Carunchio, che fino ad allora, era riuscito più o meno a controllarsi, sbotta senza freni. “Senti, donna Raffaella Pavone-Lanzetti. Ora mi hai rotto la minchia! Faccio quello che stracatacazzo mi pare, gioia. Ma chi ti credi di essere? Ma vaffanculo!”. E qui inizia uno dei tanti duelli verbali del film.
LEI: “Cafone!”
LUI: “Va-ffan-cu-lo!”.
LEI: “’Sto stronzo!”.
LUI: “Scarraafuciona!”.
LEI: “Butto porco!”.
LUI: “Puttana, troia, zoccola, puttana, maiala!”.
LEI: “Brutto mozzo trinariciuto del cavolo!”.
LUI: “La signora di questa minchia! Meretrice, troia, sgualdrina!”.
LEI: “Stronzonissimo!”.
LUI: “Fitusa, gran mignotta! Vaffammocca a zì Nicola. Nu povirazzo arriva il momento che si caca u cazzo, o no?!”.
LEI: “Vigliacco d’un immaturo! Che roba di sottoproletariato”.
LUI: “E’ finito Gennarino. Buttana, troia. Ora pì ttia sono cazzi da cacare. Ora ci divertiamo, signora. Sono minchie amare”.
LEI: “Eh, la rivolta dello schiavo. La presa della Bastiglia”.
LUI: “Bagascia, sgualdrina, prostituta e cocò (
cocotte, prostituta)”.
LEI: “Spartacus! ‘Sto stronzo. ‘Sto cafone del cavolo!”.
LUI: “Sciacquetta! Porca! E socialdemocratica”.

I due protagonisti litigano sul canotto, prima del naufragio.

Un contrappunto perfetto. Gennarino – da buon maschilista – attacca soprattutto con insulti sessisti: il che appare una scelta povera, visto che Giannini interpreta un dirigente del Partito Comunista, che come tale avrebbe dovuto avere un vocabolario più ricco, anche negli insulti. Ma forse la Wertmüller ha voluto dipingerlo soprattutto come un maschilista siciliano vecchio stampo. Questo, comunque, non gli impedirà (come vedremo più sotto) di argomentare il suo disprezzo anche con analisi sociali ed economiche.
La Melato-Lanzetti, invece, usa insulti snob, perfettamente intonati alla sua personalità. L’elenco è così vario, creativo e divertente che merita di essere pubblicato integralmente: cretino, imbecille, stramicione (pigro, indolente) meridionale, mammalucco, brutto mozzo trinariciuto del cavolo, stronzo, Spartacus, carogna d’un vigliacco, comunista del cazzo, bestiaccia nera, peggio di Hitler, carogna, ridicolo e vile, bestia, esemplare di maschio mediterraneo, roba di sottoproletariato, porco, maleducato, cafone, brutto abissino, mi fai schifo, lei è un verme

CHI STA SOTTO E CHI STA SOPRA

L’aragosta: cibo da ricchi, ma anche da naufraghi capaci di pescare.

Il cuore del film, come ho detto sopra, è il contrasto sociale fra ricchi e poveri. Visto da una prospettiva dichiaratamente marxista. Il film inizia evidenziando le differenze di classe, di vita e di trattamento reciproco dei due protagonisti. Ma la vita selvaggia sull’isola, il ritorno alla primordiale lotta per la sopravvivenza annulla le differenze. Anzi: se sullo yacht Gennarino deve chinare il capo e subìre qualunque angheria dalla riccona, sull’isola è lui ad avere il potere perché è l’unico in grado di procurare il cibo e l’acqua con cui sopravvivere.
Dopo il diverbio iniziale, infatti, i due si dividono. Ma mentre lei non ha la più pallida idea di come procurarsi da mangiare, lui riesce a pescare e cuocere una magnifica aragosta. E non la divide con lei che gliene chiedeva un pezzo per umana pietà.
“Sappia che lei è un miserabile, carogna di un vigliacco! Ci deve essere una legge…. Star lì a mangiare lasciando digiuni gli altri”, lo accusa lei.
“Eh già, ma bisogna riflettere!” risponde il comunista Carunchio. “Se ci stava una legge del genere, stavano in galera tutti i ricchi del mondo! Ma siccome questa legge non c’è, in galera ci stanno solo i poveri”.
Comunista del cazzo! Naturaccia di merda, bestiaccia nera, che carogna! T’el chì come lo usano il potere, ricattando e affamando. E approfittando. Peggio di Hilter. Piuttosto mi lascio morire di fame…”.

Donna Raffaella provata dalla spartana vita da naufraga.

[ Ma i morsi della fame le fanno subito cambiare registro.] LEI: “Mi venda quel pesce. Glielo pago quello che vuole. 100mila, 200mila? Che cavolo vuole per quel pesce? Ce lo pago mezzo milione carogna!”.
LUI: “E continua a insultare eh? Eh lo so, è brutto stare di sotto. Le dico una cosa. Questo pesce non lo vendo. Ho deciso di fare come voi quando bruciate le mele e le arance per tenere alti i prezzi”.
LEI: “Assassino!”.
LUI: “No, io sono ignorante e incompetente. Gli assassini organizzati siete voi! Comunque stammi a sentire femmina. Lezione numero 1: denaro per cumprare chistu pesce nun ce n’è. Se te lo vuoi comprare, questo pesce, te lo devi guadagnare. me spiego? Lavami i mutandi ah!? 
Eh, donna Raffaella non aveva lavato mai le mutande. Perché era stata sempre di sopra.E ora che si trova di sotto ci tocca imparare a lavare i mutandi… Ma il lavoro nobilita l’uomo, a maggior ragione la femmina”.
E così donna Raffaella gli lava le mutande, conquistando il diritto di una porzione di cibo. Ma non si dà per vinta:
“Perché fa pagare tutte a me le rivendicazioni sociali  e le ingiustizie della vita? Cos’è che ci guadagna? Se lei sarà gentile con me le sarò grata” prova a blandirlo.
Ma lui non cede, anzi rilancia: “Se vuoi stare qui, devi lavorare! E’ finita la pacchia, perché la femmina è nata per fare la serva all’uomo. Bacia la mano al padrone!”.
“Mai!”.
“Brutta buttana industriale che mi facisti sputare sangue su quella maledetta barca!”.
“Lei è un verme!”.
“Lezione numero 2: hai capito femmina, che non ti posso permettere più di insultarmi?! Non rispondere, femmina, Stai zitta, obbedisci! In piedi voglio essere servito! Tu mi invitasti mai al tavolo a sedere sullo yacht? La signora di questa minchia: il vino è caldo, la pasta è scotta, il caffè è riscaldato….”.

Il celebre pestaggio sulle dune: una vendetta per i soprusi socio-economici.

Alla fine, le loro posizioni inconciliabili sfociano nella celebre scena del pestaggio sulle dune, in cui Gennarino punisce in Raffaella tutti i soprusi che le classi più umili hanno dovuto subìre da ricchi e potenti:
“Brutta carogna, finalmente posso darti la lezione che ti meriti!”
“Aiuto!”
“E chi ti può aiutare, cretina! Dove scappi brutta fitusa! A calci in culo ti prendo, brutta buttana industriale socialdemocratica!”.
“Vigliacco verme schifoso!”.
“Devi pagare tutto! Questo
[le dà uno schiaffo] è per la crisi economica in cui ci precipitasti a non pagare le tasse e a portare i soldi alla Svizzera, te, e tutti gli altri come a tia!.
Questo
[le dà un calcio] è per gli ospedali che un poveraccio non ci riesce a entrare mai, che magari è meglio perché se ci entra muore. E questo [spintone] è per l’aumento della carne, del parmigiano, delle tariffe filo-tramviarie del treno e l’aumento della benzina. Per l’aumento dell’olio e della cassa integrazione. Questo [pugno] è per l’Iva e per l’una tantum, E questo [altro pugno] è perché ci avete fatto venire paura anche di campare”.

Più espliciti di così non si poteva essere. 

SESSO E VERGOGNA

Giannini e Melato: un rapporto molto fisico, oltre che verbale.

Nella dialettica fra natura e cultura, non poteva mancare una riflessione sul sesso. Quanto c’è di naturale e quanto di “costruito” nel sesso?
Gennaro smonta subito gli atteggiamenti puritani di donna Raffaella, che si indispettisce quando lui le guarda il lato B.
“Ti guardo quanto mi pare e piace! Ti guardo le natiche… E quando stavate sdraiate sullo yacht a prendere il sole con le zizze di fuori, come se noialtri non ci fossimo? E invece credo che voi poccone (porcone) lo sapevate benissimo che eravamo uomini e vi piaceva pensare che ci facevate morire… Bottana industriale, fammele vedere adesso le zizze! Avanti, scoprire il davanzale! Si vergogna la signora? E com’è che prima non ti vergognavi? Voi femmine di lusso, siete brave a provocare”.

Ma a Gennaro non basta un’avventura fisica. Vuole che lei metta da parte tutte le inibizioni e le sovrastrutture culturali per amarlo con una passione totalizzante. La provoca, la coinvolge, e all’ultimo si tira indietro. Una vendetta: come lui era stato schiavo economico, umiliandosi come mozzo, lei sarebbe dovuta diventare una schiava d’amore.

“Bacia la mano al padrone”: una delle frasi maschiliste di Gennaro.

“E ora ti strappo ‘i mutandi. Ti faccio sentire io cos’è un uomo , perché non l’hai conosciuto mai un uomo vero. Buttana industriale, io ti odio ma mi piaci. Confessa che stai a morire… come si lamenta… Fai sì brutta troia! E invece no! Sono io che ti dico di no! Un brutto cafone nero ignorante come a mia, a uno che gli hai detto di cambiarsi la maglietta sudata, che gli hai detto ‘brutto cafone meridionale’, a uno che è stato sempre di sotto come a mia e che ci hai detto che ti fa schifo, non basta che mi dici di sì. Ti devi innamorare. Innamoratissima devi essere, Schiava già ci sei, ma schiava d’amore devi diventare. Devi strisciare come un verme ai miei piedi. Devi chiedere pietà, ti deve prendere un amore nero che ti torce le budella. Passione disperata, peggio di una malattia. Io ti devo entrare dentro la pelle, dentro la testa, dentro il cuore, dentro la pancia. Il tuo dio devo diventare! Passione o niente! Lo devi ancora conoscere Gennaro Carunchio!”. 

LA VOLGARITÀ? INVENZIONE BORGHESE

Quando alla fine sarà riuscito a conquistarla, la Wertmüller fa dire ai due protagonisti un’importante affermazione sul linguaggio scurrile in amore. In amore tutto è lecito, anche le parolacce.
Gennaro dice a lei, che è già pazza di lui:
“La femmina è un oggetto di piacere, trastullo per il lavoratore, puttana da casino!”
“Perché sempre puttana?”.
“Puttana da una parte è un insulto, ma dall’altra può diventare un complimento”.
Detto da una regista donna, è un bell’atto di coraggio. E di onestà intellettuale.

Donna Raffaella, ormai sottomessa e innamorata.

Ma c’è un passaggio ancora più esplicito. Una vera e propria riflessione antropologica sulle parolacce: le scurrilità sono il linguaggio della sincerità, della schiettezza. Chi usa giri di parole e termini forbiti esercita una forma di potere, come i medici quando usano i paroloni scientifici per parlare delle malattie (o gli avvocati quando parlano di leggi).
E’
la celebre scena del “sodomizzami”, che fa da contraltare comico alla scena del “burro” di “Ultimo tango a Parigi”, uscito 2 anni prima.
Raffaella, in preda alla passione, sussurra a Gennaro “Sodomizzami”.
E lui: “Brutta fitusa borghese carognona: ma tu Lo fai apposta per farmi sentire ignorante con queste parole difficili? Ma questa cosa che porcheria è? Io nun te capisco. Che caspita sarebbe?
“Scusa amore”.
“Scusa una cippa di minchia! Che maniera di parlare? Io sono ignorante e me vanto”.
“Scusa amore. Ho detto così perché è una cosa difficile da dire”.
“E poi che è sta cosa? Sodorizzami, sodorazzami, che è?”.
“Sodomizzami… sarebbe…
[e si gira]“.
“Chiddu sarebbe? Ma quanto sei complicata. Ma chiama le cose col nome suo!”.
“Ma amore… era una cosa d’amore… non si può … diventa una volgarità”.
“Che volgarità! Nell’amore non c’è volgarità! Ve la siete inventata voi borghesi la volgarità!”.

Riflessione profonda. Le parolacce sono vietate non perché parlino di cose oggettivamente disdicevoli, bensì perché parlano di cose che ci fanno paura: sesso, limiti, malattie, morte. Siamo noi che stabiliamo quello che non si può dire, comportandoci come “borghesi” (benpensanti, mediocri, codardi). La differenza fra parole pulite e volgarità è una scelta arbitraria. Ecco perché ciò che fa scandalo cambia da epoca a epoca, da Paese a Paese. E da persona a persona.   

VITA AMARISSIMA

La vita nella natura selvaggia dell’isola.

Come molti film degli anni’70, anche questo ha un finale amaro. La passione fra i due protagonisti, che sembra irrefrenabile, sarà spezzata dal ritorno a una vita convenzionale. L’economia vince sulla vita allo stato naturale.
Gennaro, del resto, aveva dubbi anche quando Raffaella sembrava in preda a un amore inattaccabile:
“Se non facevamo naufragio come stavamo io e te? Io di sotto e tu di sopra. Io poveraccio nero e tu riccaccia bianca. Tu facevi la signora e io una specie di sottoschifo di cameriere. La vorrei proprio vedere la signora Lanzetti passeggiare con questo terrone vicino a Milano”.
E così, dopo aver messo alla prova il loro rapporto tornando nel mondo civile, quando lei – rimangiandosi le promesse d’amore eterno – vola via in elicottero insieme al marito, lui le urla:
Fitusa traditrice! Buttana! Accidenti a tia, accidenti a quando ti credetti! Lo sapevo che non mi dovevo fidare di una ricca perché i ricchi ti fottono sempre! Buttana industriale che mi lasci solo!”.
Dopo una sbronza colossale, la moglie di Carunchio lo raggiunge al porto, accusandolo di averlo tradito.E i due litigano. Alla fine, l’amara conclusione di Carunchio, sconfitto su tutta la linea: “Ecco, una buttana di sopra (la Lanzetti era fuggita in elicottero), una buttana di sotto e l’amico mare traditore… Ma come cazzo si fa a campare?”
Nel finale, insomma, le volgarità servono a rafforzare l’amarezza e la delusione di Gennaro, sconfitto su tutta la linea. Insomma: finché il rapporto uomo-donna si gioca sul piano della sopravvivenza e della forza fisica, Gennaro è vincente. Ma nella vita moderna, in città, vince chi ha i soldi: può fare il bello e il cattivo tempo, prevalendo anche sulla forza bruta. I ricchi ti fottono sempre.

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I 100 titoli di film più volgari della storia https://www.parolacce.org/2018/05/11/cinema-titoli-parolacce/ https://www.parolacce.org/2018/05/11/cinema-titoli-parolacce/#respond Fri, 11 May 2018 08:00:35 +0000 https://www.parolacce.org/?p=14099 L’ultimo è uscito lo scorso autunno: si intitola “Snatched” (rapite), ma nelle sale italiane è approdato col becero titolo di “Fottute!”. Così, dato che in questi giorni c’è il Festival di Cannes, mi sono chiesto quanti fossero, nella storia del… Continue Reading

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Locandine di film col titolo volgare (clic per ingrandire).

L’ultimo è uscito lo scorso autunno: si intitola “Snatched” (rapite), ma nelle sale italiane è approdato col becero titolo di “Fottute!”. Così, dato che in questi giorni c’è il Festival di Cannes, mi sono chiesto quanti fossero, nella storia del cinema, i film con un titolo volgare.
Pensavo fossero 5 o 6 (“Vieni avanti cretino”, “Culo e camicia”, “Balle spaziali”…), ma in realtà ho scoperto che nell’ultimo secolo sono usciti 96 titoli con 22 diverse parolacce.
Diversi di questi film hanno riscosso successo al botteghino ma non sono tutti B-movies o cinepanettoni: fra i registi appaiono nomi del calibro di Mario Monicelli, Rainer Werner Fassbinder, François Truffaut, Dino Risi, Quentin Tarantino, Mel Brooks, Hayao Miyazaki. Tanto che alcune pellicole hanno vinto premi prestigiosi: “La cena dei cretini” ha conquistato 3 premi César e 2 premi Lumière; “Porco rosso” ha vinto il premio  Ishihara Yujiro e 2 Mainichi Film Concours. E “Scemo di guerra” fu presentato a Cannes nel 1985.
Dunque, quanti sono i titoli di film volgari? Quali parolacce contengono? E per quali generi cinematografici? Le sorprese sono molte: attraverso le parolacce si può fare un viaggio affascinante nella storia del cinema, dal film muto (!) a oggi.

Il metodo

Film del 1987.

Per questa ricerca linguistica, ho utilizzato Imdb (Internet movie database), il più grande database online del cinema. Ho delimitato il campo ai titoli in italiano, escludendo le pellicole porno: non per snobismo, ma perché per definizione il porno rompe i tabù, quindi non è sorprendente che lo faccia già a partire dai titoli. Che spesso sono trash, ma talvolta sono divertenti perché sono costruiti facendo la parodia di titoli seri: da “Porchaontas” a “L’albero delle zoccole” fino a “Va dove ti porta il culo”.
Ho escluso pure le (poche) pellicole girate all’estero con un titolo italiano: non è chiaro se i registi fossero consapevoli fino in fondo del significato del termine usato. I casi sono 3:  “Ciao pirla!” un documentario del musicista spagnolo Oscar D’Aniello, “Figa”, un film polacco e il francese “Bruschetta al Coglioni”.

Prima di analizzare questo lato oscuro del cinema, ecco la lista completa dei film con un titolo a tinte forti (sperando di non averne dimenticato nessuno). Eccola:

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TUTTI I TITOLI VOLGARI

Titoli (e titolo originale) Anno del film, regista e genere

balle/palle

Balle spaziali (Spaceballs) 1987, Mel Brooks, commedia/avventura/fantascienza
Balle spaziali 2, la vendetta (Martians, go home) 1989, David Odell

commedia/fantascienza

Balls of fury – Palle in gioco 2007, Robert Ben Garant

commedia, avventura

Il rompiballe (L’emmerdeur) 1973, Édouard Molinaro

commedia

Il rompiballe (L’emmerdeur) 2008, Francis Veber

commedia

Il rompiballe… rompe ancora (Fantasia chez les ploucs) 1971, Gérard Pirès

commedia

Palle d’acciaio (Head office) 1985, Ken Finkleman

commedia

bastardo

Babbo bastardo (Bad Santa) 2003, Terry Zwigoff

commedia/drammatico

Babbo bastardo 2 (Bad Santa 2) 2016, Mark Waters

commedia/drammatico

Bastardi 2008, Federico Del Zoppo, Andres Alce Meldonado

thriller

Bastardi 2010, Petr Sícha

commedia/crimine/drammatico

Bastardi 2 2011, Jan Lengyel

crimine/drammatico

Bastardi 3 2012, Tomás Magnusek

crimine/drammatico

Bastardi di guerra (War Pigs) 2015, Ryan Little

azione/drammatico/guerra

Bastardi in divisa (Let’s Be Cops) 2014, Luke Greenfield

commedia/crimine

Bastardi senza gloria (Inglourious Basterds) 2009, Quentin Tarantino

avventura/drammatico/guerra

Bastardi si nasce… carogne si diventa (Oi gennaioi tou Vorra) 1970, Kostas Karagiannis

avventura/drammatico/guerra

Bastardo 2003, Néjib Belkadhi

drammatico

Bastardo 1997, Orly Ilacad

azione

Bastardo (Akutarô) 1963, Seijun Suzuki

drammatico

Bastardo dentro (Mauvais esprit) 2003, Patrick Alessandrin

commedia

Django il bastardo 1969, Sergio Garrone

western

Faccia da bastardo (One Tough Bastard) 1996, Kurt Wimmer

azione/thriller

I bastardi 1968, Duccio Tessari

crimine/drammatico

I bastardi di Pizzofalcone 2017, Carlo Carlei

crimine/drammatico

Il bastardo 1915, Emilio Graziani-Walter

drammatico

Il bastardo (Bastard) 1940, Helge Lunde, Gösta Stevens

drammatico

Il bastardo (The bastard) 1978, Lee H. Katzin

drammatico/storico

Il bastardo innocente 2012, Igor Maltagliati

azione

Il mio ragazzo è un bastardo (John Tucker Must Die) 2006, Betty Thomas

commedia/romantico

John il bastardo 1967, Armando Crispino

western

Una donna per 7 bastardi 1974, Roberto Bianchi Montero

drammatico

Una forca per un bastardo 1968, Amasi Damiani

western

becchino

Sono Sartana, il vostro becchino 1969, Giuliano Carnimeo

western

casino

Agente Smart, casino totale (Get Smart) 2008, Peter Segal

azione/avventura/commedia

E’ forte un casino! 1982, Alessandro Metz

commedia

Il casinista 1980, Pier Francesco Pingitore

commedia

cazzo

Che cazzo fai 2013, Lewie Bartone

commedia

La solita cazzata 2000, Ettore d’Alessandro

drammatico

cornuto

Il magnifico cornuto 1964, Antonio Pietrangeli

commedia

I sette magnifici cornuti 1974, Luigi Russo,

commedia

cretino

La cena dei cretini (Le dîner de cons) 1998, Francis Veber

commedia

Vieni avanti cretino 1982, Luciano Salce

commedia

culo

Culo e camicia 1981, Pasquale Festa Campanile

commedia

deficiente

Tutti gli uomini del deficiente 1999, Paolo Costella

commedia

figo

Fatti, strafatti e strafighe (Dude, Where’s My Car?) 2000, Danny Leiner

commedia/fantascienza

I fichissimi 1981, Carlo Vanzina

commedia

Pierino il fichissimo 1981, Alessandro Metz

commedia

fottere

Addio fottuti musi verdi 2017, Francesco Capaldo

azione/commedia/fantascienza

Cari fottutissimi amici 1994, Mario Monicelli

commedia

Fottute! (Snatched) 2017, Jonathan Levine

azione/commedia

idiota

I soliti idioti 2011, Enrico Lando

commedia

I 2 soliti idioti 2012, Enrico Lando

commedia

merda

Sono un soldato di merda 2004, Massimo Coppola, Giovanni Giommi, Alberto Piccinini

documentario

mortacci

Mortacci 1989, Sergio Citti

commedia

negro

Come fare l’amore con un negro senza stancarsi (Comment faire l’amour avec un nègre sans se fatiguer) 1989, Jacques W. Benoit

commedia

pirla

Ciao pirla! 2013, Ander Agudo, Josep Badell, Luis Comajuan, Oscar D’Aniello, Miquel Rubís, Carlos Sánchez-Llibre, Eloi Tomàs

documentario

porco

Porca vacca 1982, Pasquale Festa Campanile

commedia/drammatico/guerra

Porca vacca, mi hai rotto… (Steptoe and Son) 1972, Cliff Owen

commedia

Porco rosso (Kurenai no buta) maiale nudo nudo 1992, Hayao Miyazaki

animazione/avventura/commedia

puttana

Attenzione alla puttana santa (Warnung vor einer heiligen Nutte) 1971, Rainer Werner Fassbinder

commedia/drammatico

Deuce Bigalow: puttano in saldo (Deuce Bigalow: European Gigolo) 2005, Mike Bigelow

commedia

La morte puttana 2012, Denis Frison

horror

La puttana del re (La putain du roi ) 1990, Axel Corti

drammatico/storico

Puttana galera! 1976, Gianfranco Piccioli

commedia

Whore (Puttana) 1991, Ken Russell

drammatico

sbirro

Dai sbirro (Adieu poulet) 1975, Pierre Granier-Deferre

criminale/drammatico

Diane, uno sbirro in famiglia (Diane, femme flic) 2003, Marie Guilmineau

criminale

Dick Carter, lo sbirro (Koroshi) 1968, Michael Truman, Peter Yates

azione/thriller

Due sbirri a Hong Kong (Crime Lords) 1991, Wayne Crawford

azione

Ho sposato uno sbirro 2007, Giorgio Capitani

criminale

Il trucido e lo sbirro 1976, Umberto Lenzi

drammatico/criminale

Last Cop – L’ultimo sbirro (Der letzte Bulle) 2010, Sebastian Vigg

criminale

Lo sbirro, il boss e la bionda  (Mad Dog and Glory) 1993, John McNaughton

commedia/drammatico/criminale

Matzu, quello sporco onesto sbirro (Goyôkiba: Kamisori Hanzô jigoku zeme) 1973, Yasuzô Masumura

azione/drammatico

Pelle di sbirro (Sharky’s Machine) 1981, Burt Reynolds

azione/drammatico/criminale

Piedone lo sbirro 1973, Steno

commedia/azione/criminale

Poliziotti fuori – Due sbirri a piede libero (Cop Out) 2010, Kevin Smith

commedia/azione/criminale

Sangue di sbirro 1976, Alfonso Brescia

azione/criminale/drammatico

Sbirri 2009, Roberto Burchielli

azione/drammatico

Sbirri bastardi (Sweeney 2 ) 1978, Tom Clegg

azione/criminale/drammatico

Sbirri da sballo (The Thin Blue Line) 1995, Ben Elton

commedia/criminale

Sbirri oltre la vita (Dead Heat ) 1988, Mark Goldblatt

azione/commedia/horror

Sbirro, la tua legge è lenta… la mia… no! 1979, Stelvio Massi

drammatico/criminale

Una strana coppia di sbirri (Freebie and the Bean) 1974, Richard Rush

azione/commedia/criminale

Uno sbirro e una canaglia (Keaton’s Cop) 1990, Robert Burge

criminale

Uno sbirro nella notte (Killing Blue) 1988, Peter Patzak

thriller

Uno sbirro tuttofare (Metro) 1997, Thomas Carter

azione/commedia/criminale

War on Everyone – Sbirri senza regole 2016, John Michael McDonagh

azione/commedia

scemo

Mica scema la ragazza! (Une belle fille comme moi) 1972, François Truffaut

commedia/drammatico

Scemo di guerra 1985, Dino Risi

commedia

Scemo & più scemo (Dumb and Dumber ) 1994, Peter Farrelly, Bobby Farrelly  

commedia

Scemo & più scemo 2 (Dumb and Dumber To) 2014, Peter Farrelly, Bobby Farrelly  

commedia

Scemo & più scemo… iniziò così (Dumb and Dumberer: When Harry Met Lloyd ) 2003, Troy Miller

commedia

stronzo

Stronzi 2014, Mario Palladino, Nicola Palmieri

commedia

vaffanculo

Vaffanculo 2012, Nuno Filipe

drammatico

I numeri

I film con titolo volgare ordinati per decennio di uscita (clic per ingrandire).

Un centinaio di film con titoli scurrili sono tanti o pochi? Facciamo un conteggio approssimativo: negli anni ’60 e ’70 uscivano circa 700 film all’anno, che sono saliti a 3117 nel 2017. A grandi linee, negli ultimi 58 anni sono usciti 62mila film. Quelli con un titolo volgare sono quindi un’eccezione, rappresentando lo 0,4% del totale.
E sono un fenomeno abbastanza recente: tranne due eccezioni, infatti, è iniziato negli anni ’60, con un primo picco negli anni ’70, per poi diminuire e risalire dagli anni 2000: il record di titoli sboccati appartiene al decennio in corso, che – non essendo ancora finito – è destinato a segnare un record storico in questo trend.
Va comunque segnalato che il primo titolo scurrile della storia risale al 1915: è “Il bastardo” un film muto di Emilio Walter Graziani con Pietro Schiavazzi. Il secondo caso più antico è del 1940: ha lo stesso titolo, ed è la traduzione di una pellicola svedese intitolata “Bastard” (regia di Helge Lunde).
A proposito di numeri: quali sono le parolacce più usate? Stravincono bastardo (27%) e sbirro (24%), che da soli coprono la metà delle volgarità. Dunque, il film “Sbirri bastardi” (Tom Clegg, 1978) è il titolo più rappresentativo degli insulti più usati nelle locandine.
Gran parte delle scurrilità (14, il 63,6%) sono insulti, seguiti da termini osceni (4), espressioni gergali (2), termini escrementizi (1) e maledizioni (1).

Film del 1982.

Le espressioni forti (puttana, cazzo, merda, negro, stronzo, vaffanculo) sono in realtà poche, ed è facile immaginare il motivo: una parola pesante rischia di incorrere in censure e diminuisce la vendibilità di un film.

Ecco l’elenco completo:
bastardo: 26
sbirro: 23
balle: 7
puttana: 6
scemo: 5
casino, figo, fottere, porco: 3
cazzo, cornuto, cretino, idiota: 2
becchino, culo, deficiente, merda, mortacci, negro, pirla, stronzo, vaffanculo: 1

I contenuti

Che genere di film sono quelli con un titolo volgare? Gran parte sono classificati in più di un genere contemporaneamente (drammatico/azione, commedia/avventura e così via).

Film del 2003.

E’ comunque possibile stabilire quali sono i generi più diffusi: commedia (22,2%) e drammatico (14,6%). Le parolacce, infatti, servono proprio a far ridere e a esprimere le emozioni più forti, che troviamo anche nei film movimentati (azione, western, avventura, guerra, horror, thriller).

Ecco le statistiche complete:
commedia: 22,2%
drammatico: 14,6%
western, avventura, thriller: 4,2%
azione, criminale, documentario: 2,8%
guerra, horror, animazione, storico: 1,4%
romantico e fantascienza: 0,7%

Lost in translation

Poco più di un terzo dei titoli scurrili (37,5%) è frutto della fantasia di registi e produttori italiani, ma la maggioranza (62,5%) sono pellicole straniere. Dunque, la presenza di parolacce nei titoli è opera dei nostri traduttori, che – come vedremo – hanno fatto spesso scelte discutibili, inserendo un termine colloquiale, di registro basso laddove nell’originale era assente.
Come ad esempio “Fatti, strafatti e strafighe”, che in origine era “Dude, Where’s My Car?”, che letteralmente significa “Ehi, tipo, dov’è la mia auto?”. O il film “Deuce Bigalow: puttano in saldo” che nell’originale suonava “Deuce Bigalow: european gigolo”. Forse perché gigolo suona troppo raffinato, facendo perdere il lato comico o pruriginoso?

Film del 2000.

Ma le scelte incomprensibili sono tante: “Steptoe e figlio” (Steptoe and son) è diventato “Porca vacca, mi hai rotto…”. “La sottile linea azzurra” (“The thin blue line”) è stata resa in “Sbirri da sballo“, “Guerra a tutti” (“War on everyone“) è diventato “Sbirri senza regole”, “Rapite!” (“Snatched!”), come dicevo all’inizio, è stato reso in “Fottute”. “Il capo ufficio” (“head office”) è diventato “Palle d’acciaio” mentre “Fantasia fra i cialtroni” (“Fantasia chez les ploucs”) è stato trasformato in  “Il rompiballe… rompe ancora“.
E nell’elenco delle traduzioni discutibili figurano anche due pellicole d’autore: una di Truffaut, “Una bella ragazza come me” (Une belle fille comme moi), è stata tradotta in “Mica scema la ragazza”. E un cartone animato di Hayao Miyazaki “Kurenai no buta”, ovvero “Il maiale cremisi” è diventato “Porco rosso”: passare da maiale (termine neutro) a porco (termine spregiativo e volgare) non è stata una scelta felice. Da segnalare, infine, un titolo forte rimasto come nell’originale: “Whore” (che però ha come sottotitolo puttana).
Il motivo di queste scelte? Avevo già raccontato (in questo articolo) quanto sia difficile il mestiere del traduttore dei film, quando si tratta di rendere il turpiloquio. Ma in questi casi gioca per lo più un altro fattore: la tendenza alla volgarizzazione, cioè a rendere scurrile un titolo di per sè neutro. E’ una tentazione molto frequente, perché è una scorciatoia per esprimere sfumature emotive e di colore. Ma è anche un tentativo – per i distributori italiani di pellicole straniere – di attirare l’attenzione degli spettatori, usando un linguaggio popolare che accorcia le distanze: come fanno, del resto, anche i politici quando strizzano l’occhio agli elettori dicendo volgarità (“parlo come te perché sono come te”). Ma spesso, così facendo, i traduttori rischiano di tradire lo spirito della pellicola originale.
Dunque, i titoli trash sono una scelta di marketing, resa possibile anche da una generale e progressiva assuefazione alle volgarità: titoli che 30 anni fa sarebbero stati inconcepibili, oggi finiscono per essere accettati senza troppi scandali. Del resto, anche i titoli scurrili dei libri hanno un trend in crescita, per motivi analoghi. 

EUFEMISMI, DOPPI SENSI E ALLUSIONII

Film del 1973.

Se i titoli volgari sono abbastanza numerosi nella storia del cinema, i titoli che contengono eufemismi, cioè parolacce “addomesticate” (vedi il mio articolo qui) sono solo 4. La gran parte sono film italiani, l’ultimo è una traduzione (molto libera) dal francese:

  • Kakkientruppen (1977, Marino Girolami, commedia)
  • Una vacanza del cactus (1981, Mariano Laurenti, commedia)
  • Il sergente rompiglioni (1976, Giuliano Biagetti, commedia)
  • Hanno rubato le chiappe di Afrodite (1980, Philippe de Broca, commedia; il titolo originale era “On a volé la cuisse de Jupiter”, ovvero: “Hanno rubato la coscia di Giove”).


Ben più nutrita, invece, la schiera dei titoli che giocano sui doppi sensi: un modo di strizzare l’occhiolino allo spettatore senza incorrere in censure. Ecco quelli che ho trovato: appartengono quasi tutti al filone della commedia sexy all’italiana, che fece furore fra gli anni ‘70-’80: 

  • La patata bollente (1979, Steno)
  • Cornetti alla crema (1981, Sergio Martino)
  • Occhio, malocchio, prezzemolo e finocchio (1983, Sergio Martino)
  • La signora gioca bene a scopa? (1974, Giuliano Carnimeo)
  • L’uccello migratore (1972, Steno)
  • Elena sì ma… di Troia (1973, Alfonso Brescia)
  • Per favore non toccate le palline (1961, Richard Thorpe, titolo originale: The Honeymoon Machine)
  • Lasciami baciare la farfalla (1968, Hy Averback, titolo originale: “I Love You, Alice B. Toklas!”)
  • Uomini e donne, tutti dovrebbero venire… almeno una volta (2005, Bart Freundlich, titolo originale: “Trust the Man”)
  • Lo spaventa passere (2011, David Gordon Green, titolo originale: “The Sitter”)
  • Chiavi in mano (1996, Mariano Laurenti)
  • W la foca (1982, Nando Cicero)
  • Io vengo ogni giorno (2014, Dan Beers, titolo originale: “Premature”)

L’elenco potrebbe diventare molto più nutrito inserendo anche i titoli allusivi, evocativi: non contengono volgarità o eufemismi, ma usano situazioni e termini che stimolano l’immaginario erotico. Da “L’insegnante va in collegio” a “La moglie vergine” e a “Giovannona coscialunga”, fino all’ormai mitico ”Quel gran pezzo dell’Ubalda tutta nuda e tutta calda”.

A questo articolo è stata dedicata una pagina su Il Giornale ed è stato rilanciato da Dagospia.

Per approfondire:

la classifica dei film con più parolacce

i titoli di libri che contengono parolacce

le traduzioni delle parolacce nei film

le parolacce nei film di Totò

le parolacce nei film di Tarantino

le parolacce nei film candidati all’Oscar

il canale cinema e parolacce

 

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Le parolacce visionarie di Paolo Villaggio https://www.parolacce.org/2017/07/05/turpiloquio-film-fantozzi/ https://www.parolacce.org/2017/07/05/turpiloquio-film-fantozzi/#comments Wed, 05 Jul 2017 12:11:10 +0000 https://www.parolacce.org/?p=12553 Ci ha regalato personaggi indimenticabili, che popolano la nostra immaginazione: il perdente assoluto, Ugo Fantozzi;  il mediocre ragionier Filini, l’acida signorina Silvani, l’opportunista geometra Calboni… Ma Paolo Villaggio è entrato nelle nostre vite ancor più nel profondo: ha cambiato per… Continue Reading

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Una delle tipiche espressioni di Fantozzi: timoroso e angosciato.

Ci ha regalato personaggi indimenticabili, che popolano la nostra immaginazione: il perdente assoluto, Ugo Fantozzi;  il mediocre ragionier Filini, l’acida signorina Silvani, l’opportunista geometra Calboni
Ma Paolo Villaggio è entrato nelle nostre vite ancor più nel profondo: ha cambiato per sempre il nostro modo di parlare. Se oggi diciamo “traffico mostruoso”, “alito agghiacciante”, “rutto libero”, “megadirettore galattico”, “com’è umano lei”, “salivazione azzerata”, “lingua felpata” è merito della sua inventiva linguistica, oltre che letteraria.
E proprio il linguaggio è una chiave potente per aprirci le porte della sua arte. Comprese le parolacce, di cui è stato un maestro straordinario, coniando espressioni visionarie e immortali: coglionazzo, merdaccia, cagata pazzesca. Non sono volgarità gratuite ma – come vedremo in questo post – strumenti al servizio del suo mondo immaginifico. Un’arte popolare ma non banale: le iperboli linguistiche e il turpiloquio, infatti, sono state gli strumenti principali della sua satira grottesca. Le sue parolacce fanno ridere, ma allo stesso tempo rappresentano situazioni drammatiche: sfoghi di dolore, sopraffazioni, servilismo, povertà di spirito, cruda schiettezza, senso di rivalsa…

Vestaglione di flanella, frittatona di cipolle, familiare di Peroni gelata, tifo indiavolato, rutto libero: il top della serata per Fantozzi (e molti italiani).

Nonostante le apparenze da clown, con la sua maschera Villaggio ha fatto un’operazione seria e impegnata: “Fingi di far ridere ma racconti qualcosa di tragico”, ha rivelato nell’ultima intervista rilasciata prima di morire. In particolare, ha messo alla berlina il classismo, le sopraffazioni, il servilismo dei “colletti bianchi” e in generale della società italiana. Villaggio aveva lavorato alla Cosider, una società metallurgica nella quale era addetto all’organizzazione di eventi aziendali. E aveva visto da vicino le meschinità della vita da impiegati.
Tanto che questo avvocato mancato (aveva iniziato gli studi di giurisprudenza) e appassionato di letteratura russa ha vinto il premio Gogol, un autore che con lui aveva molte somiglianze.
Villaggio ha descritto la nostra società con cinismo, impersonando un impotente totale. Ovvero l’angoscia principale dell’uomo e del maschio in particolare: ecco perché, spesso, i film di Fantozzi fanno ridere noi uomini (perché esorcizziamo i nostri fantasmi), ma meno le donne: più inclini all’empatia, provano più pena che divertimento nel guardare i tormenti di questo perdente per antonomasia. Tanto che “fantozzi” è entrato nel vocabolario italiano, indicando “l’uomo incapace, goffo e servile, che subisce continui fallimenti e umiliazioni, portato a fare gaffes e a sottomettersi ai potenti”.
Nei riquadri qui sotto ho riunito le parolacce più emblematiche di Villaggio, con i video divertenti tratti dai suoi film: buona visione!

PAROLIERE (CENSURATO) CON DE ANDRE'

Il turpiloquio ha segnato l’esordio artistico di Villaggio già nel 1962, ben prima che inventasse Fantozzi. Villaggio, che all’epoca aveva 30 anni, era a casa insieme a un altro celebre genovese, il suo amico Fabrizio de Andrè, ad attendere che le rispettive mogli partorissero: questi due artisti erano così in sintonia da diventare genitori in contemporanea.
De Andrè aveva fatto ascoltare a Villaggio una melodia che aveva appena composto: in pochi giorni, Villaggio, appassionato di storia, le adattò un testo, dedicandolo a Carlo Martello, re dei Franchi, appena tornato dalla battaglia di Poitiers. Nacque così la canzone “Carlo Martello ritorna dalla battaglia di Poitiers”.
Già a quell’epoca Villaggio era appassionato di parodie: in un linguaggio aulico, prende in giro l’eroe che torna vittorioso dalle gesta belliche e si comporta da perfetto cialtrone con una donna di facili costumi. Quando la donna chiede di esser pagata per le sue prestazioni, Carlo sbotta:
«È mai possibile, o porco di un cane, che le avventure in codesto reame debban risolversi tutte con grandi puttane? Anche sul prezzo c’è poi da ridire: ben mi ricordo che pria di partire v’eran tariffe inferiori alle tremila lire»
Un vero azzardo per quell’epoca, tanto che un pretore siciliano li denunciò per linguaggio contrario al buon costume. Tra l’altro, il testo originale scritto da Villaggio conteneva un’altra parolaccia, che – su richiesta della casa discografica – avevano già cassato nel finale della canzone: il verso “frustando il cavallo come un mulo, quella gran faccia da culo” fu corretto in “frustando il cavallo come un ciuco, tra il glicine e il sambuco”.
Villaggio aveva conosciuto De Andrè qualche anno prima. “Io ero un ragazzino incazzato che parlava sporco” ricordava Villaggio. “Gli piacevo perché ero tormentato, inquieto, ed egli lo era altrettanto. Solo che era più controllato, forse perché era più grande di me: allora subito si investì della parte del fratello maggiore e mi diceva: ‘Guarda tu le parolacce non le devi dire, tu dici le parolacce per essere al centro dell’attenzione, sei uno stronzo”.
Ciò, comunque, non dissuase De André dall’usare la parola “puttana” nelle sue canzoni successive come “Via del Campo” (“via del Campo c’è una puttana…”).

LA MAESTRIA COMICA DI FRACCHIA

All’inizio, Villaggio ha trovato il suo filone nella satira psicologica. Incarnava i panni di un impiegato timidissimo, Giandomenico Fracchia. Ecco come lo presentò lo stesso autore: “era un nevrotico, uno che di fronte ad una ragazza che gli piaceva non riusciva a spiccicar parola, e di fronte al capufficio si cagava addosso“. Celebri gli sketch con il capufficio irascibile impersonato da Gianni Agus e i goffi tentativi di Fracchia di rimanere seduto sulla poltrona sacco.
Ma in questo blog lo voglio ricordare per uno degli sketch più volgari e allo stesso tempo più comici del cinema italiano. La scena di Fracchia al ristorante “Gli incivili”.
Il locale è la parodia di un ristorante vero, “La parolaccia” di Trastevere, Roma, dove i camerieri usano un linguaggio sboccato coi clienti. Tutto un programma il menu del locale: saltinculo alla mignotta, piselloni alla mandrilla, fagioli alla scureggiona… In questo ristorante arriva Fracchia in compagnia della signorina Corvino (Anna Mazzamauro) che tentava di sedurre. Poco dopo arriva il commissario di polizia Auricchio (Lino Banfi), sulle tracce della Belva umana, un pericoloso criminale sosia di Fracchia. Si crea così un mix esplosivo:

MEGAPRESIDENTI E INSULTI ASIMMETRICI

Il passaggio da Fracchia a Fantozzi è un salto di livello: Villaggio passa dalla satira psicologica a quella sociale. E la società italiana descritta da Villaggio (sia al lavoro che fuori) è ferocemente classista: in alto ci sono i ricchi, gli imprenditori, e in particolare i megapresidenti, tutti di origini nobili, con “poltrone in pelle umana”, limousine e segretarie in topless, e potere di vita e di morte sui dipendenti. In basso, la gente comune che si arrabatta e tenta in tutti i modi l’arrampicata sociale. Un pessimismo senza scampo: nulla è cambiato dal Medioevo raccontato nella canzone di Carlo Martello…
Villaggio dipinge questo scenario senza girarci intorno. In “Fantozzi contro tutti” fa dire a uno dei capi, il marchese conte Piermatteo Barambani: “La mia famiglia siete voi poveracci, voi disgraziati. Voi inferiori: questa è la parola giusta. I miei cari inferiori! Perché io, come ben sapete, amo molto i pezzenti”.
Insomma, Villaggio metteva a nudo (per ridicolizzarli) gli abusi di potere. Tanto che, già nella litania di titoli più o meno nobiliari di cui spesso si fregiano i capi, inseriva espliciti indizi della loro personalità: sulla targa della porta di Barambani, infatti, spicca la sequenza di titoli tutt’altro che accademici: “Gr. ladr. farabut. Gr. Croc. mascalz. assass. figl. di gr. putt. marchese conte…”.
Anche l’uso di parolacce riflette le asimmetrie di potere: le volgarità sono concesse ai potenti, ma negate ai sottoposti. Anzi, fra i privilegi dei capi c’era proprio quello di poter insultare unilateralmente gli impiegati: Fantozzi, ad esempio, viene chiamato coglionazzo o merdaccia. Da notare l’uso dei suffissi (ne ho parlato qui), che rafforzano insulti già di per sè pesanti. Un’ulteriore prova del gusto di Villaggio per l’iperbole.

Fantozzi incassa le offese in modo passivo. Le poche volte che tenta di reagire, il povero travet deve pagare un prezzo molto alto: in “Fantozzi” (1975) dopo aver dato l’ennesima testata contro la statua della madre del direttore dell’ufficio raccomandazioni, l’Onorevole Cavaliere Conte Diego Catellani, il nostro eroe reagisce prendendola a calci e chiamandola “Puttana! Puttana! Vecchia stronza!”.
Ma il suo sfogo arriva all’orecchio di Catellani, e davanti a lui, e ai colleghi in sala mensa, Fantozzi è costretto a rimangiarsi gli insulti: “Alludevo a mia moglie!”. E a quella sottomissione se ne aggiunge subito un’altra: accetta di giocare a biliardo contro Catellani, che nessuno aveva il coraggio di battere. Fantozzi, pur essendo molto bravo, gioca volutamente male, e Catellani infierisce: “Il suo è culo, la mia è classe”, e continua a chiamarlo “coglionazzo”.
Ma al 38esimo “coglionazzo”, dopo aver incrociato lo sguardo della moglie, Fantozzi reagisce e ribalta la partita, salvo poi darsi alla fuga:

SFOGHI LIBERATORI

Anche un perdente assoluto come Fantozzi cerca di mantenere la propria dignità. Ecco perché non mancano – e sono diventate memorabili – le scene in cui l’eroe tragicomico reagisce alle sopraffazioni insultando i potenti. Un giorno (“Fantozzi contro tutti”) esprime un desiderio: “Il megapresidente è uno stronzo, è. Certe volte mi vien voglia di scriverlo in cielo”. Per una beffa del destino, il desiderio si avvera, e la scritta campeggia nell’azzurro. In ditta suonano tutti gli allarmi, e dopo un’accurata perizia calligrafica, Fantozzi viene identificato e redarguito. Graffiante la scena in cui Fantozzi tenta di giustificarsi col “megapresidente arcangelo” in persona: “Ma io non l’ho scritto, l’ho solo pensato!” dice. “E’ questo il suo errore” gli risponde il megapresidente. “Lei non deve pensare”: più satira di così.
Inevitabile il finale umiliante: Fantozzi è costretto, davanti alla moglie, a inserire il proprio nome in quella scritta, al posto di quello del suo datore di lavoro.

Altrettanto celebre, per non dire storico, lo sfogo di Fantozzi dopo essere stato costretto a vedere “terrificanti e lunghissimi” film impegnati da parte di uno dei suoi capi, Guidobaldo Maria Riccardelli. Proprio la sera della finale dei Mondiali di calcio, tutti gli impiegati sono costretti a vedere le 18 bobine della “Corazzata Kotiomkin” (parodia della “corazzata Potëmkin“). A fine proiezione, Fantozzi non sta più nella pelle e chiede di intervenire al dibattito: “Chissà quale profondo giudizio estetico avrà maturato in tutti questi anni” lo provoca Riccardelli. E Fantozzi esplode nel celebre: “Per me la corazzata Kotiomkin è una cagata pazzesca!”, frase seguita da “92 minuti di applausi”. Lo sfogo liberatorio galvanizza tutti gli impiegati, che una volta tanto si ribellano: legano Riccardelli e per 2 giorni lo costringono a vedere B-movies “Giovannona coscialunga”, “L’esorciccio” e “La polizia si incazza”. Ma alla fine la polizia si incazzò davvero, e gli impiegati furono costretti a recitare in prima persone le scene della “Corazzata Kotiomkin”…

IL TRIONFO DELL’IGNORANZA

Fra i modi di dire resi celebri da Villaggio, c’è lo storpiamento dei congiuntivi: venghi, vadi, dichi… Un modo di mostrare non solo l’innaturalezza del “lei”, ma soprattutto l’affettazione dei suoi personaggi che, nel volersi dare un tono, mostravano in realtà la propria ignoranza. Messa alla berlina anche attraverso il turpiloquio in una scena di “Fantozzi contro tutti”. Fantozzi, insieme a Filini, faceva da improbabile mozzo sulla barca del marchese conte Barambani. E a un certo punto riceve un ordine in gergo marinaresco: “Cazzi quella gomena!”, cioè tenda quel cavo. Il gioco di parole è ovvio ma Villaggio riesce a farne uno sketch divertente:

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