Parolacce e musica | Parolacce https://www.parolacce.org L'unico blog italiano di studi sul turpiloquio, dal 2006 - The world famous blog on italian swearing, since 2006 - By Vito tartamella Sat, 12 Oct 2024 15:21:55 +0000 it-IT hourly 1 https://www.parolacce.org/wp-content/uploads/2015/06/cropped-logoParolacceLR-32x32.png Parolacce e musica | Parolacce https://www.parolacce.org 32 32 Le formidabili sfuriate di Toscanini https://www.parolacce.org/2024/06/13/parolacce-di-toscanini/ https://www.parolacce.org/2024/06/13/parolacce-di-toscanini/#respond Thu, 13 Jun 2024 10:51:16 +0000 https://www.parolacce.org/?p=20580 E’ stato uno dei più grandi direttori d’orchestra di tutti i tempi, per la brillante intensità del suono e la perfezione dei dettagli. Ma Arturo Toscanini è passato alla storia anche per un altro motivo: ha strapazzato i suoi musicisti… Continue Reading

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Arturo Toscanini (Parma 1867-1957 New York)

E’ stato uno dei più grandi direttori d’orchestra di tutti i tempi, per la brillante intensità del suono e la perfezione dei dettagli. Ma Arturo Toscanini è passato alla storia anche per un altro motivo: ha strapazzato i suoi musicisti della NBC Symphony Orchestra di New York con sfuriate epiche, piene di insulti, bestemmie, offese pesantissime, urlate in un misto d’italiano e d’inglese: «Look at me, teste di cazzo!!!!».

Oggi un direttore del genere sarebbe licenziato all’istante. I suoi musicisti, invece, lo rispettavano e l’avrebbero seguito ovunque, e hanno proseguito un sodalizio di quasi 20 anni, dal 1937 al 1954. Per la sua epoca, era una rockstar. Ma – a differenza delle rockstar – Toscanini non era un narcisista e neppure un giocoso goliarda come Mozart (ne ho parlato qui) ma un timido burbero. E le sue parolacce non erano un atto di ribellione sociale anticonformista: erano invece un modo viscerale di inseguire la sua idea di perfezione musicale. Per lui la musica era sacra, e se i suoi orchestrali non la eseguivano correttamente lui lo viveva come una profanazione che lo mandava su tutte le furie, facendogli perdere ogni freno inibitorio.

In questo articolo racconto l’uomo Toscanini attraverso il suo turpiloquio. Merito di alcune eccezionali registrazioni d’epoca pubblicate su YouTube, che arrivano dagli studi della NBC:  dagli altoparlanti ascolterete le sue urla, i suoi scatti d’ira scanditi dal rumore della bacchetta picchiata sul leggio, che sono impressionanti ancora oggi per la carica di rabbia che esprimono. Ma anche per la tangibile sofferenza d’un artista che cerca, con tutte le sue forze, di dare la miglior forma sonora alle musiche che sta dirigendo. Fra sudore, urla e imprecazioni.

Il “bollettino meteo” delle sfuriate: brezza, tornado, Sos!

David Sarnoff

A New York David Sarnoff, il potente capo della Rca (Radio Corporation of America), aveva messo insieme alla radio NBC un’orchestra apposta per lui, reclutando i migliori musicisti con contratti stellari. Eppure le sfuriate del maestro erano così frequenti che in radio avevano persino ideato un sistema di «bollettini meteorologici» in codice per tenere informati in tempo reale i dirigenti su quanto accadeva nello studio 8H durante le prove con l’Orchestra, racconta Piero Melograni nel libro “Toscanini. La vita, le passioni, la musica” (Mondadori).  

Si cominciava con «Tempo sereno, calma», e poi era tutto un crescendo con «Brezza in arrivo», «Vento impetuoso», «Tempesta», «Tornado» e infine «Sos», per annunciare che il maestro aveva sospeso la prova barricandosi in camerino. La soprano Emma Eames scrisse che Toscanini fuori teatro era la cortesia fatta persona, ma che non appena alzava la bacchetta si trasformava nell’esatto contrario.

Toscanini, insomma, aveva una personalità complessa, che val la pena ricordare per comprendere meglio le sue sfuriate.

[ per approfondire, apri la finestra cliccando sulla striscia blu qui sotto ] 

UN UOMO TIMIDO ED ECCITABILE
 

Toscanini a 31 anni

Nato a Parma il 25 marzo del 1867, in una famiglia povera (il padre era un sarto), Toscanini vinse una borsa di studio che gli permise di studiare alla Regia Scuola di Musica. Furono anni duri per il giovane Arturo: la domenica i suoi genitori non lo andavano a trovare, e Toscanini colmò questo vuoto affettivo – soprattutto nei confronti della madre, dalla quale si lamenterà di non aver “mai ricevuto tenerezze” – con la musica.  Si racconta che quando restava solo alla domenica alla Scuola, barattava i pasti con gli spartiti di Wagner. Ecco perché quando non riusciva a eseguire un brano come desiderava, gli scattava un senso di tradimento, di profanazione.

Toscanini si diplomò in violoncello ma presto iniziò la sua carriera di direttore d’orchestra grazie alla sua profonda conoscenza della musica e a una memoria fotografica: dirigeva qualunque brano senza partiture. Nel 1939, non tollerando il clima opprimente del fascismo, emigrò negli Usa, dove le sue esibizioni riscossero un successo straordinario.

“Noi americani, che pure abbiamo molti direttori d’orchestra d’origine tedesca, non sapevamo che dentro Beethoven e Brahms ci fosse quella musica se non dopo aver sentito Toscanini”, scrissero i critici che lo acclamarono in un successo senza precedenti.

Toscanini aveva un carattere instabile: «La mia natura eccitabilissima che mi spinge agli eccessi è la causa delle mie sofferenze – delle mie gelosie – Dal Paradiso scendo direttamente all’inferno senza fermate intermedie – e del pari faccio la strada inversa». Ed era infelice: «Sono un vero infelice – Da mia madre ho ereditato l’infelicità che ha oppresso tutta la sua vita».  

“Odiava il frac e non gli piaceva esibirsi” scrive Melograni. “Non concedeva interviste. Era lieto di celarsi alla vista del pubblico seppellendosi nella fossa orchestrale. A Bayreuth la signora Winifred Wagner dovette prendere il maestro sottobraccio e condurlo nel ridotto perché il pubblico potesse finalmente scorgere il suo volto. Durante gli intervalli dei concerti, per non perdere la concentrazione, rifiutava perfino gli inviti nei palchi dei sovrani”. 

Era, insomma, timido e scontroso. Il 1° settembre 1933, mentre si apprestava a dirigere concerti a Stoccolma, scriveva: «Il pensiero di affrontare un’orchestra nuova mi paralizza. … Alla mia età [66 anni] e dopo tanti anni di carriera essere ancora schiavo di una timidezza così esagerata è incredibile! Beati gli sfacciati!».

E, soprattutto, era un insaziabile perfezionista. E un interprete rigoroso dei capolavori della musica classica: “Il mio segreto è semplicissimo: consiste nel far eseguire la musica, nota per nota, quale fu scritta dall’autore”, diceva. Ma non era quasi mai soddisfatto: un giorno afferrò il bastoncino con il quale dirigeva le orchestre ed esclamò: «Questo porco! Non lo posso ridurre a esprimere ciò che io sento nel mio intimo».

Le registrazioni: rabbia, sudore e urla

Su Youtube ho trovato 3 registrazioni eccezionali delle prove con la NBC Orchestra. Ne ho trascritto le parti salienti, che meritano d’essere ascoltate: danno i brividi per la carica emotiva che trasuda rabbia incontenibile e sofferenza viscerale. Si sentono le urla, i colpi della bacchetta inferti per rabbia sul leggio. Le sfuriate sono in un irresistibile misto italo/inglese: diversi insulti non erano comprensibili ai musicisti, ma il fatto che fosse infuriato arrivava di certo a destinazione.

Le sue parolacce esprimono l’indignazione, la rabbia e la sofferenza fisica di un artista che si arrabbia con chi non esegue correttamente le musiche: a un certo punto arriva a dire “Mi sento male, non mi sento bene per voi!”. E ancora: “Contrabbassi, sembrate dei carri!!”, “Avete le orecchie nei piedi”, “Siete sordi?”, “Non suonate, grattate”, “Vien voglia di dare dei calci in culo a tutti”. La sua frase più caustica, in realtà, non contiene parolacce ma è una critica che esprime la superiorità dell’Arte (con la “A” maiuscola) rispetto al denaro: “Vergogna! Qui non c’è spirito di corpo, qui non c’è altro che lo spirito di guadagnare un dollaro, ma non per l’arte!“. Una prospettiva che oggi sarebbe impensabile.

Numerose le imprecazioni, anche blasfeme: “Corpo d’un dio santissimo”, “Madonna santissima”. E anche gli insulti: “Teste di cazzo”; “Siete terribili”, “Testa d’asino”, “Rompicoglioni”, “Non siete musicisti”, “Siete dei dilettanti di cattiva lega”, “Somari”, “E’ una boiata”, “Orrore”, “Vergogna”, “Porcheria”.

 Ecco le registrazioni originali.  

PROVE DELLA SINFONIA 2 DI BRAHMS, 1943

Cantate!!! Porco di un… Per dio santo

Non capite un cavolo! Vergogna!

Ahi mi fate male, ahi ahi!

No!! Va’ adagio con la terzina…

Pezzi di somari che siete, per Dio!

Dio madonna santissima

No, nooo, noooo! Orrore, porcheria!

Anche il signor fagotto, tutti insieme, una boiata

Vergogna!!!

PROVE DELLA TRAVIATA (G. VERDI), 1946

Oooooooooohhhh! Corte note, short note! su su! Sembran dei carri, Non sono mica strumenti… bruu bruu bruu … O Madonna santissima

Corpo di un dio! Contrabbassi! Come rompe i coglioni lei… You you you!!! You are always late, you have no ear, no eyes, nothing at all. [Voi, voi, voi! Siete sempre in ritardo, non avete orecchie, non avete occhi, non avete niente] Corpo d’un dio santissimo!

No! No! Testa d’asino! You’re not a musician. You have no ears and no eyes. [ Non siete musicisti. Non avete orecchie né occhi ]

Ma sempre, sempre indietro, contrabbassi, you’re always late [ siete sempre in ritardo ]. Corpo d’un dio santissimo!

But you are deaf? [ma siete sordi?] E’ una vergogna! Shame on you! What kind of ears you have? You have ears in your feet! [ Che razza di orecchie avete? Avete le orecchie nei piedi!]

Always after, always late [ sempre dopo, sempre in ritardo], oh per dio santo

You’re dead! [siete dei morti] E’ una vergogna, shame on you!

Vien voglia di dar dei calci nel culo a tutti, per Dio santo!

In italian opera you are terrible [ Nell’opera italiana siete terribili ]

I saw you, bow, always after, always late [ vi ho visto, archi, sempre dopo, sempre in ritardo], oh per dio santo ]

PROVE DI MORTE E TRASFIGURAZIONE (R. STRAUSS) 1952

minuti 0-3 : E’ un orrore! You don’t play unisono [ non suonate all’unisono]

Avevo vergogna io per voi!

Contrabassi… You don’t play, non so, you scrape [ non suonate, grattate]!

Contrabbassi, violini, tutti! Un orrore! Un orrore!

Vergogna! Qui non c’è spirito di corpo, qui non c’è altro che lo spirito di guadagnare un dollaro, ma non per l’arte, non per l’arte, not at all!

No, no, no!

Siete dei dilettanti, non degli artisti, dilettanti di cattiva lega.

Corpo d’un Dio santissimo

Niente, questa cosa mi sembra una porcheria, ci vorrebbe essere intelligenti ….

minuto 4:10: Ecco, questa è l’orchestra… E’ una vergogna… Eh no Io ho vergogna, dopo anni che suonate insieme… Not one note [non una nota]

minuto 5:04: Sono inquieto, I dont’ feel well for you! I am sick [Non mi sento bene per causa vostra, sto male] Ho un principio di vergogna, io sento la vergogna

minuto 6:30 Poco ritardando, somari! Corpo d’un dio santissimo

Look at me [ guardatemi], teste di cazzo! Corpo d’un dio santissimo

La dura ricerca della perfezione

Toscanini in una delle sue esecuzioni

Nel suo libro, Melograni indica tre ragioni per queste sfuriate memorabili. Primo, il suo carattere ruvido, ma anche molto timido. Secondo, le tensioni dovute al lungo rapporto con l’orchestra. Terzo (e secondo me prevalente): la ricerca di perfezione assoluta che lo induceva a sottoporre gli strumentisti a durissime fatiche.  

Toscanini cercava di esprimere fedelmente i brani che dirigeva e lo faceva con una precisione impressionante: per fare un esempio, registrò la Nona Sinfonia di Beethoven nel 1938 e nel 1948, e fra le due esecuzioni la durata ha una differenza di un solo secondo! Aveva un metronomo nella testa.

Toscanini con l’orchestra della NBC

“Se l’esecuzione non era esatta come desiderava” racconta Melograni, “la bacchetta volava sopra la testa dei professori, le dita arruffavano i capelli in un gesto di disperazione e il volto scompariva nelle mani, in attesa di rimettersi dal proprio disappunto. Tutto era perduto, non riusciva a profferir parola. Poi riprendeva coraggio e ricominciava. Le cose andavano meglio. I suonatori lo seguivano. Alla fine, la musica fluiva via, e Toscanini, trasfigurato come al settimo cielo, dirigeva cantando e occasionalmente gridando avvertimenti ai vari strumentisti”. Alla fine gli orchestrali “si rendevano conto che, grazie a un direttore tanto esigente, riuscivano a dare il meglio di loro stessi e gliene erano grati […] Un’orchestra di solisti, come è ad esempio quella della BBC di Londra, difficilmente permetterebbe ad altri direttori di trattarla come la tratta Toscanini. Ma Toscanini è un maestro, ed essi lo sanno, e gli sono persino grati della tirannia”. 

 

Ringrazio Vito Stabile, studioso esperto di musica classica e presidente dell’Associazione Ettore Bastianini, per la stimolante chiacchierata su Toscanini

 

Ho parlato di questa ricerca su Ameria Radio, durante il programma “Bastianini incontra”, con il direttore d’orchestra Giovanni Giammarino e Vito Stabile, il 12 ottobre. A questo link l’audio della puntata.

 

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Quando i numeri diventano maliziosi https://www.parolacce.org/2024/02/11/simbolismo-numeri-volgari/ https://www.parolacce.org/2024/02/11/simbolismo-numeri-volgari/#respond Sun, 11 Feb 2024 10:51:07 +0000 https://www.parolacce.org/?p=20253 Si possono esprimere parolacce con i numeri? In apparenza no: i numeri sono aridi, freddi, mentre le volgarità sono impregnate di emozioni. Eppure, la nostra mentalità fortemente simbolica è riuscita ad assegnare un significato scurrile persino alle cifre, o, almeno,… Continue Reading

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“Naked numbers”, numeri nudi: opera dell’artista olandese Anthon Beeke (per gentile concessione)

Si possono esprimere parolacce con i numeri? In apparenza no: i numeri sono aridi, freddi, mentre le volgarità sono impregnate di emozioni. Eppure, la nostra mentalità fortemente simbolica è riuscita ad assegnare un significato scurrile persino alle cifre, o, almeno, ad alcune. In questo modo i numeri diventano un linguaggio in codice che permette di esprimere contenuti tabù senza apparentemente dire nulla di oltraggioso. Quali sono questi numeri, e qual è la loro storia?

Il 69 e la Rivoluzione francese

Théroigne de Méricourt, rivoluzionaria francese

Il numero più celebre con un significato scurrile è anche il più antico e il più diffuso in tutto il mondo. E’ il 69, che rappresenta una posizione sessuale che consente di praticare il sesso orale ad ambo i partner. Ognuno tiene la testa vicino ai genitali dell’altro, e per farlo i due partner assumono una posizione reciprocamente invertita, proprio come i numeri 6 e 9. Questo simbolo è in auge da più di due secoli: secondo diverse fonti, fu usato per la prima volta in un curioso manuale pubblicato in Francia nel 1790, il “Catechismo libertino ad uso delle ragazze della gioia e delle signorine che intendono abbracciare questa professione”. Era una sorta di manuale per aspiranti prostitute, scritto da una donna Théroigne de Méricourt, nome d’arte di Anne-Joseph Terwagne, una delle protagoniste della Rivoluzione francese, una delle prime femministe della Storia. La posizione, ovviamente, è ben più antica: è citata già nel Kamasutra, dov’è chiamata “Il congresso del corvo”, forse per i movimenti della testa.

Il simbolo 69 è molto popolare: è riprodotto negli emoji attraverso il simbolo zodiacale del cancro, che ricorda la cifra.
E ha ispirato una canzone di Ariana Grande “35+34” (come diceva Totò, “è la somma che fa il totale!”). Ecco il passaggio che non lascia dubbi sull’interpretazione: “
34, 35 (sì, sì, sì, sì), Sì, sì, sì Significa che voglio fare 69 con te, niente cazzate, la lezione di matematica, non è mai stata così bella”.

Esiste anche il “contrario” del 69, ovvero il 96: questo numero indica l’inattività sessuale, perché i numeri sembrano rappresentare due persone che si danno reciprocamente la schiena nel letto.  

I simboli della “smorfia”

Gli altri numeri con un significato scurrile arrivano invece dall’Italia, e in particolare dalla “smorfia” napoletana, la tradizione numerologica associata al gioco del Lotto. La smorfia, infatti, assegna un significato simbolico a ciascuno dei 90 numeri del Lotto, in modo da fornire una sorta di manuale con cui, ad esempio, si può tradurre in cifre un sogno, nella credenza che l’attività onirica funga da premonizione, da profezia sui numeri che saranno estratti a sorte. 

La smorfia potrebbe essere stata influenzata dalla cabala ebraica, una corrente di pensiero nata fra il 1100 e il 1200 in Provenza e in Spagna. La cabala dava un significato simbolico ai numeri. L’ebraico infatti non ha un sistema numerico distinto dalle lettere dell’alfabeto: le lettere rappresentano anche i numeri. Quindi, ogni parola può essere convertita in una cifra, e i cabalisti hanno ricavato con facilità i significati numerici nascosti in ogni parola.

La smorfia (termine che forse deriva da Morfeo, dio del sonno) ha trasformato questo metodo in un gioco, assegnando ai 90 numeri del Lotto significati precisi, ma per lo più in modo arbitrario: «il loro significato è il più delle volte dimenticato trattandosi di cultura tramandata oralmente», spiega Marino Niola, docente di antropologia dei simboli all’Università degli Studi di Napoli Suor Orsola Benincasa.

Così oggi è impossibile ricostruire perché a determinati numeri (e non altri) siano stati attribuiti significati maliziosi o di altro genere. Una delle eccezioni, guardacaso, è il numero 69 “O sott’e ‘ncoppa” (il sottosopra), che si riferisce proprio alla posizione sessuale di cui abbiamo parlato. Ma questo potrebbe togliere alla Francia la primogenitura dell’espressione: il Lotto fu lanciato a Genova nel 1539, e si diffuse in tutta Italia alla fine del 1600. Quindi prima della Rivoluzione francese. 

Gli altri numeri-simbolo del Lotto che hanno un legame non arbitrario con la realtà sono l’8, la Madonna (festa dell’8 dicembre), il 25 (Natale), il 33 (gli anni di Cristo), e pochi altri: di recente al 10 (e fasule, i fagioli) è stato aggiunto anche il riferimento a Maradona, che indossava la maglia con quel numero.

Lotto, doppi sensi e scurrilità

I numeri estratti erano letti da un banditore, e i riferimenti al corpo e al sesso erano inseriti non solo per la loro forza simbolica, ma anche perché – pronunciati in pubblico – facevano ridere i partecipanti al gioco. In passato, infatti, scrive Giovanni Liccardo nel libro “La smorfia napoletana. Origine, storia e interpretazione” il Lotto era sospeso durante la settimana di Natale, «affinché il popolo non si distraesse dalle funzioni religiose. Avvenne allora che, pur di continuare a giocare, il popolo s’inventò la Tombola. Il gioco del Lotto passava a essere così, da pubblico, privato. I 90 numeri da estrarre furono impressi su supporti di legno, la cui forma cilindrica, ovvero di tombolo, diede il nome alla variante giocata tra le mura domestiche, insieme me col fatto che, introdotti in un “panariello” (cestino) di vimini, i numeri ne cadevano capitombolando».

Lo sguardo malizioso sui numeri, aggiunge Liccardo, non era un aspetto marginale. «La Smorfia napoletana fu, fin dalle origini, quasi tutta fatta di doppi sensi, con pesanti quanto esilaranti incursioni nello scurrile. E la scurrilità raddoppierà quando, nel chiamare 

il numero sortito, nella Tombola, il maestro di gioco pronunci, in luogo del semplice nome, una frase, un detto, quali: 4. “O Puorco: chi ‘o tira, fetente chi ‘o mette” (Maiale chi lo prende, fetente chi lo dà) 16. “Tutte quante ‘o tèneno: ‘o culo” (L’hanno tutti quanti: il culo) 63. “A tene càvera e pelosa: ‘a sposa” (L’ha calda e pelosa: la sposa).

Ecco quindi la lista dei numeri con senso volgare nella Smorfia: ricalcano in modo completo le zone erogene, alcuni atti sessuali, e comprendono anche alcuni insulti.
Alcuni numeri hanno un significato volgare diretto, altri invece sono indicati con allusioni, in vista della lettura pubblica dei numeri estratti.

6 Chella ca guarda ‘n terra (quella che guarda per terra): la vulva.

16 ‘O culo  

22 ‘O pazzo

23 ‘O scemo

28 ‘E zizze (le tette)

29 ‘O pate d”e ccriature (il padre dei figli): il pene

30 ‘E palle d”o tenente (le palle del tenente): Perché siano stati scelti proprio gli attributi di un ufficiale non è dato saperlo,. Alcuni sostengono che sia un riferimento alle “palle” intese come proiettili, ma mi sembra un’interpretazione forzata: anche perché il detto associato a questo numero era “E palle d’o tenente” “Tu ‘e sciacque e i’ tengo mente”, cioè tu le sciacqui e io guardo”. Sono portato a credere che il detto nasca in senso ammirativo, “un ufficiale con le palle” .

Messaggio offensivo all’allenatore Maurizio Sarri, quando passò dal Napoli alla Juve.

67 ‘O totaro into’â chitarra (il totano dentro la chitarra): riferimento alla penetrazione sessuale

69 ‘O sott’e ‘ncoppa (sottosopra, posizione erotica)

71 L’ommo ‘e mmerda (l’uomo di merda): il riferimento potrebbe essere agli spazzini che anticamente ripulivano le strade dagli escrementi dei cavalli. L’espressione designa una persona senza valore, ma anche bieca, malvagia, vigliacca. 

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“Le freak”, successo planetario nato da un “vaffa” https://www.parolacce.org/2023/06/21/significato-canzone-le-freak-chic/ https://www.parolacce.org/2023/06/21/significato-canzone-le-freak-chic/#comments Wed, 21 Jun 2023 13:01:47 +0000 https://www.parolacce.org/?p=19887 “Aaaaaaah Free Now! Le freak, c’est chic”. Poche canzoni hanno un inizio così trascinante. Sto parlando di “Le freak”, un successo del 1978 scritto dal chitarrista Nile Rodgers insieme al suo fidato bassista, Bernard Edwards. Non c’è compilation della disco music… Continue Reading

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Album con i successi degli Chic: “Le freak” è in prima fila.

“Aaaaaaah Free Now! Le freak, c’est chic”. Poche canzoni hanno un inizio così trascinante. Sto parlando di “Le freak”, un successo del 1978 scritto dal chitarrista Nile Rodgers insieme al suo fidato bassista, Bernard Edwards. Non c’è compilation della disco music anni ‘70 – l’epoca d’oro – che non la contenga. Ebbene, forse non sapete che questa hit planetaria è nata da una parolaccia, e precisamente un “vaffa”. E non è solo un retroscena divertente: quella parolaccia fornisce la chiave di lettura per comprendere il vero significato della canzone, che sul Web è tradotta in modi incomprensibili.

Il re Mida della dance raffinata

Nile Rodgers

Ho scoperto questo gustoso retroscena guardando alla Rai un documentario a lui dedicato, “Come farcela nel mondo della musica”. Prima di raccontare l’episodio, però, voglio spendere due parole su Nile Rodgers per chi non lo conoscesse. Oggi 61enne, ha scritto, prodotto e suonato su dischi che hanno venduto più di 500 milioni di album e 75 milioni di singoli in tutto il mondo. È un membro della Rock and Roll Hall of Fame e della Songwriters Hall of Fame e ha ricevuto 6 Grammy Awards. La sua cifra artistica? Aver saputo mescolare funky, soul e disco dance con il jazz, in un mix raffinato, ricco di groove.

Sono suoi successi come  “Dance, Dance, Dance,” “Everybody Dance,” “I Want Your Love,” “Good Times,” “He’s The Greatest Dancer,” “We Are Family,” “I’m Coming Out,” “Upside Down,” “Like A Virgin” and “Let’s Dance”: Rodgers ha collaborato infatti con Michael Jackson, i Duran Duran, David Bowie, Madonna,  Jeff Beck , Mick Jagger , Grace Jones, The Vaughan Brothers , Bryan Ferry , Christina Aguilera , Lady Gaga e Daft Punk. Tanto che la sua inseparabile Fender Stratocaster, dal suono inconfondibile, è stata da lui stesso ribattezzata “Hitmaker”, fabbricatrice di successi.

Quel buttafuori del Club 54

Lo Studio 54 oggi.

La storia che voglio raccontare risale al Capodanno fra il 1977 e il 1978. Rodgers ed Edwards avevano fondato gli Chic proprio quell’anno, e avevano fatto il botto col primo disco, che conteneva “Dance, dance, dance”. I due avevano stretto amicizia con l’istrionica cantante Grace Jones, che li aveva invitati a passare l’ultimo dell’anno allo Studio 54, una discoteca sulla 54esima Strada di New York. Quel locale era il cuore pulsante della discomusic dell’epoca, grazie alle numerose celebrità che ne affollavano le serate a ingresso esclusivo. Proprio per questo, racconta Rodgers, entrare allo Studio 54 la notte di Capodanno sarebbe stato impossibile. «Grace ci disse:  “bussate alla porta del backstage e dite che siete amici personali di Grace Jones. Vi faranno entrare”».

Grace Jones.

«Io e Bernard arrivammo al backstage» racconta Rodgers. «Bussammo, e dicemmo al buttafuori che eravamo amici personali di Grace Jones. Quello ci disse “Aaaah, Fuck off! (Fanculo!)” e ci sbattè la porta in faccia. Abbiamo bussato di nuovo, lui ha riaperto e ha detto: “Non vi avevo detto di andare affanculo?” e la chiuse di nuovo Io e Bernard che potevamo fare? Andammo in un negozio di alcolici a prendere due bottiglie di Dom Perignon e andammo nel mio appartamento a festeggiare il Capodanno…».

«Dopo aver svuotato le bottiglie, l’unica cosa che mi veniva in mente era il buttafuori. E iniziai a suonare: “Fuck off! From Studio 54”… [qui immaginate la musica di “Freak out! Le freak, c’est chic ]… Andammo avanti a svilupparla: ci vennero in mente un sacco di situazioni ridicole in cui la risposta giusta era “Fuck off!”. Improvvisando scrivemmo un pezzo che ci sembrava eccezionale. Ma a un certo punto dissi a Benard che non potevamo cantare parolacce alla radio, così cambiammo il ritornello in “Freak off” (fricchettoni, via di qui!), ma non era per niente sexy. Allora lo cambiai in “Free now” e Bernard aggiunse “Le freak, c’est chic”, ovvero “Il fricchettone è chic”. La canzone era fatta». Ed è diventato un successo planetario, restando settimane in vetta alle hit parade: una bella rivincita sul buttafuori che aveva rovinato il loro Capodanno.

Ora la serie non si trova più su Raiplay, ma in quest’altro documentario della Fender, Rodgers ricorda l’episodio (con meno dettagli):

Il vero significato della canzone

L’episodio non è soltanto un retroscena divertente. Fornisce anche la chiave di interpretazione del testo della canzone, che a prima vista risulta difficile da comprendere. 

Qui sotto il testo, con la mia traduzione. E’ un inno ai fricchettoni, ma… “chic”. I freak erano gli anticonformisti, i contestatori stravaganti degli anni ‘70: c’era anche un filone musicale freak che mescolava rock progressive e jazz.  Ma in questa canzone non c’è nulla di ideologico: gli autori celebrano soltanto la gioia di ballare in discoteca, lasciandosi trascinare dal ritmo:

Ah, freak out!

Le freak, c’est chic

Freak out!

Ah, freak out!

 

… Have you heard about the new dance craze?

Listen to us, I’m sure you’ll be amazed

Big fun to be had by everyone

It’s up to you, it surely can be done

… Young and old are doing it, I’m told

Just one try and you too will be sold

It’s called ‘Le Freak’, they’re doing it night and day

Allow us, we’ll show you the way

… Ah, freak out!

Le freak, c’est chic

Freak out!

Ah, freak out!

… All that pressure got you down

Has your head been spinning all around?

Feel the rhythm, check the rhyme

Come on along and have a real good time

Like the days of Stomping at the Savoy

Now we “freak, ” oh, what a joy

Just come on down to the fifty four

Find your spot out on the floor

… Ah, freak out!

Le freak, c’est chic

Freak out!

Ah, freak out!

 

… Now freak

I said freak

Now freak

… All that pressure got you down

Has your head been spinning all around?

Feel the rhythm, check the rhyme

Come on along and have a real good time

… Like the days of Stomping at the Savoy

Now we “freak, ” oh, what a joy

Just come on down to the fifty four

Find your spot out on the floor

… Ah, freak out!

Le freak, c’est chic

Freak out!

Ah, freak out!

Ah, festa da sballo!

Il fricchettone è chic

Festa da sballo!  

Ah, festa da sballo!

… Hai sentito parlare della nuova moda della danza?

Ascoltaci, sono sicuro che rimarrai stupito

Grande divertimento per tutti

Dipende da te, sicuramente si può fare

… Giovani e meno giovani lo stanno facendo, mi è stato detto

Provalo una volta e anche tu sarai venduto

Si chiama ‘Le Freak’ [ il fricchettone ], lo fanno notte e giorno

Permettici, ti mostreremo la strada

…Ah, festa da sballo!

Il fricchettone è chic

festa da sballo!!  

Ah, festa da sballo!… 

Tutta quella pressione ti ha buttato giù

La tua testa ha girato tutto intorno?

Senti il ritmo, controlla la rima

Vieni e divertiti

Come ai tempi di Stomping al Savoy [ un locale notturno di Harlem, ma anche un brano jazz ]

Ora facciamo i “fricchettoni”, oh, che gioia

Basta che vieni giù al “54” [ lo Studio 54 ]

Trova il tuo posto sulla pista

Ah, festa da sballo!

Il fricchettone è chic

Festa da sballo!  

Ah, festa da sballo! 

… Ora fricchettone

ho detto fricchettone

Ora fricchettone

… Tutta quella pressione ti ha buttato giù

La tua testa ha girato tutto intorno?

Senti il ritmo, controlla la rima

Vieni e divertiti

… Come i giorni di Stomping al Savoy

Ora facciamo i “fricchettoni”, oh, che gioia

Basta che vieni giù al “54” 

Trova il tuo posto sulla pista

Ah, festa da sballo!

Il fricchettone è chic

Festa da sballo!  

Ah, festa da sballo!

Qui sotto il video dell’epoca:

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70 anni di censure del…. biiip! https://www.parolacce.org/2022/09/13/beep-radio-tv/ https://www.parolacce.org/2022/09/13/beep-radio-tv/#respond Tue, 13 Sep 2022 11:00:04 +0000 https://www.parolacce.org/?p=19392 E’ la foglia di fico (sonora) che copre gli insulti più pesanti, salvando da multe salate le trasmissioni radio e tv. Si chiama “bleep censor” (bip censorio) e – in varie forme – ha già quasi 70 anni di vita.… Continue Reading

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E’ la foglia di fico (sonora) che copre gli insulti più pesanti, salvando da multe salate le trasmissioni radio e tv. Si chiama “bleep censor” (bip censorio) e – in varie forme – ha già quasi 70 anni di vita. Ha ancora senso questo sistema di censura? Negli Stati Uniti sembra destinato a finire in soffitta, mentre in Italia è un sistema ancora molto usato da trasmissioni come “Striscia la notizia” o “Le iene”.
Durante la sua lunga storia, che qui vi racconto, da strumento di repressione delle parolacce sta oggi diventando un loro involontario amplificatore. Una parabola che i suoi inventori, negli Stati Uniti, non avrebbero mai potuto immaginare.

La nascita: le radio americane

Studio radiofonico statunitense in una foto d’epoca

La censura nasce insieme alle prime radio private, subito dopo la prima guerra mondiale.  Il Congresso aveva posto fine al monopolio che la Marina aveva sulle trasmissioni radio. Ma il governo manteneva comunque un controllo severo sui programmi: mandare in onda contenuti offensivi poteva costare la revoca della licenza. Così quando radio WOR di New York, nel 1924, ospitò l’attrice e cantante Olga Petrova – nota per le sue posizioni a favore del controllo delle nascite – i tecnici della radio erano pronti a spegnere il microfono al primo sentore di contenuti scottanti. E così fecero: mentre l’attrice parlava, la luce rossa della messa in onda si spense. Al suo posto, la regia  mandò in onda per qualche minuto un brano musicale.
Decenni dopo fu inventato un sistema di censura più raffinato. Nel 1952 l’emittente radio WKAP di Allentown, in Pennsylvania, decise di avviare un programma “Open mic” (microfono aperto), mandando in onda le telefonate degli ascoltatori. Ma le leggi dell’epoca vietavano di trasmettere conversazioni telefoniche in diretta. Così un ingegnere della radio, Frank Cordaro, inventò un sistema per aggirare il divieto e al tempo stesso non rischiare di trasmettere contenuti inaccettabili: l’uso di due registratori a nastro distanziati di 3 metri l’uno dall’altro. Il primo registrava la trasmissione in onda, il secondo la riproduceva su una bobina di riavvolgimento: in questo modo si avevano 7 secondi di ritardo sulla diretta, sufficienti per cancellare eventuali frasi offensive.
Un sistema simile fu usato da Long John Nebel che nel 1954 conduceva “Party line”, un programma notturno su radio WOR: parlava di ufo, fantasmi, complotti e altri argomenti controversi interagendo con gli ascoltatori al telefono. Il sistema della doppia bobina gli permetteva di stoppare le chiamate offensive o di cancellare le parole inopportune.
Dopo qualche tempo i tecnici radiofonici
iniziarono a utilizzare un oscillatore, un’apparecchiatura del banco regia che genera suoni di prova ad alta frequenza (1000 Hz). Un fischio insopportabile. Un modo per coprire una frase offensiva senza lasciare muto il canale. Una censura, insomma: l’equivalente sonoro di una fascia nera su un’immagine o dei segni tipografici (@#§) negli scritti (e ci sono anche i pittogrammi dei fumetti, di cui ho parlato qui). 

L’arrivo in tv (e le invettive di Sgarbi)

Eventide BD600: dispositivo digitale capace di ritardare una trasmissione di qualche secondo

Oggi lo stesso risultato si riesce a fare con strumenti digitali, come quello nella foto a lato, capace di ritardare di alcuni secondi una diretta per consentire ai tecnici radiofonici di inserire i “beep” quando occorra. E non è l’unico ritrovato in questo campo: Apple, ad esempio, sta lavorando da diverso tempo a una nuova tecnologia in grado di eliminare automaticamente parole e frasi volgari da tutte le canzoni presenti sui propri dispositivi.
Lo stratagemma è poi approdato in tv: nel 1966 un’emittente di Los Angeles trasmise, nello show “Therapy”, le sedute di psicoterapia di gruppo con adolescenti, infarcite di parolacce (bippate).
In Italia, uno dei primi esempi dell’uso di bip censorio in tv fu “Sgarbi quotidiani” su Canale 5: nel 1993, volendo contestare la riforma dell’immunità parlamentare, Vittorio Sgarbi attaccò l’allora presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro; ma, per non incorrere nel reato di vilipendio alla massima carica dello Stato, le sue invettive furono censurate (col suo accordo) con 7 secondi di “biip”.

L’esordio nella pubblicità e nella comicità

Con il passare del tempo, il “biip” ha assunto nuove funzioni, oltre a quella di censurare. E’ stato usato in alcune pubblicità per dare un effetto realistico e simpatico, come lo spot della salsa piccante Red Hot di Frank, con lo slogan “Metto quella merda (biip) su tutto”. in questo spot, la frase è pronunciata da una cameriera alla (finta) regina d’Inghilterra:

D’altronde, si sa: proibire (o nascondere) qualcosa significa renderlo ancora più significativo. E così i censori spesso rischiano, con i beep, di rendere ancor più evidenti le trasgressioni linguistiche: tutti possono facilmente immaginare quali espressioni sono coperte dai segnali acustici. Tanto che i Monty Python, gruppo comico britannico, già nel 1987 hanno scritto una canzone intitolata “I Bet You They Won’t Play This Song On The Radio” (“Scommetto che non trasmetteranno questa canzone alla radio”): il testo è pieno di allusioni volgari, coperte da vari suoni (fischi, campanelli, trombette, clacson, urla, pernacchie), con un effetto molto divertente. Qui sotto riporto il testo con traduzione e il video:

I bet you they won’t play this song on the radio.

I bet you they won’t play this new ### song.

It’s not that it’s ### or ### controversial

just that the ### words are awfully strong.

You can’t say ### on the radio,

or ### or ### or ###

You can’t even say I’d like to ### you someday

unless you’re a doctor with a very large. ###

So I bet you they won’t play this song on the radio.

I bet you they damn ### wellprogram it.

I bet you ### their program directors who think it’s a load of horse ###.

Scommetto che non suoneranno questa canzone alla radio.

Scommetto che non suoneranno questa nuova canzone di ###.

Non è che ###  o ###  sia controverso

solo che quelle ###  di parole sono terribilmente forti.

Non si può dire ### alla radio,

O ### O ### O ###

Non puoi nemmeno dire che un giorno mi piacerebbe ### te

a meno che tu non sia un medico con un grande ###.

Scommetto che non suoneranno questa canzone alla radio.

Scommetto che lo programmeranno alla ###.

Scommetto che i loro ###  di direttori di programma pensano che sia un gran carico di ###  di cavallo.

Le contraddizioni del bip

Il conduttore radiofonico Howard Stern

Ed è la comicità di questa canzone a far comprendere la contraddittorietà del beep, che, proprio mentre tenta di eliminare un contenuto scabroso, lo rende ancora più evidente. Non è l’unica contraddizione. Come tutte le censure, il biip limita la libertà di espressione garantita da tutte le democrazie occidentali. Nel 2002 lo scrittore Stephen King, parlando delle trasmissioni radiofoniche molto provocatorie di Howard Stern, disse: “Se dice cose che non ti piacciono, che ti offendono, allunghi la mano e spegni la radio. Non hai bisogno di un politico nel tuo soggiorno per dire che devi mettere un cerotto sulla bocca di quel ragazzo”. Stern, per inciso, durante la sua carriera ha collezionato ammende per un totale di 2.5 milioni di dollari per oscenità e volgarità, un record.

Ma nessun Paese si affida alla sola libertà degli ascoltatori. Perché le parolacce sono materiale esplosivo: parlano di argomenti delicati (sesso, differenze etniche, malattie, potere economico, religione) in modo offensivo e svilente. Soprattutto se arrivano alle orecchie dei bambini, che devono ancora formarsi una coscienza critica. Anche se, bisogna ricordarlo, ci sono parolacce e parolacce (e diversi modi di dirle) e non tutte sono necessariamente dannose: sulla questione ho già scritto un approfondimento qui.

Le pene: multe fino a 600mila euro e sospensioni

Già dal 1927 negli Usa le trasmissioni radio (e poi quelle televisive) erano controllate dalla Federal radio commission – oggi Federal Communication Commission – che comminava sanzioni pesanti a chi metteva in onda oscenità. E questo succede anche in Italia.
La norma oggi in vigore è
il decreto legislativo 208 (testo unico per la fornitura di servizi di media audiovisivi) del 2021. Prevede che  nelle fasce d’ascolto riservate ai minori (in particolare dalle ore 16 alle ore 19) non si trasmettano contenuti “nocivi allo sviluppo fisico, psichico o morale dei minori, e, in  particolare,  i programmi che presentano scene di violenza  gratuita  o  insistita  o efferata ovvero scene pornografiche”. Le trasmissioni non devono evocare “discriminazioni di  razza, sesso e nazionalità” né offendere “convinzioni religiose o ideali”. E i film vietati ai minori di 14 anni non possono essere trasmessi prima delle ore 23 e dopo le ore 7. Le pene sono pesanti: multe da  30mila a 600mila euro, e, nei casi più gravi, la sospensione dell’efficacia della concessione o dell’autorizzazione a trasmettere programmi per un periodo da 7 a 180 giorni. Queste sanzioni spiegano perché i responsabili dei canali si prendano la briga di usare il bip censorio.

I conduttori dello “Zoo di 105”

Ne sa qualcosa Radio 105, che nel 2021 ha ricevuto dall’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni una sanzione di 62.500 euro per “continue allusioni sessuali marcate dal morboso, offese al sentimento religioso, ricorso gratuito a volgarità e turpiloquio, utilizzo di epiteti, con accezione dispregiativa e denigratoria, per designare le persone omosessuali”. E questo per sole due puntate di “Lo zoo di 105” trasmesse il 26 ottobre e 11 dicembre 2020 dalle ore 14 alle ore 16, in piena fascia protetta. Se avessero usato il bip, avrebbero evitato la multa. Ma probabilmente il programma sarebbe stato un fischio unico, intervallato da poche frasi.

Insomma, il biip censorio mette a nudo il difficile equilibrio fra lecito e illecito, libertà e censura. “Il segnale acustico” dice la scrittrice americana Maria Bustillos, “rivela una verità nascosta: il Super-Io, la coscienza morale che soffoca un impulso indegno. Una lotta che si svolge costantemente sotto la superficie in apparenza tranquilla della vita quotidiana. Il biip richiama l’attenzione su una divergenza di opinioni riguardante l’offensività di una frase. Prima era un fatto inconsapevole, ora lo è. Il “biip” è il rumore di una comunità impegnata nel processo di definizione dei valori, e che lotta per capire se stessa”.

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Mozart e le parolacce musicali https://www.parolacce.org/2022/01/27/analisi-turpiloquio-mozart/ https://www.parolacce.org/2022/01/27/analisi-turpiloquio-mozart/#comments Thu, 27 Jan 2022 09:33:38 +0000 https://www.parolacce.org/?p=19027 L’hanno etichettato come un uomo “psichicamente immaturo”, o affetto dalla sindrome di Tourette, malattia che ha fra i suoi sintomi la coprolalia, cioè un turpiloquio incontrollato. Le parolacce di Wolfgang Amadeus Mozart sono invece un aspetto diverso e molto affascinante… Continue Reading

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Celebre ritratto (postumo) di Mozart: fu dipinto nel 1819.

L’hanno etichettato come un uomo “psichicamente immaturo”, o affetto dalla sindrome di Tourette, malattia che ha fra i suoi sintomi la coprolalia, cioè un turpiloquio incontrollato. Le parolacce di Wolfgang Amadeus Mozart sono invece un aspetto diverso e molto affascinante della sua personalità. Ne parlo qui in occasione del 266° anniversario della sua nascita a Salisburgo il 27 gennaio 1756.

Questo aspetto scabroso del compositore austriaco è noto da relativamente pochi anni: per secoli, le parolacce di Mozart sono state un segreto sussurrato fra gli studiosi, che non volevano rovinare la sua memoria con la macchia dell’oscenità. Le sue lettere alla cugina Anna Maria Thekla, ai parenti e agli amici sono zeppe infatti di espressioni scurrili: «Stronzo! – – merda! – – cacca! – o dolce parola! – cacca! – pappa! – anche bello! – cacca, pappa! – cacca, lecca – o charmante! – cacca, lecca! – mi piace! – cacca, pappa, lecca! – pappacacca, e leccacacca!»,  scriveva alla cugina nel 1778.

Ma l’epistolario di Mozart non è l’unico documento della sua propensione al linguaggio volgare. Accanto al “Flauto magico o al “Requiem” Mozart compose infatti anche alcuni canti licenziosi. Partirò da questi ultimi perché offrono una chiave più diretta per entrare nella sua mentalità.

“Leccami nel culo” e lo scherzo al baritono

Nell’immenso catalogo delle sue composizioni, infatti, figurano anche 4 canoni licenziosi composti fra il 1782 e il 1788, quando Mozart aveva fra 26 e 32 anni. I canoni sono composizioni per sole voci (a cappella) basate sul contrappunto, una combinazione di più linee melodiche. Il canone era considerato la più erudita delle tecniche compositive: come ha osservato lo storico Michael Quinn, «Mozart chiaramente si divertiva dell’incongruenza risultante dai versi scurrili all’interno di un canone». Dunque, un’operazione culturale goliardica: nulla a che vedere con la coprolalia, che nella sindrome di Tourette è invece un tic incontrollabile.

Un cd che raccoglie i canoni licenziosi di Mozart

Il primo di questi canoni si intitola Leck mich im Arsch (K. 231), in si bemolle maggiore, per sei voci. Il titolo è stato tradotto con “Leccami il culo”, ma è una traduzione imprecisa. Letteralmente l’espressione significa “Leccami nel culo”: è un beffardo modo di dire tedesco che ha lo stesso significato irridente di “suca” (me ne infischio di te, non vali nulla).
La moglie di Mozart, Constanze, inviò i manoscritti dei canoni alla casa editrice Breitkopf & Härtel nel 1799 per pubblicarli. Ma l’editore censurò il titolo, cambiandolo in Lasst froh uns sein (Gioiamo), sulla falsariga del tradizionale canto natalizio tedesco Lasst uns froh und munter sein.
La versione originale, senza censura, fu scoperta nel 1991 nella biblioteca di musica dell’università di Harvard. Ecco il testo: «Leccami nel culo Gioiamo! Brontolare è inutile! Ringhiare, ronzare è inutile è la vera disgrazia della vita, Ronzare è inutile, Ringhiare, ronzare è inutile! Perciò siamo felici e contenti, felici!».

Il secondo canone umoristico è Difficile lectu (K 559), brano in fa maggiore per 3 voci. Il testo è in latino, anche se non ha alcun senso compiuto: Difficile lectu mihi mars et jonicu difficileQuesto canone era nato per fare uno scherzo al baritono Johann Nepomuk Peyerl (1761-1800), che aveva un forte accento bavarese: cantato da lui, il verso lectu mihi mars, sarebbe sembrato leck du mich im Arsch, ossia leccami nel culo. La parola jonicu, invece, ripetuta all’infinito, avrebbe dato il suono cujoni, ovvero coglioni. Potete sentirlo distintamente nel video qui sotto, che riproduce l’esecuzione (molto divertente) del brano, ascoltare per credere, dal 30” in poi:  

I documenti dell’epoca riportano che Mozart fece eseguire il canone a Peyerl, che non si accorse del trabocchetto. Così, alla fine dell’esibizione Mozart e altri amici intonarono un terzo canone, il K. 560a, scritto sul retro dello spartito: O du eselhafter Peierl (Oh, asinesco d’un Peierl!). «Oh asino d’un Peierl! Oh Peierlesco asino! Sei pigro come un cavallo, senza muso né garretti. Con te non c’è rimedio; ti vedo già penzolar dalla forca. Stupido cavallo, sei un pigrone, stupido Peierl, sei pigro come un cavallo.Oh caro amico, ti prego oh baciami nel culo, svelto! Ah, caro amico, perdonami, però ti sigillo il culo. Peierl! Nepomuk! Perdonami!».

Il quarto canone licenzioso è Bona nox (K. 561), in la maggiore, per quattro voci. Ecco il testo, che in tedesco è tutto in rima: «Bona nox! Sei proprio un vero bue; Buona notte, cara Lotte; Bonne nuit, pfui, pfui; Good night, good night, abbiamo ancora molta strada da fare domani; gute Nacht, gute Nacht, caga nel letto, [fa’] che scoppi; Buona notte, dormi bene e porgi il culo alla bocca». Il testo, opportunamente ammorbidito nel finale (“dormi, mia cara, dolcemente, dormi in pace, Buona notte! dormite bene, finché non si farà giorno!”) è entrato nel repertorio dei canti tradizionali tedeschi.

Le lettere alla cugina

La copertina della corrispondenza di Mozart con la cugina Maria Anna.

Come ricordavo nell’introduzione, le lettere scritte da Mozart ebbero lo stesso destino dei canoni: furono censurate. Vennero a galla timidamente all’inizio del secolo scorso, quando  lo scrittore Stefan Zweig mandò in via del tutto riservata a Sigmund Freud le lettere che Mozart aveva scritto alla cugina Maria Anna Thekla, ai parenti e agli amici. 

L’epistolario di Mozart è infarcito di espressioni volgari e Zweig voleva sapere che cosa ne pensasse il fondatore della psicoanalisi. Così, dopo aver notato la grande profusione di termini escrementizi, concluse che Mozart era affetto da “immaturità psichica”, rimasta ancorata alla sfera anale. Prendiamo un brano di una lettera scritta il 28 febbraio 1778:

«Ero certo che non poteva resistermi più a lungo. Sì, sì, del fatto mio sono sicuro, dovessi ancor oggi fare uno stronzo duro, pur se tra due settimane sarò a Parigi, glielo giuro. Se dunque lei mi vuole dar risposta dalla città di Augusta con la posta, presto allora mi scriva, così la lettera arriva, ché altrimenti se sono già partito invece della lettera ricevo uno stronzo rinsecchito»..

Eppure, nonostante le apparenze, l’interpretazione di Freud, per quanto suggestiva, non coglie le motivazioni più determinanti del turpiloquio del musicista, come ha mostrato – nel 1991 – il sociologo Norbert Elias nel libro “Mozart, sociologia di un genio”.
I passi scabrosi nelle lettere del genio austriaco avevano in realtà un altro scopo: fare uno sberleffo al linguaggio formale e perbenista di corte. «Allocuzioni, fraseologia di circostanza, formule di saluto, arie d’opera, alessandrini – ogni lettera di Mozart alla cugina traspone puntualmente in parodia l’intero guardaroba del decoro di corte. Mozart critica i fossili linguistici dell’ancien régime, abbandonando impietosamente i loro vuoti meccanismi allo scherno» osserva Juliane Vogel, docente di letteratura tedesca all’Università di Costanza nel commento alle lettere pubblicate da Feltrinelli. «Nella scatologia (il gusto per le battute escrementizie) poté compiersi una socializzazione borghese rivolta contro le forme feudali» aggiunge.

Saluti e peti

L’operazione è evidente soprattutto nelle formule di saluto, riprese e variate fino alla nausea per far affiorare l’automatismo insito nel loro uso, il formalismo che le caratterizza:

  «e allora» scrive Mozart «le porgerò io stesso i miei complimenti di persona, le chiuderò il culo con della cera buona, le sue mani bacerò, con lo schioppo didietro sparerò, l’abbraccerò, un clistere davanti e dietro le farò, ciò di cui posso esserle debitore fino all’ultimo pagherò, un peto gagliardo risuonare farò, forse qualcos’altro cadere lascerò».

Lo spirito goliardico ravviva anche le frasi in cui Mozart racconta il suo presente, arricchite da rime e giochi di paroli assurdi:

«il martedì grasso l’ha festeggiato proprio bene. per farla breve, c’era, a circa 4 ore da qui, non ricordo più il luogo – – be’, un paese o qualcosa del genere; ecco, era una roba come Tribsterillo dove la merda in mare fa zampillo, oppure Burmesquica dove i buchi del culo storti vanno in gita; insomma, per farla corta, era un posto qualunque».

Wolfgang Codadisuino e lo spirito carnevalesco

Nelle lettere, il musicista prende giocosamente in giro anche se stesso:

«Ora devo raccontarle una triste storia che è accaduta in questo momento. Mentre sono tutto intento a scrivere la lettera, sento qualcosa fuori in strada. Smetto di scrivere – – mi alzo, vado alla finestra – – e – – non sento più niente – – mi risiedo, ricomincio a scrivere – – non ho scritto neanche 10 parole che sento di nuovo qualcosa – – mi rialzo – – come mi alzo sento ancora qualcosa, ma molto debole – – però c’è odor di bruciaticcio – – puzza, ovunque mi sposti. Se guardo fuori dalla finestra l’odore scompare, come guardo dentro, rieccolo – – finalmente la mamma mi dice: scommettiamo che ne hai mollato uno? – – non credo, mamma. Sì, sì, è proprio così. Faccio la prova, mi infilo il primo dito nel culo, poi annuso e – – ecce provatum est: la mamma aveva ragione. Ora mi stia bene, la bacio 10.000 volte e sono come sempre il vecchio giovane Codadisuino».

Disegno stilizzato di un angelo in una delle lettere di Mozart alla cugina (1780).

Questo nomignolo affibbiato a se stesso ci mette però su una pista importante: «”vecchio giovane Codadisuino” non è che uno dei molti nomi con cui il cosiddetto “ruolo comico” furoreggiava sulla scena del tempo, munito dei suoi lazzi e delle sue libere improvvisazioni. Egli appartiene alla schiera degli Arlecchino e degli Hanswurst, degli Scaramuccia e dei Fuchsmundi, personaggi che con i loro abiti rattoppati, i cappelli verdi e le giubbe bianche mettevano in discussione la gravità del teatro dell’epoca», osserva ancora la Vogel.

E’ questo lo spirito di Mozart: un giocherellone, un buffone pronto a mettere in ridicolo tutto e tutti, compreso se stesso. In questo, Mozart si inserisce nella tradizione popolare del carnevale, e del realismo grottesco in letteratura, nel quale «tutto è ricondotto agli organi genitali, al ventre e al deretano» scrive il critico letterario Michail Bachtin. E gli escrementi, in particolare, sono un elemento centrale perché simbolo di rinnovamento, fecondando la terra.

Le parolacce tedesche e il mistero Spunicuni

Mozart ritratto nel 1777 a Bologna: aveva 21 anni.

Pur avendo inserito nel giusto contesto storico l’epistolario di Mozart, gli studiosi rimangono perplessi su un punto: la propensione ossessiva per i temi intestinali. «Ostinatamente, a gesti o a parole, la celebrata socialità del Mezzogiorno di lingua tedesca ruota intorno al fulcro delle feci. Sia le lettere della famiglia Mozart che le testimonianze linguistiche della vita sociale del tempo documentano una preferenza, non del tutto comprensibile ai posteri, verso la tematica della digestione» dice ancora la studiosa.

A dire il vero, una ragione per spiegare questa preferenza c’è: il tedesco, pur essendo una lingua ricchissima di vocaboli, ha però un ventaglio ridotto di parolacce, basate molto più sulla sfera anale-escrementizia che su quella sessuale, come raccontavo in un precedente articolo. Non è colpa di Amadeus, insomma, se il suo repertorio scurrile era così limitato: il lessico tedesco non gli offriva molte alternative.
Dunque, il turpiloquio di Mozart è uno dei più ricchi di significati. Tanto da avere un mistero ancora aperto dopo 266 anni: che diavolo vuol dire l’espressione
spunicunifait?

Appare ad esempio in questo brano: «Apropós: come va col francese? – potrò scriverle presto una lettera tutta in francese? – da Parigi, no? – e mi dica, ha ancora lo spunicunifait? – lo credo bene». Lo Spunicunifait, è invocato tre volte nelle lettere alla cugina – scritto con le iniziali maiuscole o minuscole, unito o staccato: «la cui spiegazione è ancora da trovare. Che esso appartenga al vasto regno delle allusioni erotiche è fuori discussione».

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Cacasenno, Katzone e gli altri eroi dal nome osè https://www.parolacce.org/2021/04/06/nomi-letterari-volgari/ https://www.parolacce.org/2021/04/06/nomi-letterari-volgari/#respond Tue, 06 Apr 2021 10:10:52 +0000 https://www.parolacce.org/?p=18596 “Che nome gli metterò?” — disse fra sè e sè. — “Lo voglio chiamar Pinocchio. Questo nome gli porterà fortuna. Ho conosciuto una famiglia intera di Pinocchi: Pinocchio il padre, Pinocchia la madre e Pinocchi i ragazzi, e tutti se… Continue Reading

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“Che nome gli metterò?” — disse fra sè e sè. — “Lo voglio chiamar Pinocchio. Questo nome gli porterà fortuna. Ho conosciuto una famiglia intera di Pinocchi: Pinocchio il padre, Pinocchia la madre e Pinocchi i ragazzi, e tutti se la passavano bene. Il più ricco di loro chiedeva l’elemosina“. Così pensava Geppetto mentre si apprestava a intagliare il suo celebre burattino. Dare il nome a qualcuno significa scegliere il suo avvenire (nomen omen, un nome un destino, dicevano gli antichi) e anche descrivere la sua personalità. E nella fiction – che sia la letteratura o il cinema – il destino dei personaggi è deciso dalla fantasia degli autori. Per esempio, Alessandro Manzoni scelse di chiamare la coprotagonista dei “Promessi sposi” Lucia Mondella: Lucia per evocare la sua natura luminosa, Mondella per alludere alla sua purezza d’animo e alla fase del lavaggio nelle filande.
Perché allora non scegliere anche un nome spinto per un personaggio immaginario?
In questo articolo ne ho raccolti una ventina (e non è detto che siano tutti: se avete segnalazioni, scrivete nei commenti). In questo modo potremo fare un viaggio insolito nella fantasia. Spesso i nomi volgari sono scelti per dare un effetto comico o satirico al racconto, ma a volte anche per descrivere alcune particolari qualità dei personaggi.  

Personaggi cinematografici

 

TONTOLINI

“Tontolini” di Giulio Antamoro, 1910

Tontolini è il burlesco nome del protagonista di questa pellicola del film muto. E’ un popolano sciocco e maldestro, dal viso buffo e con doti da funambolo. Il ruolo è interpretato dall’attore franco-italiano Ferdinand Guillaume.

 

 

CRETINETTI

“Le creazioni svariate di Cretinetti”, 1909 

Il nome è stato reso celebre da Franca Valeri, che così si rivolgeva al marito Alberto Sordi nel film di Dino Risi “Il vedovo” (1959). Ma quel nomignolo non fu un’invenzione della Valeri: era infatti il nome di un protagonista di film comici nell’era del muto, Cretinetti appunto. Era interpretato dal francese André Deed (pseudonimo di Henri André Augustin Chapais), che in Italia recitò in decine di film dando a Cretinetti una gloria internazionale.

CACCAVALLO

“Totò e Carolina”  di Mario Monicelli, 1955 

In questo film totò interpreta l’agente di polizia Antonio Caccavallo, che si lega a una ragazza che arresta per prostituzione (Carolina De Vico).  La pellicola è stata fra le più censurate nella storia del cinema italiano. Soprattutto per i temi affrontati dal regista (prostituzione, figli illegittimi, la morale perbenista).
In origine il protagonista avrebbe dovuto chiamarsi Antonio Callarone: fu trasformato in Caccavallo per far sì che la vicenda suonasse come una farsa fine a se stessa, senza alcun aggancio alla realtà del tempo, a causa delle molte pressioni della Commissione statale di censura dei film.

ROMPIGLIONI

“Il sergente Rompiglioni”  di Giuliano Biagetti, 1973 

Il sergente protagonista del film, Francesco Garibaldi Rompiglioni (Franco Franchi) coltiva due passioni: la musica classica e la disciplina. E istruisce le reclute in modo dittatoriale e isterico: il suo cognome è infatti una contrazione di “rompicoglioni”. Il film ha avuto un grande successo di pubblico, e nonostante il titolo non è infarcito di volgarità. 

NAKA KATA

“Anche gli angeli mangiano fagioli” di E.B. Clucher, 1973

Sonny (Giuliano Gemma) lavora come uomo delle pulizie in una palestra giapponese dove il maestro è Naka Kata (George Wang). Che lo licenzia dopo aver ricevuto da lui un micidiale calcio nei testicoli durante un combattimento.

 

CULASTRISCE 

“Culastrisce nobile veneziano” di Flavio Mogherini, 1976  

Culastrisce sembra un soprannome boccaccesco, invece allude a un antenato Lanzichenecco del protagonista, il marchese Luca Maria Sbrizon (Marcello Mastroianni).
I mercenari svizzeri, infatti,  oltre alle tipiche alabarde portavano brache con spacchi e inserti di stoffe di colori contrastanti: a strisce per l’appunto. Nel film il soprannome viene usato di rado: probabilmente è stato inserito nel titolo solo per evocare le commedie a base di nudi femminili, mariti cornificati e battute triviali.

 

PISELLONIO

“Brian di Nazareth” di Terry Jones, 1979

Il film è una satira dei Monthy Pyton sulla predicazione di Gesù, incarnata da Brian, suo contemporaneo, un rivoluzionario che viene spesso scambiato per il messia. Marco Pisellonio appare accanto a Ponzio Pilato durante la condanna alla crocifissione: è affetto da sigmatismo (zeppola: la “s” fischiante) e deve il suo nome al fatto che nel film originale il personaggio si chiama Biggus Dickus (“big dick” cioè cazzone).

 

KATZONE

“La città delle donne” di Federico Fellini, 1980

Il film è un viaggio onirico nella femminilità. Uno dei personaggi è il dottor Xavier Katzone, un maturo santone dell’eros che vive nell’adorazione di una femminilità che ormai non esiste più. Qui il protagonista Snaporaz (Marcello Mastroianni) scopre la singolare collezione di orgasmi registrati: sono quelli delle innumerevoli amanti di Katzone, che il padrone di casa ama riascoltare premendo dei pulsanti, disposti lungo una doppia parete ricoperta di marmo, che evoca i loculi di un cimitero. Il dottor Katzone li custodisce nella vana attesa di ritornare agli antichi splendori.
Dunque un cognome scelto volutamente per evocare, in modo ironico, l’erotismo.

 

SMERDINO O SMERVINO, SCERIFFO DI RUTTINGHAM

“Robin Hood – Un uomo in calzamaglia” di Mel Brooks, 1993

Il film è una parodia di “Robin Hood – Principe dei ladri” (1991) di Kevin Reynolds, con Kevin Costner. Uno dei personaggi è lo sceriffo di Ruttingham (invece di Nottingham: evoca il rutto), che nell’edizione originale si chiama Mervyn (nome realmente esistente), mentre in quella italiana si chiama Smervino o Smerdino: dal doppiaggio non si riesce a capire quale delle due versioni sia stata scelta (ascoltate il video qui sotto dal minuto 1:33). Ma l’effetto è lo stesso in ambo i casi.

 

CACCA DI NATALE

South Park, di Matt Stone e Trey Parker, 1997

Tra i personaggi di South Park c’è Mr. Hankey, la Cacca di Natale (the Christmas Poo): è un pezzo di cacca con grandi occhi, una bocca sorridente e un cappello da Babbo Natale. Appare nell’episodio intitolato “Uno stronzo per amico”. I bambini della scuola elementare vogliono mettere in scena un presepe tradizionale, ma una donna di fede ebraica chiede di cancellare dalla recita tutti i riferimenti religiosi. Alla fine sarà proprio Mr Hankey a riportare lo spirito natalizio, e alla fine vola via insieme a Babbo Natale. Il personaggio appare anche in altri 6 episodi (fra cui quello intitolato “Un Natale davvero di merda”).

 

CICCIO BASTARDO,  IVONA POMPILOVA, PIRULON, FELICITY LADÀ

Austin Powers – La spia che ci provava”  di Jay Roach, 1999 

Il film è una parodia del mito degli agenti segreti alla 007. Powers è un agente segreto al servizio di Sua Maestà la Regina d’Inghilterra. Rimasto ibernato dagli anni ‘60 a oggi, Powers irrompe nel mondo moderno. Il suo ruolo stride però col suo aspetto fisico piuttosto repellente. A cui lui rimedia col “maipiùmòscio” (nel film originale è il “mojo”, un amuleto),  che gli permette di aver successo con le donne. Fra gli altri personaggi del film ci sono: una ” guardia scozzese ” obesa, Ciccio Bastardo (Fat Bastard); la protagonista femminile, Felicity Ladà (Felicity Shagwell, cioè Felicita Scopabene),  la modella russa Ivona Pompilova ( “Ivana Humpalot” cioè Ivana Scopamolto) e Pirulon (Pirlone), che nel film originale è semplicemente Woody Harrelson che interpreta se stesso.

 

GAYLORD FOTTER e SFIGATTO

“Ti presento i miei” di Jay Roach, 2000

Il protagonista (Ben Stiller) si chiama Gaylord Fotter, un doppio riferimento sessuale: ai gay e all’atto sessuale (come nel film originale, in cui si chiama Gaylord Focker, smile a fucker). Gaylord, detto Greg,  cerca di fare bella figura con i suoceri, in particolare col suocero (Robert De Niro) burbero ex agente della Cia. Fotter cerca di fare di tutto per impressionare favorevolmente i suoceri, ma la sua insicurezza e il nome imbarazzante non lo aiutano. Da segnalare anche il nome del gatto dei suoceri, che nella versione italiana si chiama Sfigatto (Mr Jinx nell’originale: in inglese jinks sono gli scherzi chiassosi), perché ne passa di tutti i colori.

 

THE MOTHERFUCKER

 “Kick-Ass2”, di Jeff Wadlow, 2003

Il film è il sequel di “Kick-Ass”, storia di un ragazzino che diventa supereroe. In questo film il suo coetaneo Chris D’Amico, sconvolto dalla morte della madre, decide di voltare le spalle alla sua precedente incarnazione da eroe e di diventare il primo supercattivo della vita reale, facendosi chiamare Motherfucker, con l’obiettivo di vendicarsi di Kick-Ass. “Motherfucker” letteralmente “uno che si fotte la madre” è l’equivalente di carogna, figlio di puttana. Nella versione italiana non è stato tradotto.

BOGDANA

 “Pazze di me” di Fausto Brizzi, 2013

Il film è una commedia senza molte pretese che racconta la storia di un ragazzo, Andrea Morelli (Francesco Mandelli), unico maschio in una famiglia tutta al femminile. Nel nucleo è presente anche una badante rumena, una scansafatiche cafona che si chiama Bogdana (evidente assonanza con “puttana”). In una scena lei rivela però che quello è “un nome d’arte: il mio vero nome è Niculina” (evidenziando la somiglianza con “culo”).

PHUC

 “The gentlemen”, di Guy Ritchie, 2019

Il film è una storia di gangster della marijuana ambientata nel Regno Unito. Si fronteggiano varie fazioni: protagonista è il boss Michael “Mickey” Pearson (Matthew McConaughey), che ha costruito un impero della cannabis e vuole uscire dal giro. Il boss cinese Lord George gli vuole subentrare, e il suo vice, Occhio Asciutto, congiura per mettersi in mezzo. Uno dei suoi scagnozzi si chiama Phuc, che ha lo stesso suono di “fuck“, fottere. Un gioco di parole provocatorio in una commedia d’azione e sangue decisamente sopra le righe. 

Personaggi letterari

BACIACULO E NASAPETI

“Gargantua e Pantagruele”, François Rabelais, 1542.

Il libro è una satira del suo tempo. In un episodio l’autore racconta che “a quel tempo pendeva nel Parlamento di Parigi un processo su una controversia così alta e difficile «che la Corte del Parlamento non ci capiva più che se fosse alto tedesco». Così il re decise di affidare il giudizio a Pantagruele. I contendenti erano Baciaculo (Baisecul in francese) e Nasapeti (Humevesne): l’episodio è una satira contro la lentezza dei processi e il linguaggio incomprensibile di giudici e avvocati. Alla fine Baciaculo è dichiarato innocente con una lunga e incomprensibile sentenza, che però “lo condanna a tre bicchieroni di latte cagliato, ben mantecati, drogati e preparati secondo la moda del paese, a favore del detto convenuto, pagabili al Ferragosto, di maggio. Ma il convenuto a sua volta sarà tenuto a rifornirlo di tutto il fieno e la stoppa, necessari all’otturazione dei trabocchetti gutturali, con contorno di polpettoni ben arrostiti e conditi. E amici come prima”. E tutti a celebrare la saggezza di Pantagruele.

 

CACASENNO

dalle novelle “Bertoldo, Bertoldino e Cacasenno” di Giulio Cesare Croce, 1620

I racconti riprendono e rielaborano novelle antichissime. Cacasenno è più idiota del padre Bertoldino: il suo nome infatti significa che “defeca la saggezza”, termine che in italiano ancora oggi designa le persone saccente, i saputelli. L’autore lo deride fin dal suo aspetto fisico: “Questo Cacasenno era grosso di cintura, aveva la fronte bassissima, gli occhi grossi, le ciglia irsute, il naso e la bocca aguzza, che certo assomigliavasi ad un gatto mammone, ovvero ad uno scimiotto”. Per dire quanto fosse sveglio e intelligente, basta questo scambio di battute con uno dei personaggi, Erminio:

“Dimmi, come hai tu nome?”. E Cacasenno: “Messer no, che non sono un uomo, sono un ragazzo”. Erminio. “Non ti addimando se sei un uomo, dico il tuo nome: come ti chiami?”. E Cacasenno: “Quando uno mi chiama, ed io gli rispondo”. 

I racconti hanno ispirato tre versioni cinematografiche: la più famosa è quella firmata da Mario Monicelli nel 1984. In una scena, re Alboino solleva in aria il figlio di Menghina e Bertoldino, ma il neonato gli defeca in faccia, “e viene di conseguenza chiamato Cacasenno”.

 

AUGELLO

I gialli di Montalbano, 1994-2020

Camilleri aveva il gusto per i dettagli. Perciò non ha scelto a caso i cognomi de propri personaggi: Montalbano deve il suo cognome a Manuel Vàzquez Montalbàn, prolifico autore di gialli spagnolo che aveva ispirato Camilleri.
Mimì Augello, il vice di Montalbano, è’ un don Giovanni, e proprio per questo il suo cognome sembra evocare l’organo sessuale maschile. Invece così non è, come rivela lo stesso Camilleri (citato in questo studio): “questa storia del braccio destro di Montalbano che si chiama Augello, gli piacciono le donne. L’augello è quello che è, il membro maschile, da noi, il membro virile. Quindi, tutti hanno pensato che io avessi voluto chiamare in questo modo il vicecommissario perché è un gran donnaiolo. Ma manco per idea! Augello è un cognome fra i più diffusi che ci sono tra Siculiana e Realmonte, vicinissima a Porto Empedocle, ecco. Poi il lettore, magari, ci vede chissà quale ricerca etimologica, chissà che cosa. Per me era lontanissima, quest’idea. Augello, semmai, nasceva non dal fatto delle sue capacità virili, nasceva, semmai, dal fatto che svolazzava da una donna all’altra. Semmai, poteva essere lontanissimamente questo”.

Personaggi nelle canzoni

MERDMAN 

dall’album “Henna”, Lucio Dalla, 1994

La canzone parla di un “marziano disgustoso” che precipita sulla Terra, Merdman. Ecco alcune strofe che lo descrivono: A parte il puzzo veramente micidiale, aveva in sé qualcosa di familiare, Sui trent’anni, bocca larga e braghe corte, sempre sporco con uno stronzo sulla fronte. Ogni tanto spiaccicava una parola, e con le dita messe li’ a pistola catturava tutto l’audience della gente…. A poco a poco anche la stampa più esigente, lo trovava bello, fresco e divertente… Non parliamo dei bambini anche i più belli, si mettevano uno stronzo tra i capelli”.
La canzone è una feroce satira contro la tv spazzatura che glorifica il peggio degli uomini.

Qualche anno dopo, nel 2003, Elio e le storie tese scriveranno “Shpalman”, una canzone dedicata a un immaginario supereroe che sconfigge i cattivi” “spalmandogli la merda in faccia”.  

 

GADDA E I SOPRANNOMI DI MUSSOLINI

Fra il 1941 e il 1945, Carlo Emilio Gadda (l’autore del “Quer pasticciaccio brutto de via Merulana”) scrisse “Eros e Priapo: da furore a cenere” una riflessione storica feroce su Benito Mussolini e la sua dittatura (a cui inizialmente Gadda aveva aderito).
Nel saggio non viene mai menzionato il termine “fascismo”, mentre Mussolini viene ribattezzato con decine di nomignoli insultanti: Furioso Babbeo, Sozzo Nostro, Somaro Principe, Primo Racimolatore e Fabulatore delle scemenze, Giuda-Maramaldo, Paflagone-smargiasso, Priapo Moscio, il Gran Correggione del Nulla, il Predappio-Fava, il Culone in Cavallo, Il Fava impestatissimo, il Batrace Stivaluto, il Priapo Tumefatto, Ejettatore delle scemenze, il Giuda imbombettato, il Capocamorra, Appiccata Carogna, il Merda, Primo Maresciallo del Cacchio, il Mascelluto, Gaglioffo ipocalcico, Gran Cacchio,  Maccherone Ingrognato, Scacarcione Mago, Nullapensante, Priapo Maccherone Maramaldo. Solo per citarne alcuni…

Il saggio fu pubblicato solo nel 1967 e in versione censurata, dopo essere stato rifiutato da molti editori.

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Il 2020 su T-shirt (spreadshirt.com), addobbo natalizio (etsy.com), logo (thesilkscreenmachine.com) e su uno striscione goliardico a Venezia.

Quali sono state le parolacce più notevoli del 2020, in Italia e nel mondo? Anche quest’anno ho fatto la classifica dei 10 insulti più emblematici dell’anno. Una “top ten” che non poteva essere immune al Coronavirus: molti episodi, infatti, sono collegati alla pandemia. Era inevitabile. Come forse era inevitabile che un anno funesto come il 2020 diventasse esso stesso un insulto. Fra contagi, crisi economica, isolamento forzato, questo anno è diventato l’emblema della sfortuna, della rovina, del male assoluto. Tanto che sui social in lingua inglese si è diffusa l’espressione “go 2020 yourself”, come equivalente di “go fuck yourself”, vai a farti fottere (“vaffan2020”). E’ presto per dire quanto sopravviverà questo modo di dire, ma con un anno così disgraziato non poteva essere altrimenti.
Ed è un sentimento diffuso: il mese scorso il quotidiano britannico “The Guardian” ha fatto un sondaggio fra i lettori, chiedendo loro di sintetizzare in una sola parola il loro sentimento verso il 2020. La parola più votata è stata “shit“, merda (qui un mio articolo su tutti i modi di dire con questa metafora) seguita da “fucked” (fottuto).
Non stupisce, quindi, che acuni siti abbiano messo in vendita T-shirt e ornamenti natalizi in cui gli “0” del 2020 sono rappresentati con rotoli di carta igienica; negli ornamenti natalizi il 2020 è raffigurato come cacca di cane o come dito medio (vedi foto).
D’altronde, anche in Italia l’espressione “Che ti venga il Coronavirus” ha iniziato a circolare come maledizione (e non è l’unico malaugurio a sfondo sanitario nella nostra lingua, come raccontavo
qui).

La prima serie tv sulle parolacce

Sperando che il 2021 sia migliore, prima di passare alla classifica devo segnalare un evento storico: la prima serie tv dedicata alle parolacce. E’ un documentario in 6 episodi da 20 minuti ciascuno intitolato “History of Swear Words“. Condotto dall’attore Nicolas Cage, è una serie Netflix che andrà in onda dal prossimo 5 gennaio. Ogni episodio sarà dedicato a una diversa espressione in inglese: shit, fuck, pussy, bitch, dick e damn ovvero merda, fottere, figa, troia, cazzo e dannazione. I documentari hanno una base solida: annoverano consulenti di rilievo come il lessicografo Kory Stamper, lo psicologo cognitivo Benjamin Bergen, la linguista Anne Charity Hudley e la studiosa di letteratura Melissa Mohr (per chi vuole approfondire l’argomento in italiano, c’è sempre il mio libro).
Qui sotto il trailer della serie, giocato sull’ironia. Vedremo se la serie sarà all’altezza delle aspettative.

La classifica del 2020

Esaurite le premesse, ecco la mia “Top ten” con i 10 episodi volgari più emblematici e divertenti riportati dalle cronache nazionali e internazionali. Per sorridere e per riflettere.
Come per le precedenti edizioni, ho selezionato gli episodi con 3 criteri: il loro valore simbolico, le loro conseguenze e la loro carica di originalità. Vista l’aria che tira, essendo per di più la 13ma edizione della “Top ten” un po’ di scaramanzia è d’obbligo. Dunque, incrociando le dita, buona lettura. E buon anno! 

1) CANZONE KAMIKAZE

«Le brutte intenzioni, la maleducazione, la tua brutta figura di ieri sera, la tua ingratitudine, la tua arroganza».
Squalificato.
Morgan, 7 febbraio 2020, Festival di Sanremo

 

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IL FATTO
 

Festival di Sanremo. Morgan e Bugo presentano la canzone “Sincero”, scritta da quest’ultimo. E, sul palco, avviene un fatto inaudito: Morgan cambia il testo della canzone, che trasforma in un avvelenato e unilaterale attacco verso il suo partner. Il testo originario diceva: “Le buone intenzioni, l’educazione. La tua foto profilo, buongiorno e buonasera. E la gratitudine, le circostanze. Bevi se vuoi ma fallo responsabilmente. Rimetti in ordine tutte le cose. Lavati i denti e non provare invidia”. Una canzone contro l’ipocrisia delle buone maniere, contro una società che ci vuole tutti uguali. 

Morgan lo ha trasformato così: “Le brutte intenzioni, la maleducazione, la tua brutta figura di ieri sera, la tua ingratitudine, la tua arroganza, fai ciò che vuoi mettendo i piedi in testa. Ma tu sai solo coltivare invidia, ringrazia il cielo sei su questo palco, rispetta chi ti ci ha portato dentro”. Nessuna volgarità, ma una serie di offese pesanti a cui Bugo, umiliato in diretta davanti alle telecamere, non ha potuto e voluto rispondere. Così ha preso il foglio con il testo della canzone e ha abbandonato il palco, lasciando Morgan da solo e preso in contropiede. Dato che il regolamento del Festival vieta di modificare il testo (oltre che di interrompere l’esibizione) i due sono stati squalificati.

Un episodio senza precedenti nella storia del Festival e della canzone in generale. Un litigio che diventa plateale e si trasforma in un suicidio artistico. I motivi di tanta acredine fra i due non sono mai stati chiariti: alcuni video mostrano un animato litigio prima di salire sul palco, per il cattivo esito dell’esibizione della serata precedente in cui i due avevano eseguito una propria versione del brano “Canzone per te” di Sergio Endrigo. (Qui una dettagliata ricostruzione). E gli strascichi continuano tuttora: al prossimo Festival Bugo parteciperà come concorrente, mentre Morgan è stato escluso sia come cantante che come giurato. E per reazione lui ha definito “infami e sciacalli” gli organizzatori (vedi qui). 

 

2) RAZZISMO GEOGRAFICO

«Che mongolo!».
E la Mongolia protesta all’Onu.
Max Verstappen, 23 ottobre 2020, Portimão (Portogallo)

 

 

 

 

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IL FATTO
 

Gran Premio di Formula1. Alle prove libere all’autódromo internacional do Algarve in Portogallo, Lance Stroll (Racing Point) non rallenta in curva e urta l’auto di Max Verstappen (Red Bull). Quest’ultimo impreca alla radio: “Ma è cieco questo cazzone? Che cazzo c’è che non va con lui? Gesù Cristo. Che ritardato. Ho subìto un danno. Che mongolo” [“Is this fucking guy blind? What the fuck is wrong with him? Jesus Christ. What a retard, I have damage. What a mongol”].

La lettera dei protesta dell’associazione “Mongol identity”.

Il suo sfogo fa il giro del mondo. E suscita l’indignazione della Mongolia, che non vuole essere equiparata a un termine offensivo.
La prima a protestare è l’associazione “Mongol Identity” che scrive in un comuncato: “Vogliamo esprimere la nostra disapprovazione e al tempo stesso la nostra preoccupazione nel vedere utilizzato il termine ‘mongolo’ in maniera dispregiativa. Siamo anche abbastanza sotto shock per il fatto che la F1 non abbia preso alcun provvedimento e ci rivolgiamo direttamente ai vertici di questa competizione. Dal 1965 l’OMS ha chiaramente stabilito che il termine ‘Mongoloide’ non poteva essere associato a chi soffre della Sindrome di Down in quanto offensivo per coloro che hanno nazionalità mongola. Chiediamo a Verstappen scuse pubbliche e maggiore sensibilità nei confronti di persone che soffrono. Chiediamo cortesemente che il termine ‘mongolo’ venga utilizzato in maniera corretta”.

Il consigliere-plenipotenziario della Red Bull, Helmut Marko ha preso posizione: “Ho detto a Verstappen che episodi di questo genere non devono più accadere in futuro. Ha sbagliato su tutta la linea”. Ma Verstappen non ne ha voluto sapere: “Se qualcuno si sente offeso dalle mie espressioni non è un mio problema”. Allora la vicenda è diventata un incidente diplomatico internazionale: Lundeg Purevsuren, ambasciatore della Mongolia presso le Nazioni Unite e l’Organizzazione mondiale del commercio (OMC), ha inviato una lettera al fondatore della Red Bull Dietrich Mateschitz per esprimere le sue critiche all’uso di Verstappen dell’insulto e la sua riluttanza a chiedere scusa. E ha scritto anche agli sponsor della Red Bull.
Uno di questi, la Siemens, ha risposto dicendo  di “non accettare discriminazioni, molestie o attacchi personali verso individui o gruppi” e ha rivelato di aver già chiaramente espresso le proprie preoccupazioni alla Red Bull per l’incidente. Ma da Verstappen nessun segno di ravvedimento: Unro Janchiv, l’inviato culturale della Mongolia, ha detto che “ancora aspetta le scuse pubbliche del pilota”.

E’ la prima volta che uno Stato interviene ufficialmente per protestare contro un termine spregiativo geografico. Che non è l’unico del nostro vocabolario, come raccontavo in questo articolo.

 

 

3) DRONI SCURRILI

«Dove cazzo vai? Torna a casa! A calci in culo!»
Cateno De Luca, sindaco di Messina, 25 marzo 2020

 

 

 

 

 

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IL FATTO
 

E’ primavera e l’Italia è in piena emergenza Covid. Il Paese entra in lock down, ma molti faticano a rispettare il divieto di circolazione. Così il sindaco di Messina, Cateno De Luca, annuncia una decisione inusitata: una flotta di droni per controllare il territorio. I velivoli sono dotati di un altoparlante con la voce del sindaco che urla ai trasgressori: “Non si esce! Questo è l’ordine del sindaco De Luca e basta! Dove cazzo vai? Torna a casa! A calci in culo!”.

Mai nessuna autorità aveva intrapreso un’iniziativa simile, che ha fatto il giro del mondo: fra gli altri l’ha segnalata la rete americana NBC. Non si sa se l’iniziativa sia stata attuata in quei termini e con quali effetti, ma non è rimasta isolata: a Pasqua il sindaco ha inviato per la città un’auto che diramava un messaggio con un altoparlante, invitando ogni cittadino a stare a casa “per i cazzi suoi” (“io rustu a casa pi cazzi mei”), aggiungendo gli auguri di Buona Pasqua. La decisione, però, ha sollevato forti reazioni: alcuni cittadini hanno presentato due esposti indignati, a cui sono seguite le proteste del Garante dell’infanzia e del segretario del Comitato pari opportunità dell’Ordine degli avvocati, che hanno contestato il linguaggio scurrile. A loro si è aggiunta, dal pulpito della chiesa,la dura reprimenda dell’arcivescovo di Messina Giovanni Accolla: “in città si sentono linguaggi turpi, è una vergogna. Messina non merita questi insulti. Devono pentirsi pubblicamente. Le persone che sono volgari non possono augurare la Santa Pasqua”. Il sindaco ha dovuto così fare marcia indietro.

 

4) PREVENZIONE A TINTE FORTI

Dito medio a chi non usa la mascherina.

14 ottobre 2020, Berlino

 

 

 

 

 

 

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IL FATTO
 

Il manifesto contro chi non indossa la mascherina anti Covid.

Questa campagna è stata promossa dal Dipartimento per l’economia di Berlino e dall’ufficio turistico “Visit Berlin”. E’ una campagna provocatoria per sensibilizzare i tedeschi a indossare la mascherina per prevenire il contagio da Coronavirus. La campagna è attuata con un contrasto e un doppio senso: lo slogan “L’indice alzato per tutti quelli senza maschera” fa riferimento all’indice (“indice alzato” significa “stai attento”), ma l’immagine mette in evidenza il dito medio.

Il manifesto, che ha fatto furore sui social, è una doccia fredda per spingere le persone a fermarsi e a riflettere sul proprio senso di responsabilità sociale, mettendo fine a comportamenti irresponsabili come circolare senza protezioni contro la diffusione dell’infezione. Un comportamento che mette a rischio soprattutto le persone più vulnerabili come gli anziani: di qui la scelta di usare come testimonial una donna dai capelli argentati. La volgarità dell’immagine ha però sollevato aspre polemiche in Germania. Molti l’hanno trovata offensiva: il leader locale della CDU di Angela Merkel, Kai Wegner, ha criticato il Senato (guidato da una coalizione di socialdemocratici, sinistra e Verdi): “La situazione è troppo grave per scherzarci sopra”, ha detto. E Marcel Luthe, membro del Senato di Berlino, ha presentato una denuncia alla polizia in merito all’annuncio, sostenendo che incitava all’odio contro tutti coloro che non possono indossare una maschera, come i bambini piccoli e le persone con problemi di udito o altri problemi di salute.
In ogni caso, non è l’unica campagna sociale giocata sulle volgarità: in questo articolo ne trovate una raccolta, con 24 casi (e molti italiani).

 

 

5) RAZZISTA IN AFRICA

«I tifosi sono stupidi. Sanno solo urlare come scimmie e abbaiare come cani».
Licenziato ed espulso dal Paese.
Luc Eymael, 27 luglio 2020, Dar es Salaam (Tanzania)

 

 

 

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IL FATTO
 

L’allenatore belga Luc Eymael.

Luc Eymael è un ex calciatore belga che all’inizio del 2020 era stato reclutato come allenatore degli Young Africans (Yanga), una delle squadre più popolari e titolate della Tanzania. Da un decennio, infatti, Eymael lavorava in Africa come ct in varie nazioni. Il 22 luglio gli Yanga avevano pareggiato 1-1 con il modesto Mtibwa Sugar, per poi concludere il campionato al secondo posto, dietro il suo più odiato competitor, il Simba Sports Club. 

Inviperito per il risultato, l’allenatore 60enne, parlando coi giornalisti, si è lamentato dicendo che «i tifosi sono stupidi in questo Paese. Sanno solo gridare come le scimmie e abbaiare come i cani. Non sanno niente di calcio». E non ha risparmiato critiche anche alla Tanzania: «Non mi sto godendo il vostro Paese, siete gente ignorante. Non ho un’automobile, non ho la tv satellitare, lavorare in queste condizioni non fa per me, mia moglie è disgustata, io sono disgustato». Insomma, un incredibile mix di razzismo, arroganza e irriconoscenza.

La pagina Web (in swaili, qui tradotta con Google) dello Yanga.

I dirigenti della sua squadra non ci hanno pensato due volte: quando la notizia si è diffusa l’hanno licenziato e cacciato dal Paese. Ecco quanto ha scritto il segretario generale del club, Simon Patrick: “Siamo rattristati da queste parole e ci scusiamo con la Federazione tanzaniana di calcio, con i tifosi e la cittadinanza tutta per gli insulti e le offese del manager. La nostra società crede nel rispetto e nella dignità e si oppone a qualsiasi forma di razzismo. Per questo la leadership dello Yanga Club ha deciso di licenziare il signor Luc Eymael e assicurarsi che lasci il Paese il più presto possibile”. Eymel – noto per il suo pessimo carattere unito a una grande ambizione – si è poi scusato: “Ero di cattivo umore, quelle affermazioni sono frutto della delusione e della frustrazione per non aver vinto il titolo, ma non sono razzista”, ha dichiarato.

Eppure, questo clamoroso scivolone sembra non aver interrotto la carriera africana di Eymael: il mese scorso è stato infatti reclutato dal Chippa United, una squadra sudafricana che – beffa del destino – gioca le partite di casa allo stadio Nelson Mandela di Port Elizabeth.  Ma non è detto che Eymael ce la faccia: la Federcalcio sudafricana (Safa) ha annunciato che intende opporsi a questa decisione. «La Federcalcio sudafricana ha appreso con sgomento la notizia della nomina del razzista impenitente‚ Luc Eymael a capo allenatore del Chippa United», ha detto in un comunicato. «Troviamo profondamente offensivo che mentre la comunità calcistica globale è unita nella solidarietà intorno alla campagna “Black Lives Matter”, il Chippa United riterrà opportuno assumere un personaggio del genere per lavorare nella città che prende il nome dal padre fondatore della nazione, Tata Nelson Mandela ‚il paladino di un mondo libero dal razzismo e da altre forme di discriminazione. Safa scriverà immediatamente al ministro degli Interni per esprimere la sua opposizione alla concessione di un permesso di lavoro per lui. Chiederemo anche ai comitati etici di Fifa e Safa di incriminare il signor Eymael poiché la sua condotta spregevole è una violazione dei codici di entrambi gli organismi».

 

6) SESSISMO IN TV

«Da stasera la trasmissione se la conduce da sola, gallina!».
Silurato.
Mauro Corona a Bianca Berlinguer, “Carta bianca” Rai3, 22 settembre 2020

 

 

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IL FATTO
 

La trasmissione “Cartabianca” è un talk show di politica e attualità che va in onda dal 2016. Dal 2018 ha come ospite fisso lo scrittore alpinista Mauro Corona, protagonista di siparietti molto seguiti con la conduttrice Bianca Berlinguer. Durante una puntata, Corona tenta di parlare di un albergo in cui era stato, ma la conduttrice lo blocca ricordandogli che “Non possiamo parlare di questo albergo perché è pubblicità e non possiamo fare pubblicità in televisione”. Allora Corona si infiamma “Senta Bianchina, se lei mi vuole qui tutta la stagione mi fa parlare. Altrimenti la mando in malora e me ne vado, lei stia zitta! Stia zitta una buona volta gallina! Da stasera la sua trasmissione se la conduce da sola gallina!”. La Berlinguer allora reagisce: “Io non posso accettare che lei diventi maleducato e sgradevole insultando me che sto qui a condurre la trasmissione. quindi gallina lo dice a chi vuole ma non si permette di dirlo a me, chiaro il concetto?”. Qui sotto il filmato del litigio:

Il giorno dopo la trasmissione, la Rai ha pubblicato un comunicato in cui ha preso le distanze da Corona, chiedendo scusa al pubblico femminile “per le inaccettabili offese verso la conduttrice. Il signor Corona ha violato le disposizioni normative e i principi etici volti a promuovere la parità di genere e il rispetto dell’immagine e della dignità della donna. A tali inderogabili principi è improntata la programmazione della Rai che pertanto intraprenderà tutte le azioni del caso nei confronti di Corona al fine di tutelare l’immagine e la dignità culturale e professionale della conduttrice e il ruolo di servizio pubblico della Rai”.

Dopo l’episodio Corona non è stato più ospite della trasmissione. Ma il finale di questa vicenda è sorprendente. Perché la destinataria delle offese, una donna, è stata molto più tollerante rispetto al direttore di Rai3, un uomo. La decisione di esautorare Corona dalla trasmissione, infatti, non è stata presa dalla Berlinguer bensì dal direttore di Rai3, Franco Di Mare. Anzi, la sua decisione è risultata sgradita alla Berlinguer, che l’ha contestata  in varie interviste . «Corona aveva chiesto scusa subito, la sera stessa. E credo di aver reagito in modo adeguato in diretta» ha detto la Berlinguer. «Di Mare si è dimenticato di prendere in considerazione proprio l’opinione della persona che si sarebbe dovuta sentire offesa, che sono io. E’ stato un maschio a decidere della gravità dell’offesa e della sanzione, ignorando l’opinione della parte lesa. A fronte di ripetute scuse, pubbliche e private, si è intervenuti di autorità sui contenuti del mio programma, mortificando completamente la mia autonomia. Questo, peraltro, è stato l’unico momento in cui il direttore si è interessato della trasmissione. Questa separazione è stata dolorosa per me e per Corona».

 

7) CAMPAGNA ELETTORALE (DIS)EDUCATIVA

«Se 2.500 persone si iscrivono al voto, vi insegno a dire parolacce in 15 lingue diverse».

Samuel L. Jackson su www.headcount.org, 14 settembre 2020

 

 

 

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IL FATTO
 

Negli Stati Uniti, la scarsa partecipazione elettorale rischiava di assegnare a Donald Trump un secondo mandato. Una prospettiva che sarebbe stata un incubo per l’attore Samuel L. Jackson, che non aveva esitato a definire Trump un “motherfucker” (un gran figlio di puttana) a costo di perdere fan fra i suoi sostenitori. Così, sfruttando la sua celebrità (legata all’uso di un linguaggio molto colorito), Jackson ha lanciato su headcount.org, un sito che promuove la partecipazione democratica fra gli appassionati della musica, un appello per spingere le persone a iscriversi alle liste elettorali. Se almeno 2.500 persone si fossero iscritte, lui avrebbe pubblicato un video tutorial per imprecare in 15 lingue diverse.

l’iniziativa ha avuto successo: su Instagram ha superato i 61mila “mi piace” e ha centrato l’obiettivo. Così Jackson ha pubblicato il video, nel quale traduce l’espressione “fuck you” (fanculo) in 15 lingue, dal brasiliano all’esperanto, fino al vietnamita e allo swaili. 

Un video non particolarmente spiritoso (e forse realizzato banalmente, usando Google translate) ma senz’altro un’iniziativa senza precedenti. E nel suo piccolo ha contribuito a un risultato storico: mentre alle presidenziali del 2016 aveva votato il 59,2% della popolazione, a quelle del 2020 l’affluenza è stata del 66,7%, la più alta mai registrata nella storia statunitense. 

 

  

8) L'AUTOGOL DEL CAMPIONE

«Il test anti Covid è una stronzata»

Cristiano Ronaldo, 28 ottobre 2020 Instagram

 

 

 

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IL FATTO
 

Il contestato post di Ronaldo (evidenziato).

Il 13 ottobre l’attaccante della Juve Cristiano Ronaldo viene trovato positivo al Covid. Per sua fortuna è asintomatico, ma come tutti è costretto a stare in isolamento. E a saltare partite importanti, non solo in Serie A ma anche in Champions League, come la partita contro il Barcellona del 28 ottobre. Così dopo aver postrato qualche frase di circostanza sul suo profilo Instagram (“Feeling good and healty” cioè “mi sento bene e in buona salute” e “Forza Juve”) aggiunge una frase indispettita: “PCR IS BULLSHIT”, ovvero il Pcr è una stronzata. Pcr è la sigla di reazione a catena della polimerasi, una tecnica di biologia molecolare che consente di moltiplicare frammenti di acidi nucleici. E’ il metodo usato per diagnosticare l’infezione da Covid: il virus è a Rna, cioè contiene un filamento di acido ribonucleico. Per essere rilevato, va prima convertito in Dna e poi moltiplicato miliardi di volte, così può essere identificato. Un procedimento ideato nel 1983 dal biochimico statunitense Kary B. Mullis, che per questo ha ottenuto il premio Nobel per la chimica nel 1993. Dunque, tutt’altro che una stronzata: una tecnica diagnostica fondamentale, grazie alla quale abbiamo potuto non solo diagnosticare gli infettati da Covid, ma anche diverse malattie genetiche e contaminazioni da Ogm.

Così la frase di Ronaldo, che pure ha ottenuto oltre 6mila “mi piace”, ha suscitato un’ondata di indignazione anche da parte di medici impegnati nella lotta al Coronavirus. E così il campione ha rimosso l’infelice frase da Instagram.

 

 

9) GAFFE AL QUIZ

Definizione di “piccolo diverbio”? Scazzo.

 26 maggio 2020, “L’eredità”, Rai1

 

 

 

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IL FATTO
 

La gaffe è andata in onda durante una puntata dell’Eredità, il celebre quiz condotto da Flavio Insinna. Il presentatore ha proposto al concorrente, Alessandro, la definizione di “piccolo diverbio”. Quando ha visto apparire sullo schermo le lettere “S”, “Z” e “O” ha risposto d’impulso “Scazz…” e si è subito bloccato, suscitando l’ilarità dell’avversaria. Il conduttore Insinna ha glissato dicendo “Eh, nella vita…”. 

La risposta corretta era “Screzio”. D’altronde lo “scazzo” non è un diverbio piccolo, bensì una discussione agitata e violenta, come dice il dizionario. Sarebbe stata una risposta sbagliata comunque.

 

10) FUORIONDA IN CONFERENZA

«Non si sente un cazzo».
Giancarlo Blangiardo, presidente Istat, 8 maggio 2020, Roma

 

 

 

 

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IL FATTO
 

Roma. Come ogni settimana, il ministero della Salute e l’Istituto Superiore di sanità (Iss) organizzano una conferenza stampa per aggiornare sull’andamento del Coronavirus. In questa occasione sono presenti Silvio Brusaferro, presidente dell’Iss, e Giovanni Rezza, Direttore generale della Prevenzione del Ministero della Salute. In collegamento da casa, proiettato su un grande schermo, c’è Giancarlo Blangiardo, presidente dell’Istat, che deve parlare delle statistiche sulle vittime della pandemia. Ma il collegamento non è dei migliori, e ci sono problemi di audio. Dopo quasi un’ora di incontro, una giornalista presente in sala pone una domanda a Blangiardo, e lui (non rendendosi conto di avere il microfono aperto) sbotta: “Ecco, qui non si sente un cazzo”.Imbarazzo generale, risate. L’interprete nella lingua dei segni si blocca.
Rezza ha commentato ironicamente: “E’ stato diretto, diciamo”. Aggiungendo, nell’ilarità generale: “Ha detto che così non si sente una minchia, in siciliano”.  Qui sotto il video della gaffe, dal minuto 52:40

Un po’ di umanità e di leggerezza in un momento ufficiale e drammatico. 

 

Se volete leggere le classifiche degli ultimi 12 anni, potete cliccare sui link qui di seguito: 20192018, 2017, 2016, 2015, 2014, 2013, 2012, 2011, 2010,  2009 e 2008.

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Fabrizio De Andrè (1940-1999, foto Wikipedia).

È stato uno dei più grandi poeti italiani del ‘900, e le sue canzoni sono state studiate in ogni aspetto. Tranne uno: le parolacce. Ma non sono state marginali nella sua opera: anzi, sono state così rilevanti da aver contribuito al suo successo. Come ricorda Ivano Fossati, «Al liceo ascoltavamo i dischi di Fabrizio De Andrè. Quello che ci piaceva delle sue canzoni è che c’erano le parolacce».
Eppure, le volgarità di De Andrè non sono mai state studiate in dettaglio. Come se fossero un incidente, o un aspetto trascurabile rispetto al lessico, indubbiamente raffinato, dei suoi testi. Ma la scelta di usare il linguaggio basso non è stata un caso. Perché De Andrè metteva una cura maniacale nella scelta di ogni singolo termine, come ricorda Fossati: «Lui sa benissimo che dietro ogni parola c’è una responsabilità, bisogna dire le cose che si condividono realmente. E allora la scelta di un termine, di un sostantivo, di un aggettivo, poteva prendere anche tre giorni». Dunque, se il cantautore genovese ha inserito termini volgari nei suoi testi, l’ha fatto con una scelta mirata e meditata.
D’altra parte, per una persona che amava senza snobismo la cultura popolare, la schiettezza e il realismo, le parolacce hanno rappresentato uno strumento molto efficace, persino in testi raffinati e complessi come i suoi. Insomma, è uno dei pochi artisti che è riuscito a fare poesia alta anche usando il linguaggio basso. Del resto, come egli stesso diceva, “dal letame nascono i fior“.

Per questi motivi ho deciso di fare la prima analisi lessicale sul turpiloquio di De Andrè, studiando tutte le 125 canzoni scritte nella sua carriera. Il risultato è stato sorprendente: ho scoperto che De Andrè ha usato più di 30 diversi termini scurrili, che sono presenti in una canzone su 4. Dunque, le parolacce arricchiscono in modo straordinario la sua tavolozza espressiva, tanto che molte di queste strofe “a tinte forti” sono passate alla storia, come ricorderò più sotto. E rivelano in modo efficace la sua personalità e il suo mondo artistico.
Ho pensato, quindi, che questo studio lessicale fosse un buon modo per ricordare De Andrè, un musicista che ho amato immensamente, nel  20° anniversario della sua scomparsa.

Per questa ricerca ho consultato 3 fonti principali: la voce di Wikipedia su Fabrizio De Andrè, e gli ottimi libri “Falegname di parole” di Luigi Viva (Feltrinelli, 2018) e Fabrizio De Andrè: il libro del mondo” di Walter Pistarini (Giunti, 2018).

Un ribelle che parlava sporco

De Andrè con Paolo Villaggio (a destra, Wikipedia)

Le parolacce non sono entrate per caso nei dischi di De Andrè. Da giovane, infatti,  aveva un linguaggio sboccato, come ha raccontato egli stesso. Ecco come ricorda il suo primo incontro, nel 1948, con Paolo Villaggio (altro mago delle parolacce, come racconto qui): «L’ho incontrato per la prima volta a Pocol, sopra Cortina; io ero un ragazzino incazzato che parlava sporco; gli piacevo perché ero tormentato, inquieto e lui lo era altrettanto, solo che era più controllato, forse perché era più grande di me e allora subito si investì della parte del fratello maggiore e mi diceva: “Guarda, tu le parolacce non le devi dire, tu dici le parolacce per essere al centro dell’attenzione, sei uno stronzo”».
Dunque, De Andrè si definisce «un ragazzo incazzato, che parla sporco e tormentato». E fin da giovane, scriveva canzoni: «Sono sempre stato un inguaribile romantico e insieme un gran polemico, ce l’ho sempre avuta con le ingiustizie della società, con l’ipocrisia; e siccome avevo bisogno di sfogarmi, scrivevo delle storielle che poi mettevo in musica e accompagnavo con la chitarra, togliendomi la gran soddisfazione di dire ciò che pensavo veramente». Per De Andrè, insomma, le canzoni erano un modo di far polemica, di contestare le ingiustizie della società (non a caso, studiò legge all’università). E le parolacce sono proprio il linguaggio della protesta e della polemica, come ci ha mostrato la politica degli ultimi 30 anni in Italia, come raccontavo qui.
Un altro indizio importante è che De Andrè odiava l’ipocrisia: e, da sempre, il turpiloquio è il linguaggio della spontaneità, un modo – rude – di chiamare le cose per quello che sono (come ricordavo qui).

Le statistiche: volgare una canzone su 4

Le parolacce nella discografia di De Andrè (clic per ingrandire).

Dunque, nella vita De Andrè parlava sporco. Come si è concretizzato questo aspetto nelle canzoni? Ho fatto un’analisi lessicale della sua produzione: 125 canzoni in 14 album (più 2 singoli. “Una storia sbagliata” e “Titti”) che ha pubblicato in 41 anni di attività. Ho censito solo gli inediti, escludendo i “live”, le raccolte e “I viaggi di Gulliver” (perché i testi non sono suoi). Il risultato è sorprendente: ho censito 33 diversi lemmi volgari, presenti in 62 strofe. Un dizionario ben nutrito, di cui parlerò più avanti. Queste espressioni sono presenti in 29 delle 125 canzoni: il 23,2%, quasi una canzone su 4 contiene volgarità.
E c’è stata un’evoluzione storica: negli anni ‘60 ne ha usate solo 11, che sono salite a 15 negli anni ‘70, ma i picchi si sono registrati nell’ultima parte della sua carriera: 16 parolacce negli anni ‘80, tutte concentrate nell’album in genovese “Crueza de ma”, e 19 negli anni ‘90 in due album.
Per ogni decennio, una media di 15 parolacce, ma con concentrazioni ben diverse: negli anni ‘60 e ‘70 viaggiava a 2-3 parolacce ad album, ma nel ventennio successivo è salito a 8-9,5 parolacce ad album.

Le statistiche principali delle scurrilità di De Andrè (clic per ingrandire).

Da questa analisi emergono altre curiosità: l’album con più canzoni volgari è del 1971, “Non al denaro non all’amore né al cielo” (5). E la canzone più densa di espressioni scurrili è “A DUMENEGA” (10), in genovese.
I lemmi volgari (di cui più in basso trovate l’elenco completo, strofa per strofa) sono 33 in 62 strofe. E’ una tavolozza molto varia: solo 8 hanno una frequenza di 3 volte o superiore. Sono questi: belìn (cazzo), (culo): 6; idiota: 4, bagascia (puttana), carogna, cornuto, porco, puttana: 3. Approfondirò più avanti il significato di questi usi prevalenti.
Ma il dato più interessante di tutti è il tipo di parolacce: la maggior parte (55%) sono insulti, seguiti da termini sessuali (34%). Hanno invece un ruolo marginale i modi di dire (6%), i termini escrementizi (3%) e le maledizioni (2%: il vaffa, per intenderci).

LE PAROLACCE PIÙ FAMOSE

Via del Campo a Genova, con una targa dedicata a De Andrè.

Una delle scurrilità più famose risale ai primi dischi di De Andrè, e si trova nel brano “VIA DEL CAMPO”, del 1967. Il testo descrive uno dei vicoli più malfamati nella Genova degli anni Sessanta, perché rifugio di prostitute, travestiti e gente povera, ossia quegli “ultimi” ai quali il cantautore genovese ha sempre prestato particolare attenzione nei suoi brani. Dopo un inizio molto poetico (“Via del Campo c’è una graziosa, gli occhi grandi color di foglia”), la terza strofa è come un pugno nello stomaco:  Via del Campo c’è una puttana, gli occhi grandi color di foglia, se di amarla ti vien la voglia, basta prenderla per la mano”. Il cambio di registro è sottolineato, musicalmente, da un cambio di tonalità: si sale di un tono e mezzo, passando dal la minore al do minore. In questo modo, la parolaccia raddoppia la sua efficacia, aggiungendo un crudo realismo a una descrizione che rimane garbata. Un risultato non facile da ottenere.

Un’altra strofa a tinte forti che è passata alla storia si trova in “UN GIUDICE” (1971). Il brano racconta di un giudice che si compiace del potere di essere “arbitro in terra del bene e del male” come forma di vendetta per l’emarginazione e il dileggio che ha subìto a causa della sua bassa statura. Il testo a un certo punto dice: “La maldicenza insiste, batte la lingua sul tamburo, Fino a dire che un nano è una carogna di sicuro, Perché ha il cuore troppo, troppo vicino al buco del culo”. Anche in questo caso, la parolaccia, inserita al termine di una strofa con uno stacco musicale, ha una grandissima efficacia anche sonora, perché è un improvviso cambio di registro che non passa inosservato.
La canzone, com’è noto, è ispirata all’Antologia di Spoon River (1915) di Edgar Lee Masters,che in Italia fu tradotta da Fernanda Pivano. A lei che gli domanda, nelle note di copertina, come mai abbia usato parole di un linguaggio contemporaneo quasi brutale, De Andrè ha risposto così: «Anche il vocabolario al giorno d’oggi è un po’ cambiato, e io ero spinto soprattutto dallo sforzo di spiegare il vero significato di queste cose. Quanto alla definizione del giudice, questo è un personaggio che diventa una carogna perché la gente carogna lo fa diventare carogna: è un parto della carogneria generale. Questa definizione è una specie di emblema della cattiveria della gente».

Arriviamo poi nel 1984 per ascoltare il brano di De Andrè che ha il numero più alto di parolacce (10) presenti, seppur mitigate dall’uso del genovese: “Ä DUMÉNEGA”. Il brano parla della passeggiata domenicale delle prostitute genovesi, che fino al 1800 erano emarginate, anche se grazie alle loro tasse il Comune riusciva a pagare i lavori del porto. Così la domenica il popolino esce “a guardare le figlie del diavolo, che cazzo di lavoro che cazzo di lavoro”. E le insulta, elencando le loro specialità a seconda delle zone: “a Pianderlino succhia cazzi, alla Foce cosce da schiaccianoci, in Carignano fighe di terza mano, e a Ponticello gli mostrano l’uccello”. Fra quanti le offendono, c’è anche il direttore del porto, il direttore del porto “che ci vede l’oro in quelle chiappe a riposo dal lavoro. Per non fare vedere che è contento, che il molo nuovo ha il finanziamento, si confonde nella confusione con l’occhio pieno di indignazione, e gli grida gli grida dietro: “bagasce siete e ci restate”. Ma a svelare la sua ipocrisia e a rimetterlo al suo posto ci pensa lo stesso De Andrè: “brutto stronzo di un portatore di Cristo, non sei l’unico che se ne è accorto che in mezzo a quelle creature che si guadagnano il pane da nude c’è c’è c’è c’è c’è anche tua moglie”.

Copertina di “Le nuvole” (1990).

Si stacca, invece, dagli altri brani a sfondo erotico, un’altra canzone storica: “LA DOMENICA DELLE SALME” (1990). E’ un brano politico, onirico e denso di immagini, è una descrizione allusiva del clima dell’Italia di quegli anni. Come racconta il coautore Mauro Pagani: “è la descrizione lucida e appassionata del silenzioso, doloroso e patetico colpo di Stato avvenuto intorno a noi senza che ci accorgessimo di nulla, della vittoria silenziosa e definitiva della stupidità e della mancanza di morale sopra ogni altra cosa. Della sconfitta della ragione e della speranza”. La canzone è sostanzialmente un’invettiva, un urlo di dolore indignato sulla società e la politica. E come Dante Alighieri usò il lessico basso per esprimere un analogo urlo nel “Purgatorio” (“Ahi serva Italia, di dolore ostello, nave sanza nocchiere in gran tempesta, non donna di province, ma bordello!”) anche De Andrè non si risparmia. Dice dei polacchi che “rifacevano il trucco alle troie di regime”: un riferimento, spiegò, “alla nostra bella società capitalistica; ex comunisti pronti a convertirsi il prima possibile per dimenticare un passato troppo ingombrante (ed esserne così dispensati l’anno dopo)”. Più avanti parla del “ministro dei temporali, in un tripudio di tromboni, auspicava democrazia con la tovaglia sulle mani e le mani sui coglioni”. Durante il colpo di Stato strisciante, i politici che lo hanno in qualche modo appoggiato se non organizzato auspicano, ovviamente, una “loro” democrazia. Per timore che questa venga davvero, fanno il gesto scaramantico di toccarsi i testicoli: un modo per descrivere la volgarità dei loro pensieri, prima ancora che dei loro gesti.
Poi De Andrè canta della “scimmia del quarto Reich che ballava la polka sopra il muro”, un riferimento ai rigurgiti neonazisti in Germania. Aggiungendo che “mentre si arrampicava, le abbiamo visto tutti il culo”, ovvero la sua repellente fragilità. C’è anche un riferimento ai cantanti, che invece di denunciare le storture di questa epoca si sono venduti ai vari potenti di turno, dai comunisti ai leghisti (longobardi): per questo sono stati abbandonati in malo modo dal pubblico (ci guardarono cantare per una mezz’oretta, poi ci mandarono a cagare”). Le loro “voci potenti”, aggiunge con amara autoironia, sarebbero state “adatte per il vaffanculo”. Una specie di profezia del movimento 5 stelle, che ha esordito proprio con un “Vaffa day”.

La copertina di “Anime salve” (1996)

L’ultimo, celebre brano scurrile è “PRINÇESA(1996). E’ la storia di un transessuale realmente esistito, Fernandinho Farias de Albuquerque detto “Prinçesa” perché, nel ristorante dove lavorava, sapeva cucinare il filetto alla parmigiana in modo sublime. De Andrè racconta il suo dramma con termini realisticamente crudi, fin dalla prima strofa: “Sono la pecora sono la vacca, Che agli animali si vuol giocare, Sono la femmina camicia aperta, piccole tette da succhiare”. Quando deve descrivere i suoi rapporti sessuali, tuttavia, De Andrè preferisce prendere le distanze con un linguaggio alto: “Dove tra ingorghi di desideri, alle mie natiche un maschio s’appende, nella mia carne tra le mie labbra, un uomo scivola, l’altro si arrende”. Ma poi torna a descrivere, senza giri di parole, il sogno di Fernandinho di diventare donna: “davanti allo specchio grande Mi paro gli occhi con le dita a immaginarmi tra le gambe una minuscola fica”. Anche in questo caso, la parolaccia, fortissima, giunge inaspettata alla fine della strofa, seguita da un breve intermezzo strumentale come a lasciarla sedimentare (o addolcire) nell’ascoltatore.

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DE ANDRÈ, TUTTE LE PAROLACCE STROFA PER STROFA

Ecco l’elenco di tutte le parolacce di De Andrè, strofa per strofa.

PAROLACCIA E STROFA CANZONE ALBUM
bagascia (puttana)
bagasce sëi e ghe restè (bagasce siete e ci restate) A dumenega Crêuza de mä
sultan-a de e bagasce (sultana delle troie) Jamin-a Crêuza de mä
e ‘nte l’àtra stànsia è bagàsce a dà ou menù (e nell’altra stanza le bagasce a dare il menù) Megu megùn Le nuvole
becchino
i becchini ne raccolgono spesso fra la gente che si lascia piovere addosso. Canzone del padre Storia di un impiegato
signor becchino mi ascolti un poco Il testamento Volume III
belìn (cazzo)
o belin che festa o belin che festa (cazzo che festa cazzo che festa) A dumenega Crêuza de mä
che belin de lou che belin de lou (che cazzo di lavoro, che cazzo di lavoro) A dumenega Crêuza de mä
a Ciamberlinú sûssa belin (a Pianderlino succhia cazzi) A dumenega Crêuza de mä
a sfurtûn-a a l’è ‘n belin ch’ù xeua ‘ngiu au cû ciû vixín  (la sfortuna è un cazzo che vola intorno al sedere più vicino) Sinàn capudàn pascià Crêuza de mä
Uh che belin de ‘n nolu che ti me faièsci fa (Uh che cazzo di contratto mi faresti fare) Megu megùn Le nuvole
a sfurtûn-a a l’è ‘n grifun ch’u gia ‘ngiu ä testa du belinun (la sfortuna è un avvoltoio
che gira intorno alla testa dell’imbecille)
Sinàn capudàn pascià Crêuza de mä
bordello
E Maggie uccisa in un bordello dalle carezze di un animale La collina Non al denaro non all’amore né al cielo
cagare
poi ci mandarono a cagare La domenica delle salme Le nuvole
calaba (casino)
nu l’è l’aaegua de ‘na rammâ ,n calaba ‘n calaba (Non è l’acqua di un colpo di pioggia
(ma) un gran casino, un gran casino)
Dolcenera Anime Salve
carogna
Tanto più che la carogna è già abbastanza attenta Morire per delle idee Canzoni
fino a dire che un nano e’ una carogna di sicuro, Un giudice Non al denaro non all’amore né al cielo
conoscemmo anzitempo la carogna che ad ogni ambito sogno mette fine Recitativo (corale) Tutti morimmo a stento
casin (casino)
veuggiu anâ a casín veuggiu anâ a casín (voglio andare a casino voglio andare a casino) A dumenega Crêuza de mä
cialtrone
ciò detto agì da gran cialtrone Carlo Martello ritorna dalla battaglia di Poitiers Volume I
coglioni
auspicava democrazia con la tovaglia sulle mani e le mani sui coglioni La domenica delle salme Le nuvole
però bisogna farne altrettanta per diventare così coglioni Nella mia ora di libertà Storia di un impiegato
cornuto
e rivolgendosi alle cornute, le apostrofò con parole argute Bocca di rosa Volume I
briganti, papponi, cornuti e lacchè Don Raffaè Le nuvole
con tanti auguri per chi c’è caduto di conservarsi felice e cornuto Il testamento Volume III
cretino
sian furbi o siano cretini li fulminerà. Girotondo Tutti morimmo a stento
cù (culo)
a sfurtûn-a a l’è ‘n belin ch’ù xeua ‘ngiu au cû ciû vixín  (la sfortuna è un cazzo che vola intorno al sedere più vicino) Sinàn capudàn pascià Crêuza de mä
se ti gii ‘a tèsta ti te vèddi ou cù (se giri la testa ti vedi il culo) Megu megùn Le nuvole
e mentre si arrampicava le abbiamo visto tutti il culo La domenica delle salme Le nuvole
perché ha il cuore troppo troppo vicino al buco del culo. Un giudice Non al denaro non all’amore né al cielo
e a un dio fatti il culo non credere mai. Coda di lupo Rimini
e pa lu stantu ponimi la faccia in culu. (e nel frattempo mettimi la faccia in culo.) Zirichiltaggia Rimini
fica
tra le gambe una minuscola fica Prinçesa Anime Salve
galûsciu (stronzo)
bruttu galûsciu de ‘n purtòu de Cristu (brutto stronzo d’un portatore di Cristo) A dumenega Crêuza de mä
idiota
Quando scadrà l’affitto di questo corpo idiota Cantico dei drogati Tutti morimmo a stento
Con l’idiota in giardino ad isolare le tue rose migliori Canzone per l’estate Volume 8
Son morto in un esperimento sbagliato, proprio come gli idioti che muoion d’amore. Un chimico Non al denaro non all’amore né al cielo
Intellettuali d’oggi, idioti di domani Il bombarolo Storia di un impiegato
infame
Tutto il giorno con quattro infamoni, Don Raffaè Le nuvole
loèugu (cesso)
loèugu de ‘n spesià (cesso d’un farmacista) Megu megùn Le nuvole
mussa (fica)
fatt’ammiâ Jamin-a roggiu de mussa pin-a (fatti guardare Jamina, getto di fica sazia) Jamin-a Crêuza de mä
in Caignàn musse de tersa man (in Carignano fiche di terza mano) A dumenega Crêuza de mä
nèsciu (scemo)
Na carèga dùa nèsciu de ‘ n turtà (Una sedia dura, scemo di un tortaio) Megu megùn Le nuvole
öxellu (uccello)
e in Puntexellu ghe mustran l’öxellu (e a Ponticello gli mostrano l’uccello) A dumenega Crêuza de mä
pappone
briganti, papponi, cornuti e lacchè Don Raffaè Le nuvole
piscia
in quel pozzo di piscio e cemento Khorakhanè Anime Salve
porco
cianciare ancora delle porcate mangiate in strada nelle ore sbagliate La collina Non al denaro non all’amore né al cielo
“E’ mai possibile, porco d’un cane,
che le avventure in codesto reame
Carlo Martello ritorna dalla battaglia di Poitiers Volume I
ti me perdunié se nu riûsciò a ésse porcu cumme i teu pensë (mi perdonerai se non riuscirò a essere porco come i tuoi pensieri Jamin-a Crêuza de mä
puttana
Via del Campo c’è una puttana Via del campo Volume I
ad ogni fine di settimana sopra la rendita di una puttana Il testamento Volume III
che le avventure in codesto reame debban risolversi tutte con grandi puttane. Carlo Martello ritorna dalla battaglia di Poitiers Volume I
scciappe (chiappe)
nte quelle scciappe a reposu da a lou (in quelle chiappe a riposo dal lavoro) A dumenega Crêuza de mä
scemo
Lo costrinse a viaggiare una vita da scemo Un blasfemo Non al denaro non all’amore né al cielo
si divide la piazza tra un villaggio che ride e te, lo scemo, che passa, Un matto (dietro ogni scemo c’è un villaggio) Non al denaro non all’amore né al cielo
sputtanare
è una storia un po’ sputtanata o è una storia sbagliata Una storia sbagliata Fabrizio De Andrè
tette
sono la femmina camicia aperta, piccole tette da succhiare Prinçesa Anime Salve
e a stu luciâ de cheusce e de tettín (e a questo dondolare di cosce e di tette) A dumenega Crêuza de mä
troia
Vostro Onore, sei un figlio di troia, Canzone del padre Storia di un impiegato
rifacevano il trucco alle troie di regime La domenica delle salme Le nuvole
vacca
Sono la pecora sono la vacca Prinçesa Anime Salve
vaffanculo
voi avevate voci potenti adatte per il vaffanculo La domenica delle salme Le nuvole
xàtta (pappone)
tùtti sùssa rèsca da ou xàtta in zù (tutti succhiatori di lische dal pappone in giù) Megu megùn Le nuvole

Gli argomenti: insulti e sesso

Ecco la statistica dettagliata dei termini volgari, suddivisi per tipologia:

insulti: 18 termini, 34 ricorrenze idiota: 4 volte

bagascia (puttana), carogna, cornuto, porco, puttana: 3 volte

becchino, scemo, troia: 2 volte

cialtrone, cretino, galûsciu (stronzo), infame, nèsciu (scemo), loèugu (cesso), pappone, vacca, xàtta (pappone): 1 volta

sesso: 8 termini, 21 ricorrenze belìn (cazzo), (culo) : 6 volte

coglioni, mussa (fica), tette: 2 volte

fica, öxellu (uccello), scciappe (chiappe): 1 volta

enfasi, modi di dire: 4 termini, 4 ricorrenze bordello, calaba (casino), casin (casino), sputtanare: 1 volta
maledizioni: 1 termine, 1 ricorrenza vaffanculo: 1 volta

Copertina di “In direzione ostinata e contraria” (2005, antologia)

La maggior parte delle parolacce, quindi sono insulti. E questo non stupisce: nelle sue canzoni, De Andrè prende posizione apertamente, e gli insulti non sono altro che giudizi sommari di condanna verso una persona nella sua totalità. Ma che genere di insulti preferiva De Andrè? Quelli che disprezzano la mancanza di intelligenza (5): idiota, scemo, cialtrone, cretino, nèsciu. Ma ha altrettanto peso il disprezzo per chi si comporta in modo scorretto (4): cialtrone, carogna, galûsciu, infame. Sono tutti insulti che squalificano personaggi tronfi, disonesti, ignoranti.
E poi c’è una serie di insulti sulla morale sessuale: 4 sulle prostitute (puttana, bagascia, vacca, troia), e i corrispettivi maschili che designano i sessuomani (porco) e gli sfruttatori delle prostitute (pappone, xàtta).
Ma attenzione: come molti sanno, De Andrè frequentava le prostitute, e almeno con una si fidanzò («Prima di incontrare mia moglie ho conosciuto e amato, molto amato, una donna di strada. Però sono stato vigliacco e ipocrita: ecco, qui sono rimasto borghese. No, non l’avrei mai sposata»). Quindi di certo non le disprezzava: anzi, di loro diceva che «Sono semplici, spontanee, hanno le loro grandi crisi ma si spaccano come meloni, sono aperte e non piangono mai». Il termine spregiativo “puttana”, in realtà, è usato per incarnare la morale comune (la “morale borghese”, come la chiamava). Ed è anche un modo crudo di descrivere un mestiere crudo.

Ma quale peso hanno, in media, le volgarità scelte da De Andrè? Sappiamo che le parolacce non sono tutte uguali: alcune hanno un impatto più forte di altre, come ho mostrato col volgarometro. Difficile però valutare le scelte lessicali di De Andrè: se si escludono “coglioni”, “vaffanculo”, “puttana” e “idiota”, i termini volgari in genovese – nella sua percezione personale – li considerava meno pesanti. «A Genova, chiunque dica mussa o belìn non provoca alcuno scandalo, ma se lo dici in italiano casca il mondo». Dunque, nella sua ottica, ha usato per lo più scurrilità di intensità media.

DENUNCE E CENSURE

Copertina di “Carlo Martello torna dalla battaglia di Poitiers” (1962).

Inserire parolacce nelle canzoni non è indolore. Soprattutto in passato, quando la sensibilità verso le parole forti era molto più alta rispetto a oggi. E così De Andrè ha avuto qualche grattacapo legale: una delle sue prime canzoni, “CARLO MARTELLO RITORNA DALLA BATTAGLIA DI POITIERS” (1962) è un brano goliardico, che racconta, sotto l’apparente veste di una ballata celebrativa, il ritorno vittorioso dalle gloriose gesta belliche contro i Mori. Ma il re dei franchi quando vede una pastorella, la vuole concupire, scoprendo poi che è una prostituta. Al che Martello sbotta in un «È mai possibile, o porco di un cane, che le avventure in codesto reame debban risolversi tutte con grandi puttane». Il verso fu denunciato per oscenità, ma nel 1968 De Andrè fu assolto  “perché il fatto non sussiste”. Il commento di De Andrè è illuminante sul suo uso delle parolacce come forma di sincerità: “Definire pornografica una pagina come Carlo Martello è inammissibile. A meno che per pornografia non si intenda chiamare le cose col loro vero nome, rifiutando l’ipocrisia dei doppi sensi e delle metafore. Con questa canzone ho voluto demitizzare quel certo alone che siamo abituati a porre intorno ai personaggi storici. Tendiamo a divinizzarli, dimenticando che furono uomini come noi, con voglie e difetti umani. La mia, dunque, non è oscenità ma lotta alla retorica”. La testimonianza svela in modo inequivocabile il rapporto di De Andrè con le parolacce: servono a chiamare le cose col loro nome. In quella stessa canzone, tra l’altro, il testo originale aveva anche un altro verso volgare, che però fu corretto prima di incidere il disco: il verso «frustando il cavallo come un mulo, quella gran faccia da culo» fu trasformato in: «frustando il cavallo come un ciuco, tra il glicine e il sambuco».

In “BOCCA DI ROSA” (1967), dedicata a una donna controcorrente, a cui piaceva il sesso e non lo nascondeva, era previsto un verso che diceva: “spesso gli sbirri e i Carabinieri al proprio dovere vengono meno, ma non quando sono in alta uniforme e l’accompagnarono al primo treno”. Ma lo spregiativo “sbirri” non piacque all’Arma, che chiese a De Andrè di correggere il testo. Che diventò: “Il cuore tenero non è una dote di cui sian colmi i Carabinieri, ma quella volta a prendere il treno l’accompagnarono malvolentieri”.

Il singolo della “Canzone di Marinella”.

Anche “LA CANZONE DI MARINELLA” (1968) – dedicata a una prostituta di 33 anni, Maria Boccuzzi, trovata uccisa in un fiume alla periferia di Milano – era nata in origine come canzone “quasi pornografica, molto spinta”, raccontò De Andrè. “Poi una persona che allora mi era particolarmente vicina mi ha fatto capire che quella canzone poteva diventare un grosso successo, e ne è venuta fuori una canzone a cui ci si poteva avvicinare tranquillamente, senza il pericolo di offendere la morale o il buon costume”.

Nella “CITTÀ VECCHIA” (1974), una canzone dedicata ai bassifondi di Genova, popolati da donnacce, ladri e ubriachi, c’era in origine un verso pesante: “quella che di giorno chiami con disprezzo specie di troia”. Fu corretto in “quella che di giorno chiami con disprezzo pubblica moglie”. E in un verso c’è la versione addolcita di un volgare modo di dire: “per dimenticare d’esser stati presi per il sedere” (invece che “per il culo”). 

Sesso allusivo e sesso esplicito

Molti brani di De Andrè parlano di sesso. Descrivono le onde della passione, i rapporti amorosi, e a volte persino gli amplessi. Ma lo fanno, in genere, puntando su termini allusivi ed evocativi: “ANDREA” (1978) parla di un amore omosessuale, ma senza alcuna indulgenza (“Andrea aveva un amore, riccioli neri”). Nel “GORILLA” (1968) canta “con poco senso del pudore, le comari di quel rione, contemplavano lo scimmione, non dico dove non dico come” (gli guardavano il sesso). Nel “GIUDICE” (1971) allude alla diceria secondo cui le persone basse siano superdotate: “la curiosità di una ragazza irriverente, che li avvicina solo per un suo dubbio impertinente. Vuole scoprir se è vero quanto si dice intorno ai nani: che siano i più forniti della virtù meno apparente, fra tutte le virtù la più indecente”.

Per quanto riguarda strettamente gli atti sessuali, nelle sue canzoni sono presenti diversi rimandi allusivi ma molto efficaci. In “AMICO FRAGILE” (1975) descrive l’eccitazione senza termini osceni: “Potevo stuzzicare i pantaloni della sconosciuta fino a vederle spalancarsi la bocca”. E così in “DOLCENERA” (1996) “il lenzuolo si gonfia sul cavo dell’onda, e la lotta si fa scivolosa e profonda”.

La copertina di ” Crêuza de mä ” (1984)

Ma la canzone più emblematica è “JAMIN-A” (1984), un brano fortemente erotico: parla dell’amplesso con una donna algerina dalla sensualità senza freni. De Andrè ha parlato di questa canzone in termini crudi e provocatori: «In Jamin-a descrivo una scopata che mi sono fatto. C’è qualcosa di erotico a un livello un po’ più alto che non “Ti spacco il culo brutta troiaccia”». La canzone, infatti, inizia con una descrizione allusiva (che qui traduco dal genovese): “Lingua infuocata Jamin-a, lupa di pelle scura, con la bocca spalancata, morso di carne soda, stella nera che brilla, mi voglio divertire, nell’umido dolce del miele del tuo alveare”. Poi il testo diventa decisamente diretto, contraddicendo – almeno in apparenza – il proposito dell’autore di “volare alto”: “Fatti guardare Jamina, getto di fica sazia, e la faccia nel sudore, sugo di sale di cosce, dove c’è pelo c’è amore, sultana delle troie” (Fatt’ammiâ Jamin-a, Roggiu de mussa pin-a. E u muru ‘ntu sûù, Sûgu de sä de cheusce, Duve gh’è pei gh’è amù, Sultan-a de e bagasce”).
Ecco come De Andrè spiega questa apparente contraddizione: «Mi sono nascosto dietro il dialetto genovese perché certe parole, che in italiano hanno un significato fortemente volgare, in genovese perdono questa connotazione. A Genova belìn, che individua l’organo genitale maschile, è un lubrificante del linguaggio, del tutto privo di valenza negativa. La stessa cosa per mussa, che invece indica l’organo genitale femminile e, per traslato, vuol dire balla».

Di questo post hanno parlato AdnKronos, l’Unione Sarda, il Corriere quotidiano.

Dedico questa ricerca alla memoria del mio amato zio Enzo Tartamella,
che al telefono, dalla Sicilia, ha guidato con frasi brevi e fulminanti
i miei primi passi nel giornalismo.
Mi mancheranno le nostre chiacchierate su tutto.
E le canzoni di De André da cantare insieme d’estate.
Mi sento molto più solo senza di te. RIP

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L’altra faccia dello stronzo https://www.parolacce.org/2018/11/20/significato-insulto-stronzo/ https://www.parolacce.org/2018/11/20/significato-insulto-stronzo/#comments Tue, 20 Nov 2018 11:03:31 +0000 https://www.parolacce.org/?p=14861 Quanti significati nasconde la parola “stronzo”? La domanda non è bizzarra: come molte parolacce è sfuggente, difficile da definire. E’ un concentrato di significati, come un file zippato. In più il suo senso cambia se ci si sposta dal Nord al Centro-Sud… Continue Reading

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Un popolare meme (da memegen).

Quanti significati nasconde la parola “stronzo”? La domanda non è bizzarra: come molte parolacce è sfuggente, difficile da definire. E’ un concentrato di significati, come un file zippato. In più il suo senso cambia se ci si sposta dal Nord al Centro-Sud dell’Italia.
Me ne sono reso conto di recente, grazie a un fatto di cronaca: a Napoli, su un treno della Circumvesuviana, c’era un giovane che maltrattava un immigrato pakistano. Una passeggera l’ha difeso, criticando l’atteggiamento dell’aggressore: “Vergognati!” gli ha detto. Ma lui non ha desistito: anzi, con insensato orgoglio le ha risposto di essere “razzista”. Allora la donna gli ha replicato: “Tu nun sì razzista, sì strunz!” (“Tu non sei razzista, sei stronzo!”).
La scena, ripresa con un telefonino da chi aveva assistito alla scena, è diventata virale sui social. E ha scatenato, su Twitter, gli interventi dei napoletani, che hanno voluto precisare il senso autentico dell’espressione “strunz”: «In lingua napoletana, strunz equivale a “omm’ ‘e merd‘”, uomo di merda, di poco valore. Non è un insulto generico è n’a cos’ pesante!», ha scritto uno dei commentatori.

Pubblicità della birra “Stronzo” (Danimarca).

L’episodio mi ha fatto capire che occorreva tornare sull’argomento, per sviscerare (appunto) il significato di stronzo. In una puntata precedente, infatti, avevo messo a fuoco un’accezione, quella più diffusa al Nord Italia: qui significa “persona sociopatica“, ovvero egoista, manipolatrice, indifferente agli altri e alle regole sociali. Una persona che non si preoccupa di far male agli altri pur di avere un vantaggio per sè stesso. E per questo una persona degna di disprezzo e di odio, al punto da essere paragonata a uno sterco: stronzo – ricordiamolo – deriva dal longobardo strunz, escremento solido di forma cilindrica. Una parola con una sonorità molto espressiva, tanto da essere l‘8a parolaccia più pronunciata in Italia. E da essere stata scelta, fuori dall’Italia, per denominare una birra (vedi qui) e anche una pizzeria (vedi qui).

In questa puntata, invece, scopriremo gli altri significati che questa parola assume al Centro-Sud: l’altro modo di essere stronzi (e ugualmente disprezzati). Nel frattempo, nel riquadro qui sotto racconto un paio di aneddoti gustosi sull’episodio capitato a Napoli: ha un precedente politico insospettabile.

[ clicca sul + per aprire il riquadro ]

UN PREMIO E UN LOGO

Il logo ispirato dall’episodio sulla Circumvesuviana.

Ecco un paio di dettagli gustosi sull’episodio capitato a Napoli. La protagonista dell’episodio si chiama Maria Rosaria Coppola, e lavora come sarta alla Rai. E’ diventata celebre non solo per la sua risposta fulminante al giovane, ma anche perché aveva mostrato un notevole coraggio nell’affrontarlo. Di fronte alle sue minacce, infatti, gli ha risposto: “Se ti vedo alzare un pugno” gli ha detto, “prendo l’ombrello e te lo scasso in testa”.
L’episodio ha avuto varie conseguenze inattese. La signora Coppola, pochi giorni dopo, ha ricevuto il premio “Cittadina coraggiosa” da Umberto De Gregorio, presidente dell’Eav (Ente Autonomo Volturno, che gestisce la linea ferroviaria Circumvesuviana). A fine anno, poi, è stata persino nominata Ufficiale dell’Ordine al Merito della Repubblica Italiana dal presidente Sergio Mattarella: Per il coraggio e lo spirito di iniziativa con cui ha pubblicamente difeso un giovane straniero vittima di una aggressione razzista”.
L’episodio, infine, ha ispirato anche un utente di Twitter,
Mr Sharif, mediatore culturale, a creare un logo: ombrello, guanto da pugile e la storica frase “Tu nun sì razzista, sì strunz”.
Senza nulla togliere al coraggio della donna, però, la primogenitura di quella frase non è sua: è di Gianfranco Micciché, presidente della Regione Sicilia. Quando il ministro dell’Interno Matteo Salvini aveva bloccato a Catania la nave Diciotti con a bordo 190 migranti per forzare una trattativa sui migranti con le autorità europee, Miccicchè aveva scritto un intervento furioso su Facebook: “Non so come tu riesca a dormire al pensiero di quanta sofferenza si stia procurando nel tuo nome… Salvini, non agisci così perché intollerante o razzista. Perché nel lasciare 190 persone per tre giorni in balìa di malattie e stenti su una nave non c’entra niente la razza o la diversità, c’entra l’essere disumani, sadici. E per cosa poi, per prendere 100 voti in più?  Salvini, fattene una ragione, non sei razzista: sei solo stronzo”. Per questa frase, però, Miccicchè non ha ricevuto alcun premio (anzi, per Salvini la Procura di Catania ha chiesto di recente l’archiviazione).

Quali sono allora i significati della parola stronzo al Centro-Sud? Lo spieghiamo con un linguista d’eccezione: Gigi Proietti. Che ha dedicato a questo argomento una parte dello spettacolo “Serata d’onore” (2004), da cui è tratto il video qui sotto: 3 minuti e mezzo di puro divertimento. La mia analisi prosegue dopo il video.

 In questo sketch, Proietti mette in luce 2 sfumature della parola stronzo:

  1. barzelletta del “matto” e della “coda alla cassa”: in questi due casi, la parola stronzo è usata nel senso di inetto. Equivale a coglione, idiota, imbecille, quaquaraquà, pirla, nullità
  2. barzelletta dell’”incidente sfiorato”: qui stronzo ha il significato di incauto, irresponsabile. Equivale a testa di cazzo.

Quale di questi 2 significati avrà avuto in mente la signora della Circumvesuviana? Bisognerebbe chiederlo a lei. In ogni caso, come potete vedere, dentro una parolaccia si nasconde un mondo di significati. Altro che stronzate!
Dunque, concludendo, “stronzo” può significare 3 cose diverse: egoista cattivo (come raccontavo nell’articolo precedente); inetto; irresponsabile. Ovvero bastardo, coglione e testa di cazzo. Strana equivalenza, ma con le parolacce è così. Sono tutti comportamenti odiosi, ma diversi fra loro. E, a volte, ugualmente presenti in una stessa persona: non è sempre facile tracciare una linea di demarcazione netta fra uno e l’altro. Insomma, ognuno è stronzo a modo suo, e l’insulto è un jolly linguistico che si adatta alle diverse situazioni.
Concludo questo argomento con una canzone dedicata allo stronzo (nel senso centro-meridionale): “Che felicità”, di Giorgio Bracardi, pubblicata nel cd “Craccracriccrecr” insieme agli amici Elio e le storie tese. Ecco la prima strofa:

Io sono stronzo. Testa de cazzo.

Oho ohooo, oho ohooo.

Io vado a zonzo come ‘no stronzo.

Oho ohooo, che felicità….  

Per saperne di più su stronzi & stronzate, ecco altri articoli sull’argomento:

quali fattori mentali ci rendono più vulnerabili a credere alle stronzate

chi è lo stronzo

che cosa significa la faccia da stronzo

Le fonti (nascoste) delle stronzate

l’incredibile storia del professor Stronzo Bestiale

Di questo argomento (e diversi altri) ho parlato con Nicola e Gianluca Vitiello a Dee Notte su Radio DeeJay nella puntata del 3 dicembre.
Potete ascoltare l’audio del mio intervento cliccando sul riproduttore qui sotto:

 

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Le parolacce di Elio e le storie tese (e video-intervista a Rocco Tanica) https://www.parolacce.org/2017/12/19/turpiloquio-canzoni-elio/ https://www.parolacce.org/2017/12/19/turpiloquio-canzoni-elio/#comments Tue, 19 Dec 2017 09:00:56 +0000 https://www.parolacce.org/?p=13415 Per un linguista, studiare le parolacce di Elio e le storie tese è come per un bambino entrare in un negozio di giocattoli: non uscirebbe mai. Mi sono sentito così nelle scorse settimane: le ho passate a studiare tutte le canzoni… Continue Reading

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Elio e le storie tese: maestri di musica… e di turpiloquio (gentile concessione Hukapan).

Per un linguista, studiare le parolacce di Elio e le storie tese è come per un bambino entrare in un negozio di giocattoli: non uscirebbe maiMi sono sentito così nelle scorse settimane: le ho passate a studiare tutte le canzoni (164) che gli Elii hanno scritto in 37 anni di carriera, facendo il primo censimento ragionato delle loro volgarità. Passare in rassegna il loro turpiloquio mi ha fatto entrare nei gangli del loro mondo artistico, popolato di personaggi fantastici (l’orsetto ricchione, Supergiovane,  Shpalman), piccoli trattati sociologici (“Fossi figo”, “La follia della donna”, “Licantropo vegano”) e psicologici (“Cara ti amo” e “Servi della gleba”), parodie (“Burattino senza fichi”, “Pensiero stupesce”, “La bella canzone di una volta”)…
Un mondo raccontato con un caleidoscopio di invenzioni linguistiche: neologismi (craccracriccrecr, namalagamba, olfare, fenderi), arcaismi (ignudi, energumeni, capinere), termini scientifici (anellide, meato, benzodiazepine), forestierismi (inglese, ma anche bulgaro, turco e singalese), espressioni gergali (paciugo, uollano)…

E parolacce, tante parolacce. Ne ho contate 55 diverse, che ricorrono 224 volte (nel calcolo ho inserito anche quella contenuta nell’ultimo album “Arrivedorci“). Credo che nessun artista abbia saccheggiato il dizionario scurrile con tanta padronanza e fantasia, attingendo da espressioni colloquiali, gergo giovanile, dialetti (dal milanese al siciliano). E reinventandoli con nuove storpiature. Eppure, nessuna di queste parolacce è buttata lì solo per fare scandalo: anzi, ha un ruolo preciso nella narrazione delle loro storie.
Ripercorrere le loro volgarità è il modo migliore per celebrare (ahinoi) il loro scioglimento: piegandosi dal ridere. Tanto più che ho avuto il privilegio di approfondirle direttamente con uno degli autori: Rocco Tanica. Abbiamo passato un pomeriggio a parlare del lato scurrile degli Elii: condivido una parte di questo frizzante incontro nella videointervista che trovate qui sotto. Una delle più divertenti che mi sia capitato di fare. Grazie Rocco!!

Le scurrilità degli Elii: come e perché  le hanno usate

Rocco Tanica (gentile concessione Hukapan).

Come ha confermato anche Rocco (tastierista della band e coautore di molti celebri brani), nessuna di queste volgarità è usata in modo sciatto, messa lì solo per fare audience. «La parolaccia fine a se stessa non fa ridere» conferma Rocco. «Se l’intenzione è sviluppare una canzone che possa durare nel tempo, deve parlare di qualcosa: se hai una storia da raccontare, allora la parolaccia ha un senso perché può essere usata come un fregio, un merletto. In generale, non abbiamo mai scritto canzoni con volgarità gratuite, tranne “La ditta”, un brano in cui la parolaccia è fine a se stessa (una strofa: “Mangio merda di cane, frammista alla merda di alcune puttane”). In genere, comunque, stiamo stati attenti a dosare le scurrilità. Anzi, nei nostri primi dischi ci siamo preoccupati di realizzare versioni “blippate” delle nostre canzoni, ovvero ripulite dalle parolacce. Ma è stata una preoccupazione inutile: la verità è che le radio, tranne rare eccezioni, non hanno mai trasmesso nostre canzoni».
Le parolacce degli Elii sono come i colori per un pittore, o gli stili per un musicista: servono a rendere ricco e variopinto il loro racconto, un crogiolo di citazioni culturali e musicali, figlio della loro insaziabile curiosità. E portano una ventata di spensierata goliardia nei loro racconti. Servono a rendere comici i loro testi, ma anche a esprimere un ventaglio di emozioni (oscenità, rabbia, provocazione…).
E, in più, l’incisività dei suoni di alcune parolacce riesce ad arricchire l’efficacia dei testi. Come il finale di “Parco Sempione”: “Se ne sono battuti il cazzo, ora tirano su un palazzo, han distrutto il bosco di Gioia, questi grandissimi figli di troia”. «Effettivamente queste espressioni suonano robuste, come un buon vino rosso persistente al palato» commenta Rocco. «Questo brano è particolarmente riuscito, anche perché si sposa bene con la musica creata dai miei compagni. Ogni volta che l’ascolto mi emoziona».
Insomma, se volessimo riassumere in una sola immagine la complessa anima degli Elii, basta pensare a un  loro celebre personaggio, Supergiovane (che descrivo più sotto): gli Elii sono un gruppo di liceali con la voglia di imparare, di osservare il mondo e divertirsi, prendendosi gioco del “sistema”. Raccontando in musica le loro emozioni, in modo diretto ma al tempo stesso rielaborato con uno sguardo irridente.
Per studiare tutta la loro produzione ci vorrebbero interi studi accademici (e anch’io mi sono dovuto dilungare per raccontarla).
Dunque, parolacce tutt’altro che banali: al servizio di un’arte “alta”, di un intrattenimento intellettuale giocato sulle corde dell’ironia e dell’autoironia: i primi a non prendersi sul serio sono proprio loro. E questo gli dà la libertà di parlare di tutto senza filtri.

Ora lascio spazio alla divertente intervista esclusiva con Rocco Tanica, che racconta molti retroscena del gruppo e delle canzoni. L’analisi linguistica riprende dopo il video…

I dati: 55 volgarità per 224 volte

Partiamo dai dati. Forse vi sorprenderà sapere che non sono loro gli autori della canzone con più parolacce della storia musicale italiana: i lettori di Parolacce già lo sanno, perché in un mio precedente articolo avevo assegnato la palma a Fabri Fibra, sebbene gli Elii siano nella Top Ten, al 5° posto. Ma il loro record è un altro, ed è probabilmente insuperabile: sono gli artisti che hanno usato la più ampia tavolozza di volgarità: ne ho censite 55 diverse, citate in tutto per 224 volte, più 6 eufemismi. In media, 1,3 parolacce a canzone. Mantenere una media del genere in quasi 40 anni non è da tutti. E lo hanno fatto in modo costante, anche se il loro picco è stato negli anni ‘90. Nell’infografica qui sotto (clic per ingrandire, foto Hukapan), trovate un quadro riassuntivo sulle volgarità degli Elii.

Il turpiloquio usato dagli Elii è molto ricco: nel box a scomparsa trovate tutti i dettagli.

[ clicca sul + per aprire il riquadro ]

LE PAROLACCE DEGLI ELII

Parolacce per tipo:

area oscena 96
insulti 59
area escrementizia 41
gergo 14
maledizioni 8
imprecazioni 5
TOTALE 223

Tutte le parolacce usate dagli Elii (i colori indicano la classificazione per tipo, vedi tabella sopra):

Cazzo/cass 23
Merda 21
Culo 15
Cagare 14
balle/palle/ball 11
Figa 9
Stronzo 9
Coglioni/cojoni 9
puttana 9
Casino 8
Vaffanculo/Affanculo/Fanculo 7
sborra/sburra/sburrare 6
Figo 5
inculare 5
Bastardo 5
Pirla 4
Troia 4
Cacca 4
ricchione 4
Tette 3
Tamarro 3
Porco 3
Chiavare 3
Busone 2
Finocchio 2
Patonza 2
Deficiente 2
Buliccio 2
Mortacci 2
scopare 2
Porca troia 2
Ceppa 1
Picio 1
Sfaccimme 1
Fesso 1
Maroni 1
Rompicoglioni 1
Cagacazzo 1
Sfigato 1
fottio 1
Grullo 1
Scorreggia 1
Fregna 1
Pippa 1
Bocchino 1
Mona 1
Cristo 1
negro 1
caghineris 1
iarruso 1
buco 1
puppo 1
cesso 1
Porco Giuda 1
Porca l’oca 1
Totale complessivo 224

Eufemismi

Vaffancuore 2
Pistulino 1
Porco dito/porco dighel/zio cantante 3
Totale 6

  

L’esame dei dati nel box qui sopra permette di fare alcune interessanti considerazioni:

  1. Le parolacce degli Elii suddivise per tipologia (clic per ingrandire).

    gli Elii hanno una grandissima tavolozza linguistica: nessun artista aveva inserito nei testi delle canzoni così tante diverse parolacce. Modi di dire colloquiali, ma anche dialettali (milanese, ma anche napoletano, bolognese, romanesco, toscano, veneto, siciliano, sardo…), espressioni del gergo giovanile (tema su cui torneremo), ed espressioni inventate o storpiate come “li immortacci” o “pistulino”.  

  2. se si confrontano queste frequenze d’uso con la statistica delle volgarità più pronunciate dagli italiani (di cui avevo parlato in questo articolo), emerge subito un dato: gli Elii sono nella media italiana per quanto riguarda l’uso di cazzo, stronzo, culo, balle, coglioni; fanno un uso più alto della media delle parole merda, culo, cagare, figa, sborra, inculare e degli insulti omofobi (ricchione, busone, finocchio); fanno un uso più basso della media di scopare e chiavare; non usano insulti etnici (terrone è assente, negro appare una sola volta) e imprecazioni religiose (Cristo appare una sola volta).
  3. gli Elii non hanno paura di usare espressioni forti (figa, bocchino, sburra), ma – come vedremo – lo fanno con giocosità, ironia e leggerezza. Le loro provocazioni non sono becere e fini a se stesse, ma al servizio dei contenuti che vogliono esprimere.

I contenuti delle canzoni

Già, ma quali sono questi contenuti? Nella loro lunga carriera hanno affrontato tanti temi, che possono essere riassunti in questi 4 filoni principali:

I 4 FILONI

Luca Mangoni nei panni di Supergiovane (Hukapan).

1) IL MONDO GIOVANILE: gli Elii sono particolarmente legati al mondo della loro infanzia, e ancor più dell’adolescenza. D’altronde, non a caso sono dei gran giocherelloni, oltre che giocolieri: così hanno dipinto in modo tragicomico le feste dei teen-ager (“Tapparella”), i loro discorsi (“Adolescenti a colloquio”), l’oratorio (“Oratorium”). E soprattutto ne hanno riprodotto il gergo, sia in modo fedele che storpiandolo per renderlo ancora più comico: come avviene in “T.V.U.M.D.B.”
La personificazione di questa passione è un eroe inventato di sana pianta: Supergiovane, emblema dell’allegria e della spensierata gioia di vivere adolescente. E’ un ribelle, detesta il governo, i matusa e i secchioni, e li combatte a suon di miccette, raudi, bombette puzzolenti, gavettoni. E soprattutto a suon di parolacce: figu, puttano, paciugo, figa, figa pelosa, figlio di puttana, porco dighel…”. Il testo di questa canzone è di una comicità irresistibile. E, non a caso, è il più ricco di parolacce di tutta la carriera artistica degli Elii.

2) HUMOR ESCREMENTIZIO: come già detto sopra, l’humor escrementizio è uno degli assi portanti della poetica degli Elii. La merda, e i concetti correlati (cacca, cagare, cesso, etc) ricorrono spesso: c’è un intero brano, “Cani e padroni di cani” dedicato a una spiacevole situazione: “ho appena pestato una merda di cane, che ora è un tutt’uno con le righine delle suole delle mie scarpe sportive nuove” (che poi vengono ripulite col bastoncino di un ghiacciolo). Anzi, la cacca ha ispirato un altro supereroe creato dagli Elii: Shpalman, il supereroe che “shpalma la merda in faccia” ai cattivi. “Ad ogni farabutto tinge il viso color maròn, poi lo asciuga col phon”. Come spiegano gli Elii, “In una società di vincenti in cui la faccia di merda è necessaria per emergere, un eroe che spalma la merda in faccia sembrerebbe inutile. Invece Shpalman piace per quei suoi modi un po’ spicci”.

3) INDIGNAZIONE POLITICA, senso civico tradito: quando l’indignazione raggiunge il livello di guardia, gli insulti sono inevitabili e se sono espressi in forma articolata danno vita alle invettive. Anche gli Elii ne hanno fatte, ma il loro impegno sociale non è fra gli aspetti dominanti della loro arte. Il caso più clamoroso è “Sabbiature” in cui denunciano vari scandali italiani facendo nomi e cognomi (furono interrotti in diretta tv al concerto del 1° maggio 1991): “E gli unici sfigati che non sono stati archiviati sono stati Gui e Tanassi per il caso della Lockheed”.  Ma l’invettiva più efficace è nel finale di “Parco Sempione”, dove si racconta la vicenda del Bosco di Gioia, un’area verde di Milano cancellata per far posto al nuovo grattacielo della Regione nonostante la massiccia protesta degli abitanti del quartiere. Alla protesta aderì anche Rocco Tanica che fece un digiuno, ma le ruspe cancellarono il bosco durante il ponte di Capodanno 2005. Ecco come i fatti vengono raccontati nella canzone: “Sedicimila firme, niente cibo per Rocco Tanica ma quel bosco l’hanno rasato mentre la gente era via per il ponte. Se ne sono battuti il cazzo, ora tirano su un palazzo… han distrutto il bosco di Gioia questi grandissimi figli di troia!”.

4) SATIRA SOCIALE: molti brani prendono posizione su temi attuali, dall’alcolismo come forma di autodistruzione (“Alcol snaturato”: “Bevi, bevi, bevi E ti credi un grande figo … Voglio andare a danneggiarmi Tutti gli organi del corpo Tracannando come un porco Non ci vuole molto a deturpare questo giovane organismo Basta bere Ho deciso, mi alcolizzo! È una figata!”) alle leggende metropolitane (“Mio cuggino”), al bullismo (“Il mistero dei bulli”: “il bullo è il figlio del tamarro che picchiava pure me”). Senza contare tutti i testi dedicati ai rapporti di coppia, visti con occhio satirico e impietoso. Gli Elii, insomma, guardano il mondo con occhio critico e curioso. Con una particolare attenzione verso i microcosmo di Milano, la loro città, popolata da modaioli inconsistenti, gente che si dà un tono con l’inglese, i rapporti sociali improntati alla convenienza, etc etc. 

Le parolacce nell’approccio artistico

Per capire l’arte degli Elii, non basta identificare i loro contenuti. Questi temi, infatti, sono stati sviluppati con un approccio artistico particolare, che si può riassumere in questi 5 punti:

1) COMICITA’: Elio e le storie tese nascono come gruppo goliardico, parodistico, cabarettistico. Tanto che fra i loro riferimenti ci sono gruppi comici come gli Squallor e gli Skiantos. Gli Elii suonano per divertirsi e per divertire, e l’uso delle parolacce (come raccontavo qui) è un modo efficace di far ridere perché sono trasgressive, portano una ventata di libertà giocosa. Basti ricordare “Risate a denti stretti”, una sequenza di barzellette e di battute in musica,  o “Burattino senza fichi”, un Pinocchio che vorrebbe un organo sessuale, e Geppetto glielo costruisce facendolo diventare “un ceppo con la ceppa”.

2) SINCERITA’: da tutte le loro canzoni traspare l’insofferenza verso i mistificatori, verso chi usa un linguaggio oscuro, affettato, modaiolo (come quelli che chiamano gli occhiali “eye wear” e le riunioni “briefing”). Insomma gli Elii odiano gli “stronzi che si inculano tutti con parole incomprensibili”  come cantano in “Parla come mangi”. Come raccontavo qui, le parolacce infatti sono il linguaggio della sincerità. E’ proprio grazie a questa sincerità che il loro uso di parolacce, gergo e modi di dire ha una naturalezza rara e irresistibile. E instaura subito un’atmosfera di intimità e di complicità con gli ascoltatori. Come questa strofa di “Baffo Natale“, che ironizza sulla frenesia degli acquisti di Natale: “Ventiquattro sera diciannove e ventinove negoziante, stai chiudendo. Mi accontento di qualunque puttanata una maniglia colorata, un portaspilli, un portafogli, un portafogli, una cagata, qualcosa”. 

3) DISSACRAZIONE E ABBASSAMENTO: come molti comici, da Rabelais a Benigni, gli Elii usano le parolacce per far scendere dal piedistallo le persone tronfie, e per riportare le discussioni su temi anche impegnati (la vita, la morte, l’amore) a un livello terra-terra. E così l’amore diventa uno scontro di istinti e opposte visioni (“Mettiamola sull’affetto… chiaviamo”, cantano in “Cara ti amo”), il misticismo è la visione ravvicinata della vulva (“La visione”), l’essere alla moda è solo il tentativo di “essere fighi e avere tante fighe” (“Fossi figo”).
E cosa c’è di più dissacrante che ricondurre tutta la nostra vita mentale e sociale alle funzioni fisiologiche? Ecco perché, com’è tradizione nella letteratura grottesca, gli Elii fanno tanti riferimenti al corpo: hanno dedicato canzoni alle mestruazioni (“Essere donna oggi”, in cui gli assorbenti sono “tappi per la figa pelosa”), alle sostanze secrete dal nostro corpo (“Silos”), agli organi del corpo (“Il congresso delle parti molli”), capitanati dal “buco del membro”.
L’operazione di abbassamento viene giocata dagli Elii anche in senso contrario: innalzando (cioè dando dignità artistica a) gli aspetti più piccoli e apparentemente insignificanti della vita, come “Gli uomini col borsello” o la gola, coi suoi piaceri e i suoi dolori (“Gargaroz”).

Gli Elii in versione obesi (Hukapan).

4) SENSO DI SFIDA, GUSTO DELLA PROVOCAZIONE E SPERIMENTAZIONE: molte canzoni affrontano temi spinosi, e nascono per il gusto di tentare l’impossibile. Innanzitutto con se stessi. Per esprimere il loro virtuosismo, per tentare strade nuove, per vedere l’effetto che fa. Hanno dedicato canzoni all’aborto (“Gomito a gomito con l’aborto”), all’abbandono di neonati nei cassonetti (“Cassonetto differenziato per il frutto del peccato”). All’omosessualità, descritta nel pezzo omonimo con queste strofe: “Vivo come voi, soffro come voi, rido come voi, lo prendo in culo come voi. Ma amo più di voi”. E in “La follia della donna”, si parla di “un cartello di ricchioni che ha deciso che l’anno scorso andava il rosso E quest’anno il blé”. Eppure, nonostante l’apparente omofobia e misoginia dei loro testi non hanno sollevato ondate di protesta: sono fra i pochi (con Checco Zalone) che possono permettersi di essere politicamente scorretti senza fare più di tanto scandalo.
Del resto, tutta la loro carriera è costellata di sfide: giusto per fare un esempio, hanno suonato per 12 ore la canzone “Ti amo” con infinite variazioni, finendo nel Guinness dei primati.

5) CREATIVITA’: il vero tabù degli Elii è essere banali, perché sono dotati di uno spiccato senso critico. E quindi non solo rimescolano le carte per sperimentare frontiere inesplorate, ma creano dal nulla. Anche dal punto di vista linguistico: il finale di “Supergiovane” è un capolavoro di creatività linguistica: “Siamo forse secchioni? No. Siamo forse matusa? No. Siamo forse governi? No. Siamo forse checchineris [storpiatura di caghineris, frocio in sardo]? No. Siamo forse bulicci [froci  in genovese]? Iarrusi [froci in siciliano]? Buhi [froci in toscano]? Puppi [froci in siciliano]? Posapiano? Orecchioni [storpiatura di ricchioni]?… e così via.

SLALOM LINGUISTICI

Gli Elii in concerto: sono fra i migliori musicisti d’Italia (Hukapan).

Come ha raccontato Rocco nell’intervista, in diversi brani gli Elii si sono impegnati a dribblare le parolacce. «Ci diverte l’uso copioso della parolaccia, ma anche lo slalom per rimanerne distanti, in modo che, in certe canzoni, passasse il messaggio, ovvero il contenuto principale della canzone». Un principio che si è rivelato efficace proprio nell’affrontare gli argomenti più delicati. Infatti, alcuni temi che in teoria si prestavano a un alto uso di scurrilità sono stati giocati (per sorprendere, e per non scadere nella trivialità becera) con un linguaggio pulito: basti pensare alla canzone dedicata al porno attore superdotato John Holmes, che ha strofe come “soffrivo le pene per colpa del pene” o “il pene mi dà il pane”.
Il testo con più slalom linguistici è “Piattaforma”, dedicato a un tema spinoso e tabù: l’incesto. La canzone è densa di allusioni e la più indiretta è: “Fremo a immaginarti fra i cateti” (ovvero con un angolo di 90°). L’uso di perifrasi, tra l’altro, rende più efficaci alcune battute, che diventano una sorta di enigma che l’ascoltatore deve risolvere: come gli escrementi, definiti “un dirigibile marrone senza elica e timone dentro me” o i peti, descritti così: “Seduto nella vasca, emetto certe bolle che, salendo a galla, corron sulla schiena fandomi felice; giunte in superficie non mi piaccion più…” (ambo i versi sono tratti da “Nubi di ieri sul nostro domani odierno”).
Fra gli eufemismi, invece, nelle canzoni spiccano i sostituti delle bestemmie (Porco dito/porco dighel/zio cantante) che hanno un notevole effetto comico in “Supergiovane“.
E poi, sempre in questa linea, spiccano i numerosi sostituti per i termini sessuali che appaiono in diverse canzoni, con notevole inventiva linguistica: l’organo maschile è chiamato pennarone, maccherone, pippero, peperone, poparuolo, tubatura; lo sperma è chiamato paraflu, pasta del capitano, e così via. 
«I termini più originali arrivano soprattutto da Faso» svela Rocco «sono il gergo che usava al liceo milanese che frequentava da ragazzo (il liceo scientifico Cremona, ndr)». Un gergo con un uso circoscritto, che grazie alle canzoni è diventato patrimonio nazionale.

Per concludere, ripropongo un vecchio brano degli Elii che è la sigla ideale: “Unanimi“. La canzone dice: “Siamo Elio e le Storie Tese, pronunciamo tante parolacce…Siamo al centro delle vostre attese, Siam gli alfieri dell’impero Sbor… Siam d’accordo pressoché su tutto ma talvolta divergiamo, per esempio sulle parolacce ognun dice quella che gli va“. Ecco la canzone:

Infine, per i maniaci che vogliano rileggere le oltre 200 strofe degli Elii con le volgarità: basta cliccare sul box qui sotto e le trovate tutte. Ma proprio tutte.

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TUTTE LE PAROLACCE, STROFA PER STROFA

Nota: in questa tabella i colori hanno solo uno scopo estetico. La fonte di tutti i testi è il sito ufficiale degli Elii: http://elioelestorietese.it/canzoni/

Parolaccia canzone strofa
balle/palle/ball Cara ti amo E allora in posizione canonica io sopra tu sotto.
“Che palle!”.
balle/palle/ball Complesso del primo maggio Devono capire che hanno rotto le palle i padroni,
balle/palle/ball Fossi figo Io, per piacervi, mi epilerei per tutto il santo giorno
Come le balle di un attore porno
balle/palle/ball Heavy samba alla lunga rompe le balle
balle/palle/ball Il primo giorno di scuola Lo conosco dall’asilo e mi sta sulle balle
balle/palle/ball La canzone mononota Jobim non ha avuto le palle di perseguire un obiettivo
balle/palle/ball La saga di Addolorato cosa rompi le balle?”.
balle/palle/ball Lampo Fanne un’altra ma in fretta, mi son rotto i coglioni, le balle
balle/palle/ball Lampo mi son rotto le balle
balle/palle/ball Parco Sempione Oeh che du bal
balle/palle/ball Supermassiccio Non dico balle, è tutto vero!
Bastardo Alfieri Siamo una banda di bastardi
al soldo dell’uomo del Giappone.
Bastardo Ballate bastardi BALLATE BASTARDI!!!
Bastardo Il mistero dei bulli anche gli alani ed i bastardi
Bastardo La saga di Addolorato perché sono dei bastardi.
Bastardo Supergiovane Assassini! No!!! Governo bastardo!!!”
Bocchino La visione  Lei mi fa un bocchì, lei mi fa un bocchì;
lei mi fa un bocchino di sigaretta con il legno;
buco Supergiovane [siamo forse] buhi?
buliccio Supergiovane [siamo forse] bulicci?
buliccio Lo stato A, lo stato B Lo stato B si ha quando quel ragazzo
è molto ciccio, ma spiccio: possibile buliccio.
Busone Il quinto ripensamento Il rapporto amoroso, sia eterosessuale che busone maschile che busone femminile
Busone Il vitello dai piedi di balsa (reprise) questa mia condizione di vitello busone
Cacca Cani e padroni di cani  vedi una cacca molto grossa, forse è cacca di immigrato senza permesso di soggiorno.
Cacca Cateto cacca dalla faccia. (…) Cacca più amore
operano più miracoli
Cacca Complesso del primo maggio  vi facciamo appartamento e cacca sul letto
Cacca Silos Diciam che la cacca fa schifo, (…) le cacche delle ciglia,
Cagacazzo Il tutor di Nerone Proprio non me lo aspettavo di incontrare un cagacazzo come te
Cagare Abbecedario  i laminati che io rappresento mi fanno cagare.
Cagare Baffo Natale  un portafigli, una cagata, qualcosa
Cagare Burattino senza fichi Mangiafuoco me lo cago poco,
volpe e gatto li ricatto.
Cagare Cara ti amo Mi drogo, bestemmio, picchio i bambini
e specialmente non ti cago.(…) Mi faccio invece il culo 14 ore di seguito
per mantenerti e ti cago.
Cagare Carro E siccome chi rompe caga e i cocci sono suoi (…) la donna volante caga coi suoi buoi.
Cagare Cartoni animati giapponesi cago molta sburra giapponese,
Cagare Cavo lei non lo caga proprio diciamo
Cagare Essere donna oggi Essere donna oggi,
non più cagafigli, bensì dolce
e caparbia cagatrice dei tuoi figli.
Cagare Ignudi fra i nudisti Non dir cagate, “Mi entra la sabbia”, Quante cagate
Cagare Il vitello dai piedi di balsa Ehi tipo, cagaci, dov`è?
Cagare Inquisizione basta dire due cagate per la strada
Cagare Parco Sempione Fai cagare, questa è la verità.
Cagare Risate a denti stretti “Dottore, mangio pasta e cago pasta;,
mangio ravioli e cago ravioli”.
Cagare Supergiovane e fa cagare addosso i matusa e il governo.
caghineris Supergiovane siamo forse checchineris?
Casino abate cruento stai sognando di essere sdraiato accanto a lui che ti esamina, insomma un casino.
Casino Come gli Area se l’avessero scritto proprio gli Area
sarebbe un casino
Casino Come gli Area sarebbe un casino
Casino La saga di Addolorato con Lino, Mino, Nino, Pino, Rino e Tino
si divertono un casino
Casino Litfiba tornate insieme Di avere un casino in famiglia:
Casino Servi della gleba poi ha preso un casino di sole, si è bruc…”
Casino Tapparella sai chi ti saluta un casino?
“Chi?”
“STO CAZZO!!!”
Casino Tapparella “Sai chi ti saluta un casino?”
Cazzo/cass Bis Dài, facciamo ‘sto cazzo di bis, bis./Bis, bis. Ma quale cazzo di cazzo di bis, bis.
Oh cazzo cazzo cazzo cazzo il bis:
questo cazzo di cazzo di cazzo di un cazzo di cazzo.
C. Z. Cazzo.
Cazzo/cass Burattino senza fichi Soffro tanto senza pistulino,
godrei molto con un cazzo.
Cazzo/cass Cara ti amo mio cugino me l’ha fatto vedere…”
Il pene? “No, no il cazzo.”
Cazzo/cass Che felicità Testa de cazzo.
Cazzo/cass Come gli Area il pubblico fascista non ha mai capito un cazzo di musica
Cazzo/cass El Pube il pueblo unido lo estrae dal suo aliante del cazzo,
Cazzo/cass Essere donna oggi ti getti in volo e vai – ‘zo vuoi? (…) verso il mare del duemila
al grido di “Cazzo, subito!”.
Cazzo/cass Gli occhi del cuore fatti un po’ a cazzo di cane
Cazzo/cass Heavy samba Oh cazzo, cazzo, cazzo, cazzo, cazzo, cazzo
Cazzo/cass Help me Hanno detto c’è un guasto banale, -banale sto cazzo!-
Cazzo/cass Ignudi fra i nudisti Ah in montagna ci si rompe il cazzo
Cazzo/cass Il congresso delle parti molli Incarna le peculiarità tipiche del testa di cazzo.
Cazzo/cass La saga di Addolorato si blocca lì, non arriva un cazzo. (…) è un incapace e non sa fare un cazzo! (…) ma in realtà non fa un cazzo.
Cazzo/cass Lampo Sai che mi hai davvero rotto il cazzo con le tue fotografie?
Cazzo/cass Nubi di ieri sul nostro domani odierno (Abitudinario) E adesso un lieto ritornello
che non c’entra un cazzo,
ma che piace ai giovani:
Cazzo/cass Pagàno  cazzo di Marte.
Cazzo/cass Palla medica Ecche ccazzo non è solo tua la palla, uhee.
Cazzo/cass Parco Sempione Ha deciso che, cazzo,
Proprio oggi niente lo fermerà. (…) Forse? Forse un bel cazzo. (…) Se ne sono battuti il cazzo, ora tirano su un palazzo.
Cazzo/cass Servi della gleba “Hai la faccia di legno, dove cazzo eri finito?”
Cazzo/cass Tapparella “Chi?”
“STO CAZZO!!!”
Cazzo/cass Zelig – La Cunesiùn Del Pulpacc “OK…”
“Cazzo dici?”
“Aspetta!” (…) Indess che sun vecc, ghe fü pü un cass
(vun cass!)
Cazzo/cass Uomini col borsello che no ti capissi un casso etc…
Cazzo/cass Il circo discutibile la perfezione è un falso e rende pazzi
e questo invece è il circo di ‘sticazzi
Ceppa Burattino senza fichi Sono ceppo con la ceppa,
grazie a Geppo mio papà.
Cesso Banane giganti sei troppo un cesso
Chiavare Cara ti amo Mettiamola sull’affetto. “Chiaviamo”.
Chiavare Heavy samba E pensare che ero venuto col semplice scopo Di farmi una bella chiavata con te!
Chiavare Nubi di ieri sul nostro domani odierno (Abitudinario) sto vent’anni in bagno, penso che si chiava, dopo non si chiava e non mi lavo più.
Coglioni/cojoni abate cruento il signor Bonaventura che,
col solito suo fare e il vestito da coglione
Coglioni/cojoni Bis Il Pipppero ci ha rotto i coglioni:
Coglioni/cojoni Cartoni animati giapponesi non stanno mica lì a grattarsi i coglioni)
Coglioni/cojoni Che felicità Me so’ rotto li cojoni de la vita,
Coglioni/cojoni Complesso del primo maggio La musica balcanica ci ha rotto i coglioni
è bella e tutto quanto
ma alla lunga rompe i coglioni
Coglioni/cojoni La visione Ma quante candele avrà consumato Mandela?
Perché uno è presidente non può essere stato in prigione?
Lo vedi sorridente e non ci pensi, coglione.
Sei proprio un coglione.
Coglioni/cojoni Lampo Fanne un’altra ma in fretta, mi son rotto i coglioni, le balle
Coglioni/cojoni Lampo mi son rotto i coglioni
Coglioni/cojoni Tapparella Sì va bé però poi balliamo.
“Non ci rompere i coglioni!”.
Cristo Tapparella chiedo Fonzi e mi danno avanzi. Cristo, perché?
Culo Adolescenti a colloquio. Improvvisamente tremoto “E attento che non ti esploda nel culo!”
Culo Alfieri Stasera ad esempio noi incassiamo
e voi ve la pigliate dentro al culo.
Culo Burattino senza fichi Poi mi metto il grillo in culo,
più ci penso e più mi viene voglia di…
Culo Cara ti amo Disse la vacca al mulo. “Oggi ti puzza il culo”. (…) Te lo metto nel culo? “Non so cosa voglia dire.”
Culo Carro Si è infilata nel buco del culo di Nembo Kid
Culo Catalogna infilami la catalogna nel culo
Culo Faro Ma vaffanculo, cu cu cu cu cu cu cu culo
Culo La ditta cui lesto il culo pulisco
Culo La saga di Addolorato a metterlo in culo a Addolorato
Culo Omosessualità rido come voi, lo prendo in culo come voi.
Culo Parco Sempione Te tiri ‘na pesciada in del cuu
Culo Servi della gleba Mi vuoi mettere una scopa in culo così ti ramazzo la stanza?”
Culo Tapparella Parapiglia: scatta il gioco della bottiglia.
Se avrò culo potrò
Culo Urna sedici, il culo – Il culo –
Culo Zelig – La Cunesiùn Del Pulpacc E i finöcc che se slarghen el cùl
Deficiente Alcol snaturato Adolescenti, deficienti, ubriaconi, yeah!
Deficiente Sabbiature il popolo italiano non è deficiente:
Fesso Supergiovane mi arriva il primo fesso
Figa Banane giganti Da quando ho capito che sei molto pheega
Figa Burattino senza fichi imperatore nel regno di mille fighe di legno.
Figa Essere donna oggi morbidi, teneri, fradici
tappi per la figa pelosa. (…) E da oggi i tuoi tappi per la figa pelosa
li trovi anche in confezione magnum
Figa Fossi figo Molti vorrebbero essere fighi e avere tante fighe. Molti altri vorrebbero essere fichi e avere tante fiche.
Figa Il ritmo della sala prove mentre il cantante grida a squarcia gola
ma raramente le più fighe si fa
Figa La visione la visione della figa.(..) no grazie non fumo ma ti lecco la fi.
Figa Pork e Cindy lei è un pò debilitata
perché ha la figa spanata.
Figa Risate a denti stretti Sapete come si chiama il playboy in pensione? Gustavo Lafiga.
Figa Supergiovane smarmittare, figa, figa pelosa,
Figo Alcol snaturato Bevi, bevi, bevi E ti credi un grande figo, Poi ti viene il mal di testa (…) Basta bere
Ho deciso, mi alcolizzo! È una figata!
Figo Fossi figo Fossi figo frequenterei il locale giusto
Fossi figo conoscerei la gente giusta
Fossi figo indosserei vestiti trendy
Figo Servi della gleba lei è felice perchè sta con uno figo -> anche lui è felice
Figo Supergiovane figu, Oklaoma, sigarette,
Figo Gomito a gomito con l’aborto Aborto, il piu’ fico, aborto!
Finocchio Cara ti amo Mai ti toccherei neanche con un fiore.
“Finocchio”.
Finocchio Zelig – La Cunesiùn Del Pulpacc E i finöcc che se slarghen el cùl
fottio Il vitello dai piedi di balsa Nel boschetto della mia fantasia
c’è un fottio di animaletti un po’ matti (…) in pratica mi fanno ridere sempre,
quel fottio di animaletti inventati da me.
Fregna Bis C’è Paolone che pensa alla fregna,
Grullo Litfiba tornate insieme un fate i grulli.
iarruso Supergiovane [siamo forse] iarrusi?
inculare abate cruento Mi addormento rinfrancata mentre inculo mio marito.
inculare Il vitello dai piedi di balsa come avrai intuito adesso ti inculo”.
inculare Parla come mangi che si incula tutti con parole incomprensibili
inculare Shpalman voleva incularmi la Vespa (…) voleva incularmi la catenina
inculare Gomito a gomito con l’aborto A raccontargli i miei segreti me lo inculerei
Maroni Oratorium romperà i maroni,
Merda Abbecedario era una merda, però io
Merda Adolescenti a colloquio. Improvvisamente tremoto “Sì ascoltiamo, senti che merda!”
Merda Ballate bastardi Merdoni ballate!
Merda Cani e padroni di cani ho appena pestato una merda di cane (…) Bastoncino che utilizzo per rimuovere la merda dalla scarpa (…) Quante speranze finite nella merda (…) Le mie scarpe sportive sono tutte smerdate E adesso voi me le ricomperate
Merda Cara ti amo Applaudite, merde!
Merda Cateto De Luca mangia la merda
Merda Cavo  vado in merda se mi si dissalda il cavo.
Merda Complesso del primo maggio insistentemente a suonare questa musica di merda
Merda Ho molta paura Hai una voce di merda
come quella che canti,
come sei un uomo di merda, (…) come sei tutto,
sei un uomo di merda!
Merda Ho molta paura Hai una voce di merda
come quella che canti,
come sei un uomo di merda, (…) come sei tutto,
sei un uomo di merda!
Merda Il rock and roll La techno è una merda,
Merda La ditta Mangio merda di cane frammista alla merda (…) Vedo già Faso con Rocco
che della mia merda divorano un tocco,
sento Cesareo che suona
evidentemente la merda era buona. (…) una ditta
che acquista la merda dal gruppo prodotta,(…) divoran la merda con bocche capaci. (…) evviva la merda, evviva la ditta.
Ora la strada è diritta,
mangiamo la merda e brindiamo alla ditta.
Merda La follia della donna Scarpe di merda da donna
Che costano milioni all’’uomo.
Merda La vendetta del fantasma Formaggino scivolai su qualcosa che mi sembrava un pezzo di merda ma che merda non era.
Merda Lampo col tuo tablet di merda Non ti arrendi mai.
Merda L’eterna lotta fra il bene e il male “Hai una voce di merda,
come quella che canti, – very good, very good –
come sei un uomo di merda,
Merda Pagàno Merda, ho detto cazzo di Marte.
Merda Parco Sempione Bonghi: questo fatto mi turba perché suona di merda,(..)
Merda Pensiero stupesce intensità e faccia di merda
Merda Risate a denti stretti E il dottore: “Mangi merda”.
Merda Shpalman la maschera di merda te la fa solo Shpalman® (…) è arrivato Shpalman® che shpalma la merda in faccia
Mona Uomini col borsello c’è chi invidioso ti sussurra così “Bea mona”
Mortacci Che felicità Io sono… ‘tacci vo’… puuh!
Mortacci Li immortacci Ma quando viene sera, li immortacci (…) Semo li immortacci, semo li immortacci, gli altissimi morti: (…) mortacci, feretro, feretro, mortacci, retrofit.
negro Ameri (gli amori) ma dopo lo hanno ostacolato perché era un negro.”
Patonza Banane giganti che ultra patonza sei?
Patonza Tonza patonza Tonza patonza! Ti lecco la patonza!
Picio Burattino senza fichi Sono un pupo senza picio,
ma Geppetto non ci sta.
Pippa La visione la faccio scintillare, mi faccio una pippa,
Pirla Il tutor di Nerone Seneca non era mica un pirla:
Pirla Il tutor di Nerone Seneca non era mica un pirla:
Pirla Parla come mangi Ma va là, pirletta
Pirla Zelig – La Cunesiùn Del Pulpacc mi me sembren vüna massa de pirla,’dreé a applaudì, vün alter pirla.
Pirla Zelig – la cunesiùn del pulpacc mi me sembren vüna massa de pirla,
‘dreé a applaudì, vün alter pirla.
Pistulino Bacio pistulino allarme rosso.
Porca l’oca Lo stato A, lo stato B Porca l’oca, porca l’oca, porca l’oca, porca l’oca,
Porca troia Adolescenti a colloquio. Improvvisamente tremoto Porca troia!”
Porca troia Tenia (Maniac) porca troia non è ancora andata via!
Porco Alcol snaturato Voglio andare a danneggiarmi
Tutti gli organi del corpo
Tracannando come un porco
Porco Cara ti amo Vorrei palparti le tette.
“Porco”.
Porco Pork e Cindy Lui si chiama Pork
e guida una Ford gialla del ’56,
Porco dito/porco dighel/zio cantante Supergiovane  porco dighel…(..) esclama porco dito, (…) ZIO CANTANTE
Porco Giuda Ho molta paura Di più! Di più, ma di…
– What’s your name? –
Ma di più porco Giuda!
puppo Supergiovane [siamo forse] puppi?
puttana abate cruento  torno al vero sogno dove incontro una puttana. (…) “La puttana!”, io commento roteando il polpastrello.
puttana Cateto dall’odore che quella puttana sprigionava;
puttana La ditta di alcune puttane, (…) ne fabbrica cibo per cani e puttane.
Cani e puttane voraci
puttana Omosessualità Limonare con altri maschi,fare il puttano-oh
puttana Pork e Cindy ascoltatore distratto = figlio di puttana”.
puttana Risate a denti stretti E la puttana giapponese? Sudo Magodo.
puttana Baffo Natale  Mi accontento di qualunque puttanata una maniglia colorata
puttana Sogno o son desktop In questa notte estiva,
porca e un po’ puttana (…) Sostituirsi alle puttane per guadagnare.
puttana Supergiovane Figlio di puttana (…) puttano, paciugo, garelli,(…) figlio di puttana
ricchione Il vitello dai piedi di balsa Mi presento, son l’orsetto ricchione.
ricchione La follia della donna E pensare che tutto questo lo hanno deciso
I ricchioni.
C’è un cartello di ricchioni
ricchione Supergiovane Mi piace quel ragazzo. Perché?
Sto diventando forse ricchione?
ricchione Supergiovane [siamo forse] orecchioni?
Rompicoglioni Zelig – La Cunesiùn Del Pulpacc Oh sono arrivati dei rompicoglioni e ci hanno portato via tutto.
sborra/sburra/sburrare Alfieri Io abito fra Loreto e Turro
e quando son contento sburro.
sborra/sburra/sburrare Cartoni animati giapponesi cago molta sburra giapponese,
sborra/sburra/sburrare Cateto sburrata dagli animali
sborra/sburra/sburrare Servi della gleba Servi della gleba a tutta birra carichi di ettolitri di sburra;
sborra/sburra/sburrare Supergiovane Sburra, pizzette, giornali di donne nude.
sborra/sburra/sburrare Noi siamo i giovani con i blue jeans così possiamo sburrare
e ci viene l’orchite
scopare Cara ti amo Ti passo un cubetto di ghiaccio
intinto nella pancia sul Cointreau
dopodiché ti scopo bendata.
scopare Cinquecento  sono cinquantamila di bocca e centomila scopa 
Scorreggia Supergiovane con la moto a scurreggetta
Sfaccimme Servi della gleba come dei simbolici Big Jim: schiacci il tasto ed esce lo sfaccimme.(…) noi col nostro carico di sfaccio.
Sfigato Sabbiature E gli unici sfigati che non sono stati archiviati
Stronzo Amico uligano Quindi a tua volta metti via
quel coltellino dai, non fare lo stronzo.
Stronzo Cara ti amo Ridete stronzi!
Stronzo Che felicità Io vado a zonzo come ‘no stronzo.
Stronzo Fossi figo Il mio nome sarebbe sempre incluso nella lista
Non dico proprio il primo della lista
Ma neanche l’’ultimo degli stronzi
Stronzo Ho molta paura Brutto stronzo, m’hai rovinato un figlio con le tue sporche e luride canzoni.(…) Stronzo, tu e tutto il tuo complesso.
E firmati con il tuo nome, perché, hai paura di essere scoperto?
T’ho scoperto lo stesso. Stronzo!
Stronzo L’eterna lotta fra il bene e il male Pronto!” “Stronzo!” – very good, very good –
“Pronto?” “Stronzissimo!” – very bad, very bad – (…) Stronzo, tu e tutto il tuo complesso!” (…) Ricordati che Rigoletto dice
una gran bella frase:
stronzo!
Stronzo Parla come mangi devi divenire come quello stronzo
Stronzo Risate a denti stretti Tachete ti to tacc, stronzo.
Stronzo Servi della gleba Servi della gleba in una stanza anestetizzati da una stronza,
Tamarro Il mistero dei bulli il figlio del tamarro che picchiava pure me(…) tamarri del neolitico (…) tamarri paleolitici  (…) di gente più tamarra degli ittiti non ce n’è
Tamarro Oratorium al bar qualche giovane tamarro verrà,
Tamarro Shpalman Un tamarro dietro l’angolo
Tette Cara ti amo Vorrei palparti le tette.
Tette La donna nuda La donna nuda non indossa il criss cross:
io la vedo benissimo, ha le tette assai gross.
Tette Urna 77, tette tette: le gambe delle donne.
Troia Cara ti amo La pancia sul cointreau? “Non sono una troia”.
Troia Help me e poi non era neanche il tuo papà,
perché io faccio la troia !
Troia Parco Sempione questi grandissimi figli di Troia.
Troia Sogno o son desktop Strade affollate a mezzanotte,
tutti a troie.
Vaffanculo/Affanculo/Fanculo Bacio e invece baci mo…ma vaffanculo!
Vaffanculo/Affanculo/Fanculo Banane giganti Fanculo a te
Vaffanculo/Affanculo/Fanculo Gargaroz La sua mamma è preoccupata
Perché dice parolacce e manda tutti a fancù
Vaffanculo/Affanculo/Fanculo Bis E ora siamo di fronte ad un bivio:
o andare affanculo o suonarvi dei bis.
Vaffanculo/Affanculo/Fanculo Faro Ma vaffanculo, cu cu cu cu cu cu cu culo
Vaffanculo/Affanculo/Fanculo La visione guidatori funky, fanculo a tutti quanti. (…) li mando affanculo, gli mostro lo scroto.
Vaffanculo/Affanculo/Fanculo Palla medica Vaffanculo e passami la palla.
Vaffancuore Lo stato A, lo Stato B Vaffancuore vaffancuore vaffancuore vaffancuore,
Vaffancuore Supergiovane “Ma vaffancuore, questo è il terribile analcolico moro.

 

 

Questo post è stato ripreso da AdnKronos, Tiscali News, Padova News.
E dal sito ufficiale di ElioELeStorieTese.

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