Segnalazioni dei lettori | Parolacce https://www.parolacce.org L'unico blog italiano di studi sul turpiloquio, dal 2006 - The world famous blog on italian swearing, since 2006 - By Vito tartamella Sat, 26 Oct 2024 14:18:37 +0000 it-IT hourly 1 https://www.parolacce.org/wp-content/uploads/2015/06/cropped-logoParolacceLR-32x32.png Segnalazioni dei lettori | Parolacce https://www.parolacce.org 32 32 I ristoranti più sfacciati del mondo https://www.parolacce.org/2018/07/31/negozi-divertenti-italiani-estero/ https://www.parolacce.org/2018/07/31/negozi-divertenti-italiani-estero/#comments Tue, 31 Jul 2018 08:00:51 +0000 https://www.parolacce.org/?p=14434 La sua storia ha fatto scalpore quest’estate: un imprenditore pugliese, Luigi Aseni, 37 anni, ha avuto successo in Scozia aprendo una catena di bar, i Boteco do Brasil. E ha battezzato le sue società “Skassa Kazz “, “Rumba Kazz” e “Kaka Kazz“. Quella… Continue Reading

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I documenti ufficiali delle società “Kaka Kazz” e Skassa Kazz” dell’imprenditore pugliese Luigi Aseni.

La sua storia ha fatto scalpore quest’estate: un imprenditore pugliese, Luigi Aseni, 37 anni, ha avuto successo in Scozia aprendo una catena di bar, i Boteco do Brasil. E ha battezzato le sue società “Skassa Kazz “, “Rumba Kazz” e “Kaka Kazz“. Quella che gestirà il locale Mango si chiamerà “Mango Pu Kazz“.
La storia è stata scoperta da Milena Gabanelli, per la rubrica DataRoom del “Corriere della Sera”. Mi ha divertito, e allora mi sono chiesto se fosse l’unica del genere. Non lo è: in giro per il mondo – in Europa ma anche in Asia, Africa, America e Oceania – ho trovato 21 negozi, per lo più ristoranti, con nomi volgari. Dalla “Cantina baldracca” (Lisbona) alla società di import “Pirla” (Berlino). Dunque, il mondo è pieno di società del Kazz
.
Ma prima di mostrarvi la lista di questi locali, una domanda sorge spontanea: che cosa scatta nella testa degli italiani che aprono attività all’estero? Perché si affidano a un linguaggio da Cinepanettoni per i loro business?

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BEFFA, MARKETING E NOSTALGIA

Il fenomeno è interessante, oltre che divertente. E ha varie ragioni. Innanzitutto, quando siamo all’estero, cadono i nostri tabù linguistici: gli stranieri non capiscono le parolacce italiane, quindi le diciamo in libertà, senza preoccuparci di scandalizzare  o di indignare qualcuno. Insomma, un bello sfogoE permette di esprimere le proprie emozioni in modo schietto e immediato,in un momento carico di passioni: quando si apre un’azienda si è eccitati per l’avventura, preoccupati per il suo successo, ispirati per trovare nuove strade, arrabbiati per i contrattempi…

Negozio di ottica a Pamplona (Spagna), in Calle del Vínculo. L’accento, dunque, cade sulla “i”: ma se cade sulla “u”, l’insegna acquista ben altro senso. 

E al tempo stesso, usare un nome, un’insegna scurrile è anche uno scherzo, una beffa: immaginate di essere allo sportello della Camera di Commercio britannica e di dire ad alta voce (o scrivere) il nome della vostra società: “Mango Pu Kazz limited”. Tanto l’impiegato non sarà in grado di capirne il significato: riderete alle sue spalle. Una goliardia di contrabbando, una provocazione mimetizzataInfatti nel Regno Unito non se n’è accorto nessuno, e l’attività imprenditoriale di Aseni è stata anche premiata. Ma quando alcuni fornitori italiani si sono visti arrivare fatture intestate alla società “Skassa Kazz”, hanno strabuzzato gli occhi: pensavano fosse uno scherzo, un falso.
E quando un nome simile finisce addirittura in vetrina, su un’insegna, all’estero diventa un’allusione, un messaggio in codice: un italiano, vedendo un ristorante che si chiama “Cantina baldracca” farà una risata. E ne sarà anche incuriosito: il messaggio è rivolto a lui, che è in grado di capirlo anche a migliaia di km dall’Italia. E, tutto sommato, è anche un modo di esprimere la nostalgia dell’Italia.
Dunque, anche questo è marketing: una parolaccia attira sempre l’attenzione. A maggior ragione in un luogo dove non viene detta perché si parla un’altra lingua. E così molti italiani entrano per curiosità o si fanno fotografare davanti all’ingresso.
In giro per il mondo ho scoperto una dozzina di attività con un nome che in Italia sarebbe decisamente improponibile. Sono per lo più ristoranti, bar e fornitori di alimentari, a testimonianza che il cibo muove le nostre passioni. Unica eccezione, un negozio di vestiti.

Ecco la lista dei 21 ristoranti più sfacciati del mondo (tutti verificati).
Se ci andate, fatevi raccontare la loro storia… e condividetela nei commenti

CANTINA BALDRACCA

A Lisbona (Portogallo). E’ una pizzeria italiana, sicuramente fondata da nostri connazionali.
Sul suo menu ha scritto uno slogan in rima: “Cantina Baldracca, quando a fome ataca”, ovvero: “Cantina Baldracca, quando colpisce la fame”.

 

 

 

Pagina internet su TripAdvisor

BISCHERO

A Ginevra (Svizzera). E’ una focacceria italiana, probabilmente fondata da toscani. Prepara anche lasagne, piadine e parmigiana. Probabilmente gli svizzeri ticinesi capiranno il nome, ma quelli di lingua francese non immagineranno che è un insulto.

Sito ufficiale

CHE CULO!

Phnom Penh (Cambogia). La spiritosa  insegna campeggia su un cocktail bar che serve anche hamburger, poco lontano dalle rive del Mekong. Non ho trovato informazioni sulla sua storia, ed è un peccato: i suoi gestori hanno fatto un bel viaggio per aprire un locale in una cultura molto diversa dalla nostra.

Pagina Internet su TripAdvisor

ROTTINCULO

Dublino (Irlanda): il termine, come noto, può significare sia “fortunato” che “omosessuale” (in senso spregiativo). Chi ha fondato il locale, che nel frattempo ha chiuso, voleva con tutta probabilità puntare sul primo dei due significati: un modo spiritoso di evocare la buona sorte. Il locale era un ristorante italiano, e preparava diversi piatti  siciliani.

Sito su Facebook

COL ‘CACCHIO

Cape Town (Sud Africa). E’ una catena di pizzerie in Sud Africa. Un cliente ha raccontato così l’origine del nome:
I
l titolare si era rivolto a un italiano per avere consigli su come fare una buona pizza e quando e quanto far lievitare l’impasto. L’italiano, sicuro che il proprietario del ristorante non sarebbe mai riuscito a fare una pizza come quella partenopea, disse: Col cacchio che farai un’ottima pizza! Il ristoratore, raccogliendo la sfida, non solo fece una buona pizza, ma volle chiamare il suo ristorante “Col Cacchio”.

Sito Internet ufficiale 

IL BORDELLO

Londra (Regno Unito). Il locale offre piatti della cucina italiana. E’ un ristorante-pizzeria di grandi dimensioni e il suo nome evoca le case di tolleranza, altrimenti dette “casini”. Il menu prevede vari piatti tipici, dalla caprese alla bruschetta; ma ha una grave lacuna, visto il nome del locale: mancano gli spaghetti alla puttanesca.

Sito Internet ufficiale 

TERRONI

Toronto (Canada). Tutto è iniziato con un negozio che vendeva cibi italiani. Poi è diventato una pizzeria, e oggi è una catena di 8 ristoranti che offrono cibi italiani. Inutile dire che il gruppo è stato fondato da due immigrati italiani d’origine meridionale.

Sito Internet ufficiale 

LA FIGA

Londra (Regno Unito). Il locale, un ristorante di specialità italiane, è stato fondato da un italiano goliarda, che ha osato l’inosabile. Tanto, chi lo capisce? Su Tripadvisor, infatti, un utente, alla fine di una recensione, scrive: “What does La Figa mean?” (cosa significa La Figa?).
Sul Web le recensioni dei nostri connazionali sono quasi tutte positive, e le battute si sprecano: “W la figa!”, “Non è un ristorante del cazzo”, “Sono curioso di entrarci dentro” e “Quando arriva il conto sono cazzi”.
Il nome, per quanto osè, è comunque diffuso nel mondo: c’è una pizzeria “La figa” a Rio de Janeiro (Brasile) e  un “Cafè Figa” a Viña del Mar (Cile) .

Sito Internet ufficiale

PIZZA CAZZO

Golbey (Francia). Il ristoratore ha scelto un nome provocatorio ma musicale, perché basato su un’allitterazione (cioè la ripetizione di lettere: -izza -azzo). Il locale si trova in una piccola città nella Francia orientale, e l’ho inserito qui per “par condicio” dopo il locale precedente. Le poche recensioni sul Web non sono positive.

Segnalazione su un portale di ristorazione 

 

FACCIA DI CULO JEANS

Hong Kong (Cina). E’ l’unico locale di questa lista che non sia un ristorante. Il negozio di abbigliamento è stato fondato da un italiano, Oreste Carboni, che ha ideato il marchio dopo essersi stabilito a Hong Kong (ha sposato una donna cinese). Su Flickr alcuni hanno commentato: “Gli spedisco subito il curriculum, anzi: il curriculo”. Ma il negozio è stato chiuso anni fa.

Segnalazione su Flickr 

LA ZOCCOLA DEL PACIOCCONE

Amsterdam (Paesi Bassi). Il nome è lungo e composito. Ma non per attenuare l’impatto del termine “zoccola”, bensì perché il locale – una pizzeria con forno a legna – è attigua a un altro ristorante, che si chiama per l’appunto “Il pacioccone”. Il locale si trova in un vicolo del centro storico.

Segnalazione su un sito turistico

CULO DEL MONDO

Werdohl (Germania). Il nome lo trovo davvero spiritoso, anche se sarebbe stato più appropriato in Cambogia o in Nuova Zelanda invece che nel cuore d’Europa, nella Germania nord occidentale. Ma tant’è: comunque, a dispetto del nome, il ristorante non sembra il tipico angolo d’Italia all’estero: le recensioni raccomandano le sue bistecche.

Segnalazione su TripAdvisor

VAFFANCULO

Buenos Aires (Argentina). “Il vero sapore della gastronomia italiana: Vaffanculo Cantina Italiana”. Più che uno slogan, sembra uno sfogo rabbioso… Ma tant’è. Il locale propone alcune specialità italiane, soprattutto i primi piatti.

Il sito ufficiale 

LA PUTTANA

Lisbona (Portogallo). Ecco un altro locale in Portogallo, dove negli ultimi anni sono emigrati diversi italiani. E questa attività commerciale è una scelta tipica: una pizzeria. L’insegna fa effetto, anche perché il termine non è così lontano dal suo equivalente portoghese (puta). Se una cameriera o la titolare del locale rispondesse al telefono, però, vivrebbe una situazione imbarazzante: “La Puttana?” “Sim” (“Puttana?” “Sì”).

Sito Internet

CHE FIGATA

Naperville (Usa). In inglese si dice “cool”. L’equivalente italiano è “Che figata”: ed è proprio così che è stato chiamato un ristorante italiano a Naperville. Certo, un nome difficile da dire per gli anglofoni, tanto che in alcuni annunci viene spiegata anche la pronuncia, per quanto a spanne (Kay / Fah-gah-tah). 

PIZZERIA STRONZO

A Santiago del Cile (Cile). Impossibile sapere la storia di questa pizzeria, abbastanza popolare a Santiago. Il titolare non sembra di origini italiane: forse ha imparato questa parola in un viaggio in Italia o da amici italiani. Ha anche lanciato cappellini griffati “Stronzo”, sovrastati dalla scritta “ingredientes naturales” (come del resto è naturale lo stronzo…). Risulta esserci un’altra pizzeria con il medesimo nome a Zurigo.

 

Pagina internet su Facebook

KAGO SUSHI

Varsavia (Polonia). L’insegna è esilarante ma tutt’altro che invitante per un italiano. Eppure il suo significato è innocente: in giapponese vuol dire “cestino di sushi”. E’ un ristorante di specialità nipponiche nel cuore della capitale polacca. E ha scatenato vari commenti ironici da parte di clienti italiani, tipo: “All you can shit” (invece di “all you can eat”); “Lo chef si chiama Urinawa Suimuri”; “Questo piatto è Ushito Nakagata”.

segnalazione su TripAdvisor

 

POMPINO

Auckland (Nuova Zelanda). Non sono riuscito a ricostruire la storia di questo locale, un caffè ristorante: se sia stato fondato a un emigrato italiano, o no, ma il fatto che in menu abbiano la pasta fa pensare di sì. Uno dei visitatori del sito ha commentato: “Dopo una mangiata al ristorante Pompino, una bella grappa Bocchino”.

segnalazione su TripAdvisor

PORCO DIO

Lleida (Spagna). E’ una pizzeria fondata, c’è da scommetterlo, da italiani. E oltre all’insegna anche il menu non lascia spazio all’immaginazione: le pizze, invece di “margherita” o “quattro stagioni”, si chiamano “vaffanculo”, “baldracca”, “coglione” e così via. La pizza raccomandata si chiama “Madonna santa”. Nelle recensioni, comunque, molti affermano che in questo locale si mangi “da Dio” (alcuni dicono di aver fatto “una cena della Madonna”).

Il sito ufficiale

GNOCCA

Las Palmas (Spagna). E’ un piccolo ristorante a Nord dell’isola Gran Canaria. A giudicare dal menu, a base di lasagne e gnocchi, i suoi gestori sono senz’altro italiani. Il nome probabilmente nasce come variante di gnocco, uno dei piatti forti del locale. Ma ovviamente strizza l’occhio al significato di vulva o anche, più in generale, di “bella donna”. 

Il sito ufficiale

BELIN

Mogan (Spagna). Il ristorante è sul lungomare di Mogan, a Gran Canaria. Si potrebbe pensare a una semplice omonimia con il termine ligure che designa l’organo sessuale maschile (e, per estensione, le persone di scarso valore intellettuale): ma il ristorante è gestito da liguri, quindi la scelta è stata decisamente consapevole

segnalazione su TripAdvisor

PIRLA

Berlino (Germania). Non si sa nulla di questa impresa, che importa cibi italiani in Germania. I suoi camion sono fotografati con divertimento dai nostri connazionali lungo le strade tedesche. Vista la scelta lessicale, la ditta deve essere stata fondata da imprenditori di origine lombarda.

Sito internet

Conoscete – all’estero – altre ditte, negozi, attività con nomi scurrili? Segnalatele nei commenti (precisando dove sono, e il loro sito Internet): aggiornerò la lista

Di questo post ha parlato la trasmissione “I Vitiello” su Radio DeeJay il 22 agosto 2019.
Per ascoltarla, cliccate sul riproduttore qui sotto:

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Dare dell’idiota è reato? Guida pratica sugli insulti e la legge https://www.parolacce.org/2018/04/24/come-fare-su-insulti-e-denunce/ https://www.parolacce.org/2018/04/24/come-fare-su-insulti-e-denunce/#comments Mon, 23 Apr 2018 22:05:22 +0000 https://www.parolacce.org/?p=14042 «Ho scritto che in quel ristorante si mangia malissimo, che cosa rischio?». «Se mi chiamano “uomo da niente” posso denunciare?». «Si può dare del “razzista” a qualcuno?». Questo è solo un piccolo assaggio dei quesiti che mi sono arrivati da… Continue Reading

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I giudici valutano l’offensività di un insulto (montaggio foto Shutterstock).

«Ho scritto che in quel ristorante si mangia malissimo, che cosa rischio?».
«Se mi chiamano “uomo da niente” posso denunciare?».
«Si può dare del “razzista” a qualcuno?».
Questo è solo un piccolo assaggio dei quesiti che mi sono arrivati da quando ho scritto un articolo  sulla riforma del reato di ingiuria. In poco più di 2 anni, quell’articolo è diventato uno dei più letti di questo blog. Il che è sorprendente: questo non è un sito giuridico, ma di linguistica.
Ma la sorpresa più grande è stata un’altra: pur avendo ribadito a chiare lettere che non sono un avvocato né un giurista, più di 320 lettori di tutta Italia mi hanno scritto per chiedermi un parere sugli insulti, fatti o ricevuti, su Facebook, Whatsapp, Twitter, ma anche in condominio, in ufficio, in famiglia o al bar.
Erano tutti quesiti accorati: esprimono emozioni forti (angoscia, risentimento, offesa, umiliazione, imbarazzo) che non possono lasciare indifferenti. E, soprattutto, possono portare le persone in tribunale: le leggi puniscono con multe salate e perfino col carcere chi offende con l’arma della parola. Ma a volte le sentenze vanno contro le aspettative, condannando parole apparentemente inoffensive e tollerando espressioni anche forti.
Dunque, quando conviene denunciare un insulto? Come si fa? Cosa rischia chi ne scrive uno su Facebook o Whatsapp?  

Questo genere di domande mi sono arrivate a ritmo incalzante, raccontando frammenti di vita vissuta: il maggior numero di richieste sono arrivate da persone preoccupate di essersi lasciate sfuggire un insulto. Così mi sono informato per cercare di dare risposte plausibili.
In questo post ho deciso di riassumere i 14 casi più frequenti, radunandoli in un prontuario con la formula domande e risposte. Insomma, le FAQ… sul fuck.
Spero che vi siano utili, e ricordate il consiglio dei consigli: gli insulti scritti su sms, email, Whatsapp, Facebook, chat, Tripadvisor restano per sempre, e possono essere usati contro di voi. Quindi, fate sempre attenzione a cosa scrivete!!

[ clicca sul + per aprire le risposte ]

La legge punisce sempre le parolacce?

Anche gli insulti virtuali feriscono (foto Shutterstock).

No. Ci sono diverse eccezioni:

  1. quando gli insulti sono reciproci: in tal caso i giudici tendono a dar torto ad ambo le parti che si sono insultate
  2. se gli insulti sono la reazione a un torto subìto, ma a due condizioni: che si reagisca subito, a caldo (non il giorno dopo), e se si può dimostrare di aver davvero subìto un torto
  3. quando si impreca, cioè si esplode con espressioni di rabbia o dolore che non sono indirizzate a una persona particolare (“e che cazzo!”, “porca troia!” e simili). Fanno eccezione le bestemmie e le offese contro i defunti: entrambi i comportamenti sono puniti con una sanzione pecuniaria, cioè un’ammenda (da 51 a 309 euro)
  4. quando si dicono parolacce per goliardia, per far ridere: ad esempio, uno spettacolo con canzoni volgari (ma solo se dal vivo; in tv lo si può fare solo fuori dalle fasce orarie protette).

 Tutte le parolacce sono offensive/perseguibili?

Non è detto. Diversi insulti lo sono (stronzo, testa di cazzo), ma alcuni (come rompicoglioni, ad esempio) non sono stati sanzionati dai tribunali.
E’ importante ricordare che i giudici, per valutare l’offensività di una parola, non si limitano a esaminare la parola in quanto tale, ma danno un peso anche al contesto in cui viene detta: per quale motivo e con quale intenzione è stata detta quella parola (con astio, livore, aggressività, ironia…)? In quale ambiente (a casa, per strada, al bar, su Facebook)? Davanti a quali e quante persone? A chi (un’autorità, un superiore, un sottoposto, un vicino di casa…)? Ciascuno di questi elementi può appesantire ma anche alleggerire lo stesso insulto: a volte si può dire “va a cagare” anche con ironia o affetto.

Si può offendere anche senza dire parolacce?

Sì. Dare del “maleducato”, o del “ladro”, sono offese che i giudici hanno condannato in diverse sentenze. Anche se non sono parolacce. Ciò che conta è il contenuto offensivo di una frase: ovvero, se si sminuisce una persona nella sua interezza o in un comportamento grave, che pregiudica pesantemente l’immagine di una persona.

Le offese sui social (Facebook, Twitter, Whatsapp, Tripadvisor, Youtube) sono più gravi rispetto a quelle dette di persona?

Sì, perché di solito i giudici considerano gli insulti sui social una forma di diffamazione, che prevede pene più pesanti rispetto all’ingiuria pronunciata di persona (che ora non è più un illecito penale ma solo civile: si procede solo su denuncia dell’interessato, che va fatta presso un giudice di pace o un tribunale civile).

E’ sempre giusto denunciare chi ti ha insultato?

I diverbi per il traffico accendono passioni forti (foto Shutterstock).

In teoria sì, ma non sempre è opportuno o ne vale la pena. Bisogna soppesare diversi fattori:

  1. di soldi: fare causa implica rivolgersi a un legale, e questo comporta spese che bisogna mettere in conto di sostenere. E se chi vi ha offeso è nullatenente, in caso di condanna non pagherebbe nulla.
  2. di tempo: prima di arrivare a una sentenza possono passare 1-2 anni. E spesso il tempo guarisce le ferite delle offese.
  3. prove: avete prove solide (documenti, registrazioni, testimoni) per dimostrare che avete subìto un torto? Potete dimostrare anche che avete subìto un danno?
  4. di opportunità: vale davvero la pena denunciare chi vi ha offeso? Se rischiate di peggiorare il clima di ostilità, no. La denuncia in tribunale è una carta pesante, da giocare quando non ce ne sono di migliori: se vivete in un condominio, avete prima tentato di risolvere i litigi rivolgendovi all’amministratore? Se i dissidi nascono a scuola o in ambiente di lavoro, avete raccontato tutto al preside/al direttore? A volte un intervento dall’alto può sbloccare una situazione. Come, a volte, funziona anche ignorare un insulto: una persona fastidiosa, se vede che i suoi insulti non hanno effetto, dopo un po’ smette di offendere. Come dice il proverbio, “raglio d’asino non arriva in cielo”. Sui social è molto semplice: basta cancellare una persona fastidiosa dalla propria rubrica.

Tutte le critiche sono perseguibili?

No: bisogna sempre distinguere le critiche dagli insulti. La critica è un diritto che abbiamo tutti: la nostra Costituzione garantisce la libertà di espressione, comprese le critiche. La critica è un giudizio negativo nei confronti di un comportamento specifico. In pratica, siamo liberi di criticare, a due condizioni: che argomentiamo la nostra critica (cioè spieghiamo i motivi per cui critichiamo), e che ci limitiamo a disapprovare un singolo comportamento e non una persona nella sua interezza. Per esempio, la frase “sei proprio uno stronzo per non essere venuto alla festa” non è stata ritenuta offensiva da una sentenza.
I giudici usano il termine “continenza”. In pratica: posso dire (a patto di provarlo o argomentarlo) che “hai fatto una cazzata”, ma non che “sei un cazzone”.

C’è un termine entro cui va fatta una denuncia per ingiuria o diffamazione?

Sì: la denuncia per diffamazione va presentata al massimo entro 3 mesi dall’offesa. Una causa per ingiuria invece si può fare entro 5 anni dall’offesa.

Si può denunciare una persona di cui si conosce solo il soprannome (nickname) su Facebook?

Sì, ma occorre rivolgersi alla Polizia postale per risalire alla sua vera identità. Il procedimento è lungo e non è sempre facile.

Si può offendere liberamente un personaggio pubblico?

Gli insulti reciproci possono annullarsi a vicenda (montaggio foto Shutterstock).

No. La legge impone il rispetto per tutti, che siano persone qualunque o celebrità. Le celebrità hanno qualche tutela in meno solo nella loro privacy, essendo, per loro stessa scelta, personaggi pubblici.
Il discorso cambia, invece, per i politici. Dire “falso”, “bugiardo”, finanche “buffone”, a un politico potrebbe non essere reato, ma solo se i fatti a lui contestati sono veri (o comunque appaiono tali o sono molto opinabili). Le critiche anche molto aspre sono tollerate. Sono invece sempre punibili le espressioni gratuite, ovvero quelle inutilmente volgari o umilianti o dileggianti: le offese che infangano una persona nella sua totalità. Ad esempio, si può dire a un politico che “ha fatto qualcosa di vergognoso”, ma non che lui è vergognoso.
Diverso è, invece, usare l’appellativo “ladro”: questo termine, infatti, implica una colpevolezza per un fatto specifico. Se non si hanno le prove per affermarlo, o se non c’è una sentenza definitiva in merito, questo appellativo deve ritenersi diffamatorio.

Quanti tipi di insulto esistono per la legge?

Le critiche, anche aspre, sono consentite. Ma a patto di non umiliare l’altra persona (foto Shutterstock).

Possiamo dividerli in 4 grandi categorie a seconda se si è stati insultati di persona (ingiuria) o no (diffamazione), e se il destinatario dell’insulto è un’autorità. E’ importante sapere in quale categoria rientra un reato, perché le pene cambiano molto.

  1. ingiuria: quando si dice un insulto direttamente alla persona, anche di fronte a testimoni (o anche al telefono, via email o in una chat a tu per tu). Si rischiano: sanzioni fino a 8-12mila €, ma non dal giudice penale, solo come ulteriore pena nel caso di condanna dal giudice civile.
  2. diffamazione: quando si insulta una persona assente davanti almeno a 2 testimoni. Questo vale anche su Facebook, Twitter o i gruppi di Whatsapp. Si rischiano: multe fino a 2065 € e reclusione fino a 3 anni
  3. oltraggio: se si insulta un pubblico ufficiale (poliziotto, carabiniere, vigile, impiegato comunale, controllore, insegnante, giudice in udienza…).  Si rischiano: multe fino a 6.000 € e reclusione fino a 5 anni.
  4. vilipendio: se si insulta il presidente della Repubblica (ma anche la bandiera, la Repubblica, la Nazione, le tombe). Pene: reclusione fino a 5 anni.

In quali circostanze i giudici sono meno severi nel giudicare gli insulti?

I giudici sono più tolleranti verso gli insulti in 4 situazioni: i diverbi fra tifosi negli stadi; i litigi fra automobilisti; le discussioni fra politici e sindacalisti; le liti di condominioSport, traffico, casa e politica, infatti, accendono passioni molto forti.

Se qualcuno mi insulta davanti a un poliziotto, vigile o carabiniere, quest’ultimo è obbligato a denunciarlo?

No: se si tratta di ingiuria, cioè di un insulto a una persona presente, la legge oggi prevede un’azione legale solo su querela di parte. In pratica, se la persona offesa non fa causa (attraverso un legale, non in caserma), non succede nulla.

Davanti a quante persone dire un insulto diventa diffamazione?

Si diffama qualcuno quando lo si offende in sua assenza: parlando male di lui/lei davanti ad altri. Che devono essere almeno 2. La diffamazione può avvenire non solo nei luoghi pubblici (bar, ristoranti, strada, etc) ma anche negli spazi virtuali: quando si insulta qualcuno su Facebook, Youtube, gruppi Whatsapp, Tripadvisor, i Tribunali considerano questa offesa una diffamazione. Anche se il destinatario dell’insulto risulta in quel momento “connesso” a Internet.

Da quale età una persona può essere denunciata per insulti (ingiuria  diffamazione, oltraggio, vilipendio, ecc.)?

Dai 14 anni in su. I minori di 14 anni, infatti, non sono perseguibili dalla legge.

 

Altre risorse sul tema leggi e parolacce (clicca per andare al link):

cosa dicono le sentenze

 • si possono dire parolacce al lavoro?

 diffamazione

 come difendersi dagli insulti su Facebook e gli altri social network

toh, l’ingiuria non è più reato

 oltraggio a pubblico ufficiale

 vilipendio

• e molti altri argomenti nel canale leggi e sentenze

 Ringrazio l’avvocato cassazionista Giuseppe d’Alessandro per la revisione.

SU RADIO RAI1

Ho parlato di questo e di altri temi legati al turpiloquio durante un lungo intervento notturno alla trasmissione “Domani in edicola” su Radio Rai1 condotta da Stefano Mensurati.
Clicca qui sotto per ascoltare l’audio (il mio intervento inizia dal minuto 10:50).
(PS: più volte il conduttore parla del mio libro dicendo che è pubblicato da Rizzoli. Vero, ma ora l’unica versione acquistabile la trovate in formato ebook , pubblicata con StreetLib).

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https://www.parolacce.org/2018/04/24/come-fare-su-insulti-e-denunce/feed/ 17
Mi insultano su Facebook: che faccio? https://www.parolacce.org/2016/09/16/offese-social-network/ https://www.parolacce.org/2016/09/16/offese-social-network/#comments Fri, 16 Sep 2016 10:12:15 +0000 https://www.parolacce.org/?p=10850 Scrive Horacio: «Se su Facebook dico a una donna intollerante con gli stranieri: “Sei una razzista di merda” lei può farmi causa?». Poi c’è il caso di Rosa: «Dopo un battibecco, mia cognata, tramite Whatsapp, mi ha dato della stronza,… Continue Reading

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pugnoScrive Horacio: «Se su Facebook dico a una donna intollerante con gli stranieri: “Sei una razzista di merda” lei può farmi causa?».
Poi c’è il caso di Rosa: «Dopo un battibecco, mia cognata, tramite Whatsapp, mi ha dato della stronza, della bambina viziata, della terrona e tramite emoticon mi ha mandato affanculo e dato della merda. Posso fare qualcosa?».
E il racconto di Elle: «Giocando su un sito online di partite a carte, c’è sempre un tizio che si lamenta per come gioco. Ho scritto in chat che “i rompicoglioni sono sempre presenti” e lui mi ha dato della troia. Cosa posso fare?».

Le storie di Horacio, Rosa ed Elle non sono rare. Me ne hanno raccontate a decine, da quando ho pubblicato su questo sito un articolo sulle nuove regole del reato di ingiuria. Quell’articolo, infatti, è stato sommerso, nei commenti, da decine di appelli (fra cui questi tre), e in pochi mesi è diventato uno dei più cliccati di questo sito. Un fatto inaspettato, dato che parolacce.org è un sito di linguistica e non di consulenza giuridica.
Queste storie mi hanno coinvolto emotivamente perché sono vere e sofferte: provate a leggerle, e vi accorgerete che davvero le parole possono ferire come pietre (o come pugni, vedi il fotomontaggio Shutterstock in alto).
Ma queste richieste d’aiuto sono anche il sintomo di un disagio diffuso: oggi molte persone non sanno come devono comportarsi nelle nuove piazze virtuali dei social network per evitare o affrontare questi “danni collaterali”.
E’ comprensibile.  Questi servizi sono entrati nelle nostre vite molto in fretta. E così, senza rendercene conto, negli ultimi 10 anni siamo diventati tutti non solo “connessi” ma in qualche modo anche “giornalisti”/editori. Grazie a Internet, infatti, possiamo far arrivare la nostra voce ovunque, a decine, centinaia o migliaia di persone. Proprio come i giornali.

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Questa opzione su Facebook non c’è: sarebbe un reato (Shutterstock).

E’ un cambio radicale, e nessuno ci aveva preparati per questo. Abbiamo acquisito grandi poterilibertà, ma siamo entrati in un gioco più grande di quanto immaginiamo. Per chattare su Whatsapp o su Ask, scrivere una recensione su Tripadvisor o su Yelp, pubblicare un post su Facebook o scrivere un tweet non abbiamo dovuto studiare un manuale o superare un test. Ma è come guidare un’auto senza aver preso la patente: possiamo essere piloti formidabili, ma se non conosciamo il Codice della strada rischiamo di prendere multe, di farci male o di finire in galera. Gli stessi rischi che corriamo se usiamo in modo inconsapevole i social network.
Ecco perché in questo articolo troverete una guida pratica su come prevenire e “curare” gli insulti su Facebook & C.

Le regole del gioco

Il primo passo è sapere le regole del gioco. Cioè le leggi. Molti pensano che Internet sia una terra di nessuno, una zona franca in cui ci si può esprimere come si vuole: come con gli amici al bar. Ma non è così: sul Web valgono le stesse norme della vita reale.

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A volte i social network sono un concentrato di insulti (Shutterstock).

In particolare, chi insulta qualcuno su Facebook & C. non commette il reato di ingiuria, che quest’anno è stato depenalizzato (non si rischia più la galera, ma solo sanzioni economiche: lo spiegavo nel mio post). Chi insulta sui social, invece, commette un reato più pesante: la diffamazione aggravata. Lo stesso reato che commettono i giornalisti quando scrivono un articolo ingiustamente offensivo. Ovvero, quando scrivono giudizi infamanti senza averne le prove. Anche gli insulti infatti (dire a qualcuno che è stronzo, bastardo, demente, etc) sono giudizi.
Su Facebook & C. le nostre frasi restano nero su bianco (pixel su pixel, byte su byte) e arrivano a un numero imprecisato di persone. Tanto più che le nostre chat, i nostri post, le recensioni restano online per anni. E li si può leggere in ogni momento e da ogni angolo del pianeta. Anche se contengono le peggiori parolacce.

E allora vediamo in che consiste il reato di diffamazione: quali sono le pene previste, le procedure di denuncia e i tempi. Per sapere tutte le altre leggi che regolano le parolacce in Italia, potete scaricare il mio libro.

DIFFAMAZIONE

Cos’è: si commette il reato di diffamazione quando si offende una persona assente, davanti ad almeno altri 2 testimoni. Questo reato si può commettere anche quando si offende via Facebook, Twitter, Tripadvisor, Google Plus, Linkedin, Yelp, Ask, Whatsapp (se è una chat di gruppo).

Eccezioni

Si può essere assolti se si riesce a provare la verità di un’accusa all’altra persona.

Non è punibile chi ha commesso il fatto come reazione a un’ingiustizia appena subita.

Procedura

Si può denunciare direttamente il fatto alle forze dell’ordine (polizia, carabinieri).
In alternativa, si può incaricare un avvocato di depositare una denuncia in Procura.

Tempi

La querela va presentata entro 3 mesi da quando si è venuti a conoscenza del reato. Dopo la denuncia penale ci si può costituire parte civile per chiedere il risarcimento dei danni subìti. In alternativa si può ricorrere – entro 5 anni – al giudice civile per ottenere il risarcimento dei danni.

Pene

Reclusione fino a 1 anno; oppure multa fino a 1032 €.

Aggravanti (e pene aumentate)

  • se si attribuisce un fatto determinato: se si fa un’accusa concreta (“ha rubato una bicicletta”) senza provarla: reclusione fino a 2 anni; oppure multa fino a 2065 €
  • se si diffama attraverso la stampa (o “altri mezzi di pubblicità“: su Facebook, Twitter, etc): reclusione da 6 mesi a 3 anni, oppure multa di almeno 516 €.

Legge di riferimento: Codice Penale, art. 595 

Leggendo questa scheda, salta subito all’occhio un paradosso: com’è possibile applicare la diffamazione a chi scrive su una chat? La diffamazione, di per sè, significa parlar male di qualcuno in sua assenza. Ma se l’altro è presente, seppure in modo virtuale, dall’altra parte dello schermo, su Whatsapp o Facebook e Twitter? Per la Cassazione, che ha sfornato diverse sentenze sul tema, la presenza digitale non conta: è difficilmente provabile, in un processo, che il destinatario dell’insulto fosse virtualmente “presente” (connesso) quando veniva scritto.
Ovviamente il Codice Penale – scritto nel lontano 1930, quando Internet non esisteva nemmeno nella fantasia degli scrittori di fantascienza – non poteva precisare questo dettaglio. Ma, aggiunge Giuseppe D’Alessandro, avvocato cassazionista a Niscemi, su questo punto non è detta l’ultima parola: in realtà il dibattito è ancora aperto.
«Il nostro Codice» spiega l’avvocato D’Alessandro «vieta di interpretare le leggi in maniera più punitiva per gli imputati. Le interpretazioni che attenuano un reato, quindi, sono possibili. Perciò, nessuno vieta, a un giudice, di interpretare la presenza virtuale come presenza effettiva: e questo trasformerebbe le offese via Facebook & C da diffamazione a ingiuria, un reato meno grave. E non è l’unico problema di interpretazione in questo campo: qual è il Tribunale competente a giudicare gli insulti sui social network? Per saperlo, bisogna sapere dove è stato commesso il reato: e quando il luogo è il cyberspazio, tutto si complica». La tendenza più diffusa, comunque, è di considerare competente il Tribunale dove risiede la vittima, ovvero chi ha presentato la querela. 

LE 9 REGOLE

Se seguirete queste 9 regole, limitate il rischio di offese e querele quando scrivete sui social network:

  1. Non usate mai termini che offendano l’intera persona. Ovvero quando si squalifica qualcuno per l’intelligenza, l’aspetto fisico, il modo di comportarsi (la morale: onestà, il rispetto delle leggi), la competenza professionale. Si può, invece, criticare un singolo comportamento. Meglio dire “Hai fatto una cazzata” (a patto che si spieghi perché) piuttosto che dire “sei un cazzone”. Si possono usare giudizi anche pesanti, purché non siano esageratamente offensivi: meglio dire “quel pesce era cucinato malissimo” piuttosto che “era una merda”. La legge garantisce la libertà di espressione, ma non quella di infangare gli altri.
  2. La regola 1 vale anche se si scrive in un post “chiuso”, non pubblico, riservato a una ristretta cerchia di amici
  3. La regola 1 vale anche se ci si rivolge a un personaggio pubblico (attore, sportivo, politico)
  4. La regola 1 vale anche se si parla male di una persona attraverso allusioni (“quel leccaculo raccomandato”) che siano comprensibili ad altre persone
  5. La regola 1 vale anche nelle recensioni di ristoranti, hotel, bar, etc
  6. La regola 1 vale, in modo ancora più stringente, nei confronti di istituzioni, capi di Stato, leader religiosi, etc: se li offendete, rischiate pene ancora più pesanti (trovate tutti i dettagli sul mio libro)
  7. Se, trascinati dall’ira e dalle passioni, avete esagerato: scusatevi apertamente con chi avete insultato e cancellate il post o le frasi offensive
  8. Se l’autore degli insulti è minorenne, è denunciabile (e condannabile) solo se ha compiuto 14 anni; prima, no
  9. Una recente sentenza della Cassazione afferma che chi condivide un post offensivo (senza aggiungere altro) non è imputabile. Ma su questo punto, ci sono opinioni contrastanti: personalmente, sconsiglio di inoltrare o cliccare “mi piace” su un post farcito di insulti. 

Cosa fare se vi hanno offeso su un social network?

  1. E’ difficile stabilire a priori qual è il confine fra una critica aspra ma lecita e un’offesa punibile dalla legge. Non esiste un elenco di parole vietate o cose simili. I giudici valutano l’offensività di una frase giudicando non solo le parole usate (sono parolacce?), ma anche il contesto (dove è stata detta la frase, in che modo, in risposta a che cosa, etc). Se avete dubbi su questo punto, chiedete un parere a un legale.
  2. Conservate la prova. Potete stampare la pagina con la frase offensiva, salvarla su pc o chiavetta Usb. Oppure potete fotografare la pagina del computer (fare uno “screenshot”). Ma non basta: siccome sarebbero prove facilmente manipolabili, l’unico modo per farle accogliere è fare autenticare quella pagina da un notaio, oppure mostrarla ad altri testimoni che poi la dovranno confermare in tribunale. Nel frattempo, è bene annotare (se possibile) quante persone hanno letto la frase offensiva, o quanti sono gli iscritti alla chat o al gruppo
  3. Segnalate la violazione direttamente alla polizia postale, che può anche convalidare e dare valore di prova al testo offensivo.
  4. Attenzione al fattore tempo: sia per l’ingiuria che per la diffamazione si ha tempo 3 mesi dal fatto (l’offesa) per presentare denuncia. Passato questo tempo, non potete fare più nulla (a meno di dimostrare che eravate nella giungla amazzonica e non avevate la connessione Internet).
  5. postSe non conoscete la vera identità di chi vi ha offeso, non è sempre facile (anche per la polizia) risalire all’autore, perché i server dove sono registrati i dati e il traffico di Facebook (o Whatsapp, etc etc) non sono in Italia.
  6. Se il “fattaccio” è accaduto su Facebook, potete segnalare la violazione al servizio: basta cliccare col mouse sulla piccola “v” che appare al bordo destro di ogni post, e si apre una finestra come questa a destra. Bisogna cliccare su “Segnala post”, e poi seguire le istruzioni che appariranno sullo schermo.
    La stessa opzione è possibile anche su Twitter: in questo social network basta cliccare in alto a destra sul 3 pallini, e appare anche qui l’opzione “segnala”.
PER SAPERNE DI PIU'

Se volete approfondire cosa dicono le sentenze dei tribunali in caso di ingiuria, diffamazione e oltraggio, trovate un altro articolo su questo blog. 

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Le città più imbarazzanti d’Italia https://www.parolacce.org/2015/08/10/mappa-paesi-volgari/ https://www.parolacce.org/2015/08/10/mappa-paesi-volgari/#comments Mon, 10 Aug 2015 10:17:18 +0000 https://www.parolacce.org/?p=8063 Che bei viaggi si fanno d’estate! Sono appena andato a Chiappa (Imola): un paese favoloso, gemellato con Culo (Francia). Lungo il tragitto ho fatto una “sosta tecnica” a Piscia (Francia), e poi una deviazione per ammirare le bellezze di Gnocca (Rovigo). Qui ho… Continue Reading

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Un collage con alcuni dei luoghi più volgari d’Italia.

Che bei viaggi si fanno d’estate! Sono appena andato a Chiappa (Imola): un paese favoloso, gemellato con Culo (Francia). Lungo il tragitto ho fatto una “sosta tecnica” a Piscia (Francia), e poi una deviazione per ammirare le bellezze di Gnocca (Rovigo). Qui ho incontrato una ragazza, ma presto ho scoperto che era di Troia (Foggia): lei mi ha mandato a Cagar (Croazia), ma ho sbagliato strada e sono finito a Bastardo (Perugia). Sempre meglio che andare a Merda (India) o a Puttan (Norvegia)…
La storia è inventata, ma i paesi con un nome volgare esistono davvero. E se li si mette tutti in fila, la geografia sembra diventare una canzone di Elio e le storie tese. Del resto, anche i luoghi modellano la nostra identità: molti cognomi sono derivati da nomi di località (Milanesi, Siciliano, Romani…) e diversi insulti fanno leva proprio sulla provenienza geografica (terrone/polentone). Figuriamoci allora cosa accade nella nostra mente se conosciamo un uomo che abita a Sega o una donna di Ficaccia…
Sul Web, però, circolano diversi scherzi e voli di fantasia (come le località di Vergate sul Membro o Sucate Sotto, che non esistono): così ho fatto una verifica e, scartando questi casi, ho trovato 90 paesi con un nome imbarazzante, non solo in Italia ma sparsi in tutto il mondo, dal Messico al Gabon, dall’India alla Norvegia.
Così li ho riuniti tutti per la prima volta in una mappa di Google corredata di segnaposti e spiegazioni: la trovate in fondo a questa pagina.

[ fai clic sul + per espandere la finestra qui sotto ]

CAZZONE, FUCKING...E ALTRE STORIE
Ma com’è possibile che questi paesi abbiano nomi tanto imbarazzanti?  Per rispondere, bisogna conoscere qualche rudimento di toponomastica, la scienza che studia l’origine dei nomi geografici. Che hanno storie simili a quelle dei cognomi volgari, che raccontavo in questo articolo.
Di solito, infatti, i nomi di città possono derivare da:
1) nomi di persona (il proprietario di un’area, oppure eroi celebri): Mariano, per esempio, designava un’area che apparteneva a Marius; il nome Alessandria fu scelto in onore di papa Alessandro III.
2) nomi di divinità o santi: San Vito, Sanremo.
3) descrizioni di luogo: Milano deriva da Mediolanum, in mezzo alla pianura; Pescara fu così chiamata perché era una zona pescosa.

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Il cartello di Fucking (Austria).

Proprio come i cognomi, anche i nomi di luogo sono soggetti a storpiature o errate traduzioni/trascrizioni. E, soprattutto, errate etimologie: Ficarazzi (PA) non ha un’origine sessuale, ma si riferisce a una piantagione di fichi. E la località di Troia (FO) non si riferisce a una donna di facili costumi, ma è un omaggio alla località dell’Asia Minore che ispirò l’Iliade di Omero. Insomma, probabilmente nessuno dei nomi (sia italiani che esteri) che leggerete nelle prossime righe aveva in origine un significato volgare: sono semplici – ma divertenti – omofonie (parole con lo stesso suono delle parolacce).
Non è un fenomeno solo italiano: uno dei cartelli stradali più rubati al mondo dai goliardi è quello del paesello di Fucking (Austria), che in inglese significa “fottendo”. E fra gli inglesi è popolare la località di Middlefart (Danimarca) che tradotta in italiano sarebbe “scureggia di mezzo”, Crapstone (pietra di cacca, Regno Unito), Dildo (vibratore, Canada) o la notevole Bird-in-hand (uccello in mano, Usa).

Inevitabile che le città con nomi tanto scomodi abbiano causato situazioni imbarazzanti, come dimostra la storia (segnalata dall’amico Giorgio Giorgetti) del paese di CAZZONE, in provincia di Varese. Il nome pare derivasse da casone (grossa casa), da gagione (boscaglia) oppure da cazzun, mestolo (il suo territorio è contenuto in una piccola valle, come su un cucchiaio). Per gli abitanti del luogo, che vi erano abituati da tempo, quell’appellativo non era un problema.

Il regio decreto che trasformò Cazzone in Cantello.

Il decreto che trasformò Cazzone in Cantello.

Ma quando, alla fine del 1800, in paese fu collocata una caserma della Guardia di Finanza (Cazzone era vicina al confine con la Svizzera), quel nome cominciò a diventare scomodo: come ricorda lo scrittore Piero Chiara in “Lombardia misteriosa”, i militari ricevevano lettere dai parenti con intestazioni tipo “Salvatore Scognamillo, CAZZONE“, oppure “Gennaro Cacace, CAZZONE“. Più che un indirizzo, un insulto. Così alcuni chiesero di essere trasferiti, ma per ironia della sorte finirono a Figazzo (Como).
Così, dopo varie lettere di protesta delle fiamme gialle, il governo corse ai ripari: con il Regio Decreto CLXXV del 18 luglio 1895, re Umberto I e il premier Francesco Crispi decisero che Cazzone sarebbe diventato Cantello, nome conservato fino a oggi. E Figazzo si trasformò in Lieto Colle (dal 1956 frazione di Parè). Non tutti, però, ne furono soddisfatti: alcuni abitanti irriducibili formarono un Comitato cittadino che chiedeva di tornare al nome originale. Il loro motto: “Cazzoni siamo e cazzoni resteremo”… Insomma, tante storie curiose.

Ma dove, quali e quanti sono le città volgari? Quelle con lo stesso suono delle parolacce italiane sono 92 in tutto il mondo: le località italiane sono 34 (il 35,8%), seguite da città della Francia (16: il 17,4%), della Norvegia (5, il 5,4%) e del Messico (3, il 3,2%). Il resto è sparso in ogni angolo del globo, dal Gabon all’India, dall’Iran a Cuba.
Fra le regioni italiane primeggia il Veneto, con 7 località, a pari merito con la Lombardia (6). Il Nord, quindi, batte il Sud. Per quanto riguarda l’estero, la Corsica è la regione con la maggior concentrazione di nomi volgari (11).
Fra le assonanze volgari prevalgono (e ti pareva!) i termini osceni-sessuali. Ecco l’elenco dettagliato dei paesi più imbarazzanti: se volete fare un viaggio stravagante (o mandare qualcuno a quel paese…), eccovi accontentati. Ma c’è di più: decine di insulti sono nati traendo spunto da varie località geografiche: da “troia” a “mongolo”, fino a “portoghese”,lesbica” e molti altri. Trovate la storia di queste offese in questo articolo.

TERMINI OSCENI (51%)

gnocca

Il cartello di Gnocca (Rovigo).

I termini osceni-sessuali sono la categoria più nutrita con 47 termini. Ecco quali sono:

  • Cazzulino (Italia, Lombardia), Cazzano (Italia, Veneto), Cazzago (3 Italia: Veneto e Lombardia), Usellus (Italia, Sardegna), Favalanciata (Italia, Marche), Kazaz (Iran)
  • Cappella (9 Italia: Piemonte, Lazio, Marche, 2 Veneto, Lombardia, Calabria, Molise, Campania; 3 all’estero: Svizzera, 2 Francia).
  • Pirla (2: Svizzera e India)
  • Trepalle (Italia, Lombardia)
  • Culo (2 Francia, Angola)
  • Chiappa (2 Italia, Liguria)
  • Usellus (1 Italia, Sardegna)
  • Figa (Slovacchia, Romania, 3 Francia), Fica (Francia), La Ficaccia (Italia, Sardegna), Ficaccia (Francia), Fika (Nigeria), Ficarazzi (Italia, Sicilia), Figaruja (Italia, Sardegna)
  • Gnocca (Italia, Veneto)
  • Pompiano (Italia, Lombardia), Poppino (Italia, Lombardia)
  • Sega (Italia, Veneto), La Sega (Veneto)
  • Scopa (Italia, Piemonte), Scupaggiu (Italia, Sardegna)
  • Kazungula (Zambia).

INSULTI (29,3%)

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La frazione di Bastardo (Perugia).

Le città con un nome che ricalca un insulto sono 27. Ecco quali sono:

  • Troia (Italia, Puglia), Troya (9: Cuba, 3 Messico, Argentina, Ecuador, Spagna, Cile, Gabon), Troja (Polonia, Germania, Giamaica), Troja (2 Norvegia), Troianul (Romania), Tròia (Portogallo)
  • Puttan (3 Norvegia), Puttanahalli (India), Putten (Paesi Bassi), Puttanavari (India), Puttenham (Regno Unito)
  • Bastardo (Italia, Umbria), Bastard (2 Francia)

 

 

TERMINI ESCREMENTIZI (19,7%)

La frazione di Pisciarelli (Roma).

La frazione di Pisciarelli (Roma).

Le città con un nome che si rifà ai prodotti del metabolismo sono 18. Eccone l’elenco:

  • Merda (India), Merdare (Serbia), Merdari (Montenegro), Merdonu (Iran), Merdani (Bosnia-Erzegovina), Merdan  (Turchia)
  • Strunze (Rep. Ceca)
  • Cagar (Croazia, Bosnia ed Erzegovina), isole Cagarras (Brasile)
  • Piscia (5 Francia), Pisciarelli (2: Italia: Lazio e Campania)
  • Sömmerda (Germania)
  • Kaga (Giappone)

 

 

Ed ecco la mappa mondiale delle città-parolaccia: per quelle italiane, se cliccate sul segnaposto colorato, apparirà una finestrella con qualche informazione in più, sulla località e (ove possibile) sull’origine del nome. I segnaposto sono di 3 colori diversi: verdi per i termini insultanti, rossi per quelli escrementizi, blu per quelli osceni (come nell’elenco precedente).

E voi? Conoscete altri paesi imbarazzanti che mi sono sfuggiti? Segnalateli nei commenti (finestra qui sotto: tranquilli, il vostro indirizzo mail non sarà pubblicato) possibilmente con il link a Google Maps: così aggiornerò la mappa.

 

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Perché “cagare” significa “dare attenzione” https://www.parolacce.org/2011/11/25/perche-cagare-significa-dare-attenzione/ https://www.parolacce.org/2011/11/25/perche-cagare-significa-dare-attenzione/#comments Fri, 25 Nov 2011 09:16:25 +0000 https://www.parolacce.org/?p=604 Livio, un lettore di questo blog, mi scrive: Da dove arriva l’espressione “cagare”, nel senso “dare retta“? Me lo sono chiesto la prima volta che l’ho sentito, avrò avuto 8 anni, ma mi ricordo benissimo che cosa avevo pensato: “Ma… Continue Reading

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“Cago, ma non ti cago”…. Surfisti britannici protestano seduti su Wc contro l’inquinamento delle coste (2001).

Livio, un lettore di questo blog, mi scrive: Da dove arriva l’espressione “cagare”, nel senso “dare retta“? Me lo sono chiesto la prima volta che l’ho sentito, avrò avuto 8 anni, ma mi ricordo benissimo che cosa avevo pensato: “Ma che cosa centra?!“. Non mi raccapezzo. Forse dalla trasformazione di “dar retta” a “dar retto”, quindi “cagare”?
La domanda è interessante, caro Livio. Tanto che alla risposta ho deciso di dedicare tutto questo post. L’espressione, nata probabilmente negli anni ’70 nel gergo giovanile, è registrata anche dallo Zingarelli: cacare = nella locuzione “Non lo cago nemmeno” non mi curo minimamente di lui, lo ignoro del tutto. “Non cacarsi qualcuno”, disprezzarlo, infischiarsene.

Come raccontavo in un recente post, molte parolacce sono usate in senso traslato, come figure retoriche: servono a ravvivare e colorare il discorso, assumendo altri significati rispetto a quelli letterali. In questo caso, l’origine della metafora non è documentata dalla letteratura, quindi cercherò di ricostruire il tragitto mentale che l’ha generata. “Cagare” è usato in questi modi di dire come sinonimo di “considerare”. Ma come è avvenuto questo passaggio?

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La sedia stercoraria papale in Laterano.

Defecare è considerato, nella nostra cultura, un atto fisiologico liberatorio ma anche umiliante e degradante: non a caso, fino al 1500, il pontefice appena eletto veniva fatto sedere su sedie bucate, le sedie stercorarie, “acciò considerasse che era huomo come gli altri e sottoposto a tutte le humane necessità, con tutto ch’egli fosse à quel sublime grado alzato”.
Non solo. Come altre attività fisiologiche (digerire, respirare..) defecare è un’attività a cui prestiamo poca attenzione intellettuale. Per questo, dire che “non cago qualcuno” significa che non lo si ritiene degno neppure dell’attenzione che si riserva a un escremento quando lo si espelle. C’è, quindi, in questa espressione una doppia equivalenza: si paragona la considerazione verso una persona all’attenzione che si riserva al defecare, e si paragona la persona oggetto di disattenzione a un escremento. Il massimo dell’umiliazione. E non sto qui a ricordare gli infiniti valori simbolici (non solo spregiativi) che molte lingue attribuiscono alla cacca…

Ma perché dedicare tutte queste energie creative per descrivere la mancanza di considerazione? Perché è uno dei sentimenti più irritanti e umilianti: avete mai provato, in treno, a star fermi per intere mezz’ore, senza che nessuno si degni di spiegare cosa sta accadendo e quando si risolverà il problema? O a essere urtati, per strada, da qualcuno che non si degna neanche di chiedervi scusa? O a chiedere un’informazione a qualcuno che nemmeno si volta dalla vostra parte per rispondervi?
Ecco perché l’espressione è usata con molte varianti: “non mi caga nemmeno di striscio”, ovvero “non mi presta un minimo di attenzione” (qui il paragone è, probabilmente, con un escremento che si limita a sfiorare le pareti del retto). Oppure “Non mi caga di pezza”, ovvero per nulla (il significato dell’espressione “di pezza” è oscuro: probabilmente “di pezza” significa “tessuto di nessun valore”, quindi diventa sinonimo di “nulla”). E “caghino”: individuo giovane e non molto alto che si dà un sacco di arie; presuntuoso, borioso, supponente, non considera molto gli altri…
Dunque, anche con ingredienti “bassi” si possono confezionare metafore: forse non molto poetiche, ma sicuramente creative, efficaci e visionarie.

"Abbastanza sorprendentemente, non me ne frega una cacca": poster in vendita negli Usa.

“Abbastanza sorprendentemente, non me ne frega una cacca”: poster in vendita negli Usa.

Ma esistono, in altre lingue, metafore equivalenti? Più no che sì. In tedesco, che pure fa largo uso di metafore escrementizie (sheisse, merda, è un’esclamazione molto frequente) “non cagare qualcuno” si dice “ignorieren” (ignorare), “keines Blickes Würdigen” (non degnare di un’occhiata), o il più poetico “wie luft behandeln” (trattare come aria, ovvero come se una persona fosse un fantasma). In francesetartir” (cagare) ha il significato opposto: scocciare (da noi si dice “cagare il cazzo”).
Solo l’inglese ha un’espressione più o meno equivalente alla nostra: “He doesn’t give a shit about me”, ovvero “non gliene frega niente di me”. Letteralmente: “non dà una merda riguardo a me”, ovvero “non si priva nemmeno di un suo escremento per me”. In altre parole, non mi caga…
In portoghese, “cagar e andar” significa il contrario, ovvero: non interessarsi minimamente, fregarsene di qualcosa. Mentre 
cagar goma” (cagare gomma o colla) significa mentire.
In spagnolo, ci sono vari modi di dire: “cagar” qualcosa significa “commettere un errore irreparabile (come in italiano “fare una cagata); l’espressione “me cago en diez” (mi cago in 10), “en la leche” (nel latte), o “en la mar” (nel mare) significa esprimere contrarietà o estraneità; dire che qualcosa “te cagas” vuol dire che è eccellente. E l’espressione “me cago en…”, significa però “cago, cioè disprezzo…”, come in una celebre canzone di Tonino Carotone “Me cago en el amor”:

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Le parolacce fanno paura ai dittatori https://www.parolacce.org/2011/11/11/parolacce-contro-i-dittatori/ https://www.parolacce.org/2011/11/11/parolacce-contro-i-dittatori/#comments Fri, 11 Nov 2011 14:20:46 +0000 https://www.parolacce.org/?p=534 Con le parolacce si possono fare molte cose. Ci si può sfogare, eccitare, ridere… E anche far vacillare una dittatura. Non ci credete? Chiedetelo alle 5mila persone che, fra il 1926 e il 1943 furono denunciate, sotto il regime fascista,… Continue Reading

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Guidonia, 1939: Mussolini scende dall’aereo che ha pilotato facendo un goffo saluto romano. E’ una delle foto censurate dal regime, e raccolte da Mimmo Franzinelli nel libro “Il Duce proibito”.

Con le parolacce si possono fare molte cose. Ci si può sfogare, eccitare, ridere… E anche far vacillare una dittatura. Non ci credete? Chiedetelo alle 5mila persone che, fra il 1926 e il 1943 furono denunciate, sotto il regime fascista, semplicemente perché avevano imprecato contro il duce, raccontato una barzelletta dissacrante o sfregiato la sua immagine. Di questo esercito di oppositori, 1.700 furono inviati al confino, 300 spediti in galera e 3mila diffidati. L’ha scoperto un professore di storia, Alberto Vacca, che ha fatto una ricerca nell’Archivio centrale dello Stato studiando le numerose denunce per “offese al Capo del Governo” durante il Ventennio.

La ricerca è diventata un libro, edito di recente da Castelvecchi: “Duce truce. Insulti, barzellette, caricature: l’opposizione popolare al fascismo nei rapporti segreti dei prefetti (1930-1945)”. Un libro che possiamo considerare il primo “figlio legittimo” di “Parolacce: dato che esistono anche quelli illegittimi (imitatori senza arte né parte, o senza riconoscenza dei meriti).

Infatti Vacca ha avuto l’idea della ricerca leggendo il mio libro: così, quando ne ultimò la scrittura me lo inviò per mail chiedendomi un parere. Insieme ad alcuni consigli redazionali, l’ho spronato a trovare un editore: sarebbe diventato un libro sorprendente. E così è stato. Tanto da aver raccolto in pochi giorni recensioni molto positive sul “Venerdì” di “Repubblica”, su “Il Foglio”, “Avvenire“, Focus Storia collection, Diacronie (studi di storia contemporanea), la “Cronaca di Piacenza“, Tribuna novarese, archiviostorico.info e booksblog.it. L’autore è stato intervistato da Radio Radicale, Canale 10 e Radio Popolare.
Dopo una chiara introduzione, che fa capire il contesto storico in cui maturarono le denunce, Vacca ha riprodotto integralmente i rapporti, dividendoli per categorie, seguendo gli stessi criteri di “Parolacce”: frasi offensive; fantasie omicide; maledizioni; insulti all’immagine; barzellette e parodie; sfregi all’effigie.

Ritaglio di giornale con scritte ingiuriose, spedito al Direttorio del P.N.F. con busta datata a Palermo, del 18 ottobre 1940.

Ma non pensate che sia un libro noioso. Come scrivo nella prefazione del libro, “nonostante il linguaggio burocratico, infatti, i rapporti dei prefetti sono piccoli film: vi trasporteranno nelle osterie, sui tram, nelle fabbriche, nei cortili, nelle scuole, nei bordelli dell’Italia sotto il fascismo. Mostrando quanto la dittatura scatenasse il lato peggiore dell’uomo (ricordate il film “Le vite degli altri”?): a denunciare gli autori delle battute – spesso ubriachi, poveri o minorenni – non erano solo i servi del Potere, ma anche tanti livorosi vicini di casa, passanti o colleghi che approfittavano di un passo falso altrui per mettersi in mostra col Regime e liberarsi d’un nemico. Ci sono perfino figli che denunciano i padri: tutti contro tutti in un’Italia nel baratro della guerra e della miseria”.

“Duce truce” non è solo un viaggio nella nostra storia. E’ anche un’occasione preziosa e concreta per capire non solo che l’adesione al fascismo fu tutt’altro che monolitica, ma anche per comprendere come funzionano le dittature: con una propaganda martellante e capillare creano il consenso, e con una repressione implacabile e minuziosa reprimono il dissenso. Di quest’ultimo aspetto parlano i rapporti: colpisce la cura maniacale con cui ogni minimo sfregio al Capo era indagato, con indagini “celerissime”, perquisizioni, perizie calligrafiche, interrogatori stringenti seguiti dalla punizione implacabile.

Rapporto del Prefetto di Trieste, 6 giugno 1938. Il prefetto propone di punire un appartenente alla Milizia che ha dato del “macaco” al duce con 30 giorni di carcere e la diffida. Mussolini però applica la pena più grave del confino.

Un esempio? Ecco una denuncia redatta dai carabinieri di Termini Imprese (Palermo) il 20 aprile 1943: “Locali dopolavoro “G. Lo Faso” via Mazzini, veniva rinvenuto calendario recante effigie DUCE tenuta volo deturpata da baffi et barba, nonché da corna tipo cervo fatti matita. Indagasi per scoprire autore”.

Ci sarebbe da ridere se si pensa alla pochezza dei reati in questione: ma il fascismo era proprio una farsa tragica, nella quale una sola persona si ergeva a Dio, senza curarsi della giustizia e degli individui. E una claque gli reggeva il gioco: una claque fondamentale, non solo per il narcisismo del Capo, ma perché nessuno doveva svelare che il re era nudo, ovvero che aveva un ingiusto strapotere. Sarebbe caduto non solo il Sistema, ma anche una serie di scelte economiche e militari che si reggevano sul consenso delle masse, cementato dall’ingenuità, dalla paura e dalla convenienza.

Lo rivela, senza volerlo, uno dei rapporti citati nel libro: chi rideva del Duce faceva “un’azione corrosiva e deleteria ai danni del Regime” (…) mentre i lavoratori fascisti, “quantunque pressati dal grave disagio economico, marciano in fervorosa disciplina ed assoluta ubbidienza (…), servendo il Regime”.

Così la ricerca di Vacca svela l’inganno orchestrato dal Regime: il dittatore è a tal punto identificato con l’Ordine costituito, che chi attenta alla sua immagine è un “sovversivo”, quindi va punito sempre e comunque. Ed ecco perché le dittature odiano, più delle critiche, la satira: perché, come notava Michail Bacthin, il riso – e le pernacchie, le caricature, le parolacce – “abbassando” i potenti, li riportano al livello del popolo, restituendo l’equilibrio nella comunità.

Non a caso Gene Sharp, intellettuale esperto di disobbedienza civile, cita, nel libro “Come abbattere un regime” tra i modi per far crollare i governi totalitari, anche le opere buffe e di dileggio. Una risata, anzi: una parolaccia li seppellirà.

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Ti insulto, ma con garbo https://www.parolacce.org/2011/05/24/ti-insulto-ma-con-garbo/ https://www.parolacce.org/2011/05/24/ti-insulto-ma-con-garbo/#respond Tue, 24 May 2011 14:19:00 +0000 https://www.parolacce.org/?p=140 “Sdraiati, vorrei schiacciarti per vedere se davvero mi porti fortuna…”. Ci sono insulti che possono essere tanto pesanti quanto garbati: perché non usano parolacce. Fanno parte di una categoria (le non-parolacce o “turpiloquio negativo”) di cui ho già parlato nel… Continue Reading

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Un modo elegante di dire “Sei una merda” (montaggio da foto Shutterstock).

“Sdraiati, vorrei schiacciarti per vedere se davvero mi porti fortuna…”. Ci sono insulti che possono essere tanto pesanti quanto garbati: perché non usano parolacce.
Fanno parte di una categoria (le non-parolacce o “turpiloquio negativo”) di cui ho già parlato nel mio libro. Torno sull’argomento perché c’è una novità: da poco è stato aperto su Facebook un gruppo divertente: “999 modi di insultare senza parolacce”. Il gruppo cita molte battute divertenti, candidandosi a diventare un prontuario di offese più o meno raffinate. Ma ne parlo perché mette in luce un aspetto importante delle parolacce: i loro labili confini con le parole “normali”.
Le parolacce, infatti, non sono parole vietate “in quanto tali”, per le loro qualità intrinseche, bensì per i contenuti che esprimono. Perciò, qualsiasi parola più diventare una parolaccia se veicola un senso offensivo, un’emozione negativa o un aspetto della vita da maneggiare con cura. Per esempio, negli ultimi anni “talebano”, è diventato uno spregiativo (= fanatico, retrogrado, incolto), ma di per sé la parola significa “studente di una scuola coranica”. E persino un complimento può diventare un insulto: la frase “Ma quanto sei intelligente”, pronunciata con tono sarcastico, significa esattamente l’opposto (“Quanto sei coglione”). E’ una figura retorica che si chiama antifrasi: il significato di una frase è l’opposto di quello che ha letteralmente.

Gli insulti raccolti da Facebook rappresentano un caso particolare.
Dal punto di vista storico, discendono da due generi letterari: i fescennini, gare di insulti in rima (da loro è nato il rap) e l’invettiva.
Dal punto di vista linguistico, si avvicinano all’eufemismo, a cui ho dedicato un articolo qui. Sono, in sostanza, giri di parole. E si basano sugli stessi meccanismi umoristici delle barzellette:

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Fotomontaggio ironico sullo scherzo giocato alla Moratti.

1) sono indovinelli con trabocchetto. Il destinatario dell’insulto è costretto a una prova d’intelligenza, a decodificare una frase apparentemente innocua. Per poi ritrovarsi con un pugno di mosche in mano. Per fare un altro esempio: “Stai bene con la riga in mezzo; solo non capisco quel foro al centro cosa sia” o “Se fatichi a far uscire uno dei tuoi soliti ragionamenti, prova con delle prugne”, o “Non ti disturba stare seduto sul tuo cervello?” sono modi puliti di dire “faccia da culo”. E il destinatario non fa una bella figura se non capisce il trucco: com’è accaduto di recente allo staff di Letizia Moratti, quando ha preso sul serio il Tweet-beffa: “Il quartiere Sucate dice no alla moschea abusiva in via Giandomenico Puppa”. Ovviamente, il quartiere Sucate e via Puppa non esistono

2) con un linguaggio neutro, sotto il manto del rispetto, contrabbandano pensieri aggressivi. Per esempio: “Ehi ciao ! Senza preservativo in testa non ti avevo riconosciuto” = sei una testa di caz… Oppure: “Devo dire che senza tavoletta e catenella fai tutto un altro effetto” = sei un cesso . O: “Resta pure sulle tue ma ti prego, scendi dalle mie” (= non rompermi i cogl).
Questa ostilità è espressa con una forza controllata, ben più temibile della forza bruta. Come dire: mi dai fastidio, ma non sei degno di farmi sprecare energie in rabbia.
Insomma, le non-parolacce stanno alle parolacce come l’erotismo alla pornografia.

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Comporre parolacce usando innocui nomi di biscotti: un modo per dribblare le censure.

3) fanno ridere. Come nelle barzellette, si ride quando si decifra il senso nascosto di una frase, di un doppio senso. E si ride anche del destinatario dell’insulto, preso in giro in modo teatrale ma “con i guanti”: se è una persona di spirito, anche lui potrebbe ridere di sè stesso. Questo non può avvenire con gli insulti diretti. Se diciamo a una persona: “Mi piacciono le piccole cose, ma col tuo cervello si esagera”, suscitiamo il riso; ma se  diciamo lo stesso concetto in termini crudi (“Sei un cogl”) esprimiamo direttamente il disprezzo. Ma al tempo stesso perdiamo autorevolezza, perché le parolacce squalificano anche chi le dice. I giri di parole, invece, non hanno questo inconveniente: chi li dice non perde prestigio (anzi, in qualche modo lo acquista, esibendo il proprio autocontrollo).
Questo meccanismo creativo può valere per gli insulti, e anche per le maledizioni (= augurare il male a qualcuno), come nelle espressioni: “Vai a giocare a mosca cieca sull’autostrada”, o “Vai a nuotare nella vasca degli squali”. In questo articolo trovate 51 varianti, da quelle più pulp a quelle più bonarie.

Ma questi giri di parole non sono applicabili alle imprecazioni: se vi pestate il dito col martello, difficilmente esclamerete “Prodotto intestinale!”, o “Organo genitale maschile!”.
Per un motivo molto semplice: le imprecazioni sono risposte neurologiche, sono modi automatici di reagire del nostro organismo a una situazione di dolore e stress. Il nostro cervello ha imparato ad associare un’emozione violenta con un’espressione, e la usa come sfogo, senza filtri razionali. Se volete saperne di più, ne ho parlato qui.

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Parolacce dell’anno: la top 10 del 2010 https://www.parolacce.org/2011/01/07/parolacce-dellanno-la-top-10-del-2010/ https://www.parolacce.org/2011/01/07/parolacce-dellanno-la-top-10-del-2010/#respond Fri, 07 Jan 2011 16:37:00 +0000 http://www.parolacce.org/?p=6 E’ la politica italiana la vincitrice della “top 10 delle parolacce” nell’anno appena trascorso. E non a caso: la politica, come lo sport, infiamma gli animi e accende le passioni più forti, di cui le parolacce sono il combustibile. A… Continue Reading

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E’ la politica italiana la vincitrice della “top 10 delle parolacce” nell’anno appena trascorso. E non a caso: la politica, come lo sport, infiamma gli animi e accende le passioni più forti, di cui le parolacce sono il combustibile. A ogni latitudine, come vedrete qui sotto.
Ma particolarmente in Italia, dove c’è un uso particolarmente frequente di insulti fra politici… Perché? Per 3 fenomeni: 1) La spettacolarizzazione della politica, affidata ai talk show televisivi, dove vince chi usa contenuti semplici, rumorosi e veloci (e l’insulto, purtroppo, ha questi requisiti, essendo una sorta di “giudizio abbreviato”). 2) La personalizzazione della politica, che da scontro di idee e contenuti è degenerata in scontro fra persone (e anche in questo caso, l’insulto “mette a terra” l’avversario in un sol colpo). 3) La volgarizzazione della politica: per ridurre le distanze con l’elettorato, molti politici hanno usato il linguaggio popolare, parolacce comprese. Colpendo allo stomaco, più che al cuore, gli uditori.

Il risultato? Da un lato, si creano scenari da guerra totale, dalle conseguenze spesso imprevedibili. Dall’altro, però, il fango aumenta, col risultato che le parolacce perdono potere, si inflazionano, riducendo l’autorevolezza dei politici. E aumentando il disinteresse e la disaffezione degli elettori. Ecco perché, a differenza degli anni scorsi (vedete le classifiche del 2009 e del 2008) ci sono meno episodi divertenti e più livore…

Comunque, se soffrite per la volgarità dilagante in tv, consolatevi pensando agli Usa: durante la trasmissione degli “Mtv movie awards”, in 122 minuti ne sono state dette più di 100: quasi una al minuto. Un record che farebbe impallidire persino il nostro “Grande fratello”. Ed è un Paese puritano!
Non sempre, però, le parolacce sono urtanti e abbruttenti: Cee Lo Green, rapper statunitense, ha lanciato l’estate scorsa un brano “F uck you”  (Fottiti), scalando le classifiche di vendita di mezzo mondo: certo, l’originalità è minima (è almeno la terza canzone con quel titolo, senza contare la nostrana “Vaffanculo” di Marco Masini). Ma la canzone (un’avvelenata contro un’ex fidanzata che l’ha piantato per un partner più ricco) sprizza gioia e leggerezza. Un contrasto ben riuscito. Idealmente, la colonna sonora di questa top 10, scelta con criteri linguistici e sociologici: ho scelto le parolacce più sorprendenti, divertenti, creative o dalle conseguenze notevoli (come quelle selezionate per il libro).

Se volete commentare o segnalare episodi del genere (anche per la top 10 del 2011), scrivetemi

10) MASSIMO D’ALEMA, DEPUTATO PD

“Vada a farsi fottere! Lei è un bugiardo e un mascalzone”

  • Dove e quando: 3 maggio 2010, “Ballarò”, Rai3
  • Perché è nella top 10: durante la trasmissione, il vicedirettore
    de “Il Giornale”, Alessandro Sallusti ha punzecchiato più volte D’Alema, in un crescendo di provocazioni. A un certo punto ha accostato il caso della sua ex
    abitazione a equo canone con lo scandalo della casa romana di Claudio Scajola (quella pagata ” a sua insaputa” da faccendieri).
    D’Alema,
    solitamente paziente e gelido, gli ha detto: “Vada a farsi fottere! Lei è un bugiardo e un mascalzone!”.
    Sallusti ha minacciato denunce, D’Alema si è poi detto dispiaciuto dell’episodio. Ma ha creato comunque un’espressione inedita: da un lato ha mantenuto con
    freddezza le distanze dando del “lei” all’avversario, e dall’altro si è
    preso un’estrema confidenza. Un ossimoro, come “la neve calda”.

9) RACHIDA DATI, EURODEPUTATA FRANCESE

«Moi quand je vois certains qui demandent une rentabilité à 20-25%, avec une fellation quasi nulle… ».

 

[«Quando vedo che alcuni di voi sostengono una redditività dal 20 al 25% con una fellatio (= rapporto orale) minima…]

  • Dove e quando: 26 settembre 2010, durante un’intervista in tv a Canal +
  • Perché è nella top 10: è stato un lapsus (voleva dire inflation, inflazione) inaspettato e divertente, di cui la protagonista non si è accorta. Ma gli internauti sì: il video ha fatto il giro del mondo. Una sola domanda: a che pensava la Dati durante l’intervista?

8) FRANK CAPRIO, CANDIDATO DEMOCRATICO A GOVERNATORE DEL RHODE ISLAND, USA

“(Mr Obama) can take his endorsement and really shove it, as far as I’m concerned”

 

[“Per quanto mi riguarda, (Obama) il suo supporto se lo può davvero ficcare (in quel posto)”.]

  • Dove e quando: Usa, 25 ottobre 2010, elezioni di midterm. Caprio era il candidato democratico (lo stesso partito del presidente Obama). Ma il presidente non l’ha appoggiato, probabilmente per riconoscenza a un altro candidato, Lincoln Chafee, ex repubblicano che a suo tempo aveva sostenuto Obama. Risultato: alla fine le elezioni le ha vinte Chafee, candidato indipendente, col 36.1% dei voti. Caprio si è classificato terzo col 23% dei voti.
  • Perché è nella top 10: nella patria del puritanesimo, per scagliarsi in questi termini contro l’uomo più potente del mondo ci vuole un certo fegato.

7) FERNANDO VERDASCO, TENNISTA SPAGNOLO, 9° NELLA CLASSIFICA MONDIALE DELL’ATP

“Su ‘p uta’  madre, su ‘p uta’ madre, hostia, ‘p uto’ francés de mierda, hostia ‘p uta’… Es el peor pùblico del mundo, los ‘putos’franceses de los cojones ….joderos! joderos! A ver ahora quien tienes mas cojones!”.

 

[“Quella puttana di sua madre, quella puttana di sua madre, ostia, puttano d’un francese di merda, ostia puttana… E’ il peggior pubblico del mondo, puttani francesi dei miei coglioni… andate a farvi fottere! andate a farvi fottere! Ora vediamo chi ha più coglioni!”]

  • Dove e quando: 22 maggio 2010, Open de Nice, Nizza, Francia. Sfida contro il francese Richard Gasquet (68° nella classifica mondiale). Dopo aver perso il primo set e vinto il secondo, lo spagnolo perde la testa quando il francese inizia a vincere il terzo set. Verdasco si infuria, insultando prima l’avversario e poi il pubblico. Alla fine non c’è stato nulla da fare. Gasquet ha piegato Vardasco per 6-3, 5-7, 7-6
  • Perché è nella top 10: per la passionalità e la rabbia senza freni… Un comportamento ben poco sportivo, ma divertente perché va così sopra le righe che non si cura di essere impopolare: è stato più un dialogo fra sé e sé, contando sul fatto che il pubblico fosse francese e non capisse i suoi insulti. Ma il tono e i gesti hanno fatto arrivare ugualmente il messaggio. (Ringrazio della segnalazione il gruppo AV2 EOI della Scuola di lingue statale di Burgos, Spagna, e la docente Laura Facchini).

6) UMBERTO BOSSI, SEGRETARIO DELLA LEGA NORD

“Basta, la sigla Spqr. Senatus popolusque romanus, qui al nord Spqr vuol dire: Sono porci questi romani”.

  • Dove e quando: 27 settembre 2010, selezioni di Miss Padania, a Lazzate
  • Perché è nella top 10: la battuta voleva essere una stoccata contro il progetto di ambientare un Gp di Formula 1 a Roma, scippando l’esclusiva alla città di Monza. La battuta non era granché spiritosa e nemmeno originale: l’aveva detta già nel 1994 Massimo Boldi nel film “SPQR 2000 e ½ anni fa”. E, di fatto, spostava solo su un piano più concreto, personalizzandolo, l’astratto slogan “Roma ladrona”. E forse proprio per questo ha sollevato un putiferio dalle conseguenze inimmaginabili: il sindaco di Roma Giovanni Alemanno, suo compagno di coalizione, ha scritto una lettera di protesta al premier, e il Pd ha proposto una mozione di sfiducia contro Bossi. In più la polemica politica ha avuto un risvolto calcistico: il capitano della Roma Francesco Totti, ha sfidato Bossi a ripetere la stessa frase sotto il Colosseo o la curva Sud, accusando i leghisti di non cantare l’inno d’Italia; al che gli ha replicato Mario Borghezio, definendolo “un cretino con qualche lampo di imbecillità”. Totti ha minacciato querele. Ma l’episodio aveva lasciato una ferita aperta, tanto che il 7 ottobre è stata organizzata una mangiata riparatoria fra Bossi e Alemanno in piazza Montecitorio, a base di polenta, rigatoni con coda alla vaccinara e cicoria. In attesa della prossima polemica sull’asse Milano-Roma.

5) TOMASZ SCHAFERNAKER, METEOROLOGO DELLA BBC

Mostra per scherzo il dito medio: ma era in diretta…

  • Dove e quando: su Bbc news, il 16 agosto 2010
  • Perché è nella top 10: dopo aver annunciato che le previsioni del tempo sarebbero state accurate al 100% e ricche di dettagli, il giornalista Simon McCoy ha passato la linea a Schafernaker. Ma lui, credendo di non essere ancora in onda, gli ha fatto un gestaccio goliardico. La regia è tornata a inquadrare lo studio, ma quel fotogramma di un secondo non è passato inosservato anche ai conduttori, che scoppiano a ridere. Per ricomporsi subito dopo in perfetto understatement britannico: “Un errore può sempre capitare. E questo lo è stato”. Ma l’incidente, avvenuto su uno dei canali più austeri, ha fatto il giro del mondo. E Schafernaker ha ricevuto una nota di biasimo dall’emittente.

4) MARA CARFAGNA, MINISTRO PER LE PARI OPPORTUNITÀ

“La Mussolini? A Napoli le chiamano le vajasse”.

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  • Dove e quando: intervista al quotidiano di Napoli “Il Mattino”, 21 novembre 2010.
  • Perché è nella top 10: il ministro Carfagna era risentita del fatto che la Mussolini l’avesse fotografata mente parlava con Italo Bocchino, capogruppo di Fli (che ha rotto col Polo delle libertà). E così, intervistata dal quotidiano più letto a Napoli, serbatoio di voti della Mussolini, la Carfagna le ha lanciato un siluro mirato. Che è rimbalzato su tutti i giornali, nonostante l’uso di un termine dialettale partenopeo che non è così universalmente noto.“Vajassa” in origine significa serva domestica (vasciaiola, abitante dei bassi), poi il termine è diventato uno spregiativo per indicare una donna di scarsa cultura e dai modi volgari, rozzi e incivili. Conseguenze: la Mussolini è arrivata a minacciare di non votare la fiducia all’allora traballante governo. E il termine ha avuto così tanta fortuna da essere usato ancora contro di lei non solo da Piero Fassino del Pd durante un’infuocata seduta parlamentare (“l’on Carfagna l’ha già definita egregiamente”), ma persino al Parlamento europeo, dove durante un’accesa discussione Sonia Alfano (Idv) ha chiamato “vajassa” Licia Ronzulli del Pdl.

3) SILVIO BERLUSCONI, PRESIDENTE DEL CONSIGLIO

“La guarda e fa: “orcod**!”

  • Dove e quando: il video è stato girato a L’Aquila, poco prima del G8, dunque nel 2009. Ma è diventato pubblico solo nel 2010, quando l’Espresso l’ha pubblicato il 1° ottobre del 2010
  • Perché è nella top 10: è la prima bestemmia di un leader di governo, un primato mondiale. Il premier è stato registrato a sua insaputa mentre raccontava una barzelletta che prendeva di mira Rosy Bindi, presidente del Pd, già da lui più volte attaccata sul piano fisico estetico piuttosto che su quello politico. Fin qui niente di nuovo, se non fosse che la barzelletta si conclude con una bestemmia teatrale. Per un politico molto attento all’amicizia col Vaticano, uno scivolone plateale, tanto da fargli  giungere una bacchettata da “Avvenire”, il quotidiano dei vescovi, che lo ha richiamato al dovere di sobrietà e rispetto, e dall’Osservatore romano (organo ufficiale del Vaticano), che ha definito “deplorevole” il caso (con l’eccezione di un arcivescovo, Rino Fisichella, che ha minimizzato l’incidente). L’episodio ha ispirato anche Roberto Benigni, che in una divertente gag alla trasmissione “Vieni via con me” ha esortato la Bindy a circuire Berlusconi “sacrificandosi per il partito”, definendola goliardicamente “chiappa generosa del Pd”…

2) ARTURO PÉREZ-REVERTE, ROMANZIERE SPAGNOLO

Vi llorar a Moratinos. Ni para irse tuvo huevos” (…). “Se es un mierda cuando uno demuestra públicamente que no sabe irse. De ministro o de lo que sea. Moratinos adornó su retirada con un lagrimeo inapropiado. A la política y a los ministerios se va llorando de casa. Luego Moratinos, gimoteando en público, se fue como un perfecto mierda”.

 

[Ho visto piangere Moratinos. Non ha avuto le palle neanche per andarsene. (….) Si è una merda quando si dimostra pubblicamente di non sapersene andare. Da ministro o da qualunque cosa. Moratinos ha ornato il suo ritiro con un piagnisteo inappropriato. In politica e ai ministeri si va piangendo da casa. Ma singhiozzando in pubblico, se n’è andato come una perfetta merda”.]

 

originalDove e quando: su Twitter, 21 ottobre 2010, Spagna. Il premier Josè Zapatero fa un rimpasto di governo e silura Miguel Angel Moratinos, ministro degli Esteri , che durante il passaggio di testimone con il suo successore, la politica Trinidad Jiménez, scoppia in lacrime.

  • Perché è nella top 10: è  il primo caso di insulti via Twitter che ha avuto un’eco internazionale, oltre che proteste nel Parlamento spagnolo. Reverte, ex reporter di guerra, è noto per i suoi modi sbrigativi e franchi. Neppure di fronte alle accuse di machismo Reverte ha fatto retromarcia. Anzi, ha calcato la mano: “se avessi saputo di creare questo polverone, lo avrei insultato prima”, ha detto.

1) ANONIMO

“Il bunga-bunga”.

  • originalDove e quando: il 28 ottobre 2010, Repubblicaracconta l’interrogatorio in Procura della minorenne Ruby Rubacuori (Karima El Mahroug) fermata e poi rilasciata dalla Questura di Milano. Repubblica scrive che Ruby “fa entrare negli atti giudiziari un’espressione inedita, il bunga bunga. Viene chiamata in questo modo l’abitudine del padrone di casa d’invitare alcune ospiti, le più disponibili, a un dopo-cena erotico. “Silvio (lo chiamo Silvio e non Papi come gli piacerebbe essere chiamato) mi disse che quella formula, bunga bunga, l’aveva copiata da Gheddafi: è un rito del suo harem africano”. Ma da dove salta fuori il termine “bunga bunga”?

Non si sa: in malese, “bunga” significa fiore; e Bunga è il nome di un fiume in Nigeria. Ambo i Paesi furono controllati nell’800 dai britannici, e forse proprio per questo l’unico precedente storico del “bunga bunga” arriva proprio dalla Gran Bretagna. Nel 1910, un gruppo di studenti inglesi, il Bloomsbury Group, architettò uno scherzo clamoroso alla Marina britannica: i membri (fra cui Virginia Woolf), si spacciarono, opportunamente travestiti, da principi abissini, chiedendo di visitare una celebre nave da guerra, la Dreadnought. Durante la visita a bordo, esprimevano la loro ammirazione in un linguaggio completamente inventato, un mix irriconoscibile di latino e greco, con citazioni dell’Eneide, intercalato spesso dall’esclamazione  “Bunga Bunga”, che echeggiava le parlate africane. La beffa fu poi raccontata dalle pagine del “Daily mirror” e passò alla storia: tanto che durante la Prima Guerra Mondiale la  Dreadnought affondò un sottomarino tedesco, ricevendo un telegramma di congratulazioni di 2 parole: “bunga bunga!!!”.

Oggi “bunga bunga” ha un significato erotico, più che goliardico. Ma a che cosa allude? Secondo il “Daily beast” a un’orgia in cui un gruppo di donne circonda un uomo in piscina;
per l’Urban dictionary, dizionario di slang, è un rapporto anale in un’orgia di gruppo.

Per Emilio Fede invece il significato sarebbe solo una barzelletta, pur sempre a sfondo sessual-sodomitico:

  • Perché è nella top 10: l’espressione, onomatopeica se applicata alla ripetitività dell’atto sessuale, ha fatto il giro del mondo, finendo sui tabloid di tutto il mondo (“sexy party bunga bunga”). Tanto che il “Time” l’ha inserita al 10° posto fra le 50 “buzzowords”, le parole chiave del 2010. E ha ispirato una gustosa parodia di Elio e le storie tese sulla falsariga di “Waka waka” di Shakira, canzone dei Mondiali 2010:

Con queste premesse, non è improbabile che il “bunga bunga” finisca nella prossima edizione del Dizionario Zingarelli….

Hanno parlato della top 10 delle parolacce del 2010: AdnKronos, Quotidiano nazionale, la rassegna stampa del Governo, i radicali, l’Associazione difesa consumatori.

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Il decalogo della parolaccia https://www.parolacce.org/2010/08/20/il-decalogo-della-parolaccia/ https://www.parolacce.org/2010/08/20/il-decalogo-della-parolaccia/#respond Fri, 20 Aug 2010 15:21:00 +0000 https://www.parolacce.org/?p=14 I colleghi di Internazionale, un interessante settimanale di attualità sul mondo, hanno dedicato la rubrica “Regole” alle parolacce. L’idea è molto bella e mi ha ispirato: le ripropongo qui (sono le prime 5), integrandole con altre 9 tratte dal mio… Continue Reading

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Parolacce da colorare: un libro di Procraste & Nobel

I colleghi di Internazionale, un interessante settimanale di attualità sul mondo, hanno dedicato la rubrica “Regole” alle parolacce.
L’idea è molto bella e mi ha ispirato: le ripropongo qui (sono le prime 5), integrandole con altre 9 tratte dal mio libro e dalla mia esperienza…
In pratica, un decalogo allungato. Ma si può arricchire ancora: se avete altri suggerimenti, potete aggiungerli nei commenti.

LE 14 REGOLE DEL TURPILOQUIO

(per Internazionale)
1) Lascia stare parenti e cari estinti: insulta solo chi hai di fronte.
2) Per aumentare il peso della parolaccia, dilla con accento romano.
3) Subire un furto per un valore superiore a 5mila euro giustifica la bestemmia.
4) Usa solo parolacce di cui conosci il significato.
5) Ma nel dubbio con un “vaffanculo” non sbagli mai.

(per Vito Tartamella)

6) Anche il “và a cagare” ha il suo perché (vedi qui).
7) Non insultare mai i bambini: cresceranno insicuri (come minimo: leggi qui).
8) Se insulti il tuo capo, sei un eroe. Ma se prima non hai trovato un altro lavoro, sei anche un pirla.
9) Se dici parolacce in Parlamento, a una conferenza o in un’aula scolastica, diventerai simpatico ma perderai prestigio: valuta che cosa ti conviene di più.
10) Se dici parolacce mentre fai sesso, potresti eccitare il tuo partner ma anche inibirlo: se non vuoi che finisca sul più bello, taci (o cerca di capirlo prima…).
11) Se descrivi con un linguaggio colorito le tue prodezze sessuali agli amici, che ti credano o no, un risultato è certo: perderai punti comunque.
12) Se devi farti rispettare in un ambiente violento, usa parolacce forti. Ma prima fai anche un corso di karate.
13) Chi annuncia: “Cancelleremo le parolacce” ti sta prendendo per il culoMulte, prigione e pene corporali non sono riuscite a eliminarle in 4mila anni di storia (l’ho raccontato qui).
14) Le parolacce sono come le tette: se le mostri sempre, non fanno più effetto

Tralascio un imperativo ovvio: non insultate sui social network (Facebook, WhatsApp, etc). Le parolacce dette a voce per lo più si disperdono nel vento. Ma quelle scritte restano per sempre. E prima o poi si ritorceranno contro chi le ha dette. Se volete evitare questi problemi, in questo altro articolo ho scritto le regole da seguire sui social.

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Segnalazioni del… BIIP! https://www.parolacce.org/2006/12/12/segnalazioni-del-biip/ https://www.parolacce.org/2006/12/12/segnalazioni-del-biip/#respond Tue, 12 Dec 2006 12:54:00 +0000 http://www.parolacce.org/?p=89 Conoscete parolacce nuove o modi di dire (volgari) che pochi conoscono? C’è stata una parolaccia che vi ha cambiato la vita o vi ha divertito, o ha risolto una situazione? Scrivetemi! Così aggiorneremo l’enciclopedia del turpiloquio! Ecco le vostre segnalazioni…… Continue Reading

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Conoscete parolacce nuove o modi di dire (volgari) che pochi conoscono? C’è stata una parolaccia che vi ha cambiato la vita o vi ha divertito, o ha risolto una situazione? Scrivetemi! Così aggiorneremo l’enciclopedia del turpiloquio!
Ecco le vostre segnalazioni…

In sloveno: “Vai a quel paese!” si dice “Pojdi rakom zvizgat!” che significa “Vai a fischiare ai granchi!”
Lorenzo R. Scichilone

L’idea di stabilire il vincitore di un contenzioso a suon di parolacce è già apparsa in una nota avventura di LucasArts per Pc: tale Monkey Island in cui, per spuntarla, occorre rispondere a tono alle più disparate provocazioni! E oltre che funzionale è pure divertente. Vi faccio un esempio di botta e risposta: “Sembri una scimmia in negligé” dice uno; “Sembro tanto la tua fiancée?” risponde l’altro. E così via.
Daniele Terbio

Sembra uno scherzo ma è vera: siete in Finlandia e la bella ragazza finlandese con la quale state viaggiando in auto lungo la litoranea vi dice “kazzo, merda”: beh, non vi stupite: vuol solo dire “guarda, il mare” in finlandese!
Federico

Se sentite uno che dice “C’azzo a susu e mi c-azzo so bottinoso”, tranquilli, sta solo dicendo: “salgo su e mi metto le scarpe”!
Daniele Moi

A Bologna un’amica va da un ginecologo che si chiama “Mangiafica”! Non molto rassicurante!
VALENTINA

Un amico è stato in Finlandia in una famiglia. Un giorno gli hanno detto: “Kazzo sukkia”. È impallidito. Ma significava solo: “Guarda le calzette!”
ALEX

In martignanese, la frase “vado per colarlo e torno per schiacciarlo” si dice: “ Vau cu llu culu e tornu cu llu cazzu”. Viva il Salento!
G.

 

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