adulatori | Parolacce https://www.parolacce.org L'unico blog italiano di studi sul turpiloquio, dal 2006 - The world famous blog on italian swearing, since 2006 - By Vito tartamella Tue, 22 Jun 2021 09:09:39 +0000 it-IT hourly 1 https://www.parolacce.org/wp-content/uploads/2015/06/cropped-logoParolacceLR-32x32.png adulatori | Parolacce https://www.parolacce.org 32 32 Le parolacce di Dante, spiegate bene https://www.parolacce.org/2021/06/20/turpiloquio-nella-divina-commedia/ https://www.parolacce.org/2021/06/20/turpiloquio-nella-divina-commedia/#comments Sun, 20 Jun 2021 14:00:50 +0000 https://www.parolacce.org/?p=18702 Si può fare poesia di altissimo livello usando le parolacce? Sì, e c’è un esempio clamoroso: la “Divina commedia”. Nel suo capolavoro, infatti, Dante Alighieri ha inserito 11 espressioni volgari, compresa una bestemmia e un ritratto squalificante di Maometto. Tanto… Continue Reading

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Dante ha inserito espressioni scurrili nella “Divina commedia” (montaggio su ritratto di Botticelli, 1495).

Si può fare poesia di altissimo livello usando le parolacce? Sì, e c’è un esempio clamoroso: la “Divina commedia”. Nel suo capolavoro, infatti, Dante Alighieri ha inserito 11 espressioni volgari, compresa una bestemmia e un ritratto squalificante di Maometto. Tanto che nel corso dei secoli – e persino quest’anno – la sua opera è stata pesantemente criticata, da Petrarca in poi, e più volte censurata. Reazioni spropositate, da parte di chi non ha capito la sua arte: la “Divina commedia” è un poema universale, che ritrae tutte le sfumature dell’animo umano. Perciò ha mescolato volutamente diversi registri linguistici – aulici e grotteschi, intellettuali e popolareschi, celestiali e terreni. Ha saputo, insomma, mescolare “alto” e “basso” come solo i grandi poeti sanno fare. Un altro esempio di questo livello è William Shakespeare.
Le parolacce, in particolare, sono servite a Dante per descrivere le peggiori bassezze dell’animo umano, a creare effetti comici e anche a dar voce alle sue passioni religiose, politiche e morali esprimendo la sua profonda indignazione. Dante modellava la lingua a seconda dei personaggi e delle situazioni che voleva descrivere.
Nel 700° anniversario della sua morte, ho deciso quindi di approfondire il turpiloquio di Dante, che probabilmente a scuola non vi hanno raccontato. In questo articolo troverete tutte le strofe (e relative spiegazioni) che contengono parole volgari, così potrete capire le precise ragioni artistiche che lo hanno indotto a usarle: Alighieri infatti ha sempre scelto con grande cura il lessico nel suo poema. 

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PUTTANA E BORDELLO

Nella “Divina commedia” i termini che si riferiscono alle donne di facili costumi non sono solo  nel registro volgare, come nei brani successivi. Nel poema troviamo anche i più neutri meretrice, femmine da conio (cioè da moneta).

brano significato argomento canto e verso
Taide è, la puttana che rispuose 

al drudo suo quando disse “Ho io grazie 

grandi apo te?”: “Anzi maravigliose!”. 

Taide è la prostituta che al suo amante, quando le chiese “Ho io grandi meriti presso di te?, rispose: “Anzi, grandissimi!” .  ruffiani e seduttori Inferno, 18°, 133

Il brano parla di Taide, una prostituta amante del soldato Trasone nella commedia “Eunuchus” di Terenzio. L’episodio descritto da Dante era stato citato anche da Cicerone come esempio di adulazione:  a una domanda a cui bastava rispondere con un sì, Taide risponde con una frase adulatoria esagerata.


brano significato argomento canto e verso
Di voi pastor s’accorse il Vangelista, 

quando colei che siede sopra l’acque 

puttaneggiar coi regi a lui fu vista;  

Di voi (cattivi) pastori si accorse l’Evangelista (Giovanni) quando vide la meretrice che siede sopra le acque (la Chiesa) comportarsi da prostituta con i re; simoniaci (chi compra e vende cariche ecclesiastiche) – La Chiesa corrotta e il suo asservimento alla monarchia francese Inferno, 19°, 108

 

brano significato   argomento canto e verso
Sicura, quasi rocca in alto monte, 

seder sovresso una puttana sciolta 

m’apparve con le ciglia intorno pronte; 

Mi sembrò che su di esso sedesse una sfacciata prostituta, sicura come una rocca su un’alta montagna, che ruotava intorno gli occhi seduttivi La Chiesa corrotta e la sua dipendenza dalla monarchia francese  

Purgatorio, 32°, 149

poi, di sospetto pieno e d’ira crudo, 

disciolse il mostro, e trassel per la selva, 

tanto che sol di lei mi fece scudo 

a la puttana e a la nova belva.     

poi, pieno di sospetto e crudele d’ira, staccò il mostro (il carro) dall’albero e lo trascinò via per la selva, tanto che fu solo quella a impedirmi di vedere la prostituta e la nuova belva (il carro).  

Purgatorio, 32°, 160

Ho unificato il commento di questi 3 diversi brani perché si riferiscono tutti allo stesso bersaglio: la Chiesa, che Dante condanna per la sua sudditanza verso la monarchia francese.

Nel Purgatorio, in particolare, la Chiesa è simboleggiata da un carro, che a un certo punto si ricoprirà tutto di penne e metterà 7 teste cornute (i 7 peccati capitali), sormontato da una volgare meretrice che raffigura la Curia papale corrotta. Dante si ispira al mostro descritto nell’Apocalisse di Giovanni. La bestia rappresenta la degenerazione della Chiesa a causa della corruzione e della simonia; la meretrice se la intende con un gigante (il re di Francia Filippo il Bello) che si preoccupa che non gli venga sottratta.


brano significato argomento canto e verso
Ahi serva Italia, di dolore ostello, 

nave sanza nocchiere in gran tempesta, 

non donna di province, ma bordello!  

Ahimè, Italia schiava, sede del dolore, nave senza timoniere in una gran tempesta, non più signora delle province ma bordello! L’Italia preda di divisioni interne Purgatorio, 6°, 78

Il Canto è di argomento politico ed è dedicato all’Italia, simmetricamente al 6° canto dell’Inferno in cui si parlava di Firenze e al 6° del Paradiso in cui si parlerà dell’Impero. In questa invettiva traspare tutta la rabbia e la delusione di Dante, oltre che la sua passione politica.  

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MERDA

I termini che si riferiscono agli escrementi e alla sporcizia sono numerosi nella “Divina commedia”. Oltre a quelli di registro basso (che vedremo più sotto) troviamo anche letame, sterco, privadi (latrine), cloaca. Tutti termini usati per svilire qualcuno o qualcosa, per mettere in ridicolo, per esprimere disgusto.

brano significato argomento canto e verso
E mentre ch’io là giù con l’occhio cerco, 

vidi un col capo sì di merda lordo, 

che non parea s’era laico o cherco.     

E mentre scrutavo giù con lo sguardo, vidi un dannato che aveva il capo così pieno di escrementi che non si capiva se fosse chierico o laico (se avesse o meno la tonsura). ruffiani e seduttori Inferno, 18°, 116

Le pareti della Bolgia sono incrostate di muffa per i miasmi che provengono dal fondo e che irritano occhi e naso. La Bolgia è talmente profonda e oscura che per vedere bene Dante e Virgilio sono costretti a salire sul punto più alto del ponte: da qui vedono gente immersa nello sterco.
Questo brano, in particolare, descrive in modo grottesco e infamante il lucchese Alessio Interminelli: si colpisce il capo e afferma di scontare le adulazioni di cui la sua lingua non fu mai abbastanza sazia.


brano significato   argomento canto e verso
Appresso ciò lo duca «Fa che pinghe»,

mi disse «il viso un poco più avante, 

sì che la faccia ben con l’occhio attinghe                    

di quella sozza e scapigliata fante 

che là si graffia con l’unghie merdose

e or s’accoscia e ora è in piedi stante.       

Dopodiché la mia guida mi disse: «Fa’ in modo di spingere lo sguardo un po’ più avanti, così che tu veda bene con l’occhio la faccia di quella donna sudicia e scapigliata che si graffia là con le unghie piene di sterco, e ora si china sulle cosce e ora è in piedi. ruffiani e seduttori Inferno, 18°, 131

La disgustosa descrizione si riferisce alla prostituta Taide di cui abbiamo parlato sopra.


brano significato argomento canto e verso
Tra le gambe pendevan le minugia; 

la corata pareva e ’l tristo sacco 

che merda fa di quel che si trangugia.  

Gli pendevano le interiora tra le gambe; si vedevano gli organi interni e il ripugnante sacco (stomaco) che trasforma in escrementi ciò che si mangia.

 

seminatori di discordia Inferno, 28°, 27

Coloro che hanno seminato divisioni, nella religione e nella politica sono tagliati a pezzi; un diavolo armato di spada mozza loro parti del corpo e poi le ferite si richiudono, finché non tornano davanti a lui. In questo brano c’è la descrizione grottesca di MaomettoDante lo descrive in termini volutamente crudi e volgari, paragonandolo a una botte che ha perso il fondo e includendo macabri dettagli delle sue mutilazioni: ha un taglio che va dal mento infin dove si trulla, cioè fino all’ano dove si fanno sconci rumori; le minugia, cioè le interiora, gli pendono tra le gambe insieme alla corata, cuore e organi interni, e allo stomaco, definito “il tristo sacco / che merda fa di quel che si trangugia”.  Il dannato si apre il petto mostrando le sue ferite, definendo la propria pena e quella degli altri, spiegando anche la logica del contrappasso; il contesto è fortemente e violentemente comico.  Maometto è stato attaccato da Dante perché nella sua ottica aveva causato guerre e uccisioni in Europa e per l’occupazione dei luoghi santi, eventi che facevano degli Arabi un popolo invasore da cui era necessario difendersi. Una visione figlia dell’epoca in cui la Divina Commedia fu scritta. 

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FICHE

brano significato argomento canto e verso
Al fine de le sue parole il ladro 

le mani alzò con amendue le fiche

gridando: «Togli, Dio, ch’a te le squadro!».    

Quand’ebbe finito di parlare, il ladro alzò entrambe le mani col pollice tra l’indice e il medio, gridando: «Prendi, Dio, poiché le rivolgo a te!» ladri Inferno, 25°, 2

Il gesto delle fiche in un dipinto anonimo del 1620 (Lucca).

Il brano descrive Vanni Fucci, ladro di Pistoia. un uomo violento e rissoso. Vanni partecipò alle lotte interne della sua città compiendo razzie e saccheggi e nel 1292 fu al servizio di Firenze contro Pisa, occasione nella quale forse Dante lo conobbe. Dante lo colloca tra i ladri della VII Bolgia  dove i dannati corrono nudi tra i serpenti e hanno le mani legate dietro la schiena da altre serpi, subendo spesso delle orribili trasformazioni. Per Dante il furto è più grave della violenza fisica, perché implica l’uso dell’intelletto a fin di male.

Dante vede Vanni alla fine del Canto 24°, quando il peccatore è morso alla nuca da un serpente e si trasforma in cenere, per poi riacquistare subito le sue sembianze umane. Virgilio gli chiede chi sia e Vanni si presenta come pistoiese, spiegando poi a Dante di scontare il furto degli arredi sacri compiuto nel duomo di Pistoia nel 1293.

Vanni profetizza a Dante le sventure dei guelfi Bianchi dopo il suo esilio, con la sconfitta di Pistoia, ultima roccaforte dei Bianchi, ad opera di Moroello Malaspina e aggiunge di averlo detto per far del male al poeta. Poi il ladro fa un gesto osceno che diventa blasfemo perché rivolto contro Dio: con ambo le mani fa il gesto delle fiche, ovvero inserisce i pollici fra indice e medio, a mimare l’atto sessuale. E’ l’equivalente osceno del gesto del dito medio: quindi, una doppia bestemmia. Subito dopo una serpe gli si avvolge attorno al collo e lo strozza, impedendogli di dire altro. Fucci è definito da Dante il dannato più superbo da lui visto all’Inferno: Dante ne rimane così disgustato da lanciarsi in una cruda invettiva contro Pistoia, città degna, secondo lui, di tali cittadini.  

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CULO

brano significato argomento canto e verso
Per l’argine sinistro volta dienno; 

ma prima avea ciascun la lingua stretta 

coi denti, verso lor duca, per cenno; 

ed elli avea del cul fatto trombetta. 

I diavoli si voltarono a sinistra sull’argine; ma prima ognuno di loro aveva stretto la lingua tra i denti, voltandosi alla loro guida (Barbariccia) come a un segnale convenuto; e quello aveva emesso un peto i barattieri, cioè corrotti Inferno, 21°, 139

Il passo descrive i Malebranche, una truppa di 13 diavoli che aveva il compito di controllare che i dannati non uscissero dalla pece bollente. Essi creano con le loro grottesche figure una parentesi comica : in questo brano il loro capo Barbariccia come segnale per “avanti marsch” invece di una tromba militare usa una “trombetta” fatta col culo, ovvero un peto. Un modo efficace per svilire i diavoli mettendoli in ridicolo. 

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POPPE

brano significato argomento canto e verso
Tempo futuro m’è già nel cospetto, 

cui non sarà quest’ora molto antica,                             

nel qual sarà in pergamo interdetto 

a le sfacciate donne fiorentine 

l’andar mostrando con le poppe il petto. 

Io prevedo un tempo futuro, rispetto al quale il presente non sarà molto antico, nel quale dal pulpito sarà proibito alle sfacciate donne fiorentine di andare in giro a seno scoperto. golosi Purgatorio, 23°, 12

In questo brano parla Forese Donati, che sconta le pene per il peccato di gola: il profumo dei frutti e la freschezza dell’acqua li tormentano con fame e sete. Forese racconta di trovarsi lì grazie alle preghiere della moglie Nella, l’unica donna virtuosa di Firenze. E qui apre una polemica contro le donne dissolute di Firenze, contro cui Dante si era già scagliato nell’invettiva all’Italia del Canto 6°. Forese prevede che di lì a non molto tempo dal pulpito si dovrà proibire espressamente alle donne di Firenze di andare in giro a petto nudo; e quali donne, barbare o saracene, ebbero mai bisogno di un simile divieto? Ma se le Fiorentine sapessero cosa le attende, comincerebbero già a urlare: Forese prevede che su di loro si abbatterà un terribile castigo nel giro di pochissimi anni. 

Le radici del turpiloquio: realismo e Bibbia

Dante e Virgilio guardano gli adulatori (Gustave Dore, 1885).

Dante usò la lingua del popolo, il “volgare”, ponendo le radici del lessico italiano. La sua lingua è una tavolozza espressiva multiforme, che va dai termini più bassamente popolari a quelli aulici. Dante, insomma, non si fa problemi a introdurre anche i registri bassi se sono funzionali alle sue esigenze narrative

Ma c’è un’altra radice, giustamente sottolineata dal filologo Federico Sanguineti: la Bibbia. In molti passi dell’Antico Testamento, ma anche nell’Apocalisse, infatti, i profeti non esitano a citare gli escrementi e le prostitute per esprimere la loro riprovazione nei confronti degli empi, siano essi singole persone o interi popoli. Trovate esempi in abbondanza nel mio libro, che potrà farvi compagnia quest’estate.

Non è un caso che le parolacce più usate da Dante siano proprio “puttana” e “merda”: esprimono entrambe il disprezzo verso la dissolutezza morale, il disgusto per chi ha una condotta empia, la condanna verso persone che hanno piegato la propria anima al male.

Com’era prevedibile, nessuna delle espressioni scurrili trova posto nel Paradiso, dove avrebbero contaminato i temi e gli ambienti più elevati. La maggior parte (7) sono nell’Inferno, le altre 4 nel Purgatorio. Il canto con la maggior presenza di parolacce è il 18° dell’Inferno dedicato a ruffiani e seduttori: persone che, evidentemente, suscitavano la maggiore ira in Dante. Per uno abituato a cantarle chiare – come si vede nella “Divina commedia” – è più che comprensibile.

Statistiche e censure, antiche e moderne

Andrea di Buonaiuto, discesa al Limbo nel cappellone degli Spagnoli in Santa Maria Novella a Firenze (1365).

In tutto il poema Dante usa 11 volte 6 diverse espressioni scurrili: puttana, bordello, merda, culo, fiche, poppe. Pochissime: dato che la Divina Commedia ha in tutto 101.698 parole, il turpiloquio rappresenta lo 0,01%: un’esigua minoranza, circa un ventesimo di quante ne diciamo oggi nel parlato quotidiano (vedi le statistiche che ho ricavato qui). Eppure sono significative: hanno attirato l’attenzione degli intellettuali dell’epoca e per molti secoli a venire.

Già Petrarca, intellettuale d’élite, precisava di non provare invidia per Dante che era apprezzato da “tintori, bettolai e lanaioli”, cioè la plebe. E un altro umanista dell’epoca, Niccolò Niccoli, sosteneva addirittura che Dante andrebbe allontanato dal circolo esclusivo degli umanisti  “per esser consegnato a farsettai, panettieri e simili  essendosi egli stesso espresso in modo tale da sembrare voler stare a proprio agio solo con un pubblico di bassa estrazione sociale e culturale”. Insomma, la scelta di inserire termini popolari e volgari  è stata un atto di coraggio in un’epoca in cui la cultura era un fatto elitario, snob, aristocratico.

Non stupisce, quindi, che quelle 11 parolacce sono state spesso censurate dai copisti che trascrivevano l’opera. Il filologo Federico Sanguineti ricorda che già nel 1300 Francesco di ser Nardo da Barberino sostituì “merda” con «feccia» (Inferno, 18°); nel codice Barberiniano latino 3975 sono anneriti gli endecasillabi in cui è denunciato il «puttaneggiar» della Chiesa (Inferno 19°). Il codice Canoniciano 115 nella bestemmia di Vanni Fucci (Inferno 25°) la parola «Dio» è sostituita da puntini sospensivi. E la censura prosegue anche oggi: quest’anno una casa editrice, Blossom Books, ha pubblicato una versione olandese della “Divina commedia” per ragazzi in cui è stato cancellato Maometto, per evitare che l’episodio risultasse «inutilmente offensivo per un pubblico di lettori che è una parte così ampia della società olandese e fiamminga». Ricordiamo infatti che Maometto è trattato come uno scismatico che ha diviso al suo interno il cristianesimo, e soprattutto è raffigurato con orrende e grottesche mutilazioni.

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La fenomenologia del leccaculo https://www.parolacce.org/2015/11/20/significato-leccaculo/ https://www.parolacce.org/2015/11/20/significato-leccaculo/#comments Fri, 20 Nov 2015 09:00:56 +0000 https://www.parolacce.org/?p=8745 Le parole che indicano gli adulatori sono molto interessanti per un linguista: sono tutti spregiativi, e testimoniano il disprezzo verso chi fa lodi insincere. Ma non solo. Gli appellativi riservati ai lecchini sono un piccolo trattato di antropologia: descrivono come si comportano,… Continue Reading

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Il lecchino: sempre prono ai voleri del capo (Shutterstock).

Le parole che indicano gli adulatori sono molto interessanti per un linguista: sono tutti spregiativi, e testimoniano il disprezzo verso chi fa lodi insincere. Ma non solo. Gli appellativi riservati ai lecchini sono un piccolo trattato di antropologia: descrivono come si comportano, aiutandoci a riconoscerli. Il che è utile, visto che oggi ce n’è una vera epidemia.
Cominciamo dai nomi degli adulatori, tutti carichi di disprezzo. La parola adulazione (“volgere verso”) evoca lo scodinzolare dei cani; lacchè era il domestico che seguiva o precedeva a piedi la carrozza del padrone: equivale a servo del potere. Ruffiano (chi, per denaro, agevola gli amori altrui; ma anche chi adula i potenti, sollecitandone la vanità, per ottenerne i favori) deriva da “rufus“, coi capelli rossi: in passato si pensava che le prostitute romane avessero i capelli rossi; oppure deriva dalla stessa radice di “arraffare”. Solo la parola lusinga fa eccezione in questo panorama di spregiativi, perché è un termine più neutro: deriva da lode. Piaggeria, invece, deriva da piaggiare: navigare vicino alla spiaggia, assecondare.
In spagnolo si dice “hacer la pelota” (fare la palla) per riferirsi a chi passa la palla per compiacere qualcuno (ma pelota significa anche puttana). L’adulatore, insomma, è come una puttana: ti lusinga sperando di incassare qualcosa.

Vederlo in azione è rivoltante: mente al punto da passare sopra la propria dignità pur di ottenere qualche vantaggio (o di non pagare lo scotto della sincerità). Ecco perché quest’estate la Cassazione ha riconosciuto che dare del leccaculo è un’ingiuria perché ha una “intrinseca valenza mortificatoria della persona”. Ed è sempre stato così: già Dante Alighieri collocò gli adulatori nell’8° cerchio dell’Inferno, quello degli ingannatori. L’ottavo cerchio è il penultimo dell’Inferno: per Dante, l’adulazione è più grave di tutte le forme di violenza, omicidio compreso, ed è superato solo dal tradimento. Ecco perché la pena degli adulatori consisteva nello stare immersi nella cacca fino al collo:

Quivi venimmo; e quindi giù nel fosso
vidi gente attuffata in uno sterco
che da li uman privadi [latrine] parea mosso.

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dante

Gli adulatori danteschi di Gustav Dorè.

CONDANNATI ALL'ETERNA DISSENTERIA
Da dove arrivava lo sterco in cui sguazzavano i dannati dell’Inferno? Secondo Leonardo Cappelletti, vicepresidente dell’Unione Fiorentina Museo Casa di Dante, quegli escrementi erano prodotti da loro stessi. “La pena cui sono sottoposti all’inferno le anime degli adulatori non consisterebbe soltanto nell’essere immersi nello sterco quanto dall’essere afflitti da una continua ed eterna dissenteria, secernendo per l’eternità l’ ‘umore’ organico più immondo. Certamente questo è uno dei luoghi infernali più sozzi, vili e scurrili che Dante ci descrive, ma il contrapasso e chiaro: come in vita gli adulatori avevano fatto uscire dalla bocca parole suasive e dolci per ingraziarsi il prossimo, adesso, per contrapposizione faranno uscire merda dal loro deretano”. In questi versi (112-136, Canto XVIII) Dante sfoga tutto il suo disprezzo verso gli adulatori, gli uomini più irrimediabilmente corrotti, scrivendo una delle poche parolacce della “Commedia”: un registro basso per una bassezza morale. Ma anche per dare al lettore un’idea concreta e non addolcita della realtà. Senza giri di parole:
E mentre ch’io là giù con l’occhio cerco,
vidi un col capo sì di merda lordo,
che non parëa s’era laico o cherco.
Era Alessio Interminelli da Lucca. Dante lo cita per nome, cognome e città: per smerdarlo ulteriormente e definitivamente. Che cosa avesse fatto per meritare tanto rancore, non lo sappiamo: sappiamo solo che Alessio Interminelli  era un nobile lucchese vissuto davvero ai tempi di Dante. Il dannato aveva domandato al poeta perché lo fissasse, e Dante gli risponde di averlo riconosciuto, citandolo per nome, cognome e indirizzo. E gli fa notare di averlo conosciuto quando aveva i capelli asciutti, non inzozzati di cacca come ora:
Quei mi sgridò: «Perché se’ tu sì gordo
di riguardar più me che li altri brutti?».
E io a lui: «Perché, se ben ricordo,
già t’ho veduto coi capelli asciutti,
e se’ Alessio Interminei da Lucca:
però [perciò] t’adocchio più che li altri tutti».
Alessio lo riconosce, ma Dante non smette di umiliarlo: chiama la sua testa “zucca” e gli fa dire un autoritratto comico e impietoso:
Ed elli allor, battendosi la zucca: 
«Qua giù m’hanno sommerso le lusinghe
ond’ io non ebbi mai la lingua stucca [stanca]».
In due versi, il ritratto dei lecchini è bell’e fatto. Campioni instancabili di lingua. Una capacità condivisa da un’altra categoria umana: le prostitute. Dopo Alessio, infatti, Dante vede una donna sudicia e scapigliata che si graffia là con le unghie piene di sterco: la prostituta Taide (un personaggio letterario dell’Eunuchus di Terenzio), che aveva fondato il suo mestiere sull’adulazione. Anche la sua descrizione è impietosamente realista:
Appresso ciò lo duca «Fa che pinghe [spingi]», 
mi disse «il viso un poco più avante, 
sì che la faccia ben con l’occhio attinghe
di quella sozza e scapigliata fante 
che là si graffia con l’unghie merdose,
e or s’accoscia e ora è in piedi stante.
Taide è, la puttana che rispuose
al drudo suo quando disse “Ho io grazie 
grandi apo [presso di] te?”: “Anzi maravigliose!”. 
E quinci sien le nostre viste sazie».

L’analisi linguistica dei termini riservati agli adulatori svela altri aspetti della loro antropologia. E cioè che sono anche più pericolosi degli stronzi, di cui parlavo qualche tempo fa; perché a differenza degli stronzi, gli adulatori si mimetizzano. Camuffano la loro cattiveria sotto modi gentili e sinuosi. Arrivano a umiliarsi e a violentare la verità pur di ottenere qualche vantaggio personale. Sono proprio questi modi insinceri a caratterizzarli, anche nel lessico. Un vocabolario che copre tutti i sensi: tatto, gusto, olfatto, udito, come ha acutamente osservato il saggista Richard Stengel ne “Il manuale del leccaculo” (Fazi).
1) Tatto: è evocato dai termini allisciare, che ha un corrispettivo nell’inglese flattery (letteralmente appianare) e nel francese flatter; e da blandire, cioè carezzare. Lisciare denota l’appiattimento di un’asperità, rendendola più facile da trattare. Si accarezza l’ego di una persona con le parole. Si solletica la vanità altrui, si dà una pacca sulla spalla. Oppure, da un altro punto di vista, sono gli adulatori sono persone untuose, che usano parole alla vaselina: non provocano attriti, ma ti lasciano sporco.
2) Vista: pensate al termine moina, parola derivata dal francese che denota l’aspetto del volto, la faccetta amichevole dei ruffiani.

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Il leccapiedi (Shutterstock).

3) Gusto: quelle degli adulatori sono parole caramellose, zuccherate, melliflue, imburrate. E molti termini indicano il succhiare, il leccare: leccaculo, baciaculo, leccastivali, leccca-lecca, slurpatore, succhiabanane, sbavatore. Tutte metafore che derivano dall’antica pratica, nelle corti,  del bacio dell’anello o dei piedi (l’ano nella forma più bieca di servilismo). In inglese, l’espressione brown nose, naso marrone, indica proprio i leccaculo incalliti e senza vergogna: “Chi arriva a sporcarsi il naso lo fa con una specie di entusiasmo ossequioso, di solito senza neanche avere la consapevolezza di apparire odioso”, scrive Stengel. Lo stesso papa Francesco, di recente, ha detto che non sopporta gli adulatori, che in Argentina sono chiamati “lecca calze”.
4) Udito: la voce suadente (anzi: flautata) degli adulatori è evocata dal verbo sviolinare.

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GIORNALISTI? NO, CORTIGIANI
Francia, 1815. Il giornale “Le Moniteur”, fedele al re Luigi XVIII, racconta così la marcia verso Parigi del nemico Napoleone, fuggito dall’isola d’Elba:
 9 marzo: L’antropofago è uscito dalla sua tana.
 10 marzo: L’orco della Corsica è appena sbarcato a Golfe-Juan.
 12 marzo: Il mostro ha dormito a Grenoble.
 18 marzo: L’usurpatore ha osato avvicinarsi alla capitale.
 22 marzo: Ieri sera Sua Maestà Imperiale ha fatto il suo ingresso al palazzo delle Tuileries, in mezzo ai suoi fedeli sudditi. Niente può superare la gioia universale…

Travaglio_SlurpfascettaL’aneddoto è raccontato da Marco Travaglio nel libro “Slurp!” (Chiarelettere). Oggi a 2 secoli di distanza, la situazione non è cambiata. Per raccontare la “zerbinocrazia” dei cronisti italiani negli ultimi 20 anni, Travaglio ha riempito quasi 600 pagine: i giornalisti hanno incensato tutti, da Di Pietro a Bossi, fino a Berlusconi, D’Alema, Monti e Renzi. Ma il problema, diceva Joseph Pulitzer, è che una stampa mercenaria, prima o poi, creerà un pubblico ignobile.
Perché giornalisti e intellettuali sono così asserviti? L’ha spiegato Indro Montanelli nella “Storia d’Italia”: “la cultura italiana è nata nel Palazzo e alla mensa del Principe,visto che il Principe era, in un paese di analfabeti il suo unico committente. E si faceva ripagare con la piaggeria, ma anche con la difesa del sistema su cui si fondavano i suoi privilegi. Così si formò quella cultura parassitaria e servile, che non è mai uscita dai suoi  circuiti accademici per scendere in mezzo al popolo. In Italia il professionista della cultura parla e scrive per i professionisti della cultura, non per la  gente. E istintivamente cerca ancora un Principe di cui mettersi al servizio. Scomparsi quelli di una volta, il loro posto è stato preso dai depositari del potere, cioè dai partiti. E questo spiega la cosiddetta “organicità” dell’intellettuale italiano, sempre schierato  dalla parte verso cui soffia il vento”.
Vero, ma non è tutto. La piaggeria è dovuta anche a due altri fattori tipici dell’Italia: da un lato, la scarsità di editori “puri”, cioè che facciano solo gli editori. La gran parte fa affari anche in altri settori, nei quali l’appoggio politico è determinante. Dall’altra, il percorso poco definito della carriera di giornalista, che lascia aperti molti varchi a chi non ha particolari competenze o meriti. Se non la fedeltà al padrone.

manuale-leccaculo-light-“L’adulazione corrompe chi la compie e chi la riceve”

Gli antichi Greci giudicavano l’adulazione una tecnica illecita perché sfrutta le debolezze umane, portando alla distruzione della convivenza civile. A loro, inventori della democrazia (anche se riservata ai soli ricchi), non garbava l’idea che alcuni si considerassero superiori e che altri si abbassassero davanti ai loro simili. Ecco perché detestavano l’adulazione; la ritenevano una forma di autoumiliazione, qualcosa di radicalmente antidemocratico.
Ma la loro posizione fu un’eccezione nella Storia, scrive Stengel. Dai Romani ai sovrani assoluti del 1600, fino alla vanitosa e insicura società di oggi, la piaggeria ha sempre trionfato. Soprattutto oggi: in una società governata dalla finanza e dai robot, conta più la fedeltà ai superiori che la competenza: le critiche – sul lavoro, ma anche in politica – sono viste con fastidio, perché rischiano di mettere in discussione o di ostacolare uno spettacolo che, invece, “deve continuare”. Ecco perché spesso ci comandano persone incapaci ma totalmente “organiche” al potere. “Lecca” e farai carriera.
Ma secondo molti studiosi, un minimo di adulazione è inevitabile: è la cortesia, spesso ipocrita, della vita quotidiana. Ne ho parlato sul nuovo numero di Focus: i complimenti sono uno dei collanti invisibili della società, perché tutti abbiamo bisogno di un po’ di considerazione e di gentilezza, foss’anche un po’ finta. Insomma, il lecchino si nasconde anche dentro ognuno di noi. Meglio saperlo che far finta di nulla.

Locandina 03-2014

 

 

PS: coincidenza. Anche il “Vernacoliere” in edicola questo mese dedica la copertina ai leccaculo. L’avevo detto che è un tema di scottante attualità!!!

 

 

 

 

 

Di lecchini ho parlato alla Radio Svizzera Italiana (Rsi) come ospite della trasmissione “Tutorial” condotta da Daniele Oldani, Mirko Bordoli ed Enrica Alberti. Una puntata che ha acceso molto interesse fra gli ascoltatori. Potete ascoltare la puntata cliccando sul player qui sotto (è divisa in due parti):

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