bestemmie | Parolacce https://www.parolacce.org L'unico blog italiano di studi sul turpiloquio, dal 2006 - The world famous blog on italian swearing, since 2006 - By Vito tartamella Sun, 09 Oct 2022 17:00:04 +0000 it-IT hourly 1 https://www.parolacce.org/wp-content/uploads/2015/06/cropped-logoParolacceLR-32x32.png bestemmie | Parolacce https://www.parolacce.org 32 32 Dare dell’idiota è reato? Guida pratica sugli insulti e la legge https://www.parolacce.org/2018/04/24/come-fare-su-insulti-e-denunce/ https://www.parolacce.org/2018/04/24/come-fare-su-insulti-e-denunce/#comments Mon, 23 Apr 2018 22:05:22 +0000 https://www.parolacce.org/?p=14042 «Ho scritto che in quel ristorante si mangia malissimo, che cosa rischio?». «Se mi chiamano “uomo da niente” posso denunciare?». «Si può dare del “razzista” a qualcuno?». Questo è solo un piccolo assaggio dei quesiti che mi sono arrivati da… Continue Reading

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I giudici valutano l’offensività di un insulto (montaggio foto Shutterstock).

«Ho scritto che in quel ristorante si mangia malissimo, che cosa rischio?».
«Se mi chiamano “uomo da niente” posso denunciare?».
«Si può dare del “razzista” a qualcuno?».
Questo è solo un piccolo assaggio dei quesiti che mi sono arrivati da quando ho scritto un articolo  sulla riforma del reato di ingiuria. In poco più di 2 anni, quell’articolo è diventato uno dei più letti di questo blog. Il che è sorprendente: questo non è un sito giuridico, ma di linguistica.
Ma la sorpresa più grande è stata un’altra: pur avendo ribadito a chiare lettere che non sono un avvocato né un giurista, più di 320 lettori di tutta Italia mi hanno scritto per chiedermi un parere sugli insulti, fatti o ricevuti, su Facebook, Whatsapp, Twitter, ma anche in condominio, in ufficio, in famiglia o al bar.
Erano tutti quesiti accorati: esprimono emozioni forti (angoscia, risentimento, offesa, umiliazione, imbarazzo) che non possono lasciare indifferenti. E, soprattutto, possono portare le persone in tribunale: le leggi puniscono con multe salate e perfino col carcere chi offende con l’arma della parola. Ma a volte le sentenze vanno contro le aspettative, condannando parole apparentemente inoffensive e tollerando espressioni anche forti.
Dunque, quando conviene denunciare un insulto? Come si fa? Cosa rischia chi ne scrive uno su Facebook o Whatsapp?  

Questo genere di domande mi sono arrivate a ritmo incalzante, raccontando frammenti di vita vissuta: il maggior numero di richieste sono arrivate da persone preoccupate di essersi lasciate sfuggire un insulto. Così mi sono informato per cercare di dare risposte plausibili.
In questo post ho deciso di riassumere i 14 casi più frequenti, radunandoli in un prontuario con la formula domande e risposte. Insomma, le FAQ… sul fuck.
Spero che vi siano utili, e ricordate il consiglio dei consigli: gli insulti scritti su sms, email, Whatsapp, Facebook, chat, Tripadvisor restano per sempre, e possono essere usati contro di voi. Quindi, fate sempre attenzione a cosa scrivete!!

[ clicca sul + per aprire le risposte ]

La legge punisce sempre le parolacce?

Anche gli insulti virtuali feriscono (foto Shutterstock).

No. Ci sono diverse eccezioni:

  1. quando gli insulti sono reciproci: in tal caso i giudici tendono a dar torto ad ambo le parti che si sono insultate
  2. se gli insulti sono la reazione a un torto subìto, ma a due condizioni: che si reagisca subito, a caldo (non il giorno dopo), e se si può dimostrare di aver davvero subìto un torto
  3. quando si impreca, cioè si esplode con espressioni di rabbia o dolore che non sono indirizzate a una persona particolare (“e che cazzo!”, “porca troia!” e simili). Fanno eccezione le bestemmie e le offese contro i defunti: entrambi i comportamenti sono puniti con una sanzione pecuniaria, cioè un’ammenda (da 51 a 309 euro)
  4. quando si dicono parolacce per goliardia, per far ridere: ad esempio, uno spettacolo con canzoni volgari (ma solo se dal vivo; in tv lo si può fare solo fuori dalle fasce orarie protette).

 Tutte le parolacce sono offensive/perseguibili?

Non è detto. Diversi insulti lo sono (stronzo, testa di cazzo), ma alcuni (come rompicoglioni, ad esempio) non sono stati sanzionati dai tribunali.
E’ importante ricordare che i giudici, per valutare l’offensività di una parola, non si limitano a esaminare la parola in quanto tale, ma danno un peso anche al contesto in cui viene detta: per quale motivo e con quale intenzione è stata detta quella parola (con astio, livore, aggressività, ironia…)? In quale ambiente (a casa, per strada, al bar, su Facebook)? Davanti a quali e quante persone? A chi (un’autorità, un superiore, un sottoposto, un vicino di casa…)? Ciascuno di questi elementi può appesantire ma anche alleggerire lo stesso insulto: a volte si può dire “va a cagare” anche con ironia o affetto.

Si può offendere anche senza dire parolacce?

Sì. Dare del “maleducato”, o del “ladro”, sono offese che i giudici hanno condannato in diverse sentenze. Anche se non sono parolacce. Ciò che conta è il contenuto offensivo di una frase: ovvero, se si sminuisce una persona nella sua interezza o in un comportamento grave, che pregiudica pesantemente l’immagine di una persona.

Le offese sui social (Facebook, Twitter, Whatsapp, Tripadvisor, Youtube) sono più gravi rispetto a quelle dette di persona?

Sì, perché di solito i giudici considerano gli insulti sui social una forma di diffamazione, che prevede pene più pesanti rispetto all’ingiuria pronunciata di persona (che ora non è più un illecito penale ma solo civile: si procede solo su denuncia dell’interessato, che va fatta presso un giudice di pace o un tribunale civile).

E’ sempre giusto denunciare chi ti ha insultato?

I diverbi per il traffico accendono passioni forti (foto Shutterstock).

In teoria sì, ma non sempre è opportuno o ne vale la pena. Bisogna soppesare diversi fattori:

  1. di soldi: fare causa implica rivolgersi a un legale, e questo comporta spese che bisogna mettere in conto di sostenere. E se chi vi ha offeso è nullatenente, in caso di condanna non pagherebbe nulla.
  2. di tempo: prima di arrivare a una sentenza possono passare 1-2 anni. E spesso il tempo guarisce le ferite delle offese.
  3. prove: avete prove solide (documenti, registrazioni, testimoni) per dimostrare che avete subìto un torto? Potete dimostrare anche che avete subìto un danno?
  4. di opportunità: vale davvero la pena denunciare chi vi ha offeso? Se rischiate di peggiorare il clima di ostilità, no. La denuncia in tribunale è una carta pesante, da giocare quando non ce ne sono di migliori: se vivete in un condominio, avete prima tentato di risolvere i litigi rivolgendovi all’amministratore? Se i dissidi nascono a scuola o in ambiente di lavoro, avete raccontato tutto al preside/al direttore? A volte un intervento dall’alto può sbloccare una situazione. Come, a volte, funziona anche ignorare un insulto: una persona fastidiosa, se vede che i suoi insulti non hanno effetto, dopo un po’ smette di offendere. Come dice il proverbio, “raglio d’asino non arriva in cielo”. Sui social è molto semplice: basta cancellare una persona fastidiosa dalla propria rubrica.

Tutte le critiche sono perseguibili?

No: bisogna sempre distinguere le critiche dagli insulti. La critica è un diritto che abbiamo tutti: la nostra Costituzione garantisce la libertà di espressione, comprese le critiche. La critica è un giudizio negativo nei confronti di un comportamento specifico. In pratica, siamo liberi di criticare, a due condizioni: che argomentiamo la nostra critica (cioè spieghiamo i motivi per cui critichiamo), e che ci limitiamo a disapprovare un singolo comportamento e non una persona nella sua interezza. Per esempio, la frase “sei proprio uno stronzo per non essere venuto alla festa” non è stata ritenuta offensiva da una sentenza.
I giudici usano il termine “continenza”. In pratica: posso dire (a patto di provarlo o argomentarlo) che “hai fatto una cazzata”, ma non che “sei un cazzone”.

C’è un termine entro cui va fatta una denuncia per ingiuria o diffamazione?

Sì: la denuncia per diffamazione va presentata al massimo entro 3 mesi dall’offesa. Una causa per ingiuria invece si può fare entro 5 anni dall’offesa.

Si può denunciare una persona di cui si conosce solo il soprannome (nickname) su Facebook?

Sì, ma occorre rivolgersi alla Polizia postale per risalire alla sua vera identità. Il procedimento è lungo e non è sempre facile.

Si può offendere liberamente un personaggio pubblico?

Gli insulti reciproci possono annullarsi a vicenda (montaggio foto Shutterstock).

No. La legge impone il rispetto per tutti, che siano persone qualunque o celebrità. Le celebrità hanno qualche tutela in meno solo nella loro privacy, essendo, per loro stessa scelta, personaggi pubblici.
Il discorso cambia, invece, per i politici. Dire “falso”, “bugiardo”, finanche “buffone”, a un politico potrebbe non essere reato, ma solo se i fatti a lui contestati sono veri (o comunque appaiono tali o sono molto opinabili). Le critiche anche molto aspre sono tollerate. Sono invece sempre punibili le espressioni gratuite, ovvero quelle inutilmente volgari o umilianti o dileggianti: le offese che infangano una persona nella sua totalità. Ad esempio, si può dire a un politico che “ha fatto qualcosa di vergognoso”, ma non che lui è vergognoso.
Diverso è, invece, usare l’appellativo “ladro”: questo termine, infatti, implica una colpevolezza per un fatto specifico. Se non si hanno le prove per affermarlo, o se non c’è una sentenza definitiva in merito, questo appellativo deve ritenersi diffamatorio.

Quanti tipi di insulto esistono per la legge?

Le critiche, anche aspre, sono consentite. Ma a patto di non umiliare l’altra persona (foto Shutterstock).

Possiamo dividerli in 4 grandi categorie a seconda se si è stati insultati di persona (ingiuria) o no (diffamazione), e se il destinatario dell’insulto è un’autorità. E’ importante sapere in quale categoria rientra un reato, perché le pene cambiano molto.

  1. ingiuria: quando si dice un insulto direttamente alla persona, anche di fronte a testimoni (o anche al telefono, via email o in una chat a tu per tu). Si rischiano: sanzioni fino a 8-12mila €, ma non dal giudice penale, solo come ulteriore pena nel caso di condanna dal giudice civile.
  2. diffamazione: quando si insulta una persona assente davanti almeno a 2 testimoni. Questo vale anche su Facebook, Twitter o i gruppi di Whatsapp. Si rischiano: multe fino a 2065 € e reclusione fino a 3 anni
  3. oltraggio: se si insulta un pubblico ufficiale (poliziotto, carabiniere, vigile, impiegato comunale, controllore, insegnante, giudice in udienza…).  Si rischiano: multe fino a 6.000 € e reclusione fino a 5 anni.
  4. vilipendio: se si insulta il presidente della Repubblica (ma anche la bandiera, la Repubblica, la Nazione, le tombe). Pene: reclusione fino a 5 anni.

In quali circostanze i giudici sono meno severi nel giudicare gli insulti?

I giudici sono più tolleranti verso gli insulti in 4 situazioni: i diverbi fra tifosi negli stadi; i litigi fra automobilisti; le discussioni fra politici e sindacalisti; le liti di condominioSport, traffico, casa e politica, infatti, accendono passioni molto forti.

Se qualcuno mi insulta davanti a un poliziotto, vigile o carabiniere, quest’ultimo è obbligato a denunciarlo?

No: se si tratta di ingiuria, cioè di un insulto a una persona presente, la legge oggi prevede un’azione legale solo su querela di parte. In pratica, se la persona offesa non fa causa (attraverso un legale, non in caserma), non succede nulla.

Davanti a quante persone dire un insulto diventa diffamazione?

Si diffama qualcuno quando lo si offende in sua assenza: parlando male di lui/lei davanti ad altri. Che devono essere almeno 2. La diffamazione può avvenire non solo nei luoghi pubblici (bar, ristoranti, strada, etc) ma anche negli spazi virtuali: quando si insulta qualcuno su Facebook, Youtube, gruppi Whatsapp, Tripadvisor, i Tribunali considerano questa offesa una diffamazione. Anche se il destinatario dell’insulto risulta in quel momento “connesso” a Internet.

Da quale età una persona può essere denunciata per insulti (ingiuria  diffamazione, oltraggio, vilipendio, ecc.)?

Dai 14 anni in su. I minori di 14 anni, infatti, non sono perseguibili dalla legge.

 

Altre risorse sul tema leggi e parolacce (clicca per andare al link):

cosa dicono le sentenze

 • si possono dire parolacce al lavoro?

 diffamazione

 come difendersi dagli insulti su Facebook e gli altri social network

toh, l’ingiuria non è più reato

 oltraggio a pubblico ufficiale

 vilipendio

• e molti altri argomenti nel canale leggi e sentenze

 Ringrazio l’avvocato cassazionista Giuseppe d’Alessandro per la revisione.

SU RADIO RAI1

Ho parlato di questo e di altri temi legati al turpiloquio durante un lungo intervento notturno alla trasmissione “Domani in edicola” su Radio Rai1 condotta da Stefano Mensurati.
Clicca qui sotto per ascoltare l’audio (il mio intervento inizia dal minuto 10:50).
(PS: più volte il conduttore parla del mio libro dicendo che è pubblicato da Rizzoli. Vero, ma ora l’unica versione acquistabile la trovate in formato ebook , pubblicata con StreetLib).

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Parolacce: le più amate dagli italiani https://www.parolacce.org/2016/12/20/dati-frequenza-turpiloquio/ https://www.parolacce.org/2016/12/20/dati-frequenza-turpiloquio/#comments Tue, 20 Dec 2016 08:50:32 +0000 https://www.parolacce.org/?p=11428 Quali sono le parolacce più pronunciate dagli italiani? Quante ne diciamo ogni giorno? E di che tipo sono? In questo articolo risponderò a queste domande, basandomi sugli unici dati oggettivi che abbiamo in Italia. Ma prima di farlo, devo spiegare come… Continue Reading

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(foto sopra: elaborazione Shutterstock).

ATTENZIONE!!!!!
Questo articolo è stato aggiornato con i dati del 2019.
Potete leggere le nuove
statistiche sulle parolacce più usate dagli italiani in questo nuovo articolo.

Quali sono le parolacce più pronunciate dagli italiani? Quante ne diciamo ogni giorno? E di che tipo sono? In questo articolo risponderò a queste domande, basandomi sugli unici dati oggettivi che abbiamo in Italia.
Ma prima di farlo, devo spiegare come ho fatto a ottenere questi dati. Ho consultato i corpora, cioè una collezione di testi, dell’italiano parlato. L’unico modo (scientifico) di sapere quali e quante parole pronunciamo, infatti, è registrare varie conversazioni negli ambienti più diversi, e poi trascriverle parola per parola.
Un lavoro improbo, che in Italia è stato fatto diverse volte. L’unica collezione di parole accessibile, però, risale al 1992, cioè a 24 anni fa: purtroppo, le raccolte successive non sono disponibili.
Sto parlando del LIP, il Lessico di frequenza dell’italiano parlato: un insieme di quasi 500mila lemmi, che sono le trascrizioni di 57 ore di parlato registrate in 4 città (Milano, Firenze, Roma e Napoli) e in vari ambienti (casa, scuole, assemblee, luoghi di lavoro, mezzi di trasporto, telefono, radio, tv).
Il database di questo corpus è consultabile online su un sito estero: quello dell’Istituto di romanistica dell’Università Karl Franzens di Graz (Austria). Una risorsa straordinaria: se volete sapere quante volte diciamo una data parola, la base da cui partire per le ricerche è qui.

Io l’ho fatto con le parolacce. Basta inserire nel motore di ricerca (immagine a sinistra) l’elenco delle 301 parolacce principali della lingua italiana che avevo identificato sul mio libro (ne parlavo qui, e ricordo che, in realtà, il loro numero possibile supera le 3 migliaia, come raccontavo qui).
Dato che ogni lemma è censito nella forma originale in cui è stato detto, per ogni nome ho dovuto inserire le possibili forme, ovvero il genere (maschile / femminile), il numero (singolare / plurale), il modo dei verbi (infinito, participio, etc) e così via.
Il primo risultato è sorprendente, almeno per chi pensa che nella nostra epoca si dicano molte volgaritàSu 301 parolacce possibili, quelle effettivamente rilevate dall’indagine sono state 45: il 14,9%. Insomma, su un vasto carnet possibile di espressioni, la nostra scelta ricade solo su poco più di 1/10. Usiamo sempre le stesse.
Quanto alla frequenza, chi immagina un uso smodato di turpiloquio dovrà ricredersi: le espressioni volgari che ho trovato ricorrono 395 volte su un totale di 489.178 parole. In pratica, la volgarità rappresenta un misero 0,08% del totale delle parole che diciamo. Per avere un paragone, Tony McEnery, linguista dell’Università di Leicester (Uk), nel 2006 ha accertato che in inglese le parolacce sono lo 0,5% delle parole pronunciate. Dunque, rispetto ai britannici, diciamo 7 volte meno parolacce.
Ma questa frequenza riguarda la lingua parlata. Sui social network lo scenario cambia, come tutti ben sappiamo: secondo alcuni studi, su Twitter le scurrilità salgono all’1,15% (lo raccontavo qui), e nelle chat al 3% (fonte qui).
Vi sembrano poche? A ben guardare, no, se si considera che, in media, pronunciamo 15-16.000 parole al giorno: lo 0,5% significano 75-80 parolacce al giorno per gli inglesi, cioè 5 all’ora (escludendo 8 ore di sonno). E il nostro 0,08% è quasi una parolaccia all’ora.

E veniamo al secondo risultato, abbastanza prevedibile. La parolaccia più pronunciata dagli italiani è cazzo: quando un italiano dice una parolaccia, ha quasi una probabilità su 5 (il 17,7%) di evocare l’organo sessuale maschile. Seguono Madonna (intesa come esclamazione “Oh Madonna” o come rafforzativo, “della Madonna”), casino, Dio (anche in questo caso come esclamazione) e stronzo.
Nell’elenco non compaiono espressioni piuttosto diffuse, come minchiatette o piscia. Le bestemmie censite sono state 2 (una contro Dio, una contro la Madonna) e quindi incidono solo per lo 0,5% del totale.
Ecco qui sotto la classifica dettagliata delle parolacce censite, in ordine decrescente di frequenza:

Terzo dato interessante, il tipo di parolacce (vedi grafico a destra): 2 su 5 sono espressioni di origine sessuale (in giallo nella tabella sopra, 39,2%), seguite da quelle religiose (1 su 5, ovvero il 19,7% in azzurro) e poi, quasi a pari merito, da parolacce enfatiche (verdi, 14,9%) e insulti (in rosso, 14,4%). Fanalino di coda, le espressioni escrementizie (in arancione, 11,6%): in questo, siamo agli antipodi rispetto ai tedeschi, come raccontavo in questo post.
Ma attenzione, queste percentuali vanno prese con le molle: sono un’approssimazione e non spiegano in modo dettagliato l’uso effettivo delle espressioni volgari in questo corpus. Per esempio, la parola coglione nasce per designare i testicoli, e l’ho quindi catalogata come espressione sessuale; ma l’uso effettivo può essere diverso: questa parola può essere usata anche come insulto (“sei un coglione”). E lo stesso ragionamento vale per le volgarità censite nelle altre categorie.
Ma pur con questi limiti, queste statistiche ci danno comunque un’idea concreta dei temi più ricorrenti nel nostro turpiloquio: il sesso è al centro delle nostre ossessioni, come pure la religione. In un Paese tradizionalista e cattolico come il nostro, non è affatto strano.Di questo post ho parlato con Betty Senatore e Silvia Mobili su “Ladies and Capital” su Radio Capital. Potete ascoltare l’intervento cliccando sull’icona qui sotto:

posizione

parolaccia

quantità

% sul totale

cazzo

68

17,2

Madonna

53

13,4

casino

43

10,9

Dio

25

6,3

stronzo

16

4,1

balla / palla

15

3,8

stronzata

15

3,8

coglione

13

3,3

culo

13

3,3

incazzare

10

2,5

scopare

10

2,5

negro

10

2,5

merda

9

2,3

10°

imbecille

8

2,0

11°

cretino

7

1,8

12°

deficiente

6

1,5

fregare

6

1,5

porco

6

1,5

vaffanculo

6

1,5

13°

cagare / cacare

5

1,3

pirla

5

1,3

puttana

5

1,3

14°

bordello

4

1,0

sega

4

1,0

15°

frocio

3

0,8

mortacci

3

0,8

16°

bastardi

2

0,5

bernarda

2

0,5

cazzata

2

0,5

figa

2

0,5

pompino

2

0,5

puttanate

2

0,5

trombata

2

0,5

vacca

2

0,5

17°

bischero

1

0,3

cesso

1

0,3

culattone

1

0,3

culona

1

0,3

fottuto

1

0,3

pippa

1

0,3

rompiballe

1

0,3

rompicoglioni

1

0,3

scazzi

1

0,3

sfiga

1

0,3

troia

1

0,3

 TOTALE

395

 100
 Percentuale sul totale delle parole

0,08

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I 30 anni di “Radio parolaccia” https://www.parolacce.org/2016/07/07/radio-radicale-radio-parolaccia/ https://www.parolacce.org/2016/07/07/radio-radicale-radio-parolaccia/#respond Thu, 07 Jul 2016 09:22:01 +0000 https://www.parolacce.org/?p=10463 Più di 800 ore ininterrotte di bestemmie, insulti, oscenità da tutto il Paese. Oltre ad avere la più antica parolaccia scritta in una chiesa, l’Italia detiene un altro record: la maratona radiofonica più lunga e volgare della storia. Il primato non lo trovate sul… Continue Reading

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radioPiù di 800 ore ininterrotte di bestemmie, insulti, oscenità da tutto il Paese. Oltre ad avere la più antica parolaccia scritta in una chiesa, l’Italia detiene un altro record: la maratona radiofonica più lunga e volgare della storia. Il primato non lo trovate sul Guinness, ma lo meriterebbe: quasi 50mila minuti di volgarità trasmesse nell’etere in 35 giorni da Radio Radicale – ribattezzata per l’occasione “Radio parolaccia” – sono un evento unico al mondoMa che cosa era successo? Lo racconto in questo articolo, perché proprio in questi giorni ricorre il 30° anniversario dell’evento (a 3 mesi dalla scomparsa di Marco Pannella, storico leader radicale).
Era il 10 luglio del 1986, infatti, quando Radio Radicale si trovò in grandi difficoltà economiche. L’emittente era stata fondata 10 anni prima a Roma da un gruppo di attivisti, e svolgeva (come oggi) un doppio ruolo: non solo megafono del partito, ma anche radio di servizio, che trasmetteva in diretta le sedute del Parlamento e altri dibattiti istituzionali. Ma all’epoca la radio non riceveva contributi dal Governo: e così, di fronte a costi di gestione sempre più alti, quell’estate Radio Radicale era arrivata al punto di rischiare la chiusuraI dirigenti i decisero di sospendere tutti i programmi, per lasciare la parola agli ascoltatori: installarono 30 segreterie telefoniche, invitando gli italiani a registrare un messaggio di 1 minuto con le proprie opinioni sulla radio. A quell’epoca – giova ricordarlo – Internet ancora non c’era.

Dalla politica ai goliardi

radio-radicaleE così le segreterie telefoniche di Radio Radicale iniziarono a registrare le voci degli ascoltatori. Ma ai messaggi di stima e solidarietà per la radio si affiancarono subito le critiche dei detrattori. Una pensionata napoletana disse, contestando gli scioperi della fame dei radicali: “Nuje a fame a’ facimme senza ‘o sciopero. La nostra è ‘na fame radicale”.
Ma la politica passò rapidamente in secondo piano: l’occasione di avere un palcoscenico nazionale era troppo ghiotta per goliardi e disturbatori. C’era chi telefonava per trasmettere il rumore del vento, chi fischiettava, chi faceva pernacchie, chi simulava un orgasmo, chi cantava (da “Faccetta nera” all’ultimo successo di Eros Ramazzotti), chi diceva filastrocche senza senso. Alcuni incidevano messaggi d’amore (“Cerco Carla, senza di lei non posso più vivere”), altri protestavano per piccoli incidenti quotidiani (“Sono in campeggio e se n’è andata via la luce. Intervenite”), altri ancora che si facevano pubblicità (“Venite nella mia panetteria, è in via Garibaldi…”).
E ben presto si diffuse l’abitudine di lasciare messaggi sempre più osceni. Non solo insulti a sfondo politico (contro i radicali, i fascisti, i comunisti, i democristiani…) ma anche a sfondo calcistico fra opposte tifoserie: laziali contro romanisti, interisti contro juventini, etc. Ma la parte del leone fu presa dall’odio etnico: i settentrionali invocavano che l’Etna eruttasse per distruggere la Sicilia, i meridionali che invitavano Gheddafi a bombardare Milano o Torino… Ma anche telefonate contro “negri”, ebrei, paninari, e così via.

Sfogatoio a luci rosse

Ecco alcuni esempi: «Sono Roberto e chiamo da Milano, (…) volevo dire a quella manica di terroni di Roma che siete delle teste di cazzo inaudite a fare quelle telefonate oscene, pirloni, barboni, andate a lavorare, pirlaaa! Grazie».
«Filippo bastardo, figlio de ’na mignotta, bastardo che non sei altro… milanesi dovete crepare tutti, bastardi che non siete altri, venite a Roma che ve famo un culo come ’na capanna… mortacci vostri mortacci vostri… a voi e a tutto il Nord!».
Insomma, Radio Radicale divenne lo sfogatoio dei peggiori istinti degli italiani. Nel video qui sotto potete sentire dal vivo le voci dell’epoca: audio sconsigliato alle persone sensibili per la presenza di bestemmie.

I leader radicali, comunque, fedeli al loro approccio libertario e anarchico, decisero di non intervenire con censure: “la radio era in mano agli ascoltatori” ricorda l’ex direttore Massimo Bordin, “ed era giusto che dicessero ciò che volevano senza intermediari”. Insomma, Radio Parolaccia divenne un “troll” di massa. E in breve tempo, Radio Radicale battè tutti i record, diventando l’emittente più chiamata e ascoltata d’Italia. D’altronde, era un palcoscenico nazionale e privo di rischi: allora non c’era l’identificativo del chiamante, quindi tutte le telefonate restavano nel totale anonimato. Ma in una nazione guidata dall’asse catto-socialista moderato (Psi-Dc-Psdi, Pri, Pli, con Bettino Craxi presidente del consiglio) e la presenza del Vaticano, l’esperimento non poteva durare a lungo. Tanto più che diverse telefonate violavano le leggi: vilipendio delle istituzioni, apologia di fascismo, diffamazione, solo per citare alcuni reati.

Lo stop dei magistrati

pannella-radio

Pannella (primo a sin.) con lo staff di Radio Radicale.

Sommersa da denunce, interpellanze parlamentari, articoli di giornali indignati, la magistratura di Roma intervenne: il 14 agosto, dopo 35 giorni di trasmissioni, emise un decreto di sequestro degli impianti usati per trasmettere le telefonate. Tre funzionari della Digos e due tecnici della Questura si presentarono a Radio Radicale e portarono via le segreterie telefoniche che registravano i messaggi degli ascoltatori. L’emittente dovette ripiegare trasmettendo musica classica. Finché, in serata, ai microfoni Pannella si scagliò contro i magistrati: “Quando la Rai attenta ai diritti politici dei cittadini, non si trova un magistrato in tutta Italia che abbia il coraggio e la serietà di avviare un’indagine. Quando si tratta di Radio Radicale, invece, la magistratura scopre di essere armata per difendere la legge”.
Il giorno seguente, Ferragosto, Pannella tornò in radio per una diretta non-stop: un modo per tenere alta l’attenzione sui destini di Radio Radicale, ma anche delle radio in generale. La vicenda si risolse in autunno, quando il Parlamento intervenne per salvare l’emittente, estendendo alle radio il finanziamento pubblico per l’editoria di partito. Ma “Radio parolaccia-Radio bestemmia”, come fu ribattezzata, non terminò nel 1986 la sua esistenza.
Dopo una replica nel 1990, ancora nel 1993 (sempre per salvarsi dalla chiusura) l’emittente riattivò la segreteria telefonica, sempre con analoghi risultati.

Una foto dell’Italia

71-fdMGa5ULCon questa iniziativa, Pannella fu accusato di aver tolto il coperchio ai più bassi istinti degli italiani. Ma lui non era d’accordo: “E’ giusto che questo tetro mondo a luci rosse venga finalmente alla luce del sole. E’ una fotografia inquietante ma straordinariamente interessante dell’Italia. Ci sono tanti moralisti che borbottano, ma non c’è neanche un sociologo che si prenda la briga di studiarle quelle voci, e nemmeno un linguista che si mette ad analizzare la diversità delle parlate. Un enorme patrimonio di conoscenza e loro lo sprecano così”.
In effetti, su questo caso unico fu pubblicato solo un libro: “Pronto?! L’ Italia censurata delle telefonate a Radio radicale” (Mondadori). Ma è solo un’antologia impreziosita dalla prefazione di Oreste Del Buono. Insomma, quella miniera di fango è ancora tutta da esplorare: fu profetica nel mostrare non solo la voglia di protagonismo di tanta gente (in cerca di un palcoscenico nazionale, seppur anonimo e momentaneo), ma soprattutto la carica di odio razziale, di xenofobia e di intolleranza che di lì a poco sarebbero stati cavalcati dalla Lega Nord e da altri partiti. A distanza di 30 anni, peraltro, lo scenario non è molto cambiato: le ossessioni sono rimaste più o meno le stesse. Con la differenza che, oggi, le discariche emozionali sono a portata di mano sempre: basta andare su Twitter, Facebook o YouTube. L’unica differenza è che invece di nascondersi dietro a una voce anonima oggi ci si cela dietro un nickname. Un progresso? Dal punto di vista tecnologico senz’altro, ma da quello comunicativo non molto: sui social network manca il tono di voce, che rivela le reali intenzioni di chi parla. Insomma, su queste piattaforme è più difficile capire se chi insulta lo fa per semplice goliardia, odio violento, ribellione al sistema, sfogo liberatorio o disagio sociale. E così il rischio di equivoci e incomprensioni diventa più alto. Insomma, rispetto a 30 anni fa abbiamo molto più potere, ma il mondo è diventato più complicato: anzi, maledettamente ambiguo.

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Multare le parolacce: funziona? https://www.parolacce.org/2015/10/05/come-ridurre-parolacce/ https://www.parolacce.org/2015/10/05/come-ridurre-parolacce/#respond Mon, 05 Oct 2015 06:00:52 +0000 https://www.parolacce.org/?p=7573 Ricomincia la scuola e si riaprono le discussioni su un tema sempre attuale e da sempre irrisolto: come limitare le parolacce dei giovani? Impresa non facile: insieme all’abbigliamento, il linguaggio (gergo e parolacce) è un forte elemento d’identità per gli adolescenti.… Continue Reading

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Salvadanaio delle multe per parolacce: è diffuso nei Paesi anglosassoni.

Ricomincia la scuola e si riaprono le discussioni su un tema sempre attuale e da sempre irrisolto: come limitare le parolacce dei giovani?
Impresa non facile: insieme all’abbigliamento, il linguaggio (gergo e parolacce) è un forte elemento d’identità per gli adolescenti. Dal 1968, infatti, le parolacce sono una bandiera per segnare la differenza dall’ipocrisia e dalle regole degli adulti (anche se, come ricordava Umberto Eco, ormai anche le nonne dicono parolacce).
Ecco perché ha fatto notizia un’insegnante delle superiori di Monza, che ha imposto multe ai propri studenti: chi dice parolacce deve pagare 0,50 €, chi bestemmia 3 €. E’ un’iniziativa originale? E, soprattutto: funziona?

Innanzitutto, il sistema non è originale: era diffuso fra i nobili inglesi già nel XVI secolo. Molti tenevano in casa una cassetta (chiamataswear jar” o “swear box) in cui versavano le multe comminate ai domestici che imprecavano.
Nel 1600 furono promulgate diverse leggi contro i bestemmiatori: la pena era un’ammenda, ma chi ne accumulava quattro era condannato a un anno di carcere e alla gogna. A quell’epoca, bastava insultare un genitore per rischiare la pena di morte. Insomma, un furore puritano: tanto che lo scrittore irlandese Jonathan Swift lo prese in giro in un racconto, La banca degli imprecatori (1720). Swift immaginò che il gettito di multe comminate agli imprecatori potesse finanziare addirittura la nascita di una Banca statale: «stimando che 5.000 gentiluomini imprechino una volta al giorno, si otterrebbe un gettito annuo di 91.250 sterline, e questi considerevoli profitti dovrebbero bastare a mantenere le scuole di carità». Visti i tempi che corrono, forse anche Renzi potrebbe farci un pensierino.
Unica eccezione prevista da Swift, l’uso medico delle imprecazioni: «Sulla base di un certificato prescritto da un medico, si potrebbe dare un permesso al paziente, per aiutarlo a spurgare dai polmoni il suo umore negativo, tramite un apposito ufficio della Banca, dietro il corrispettivo di non più di 6 penny».

Il sistema di multare le parolacce arrivò anche in Italia: basta ricordare un sonetto di Gioachino Belli, “La penale” (1832), nel quale l’autore immagina di essere multato dal proprio parroco che l’aveva sentito imprecare.

Li preti, già sse sa, fanno la caccia
A ‘gni sorte de spece de quadrini.
Mo er mi’ curato ha messo du’ carlini
De murta a chi vò dì ‘na parolaccia.
Toccò a me l’antra sera a la Pilaccia:
Ché giucanno co certi vitturini,
Come me vedde vince un lammertini,
Disse pe ffoja: “Eh buggiarà Ssantaccia!”
Er giorn’appresso er prete già informato,
Mannò a ffamme chiamà dar chiricone,
E m’intimò la pena der peccato.
Sur primo io vorze dì le mi’ raggione;
Ma ppoi me la sbrigai: “Padre Curato,
Buggiaravve a voi puro: ecco un testone”.
I preti, si sa, vanno a caccia
Di soldi ogni sorta e tipo.
Adesso il mio curato ha imposto 2 carlini [monete] Di multa a chi vuol dire una parolaccia.
Toccò a me l’altra sera, alla Pilaccia [osteria] Perché giocando con certi vetturini,
Appena mi vidi vincere una moneta da 2 paoli [monete] Dissi per ira: “Sia buggerata [fottuta] Santaccia!” [prostituta romana] Il giorno seguente il prete già informato,
Mandò a farmi chiamare dal sagrestano,
E mi intimò la pena per il peccato.
Sulle prime io volli esporre le mie ragioni;
Ma poi tagliai corto: “Padre Vicario,
Siate buggerato [fottuto] anche voi, ecco un testone [4 carlini]”
Jerry Hall e uno dei suoi figli (Shutterstock).

Jerry Hall e uno dei suoi figli (Shutterstock).

Le multe domestiche, nei Paesi anglosassoni, sono ancora diffuse: nel 1993 il “New York Post” scrisse che Jerry Hall, l’allora moglie di Mick Jagger dei Rolling Stones, lo costringeva a pagare 500 dollari a parolaccia, perché non desse il cattivo esempio ai loro 4 figli. E così il sistema è arrivato fino ai giorni nostri.
L’anno scorso Manuelita Vella, un’insegnante di educazione fisica all’Olivetti, un istituto professionale dei servizi (enogastronomia e commerciali) di Monza, stanca dell’atteggiamento di diversi allievi che “ti danno dell’incompetente prima ancora di conoscerti, e non si rispettano neanche fra loro”, ha deciso di colpirli nel portafoglio: “le note per il linguaggio maleducato le avevo sempre date, ma ero stanca di riempire ogni ora il registro con la stessa solfa”.
Così ha introdotto le sanzioni economiche. Con questo metodo, l’anno scorso, ha raccolto 170 euro (pari a 340 parolacce o 56 bestemmie), che ha devoluto a un’associazione benefica che opera in India, Studio Natyan Gayatri. Ma il sistema è stato efficace? Non con tutti: qualcuno ha cambiato linguaggio, altri no. E altri ancora si sono rifiutati di pagare le multe (i docenti, in effetti, non hanno l’autorità di comminarle), preferendo prendere una nota sul registro.
In un’altra scuola di Monza, l’istituto Mapelli, per chi colleziona 3 richiami scritti per un comportamento scorretto, scatta la sospensione, seguita dai “lavori utili”: collaborare alle pulizie della scuola o riordinare i libri della biblioteca.

Punire le parolacce a suon di multe o lavori utili, è un sistema di apprendimento chiamato “condizionamento classico“: si associa una punizione (multa) a un comportamento (parolaccia). Del resto, è con un sistema simile che abbiamo appreso le parolacce: abbiamo imparato ad associare quelle parole a determinati stati d’animo (rabbia, sorpresa, disgusto, etc), e poi a premi (attenzione, sfogo) o a punizioni (disapprovazione dei genitori, offesa). Funziona l’addestramento al contrario?
Intanto, in Italia, dal 2009 le parolacce (intese come imprecazioni: dunque il linguaggio volgare, non certo gli insulti) sono state depenalizzate, perché siamo diventati più tolleranti, o forse assuefatti, alle parolacce. Ma in campo educativo il discorso è diverso. Uno psicologo statunitense, Spencer J. Salend della State University di New York riferisce un esperimento per arginare il comportamento di un 14enne che continuava a dire parolacce a scuola: invece di punire lui, gli ha scelto di premiare (con 10 minuti di intervallo in più) i suoi compagni che non avessero riso delle sue volgarità. Risultato: il turpiloquio, senza più una platea di estimatori, si è ridotto del 70%.
Lo psichiatra Matthew R. Reese della University of Kansas School of Medicine ha applicato questa strategia in una comunità per ritardati mentali. Ogni ora, ciascun ricoverato doveva scrivere su un diario se era riuscito a controllare il suo comportamento; in parallelo, c’era un corso di rilassamento e venivano comminate multe a chi imprecava. Il ricoverato riceveva punti se non aveva imprecato; i punti erano conteggiati per ottenere premi il giorno successivo (più tempo libero per guardare la tv). In 5 giorni, il comportamento aggressivo è sceso da 62 minuti a 7 minuti.
Oltre a premi e punizioni, comunque, conta anche l’imitazione: in un ambiente permissivo i bambini tendono a dire più volgarità.

Dunque, riassumendo: premi e punizioni possono far diminuire l’uso di parolacce e favorire comportamenti più rispettosi. Ma solo a due condizioni: che ci sia un buon esempio, soprattutto dall’alto (se gli insegnanti che vietano le parolacce sono i primi a dirle, nessuno li ascolterà); e che si affianchi questo sistema educativo a una presa di coscienza. Siamo addestrabili come i cani, ma abbiamo bisogno anche di qualcosa in più: di dare un senso ai nostri comportamenti. Senza una presa di coscienza sul valore e il significato delle parolacce che diciamo, l’effetto di premi e punizioni durerà poco.
Ma i metodi educativi o rieducativi, comunque, arrivano fino a un certo punto: gli insulti si possono limitare, ma non esiste cura contro le imprecazioni. Quando vi date una martellata su un dito, o sbattete il piede contro lo spigolo del letto, non ci sono premi o punizioni che tengano. Esploderete in un “Porca @#&*%!!!!” o in un “&%+§!!!”. Perché le imprecazioni funzionano come un riflesso neurologico: quando parte lo stimolo (dolore, sorpresa, paura), la reazione è inevitabile.
Come ricorda il video (qui sotto) dell’elettricista Biascica nella serie tv “Boris”, quando sul set furono istituite multe di 20 euro per ogni bestemmia:

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Un cinghiale: è lui il “porco-cane”? (foto Sergii Votit/Shutterstock.com)

Da dove salta fuori l’imprecazione “porco cane?”. Che senso ha dare dell’animale a un altro animale, per di più “il miglior amico dell’uomo”?
In effetti, non diciamo “asino capra”, “allocco baccalà” o “sorcio coniglio”… E’ vero, c’è l’espressione “porca vacca”: ma in questo caso “vacca” sta a significare “donna di facili costumi”, e “porca” serve a rafforzare il concetto con un’ulteriore nota di disprezzo. Senza contare il ridondante “porca troia” (letteralmente, “maiala maiala”) che ha lo stesso significato.
Così ho deciso di indagare sul mistero del “porco cane”. Scoprendo che, come tutti i misteri, nasconde una spiegazione sorprendente.

Ma andiamo con ordine. Smontando subito un preconcetto: per quanto amiamo i cani, la parola cane (e non solo in italiano) è usata anche come insulto: il dizionario Treccani (guardacaso…) ricorda che la parola cane indica “un uomo di animo cattivo, spietato, oppure inabile, incapace nel lavoro che fa: quel cane di aguzzinolavoro fatto da cani, di pessima fattura; un cane, cantante o attore di teatro inadatto alla scena per irrimediabile insufficienza di qualità e di mezzi. Anticamente fu titolo ingiurioso rivolto dai cristiani agli infedeli, specialmente ai Turchi; altre espressioni ingiuriose più generiche: cane d’un traditore!; figlio d’un cane! In molte similitudini il cane è considerato nella sua natura di bestia e come tale contrapposto all’uomovita da cani, insopportabile, dura, miserabile; vivere, lavorare, mangiare, dormire da cane…”.
Dunque, verso il cane abbiamo sentimenti ambivalenti: amore e disprezzo. Anzi, in epoca antica (greci, romani e almeno fino al Medioevo) il cane era più  disprezzato che amato, come racconta questo articolo.

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Identikit della “fiera bestia” che terrorizzò la Lombardia nel 1700.

Questo, però, non spiega del tutto l’accostamento fra cane e maiale: che bisogno c’è di  rafforzare lo spregiativo “cane” con il “porco”?
Sull’origine di questo detto, circola un’ipotesi inaspettata: l’espressione risalirebbe al 1792, quando in Lombardia si scatenò la caccia a una bestia feroce che aveva divorato diversi bambini nelle campagne seminando il terrore fra la gente. “La Campagna di questo Ducato trovasi infestata da una feroce Bestia di color cenericcio moscato quasi in nero, della grandezza di un grosso cane, e dalla quale furono già sbranati due fanciulli. Premurosa la medesima Conferenza di dare tutti li più solleciti provvedimenti, che servir possano a liberare la provincia dalla detta infestazione”.
Così recitava un avviso emanato il 14 luglio 1792 dalla Conferenza governativa di Milano. Per volere di Cesare Beccaria – l’autore di “Dei delitti e delle pene” era un funzionario governativo – furono organizzate corali battute di caccia e trappole per catturare la bestia. Che da molti testimoni era descritta così:  “lunga due braccia, alta uno, e mezzo, con testa porcina, orecchie cavalline, pelo caprino lungo folto, e bianchiccio sotto il ventre, e più ancora sotto il mento, e alla coda, che lunga era e spiegata, ma era rossiccio e corto sul dorso: gambe sottili, piede largo, ugne lunghe e grosse, largo petto, e stretto fianco”. Fu pure messa in palio la somma di 150 zecchini per chi fosse riuscito a ucciderla. Alla fine, dopo 2 mesi di terrore, la bestia fu ammazzata a 5 miglia da Milano: era un lupo.
Il caso fu archiviato, ma senza troppe convinzioni: “le unghie e i denti di questo lupo non sembravano compatibili” con le ferite inferte alle vittime. Se non era un lupo, che animale poteva essere? Una iena, dato che all’epoca un circense ne aveva smarrita una? Oppure un cinghiale, per l’appunto un “porco-cane”
Di questo caso parla anche Sebastiano Vassalli nel romanzo storico “La chimera.

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L’identikit della belva che ha terrorizzato la Namibia.

All’inizio del capitolo 19, Vassalli scrive: “fino agli ultimi avvistamenti ebbe forme a noi più familiari, di torello o di grosso cane con testa da cinghiale, o di “porcocane”: animale esistito a lungo negli incubi dell’uomo ed ora in via di estinzione, ma ancora vivo nell’uso della lingua italiana”.
Leggende d’altri tempi? Mica tanto: nel 2012 fece il giro del mondo la notizia di una bestia simile (un “dog-headed pig monster”, un maiale mostruoso con la testa di cane) che attaccava i villaggi della Namibia settentrionale. Tanto che la polizia di Windhoek ne ha diffuso un ritratto disegnato al computer.

Dunque, tornando ai nostri studi, l’espressione “porco cane” sarebbe stata in origine un’esclamazione di terrore che al tempo stesso incute paura, usata per scaramanzia, per esorcizzare un pericolo evocandolo (insomma, un gesto apotropaico). Ma è davvero così? Diversi indizi fanno pensare di no. L’espressione “porco cane” è citata da Vassalli nel suo romanzo del 1990; ma nei documenti dell’epoca è chiamata “bestia feroce”, “belva”, “fiera bestia”. Come si spiega allora l’espressione “porco cane”? Che, pensandoci bene, è un’espressione strana al pari di “porca l’oca”?

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Statua di Zeus (foto abxyz/Shutterstock.com).

Le due imprecazioni potrebbero avere in realtà un legame invisibile, secondo uno dei massimi linguisti del secolo scorso, Eugenio Coseriu. Per Coseriu, le due espressioni sono antichissime e risalgono alla lingua greca. In greco, infatti, oca (χηνα, chena) e cane (kuνα, cunahanno un’assonanza con Zeus (Ζηνα, zena): dunque, invece di esclamare “Per Zeus!” (in ogni religione è  vietato pronunciare il nome di Dio invano), gli antichi greci dicevano “per il cane!” o “per l’oca!”.
L’uso, sostiene
Coseriusi sarebbe poi trasferito dal Greco fino all’italiano, con le espressioni “porco cane” e “porca l’oca”. Che quindi  hanno la stessa funzione di Cribbio, Cristoforo Colombo, porco due, porco Diaz…: sono eufemismi per evitare di pronunciare bestemmie. Orcocane!
Un’altra studiosa del mondo antico, Spencer Alexander McDaniel, sostiene invece che l’espressione sia un riferimento ad Anubi, l’antico dio egizio della morte, che nell’arte egizia è rappresentato con la testa di uno sciacallo. In greco, infatti, sono censite le espressioni “Per il cane!” o “Per il cane d’Egitto!” o “Per il cane, il dio degli egizi!” (nei “Dialoghi” di Platone: sono tutte espressioni attribuite a Socrate). Anche questa è un’ipotesi plausibile.

 

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I tedeschi e la lingua sporca https://www.parolacce.org/2012/10/26/parolacce-in-tedesco/ https://www.parolacce.org/2012/10/26/parolacce-in-tedesco/#comments Fri, 26 Oct 2012 14:55:04 +0000 https://www.parolacce.org/?p=983 Parlando di Germania, c’è almeno un campo in cui lo spread è sicuramente a vantaggio dell’Italia: le parolacce. In questo ambito, infatti, il tedesco è un caso unico in Europa. Non solo perché ha un lessico volgare decisamente più povero,… Continue Reading

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Il sito scheisse.de (merda): un gioco on line per diventare campioni di pulizia dei wc.

Parlando di Germania, c’è almeno un campo in cui lo spread è sicuramente a vantaggio dell’Italia: le parolacce. In questo ambito, infatti, il tedesco è un caso unico in Europa. Non solo perché ha un lessico volgare decisamente più povero, ma anche perché le sue parolacce sono centrate più sugli escrementi che sul sesso. Per usare una metafora psicanalitica, mentre i Paesi latini (ma anche quelli anglosassoni) esprimono nel linguaggio volgare unafase fallica”, la Germania sembra fissa alla “fase anale”.
Ma perché è così? E soprattutto: perché ne parlo proprio ora? Il motivo c’è: un rinomato linguista tedesco, Hans-Martin Gauger, 77 anni, già docente di linguistica romanza all’università di Friburgo, ha appena pubblicato un saggio sulle parolacce tedesche, intitolato “Das Feuchte & das Schmutzige”, ovvero “L’umido e lo sporco” (metafore, rispettivamente, del sesso e del mondo escrementizio). Un’ulteriore riprova che, fuori dall’Italia, il mondo accademico “alto” non ha paura né la supponenza di misurarsi con i temi popolari.

 

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Il libro sulle parolacce tedesche e l’autore, Hans Martin Gauger.

Ma prima di esporre le tesi del professor Gauger, occorre partire da alcune osservazioni. Innanzitutto, quantitative: il paniere di insulti tedeschi è poverissimo. Le parolacce sono circa 120, stando al più completo dizionario online delle parolacce, gli Alternative dictionaries. Ed è una stima più che generosa.
Di certo, il tedesco ha una tavolozza di colori espressivi decisamente molto meno ricca della nostra: le parolacce presenti nel vocabolario italiano sono 300, ma diventano migliaia se si considerano tutte le metafore di tipo sessuale (vedi quanto ho scritto nel mio post
qui).
Dunque, i tedeschi hanno una tavolozza molto limitata di espressioni per colorire il linguaggio. Il che è un dato sorprendente: il tedesco è una lingua ricca di lemmi (se ne stimano più di 200mila, contro i 160mila italiani e i 500mila dell’inglese). Ed è una lingua molto precisa e ricca di sfumature, tanto da essere la lingua prediletta per le sottili distinzioni della filosofia e della teologia.
Ma è soprattutto l’uso delle parolacce a differenziare il tedesco da tutte le altre lingue europee, nelle quali le espressioni di origine sessuale servono anche a imprecare (figa!), maledire (vaffanculo!) e offendere (testa di cazzo!). Senza contare il caso particolare dell’italiano, nel quale le bestemmie sono considerate le parole più tabù, come è emerso dal volgarometro.

In tedesco, invece, le bestemmie proprio non esistono. E le parole sessuali sono usate semplicemente in senso osceno: i termini volgari per pene (schwanz) e vagina (muschi, moese, fotze) servono semplicemente a indicare gli organi sessuali, in modo denotativo, ma non hanno usi metaforici (non esiste il corrispettivo di termini come cazzone, testa di cazzo, figata, e via discorrendo). Le parole che indicano l’atto sessuale (ficken, bumsen) sono usate solo per descriverlo, non come maledizioni: al posto di vaffanculo, si manda qualcuno a “pisciare altrove” (verpiss dich) o provocatoriamente lo si invita a “leccare al culo” (leck mich am arsch).

Manifesto spregiativo contro la squadra di calcio FC Shalke 04: qui diventa scheisse (merda) con lo slogan “Qui è la mia casa”.

E come esclamazioni nei momenti di rabbia, sorpresa, disappunto, non si usa cazzo o figa bensì merda (scheisse). Ed è questo un altro aspetto qualificante del tedesco: preferisce le metafore escrementizie a quelle sessualiInfatti, per insultare qualcuno, non lo si chiama cazzone o coglione, bensì buco di culo (arschloch). Sono più frequenti, invece, insulti che alle nostre orecchie suonerebbero molto più morbidi: blöd (stupido), idiot, depp (cretino), dumm (stupido), dummkopf (testa stupida). Persino il dito medio, che già gli antichi Romani chiamavano “digitus impudicus”, in tedesco ha perso la sua connotazione sessuale per acquisirne una di tipo anale: è diventato infatti il “dito puzzolente” (stinkefinger).
Un panorama con rare eccezioni: il professor Gauger cita il termine alemanno seckel (idiota) con un’etimologia che lo ricollega al sacco scrotale, ovvero l’equivalente di coglione; e il bavarese hinterfotzig (subdolo), che letteralmente significa “con la vagina di dietro”. Ed è vero anche che il tedesco, permeabile alle influenze linguistiche dell’inglese, sta incorporando termini offensivi a matrice sessuale come wichser (segaiolo) e fick dich (fottiti). Ma sono eccezioni.

“Dimmi in faccia ciò che pensi” dice l’alano. E il cagnolino: “vaffa…”.

Una conseguenza interessante di questo scenario, è che nel repertorio linguistico tedesco non c’è traccia di maschilismo: il termine “puttana” (nutte, schlampe) è sì spregiativo, ma è usato solo per qualificare una donna realmente di facili costumi, non come offesa sessista verso le donne in genere. E lo stesso avviene con i termini che designano gli omosessuali (schwul, schwuchtel): possono – soprattutto il secondo – avere una valenza spregiativa, ma si usano solo nei confronti dei gay, non in generale per offendere chiunque.
Ecco perché, osserva Gauger, per un tedesco sarebbe impensabile la frase che Marco Materazzi disse a Zinedine Zidane prima della celebre testata ai Mondiali del 2006 (“La tua maglietta? Preferisco la puttana di tua sorella”). «L’offensività di una frase del genere» dice Gauger «non sta tanto nell’offendere la sorella di Zidane dandole della prostituta. Quanto nell’espressione, tutta maschilista, del desiderio di disporre sessualmente di lei. Un tedesco non avrebbe mai pensato una frase simile: avrebbe detto, al massimo “Verpiss dich, zu arschloch” (“piscia via, buco di culo”, ovvero: “fanculo, stronzo”)».
Ma perché il tedesco ha così poche parolacce, e così poco sessualmente caratterizzate? Il professor Gauger non azzarda ipotesi. Ma esclude che dipenda dal protestantesimo: negli altri Paesi protestanti (Paesi Bassi, Regno Unito) le parolacce hanno invece una forte connotazione sessuale. Forse, l’ossessione medievale verso la pulizia (e la conseguente avversione verso le feci, considerate impure e patogene) ha lasciato una traccia più rilevante che altrove. Ma è altrettanto vero che la sessuofobia cattolica non ha attecchito in Germania, dove – provare per credere – potete girare nudi in una piscina senza che nessuno si scandalizzi o vi guardi con malizia.

Scheisse (merda) Minnelli: un gruppo punk tedesco.

Ma la scarsa disponibilità di parolacce potrebbe dipendere anche da altri aspetti: un maggior autocontrollo emotivo? Un più sviluppato senso del pudore? Può darsi. Ma anche una maggior semplicità, una più radicata abitudine a dire “pane al pane” (e “pene al pene”, in questo caso), anche a costo di apparire indelicati. Tant’è vero che l’avverbio deutlich (chiaramente) ha la stessa etimologia di deutsch, (tedesco) che deriva da “popolo”: il popolo tedesco parla in modo semplice e chiaro. Non è un caso che nel “Faust” di Goethe Mefistofele chieda agli studenti: «Tu non sai, amico mio, quanto sei maleducato?» ricevendo come risposta: «In tedesco si mente quando si è cortesi». Dunque, per esprimere il negativo (non solo la repulsione, ma anche l’aggressività, la rabbia, il disprezzo) non c’è nulla di meglio degli escrementi. Senza “sporcare” le gioie del sesso.

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Abbiamo il “volgarometro”!!! https://www.parolacce.org/2009/05/16/abbiamo-il-volgarometro/ https://www.parolacce.org/2009/05/16/abbiamo-il-volgarometro/#comments Sat, 16 May 2009 17:59:00 +0000 https://www.parolacce.org/?p=25 Duemila seicento quindici. 2.615. Tanti sono stati i navigatori che hanno risposto al sondaggio sulle parolacce che avevo lanciato lo scorso 6 aprile. Un risultato che è andato ben oltre le mie più rosee aspettative: quindi, grazie di cuore a… Continue Reading

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originalDuemila seicento quindici. 2.615. Tanti sono stati i navigatori che hanno risposto al sondaggio sulle parolacce che avevo lanciato lo scorso 6 aprile. Un risultato che è andato ben oltre le mie più rosee aspettative: quindi, grazie di cuore a tutti quelli che hanno partecipato!!!
Al sondaggio hanno risposto navigatori da 0 a oltre 60 anni, di tutte le regioni italiane (e anche dall’estero) e livelli culturali: un campione senz’altro ricco e vario, anche se non pretende di essere rappresentativo della popolazione italiana.
Grazie a questi numeri, abbiamo ottenuto una delle indagini linguistiche più corpose mai svolte in Italia, e l’unica a fotografare in modo significativo la percezione delle parolacce, al di là delle impressioni dei singoli.
Quali sono le parolacce più volgari e offensive? E quelle più bonarie?
Ora abbiamo finalmente uno strumento per valutarlo.
Ecco qui sotto il volgarometro (cliccare sull’immagine per ingrandirla), ovvero la classifica delle parolacce a seconda del loro grado di offensività e volgarità percepiti.

Il Volgarometro (clic per ingrandire).

Ho illustrato e commentato i risultati di questa indagine in un saggio pubblicato dall’Università Savoie Mont Blanc di Chambéry (Francia). Qui mi limito a fare alcune considerazioni flash.
Nel 2020 un ricercatore di Manchester, Rob Drummond, ha fatto un’indagine simile sulle parolacce inglesi: la trovate qui.
Nonostante le battaglie contro le discriminazioni, frocio e handicappato sono ancora considerati fra gli insulti più pesanti. Ma meno di mafioso, giudicato offensivo quanto stronzo. Cornuto perde importanza, superato da magnaccia, impotente, trans, travestito. Nazista e terrorista sono gli insulti politici più pesanti. E il celebre “vaffa” è ampiamente superato, per potenza offensiva, da “Ti venisse un cancro.
Dal sondaggio, poi, sono emerse 7 tendenze significative:
1)    Se l’insulto è un “giudizio abbreviato”, le accuse sentite come più offensive (quindi più gravi) sono la  violazione delle leggi (mafioso, ladro, infame) e i presunti eccessi sessuali (zoccola per le donne, culattone per gli uomini). In quest’ultimo campo, nonostante l’apparente libertà di costumi, prevale ancora una visione maschilista e omofobica. Su questo punto, leggete le precisazioni che ho scritto qui.
2)    Scottante anche il rapporto con malattie, morte, bruttezza, disabilità: le maledizioni (augurare malattie, morte o dolore a qualcuno) e gli insulti fisici sono tra le categorie col più alto voto medio. Questi valori sono giudicati più importanti rispetto alla lucidità mentale (rincoglionito) e alla cultura (ignorante).
3)    Le singole espressioni che hanno ricevuto in assoluto i punteggi più alti sono le bestemmie, nonostante 1/3 del campione si dichiari ateo. Da notare che, anche se per valori infinitesimali, l’offesa alla Madonna è considerata più grave rispetto a quella verso Dio.

originaloriginaloriginal copia4)    I fattori che influenzano maggiormente la percezione delle parolacce sono (in ordine decrescente) l’istruzione, l’età e l’abitudine a dirle; non incidono molto, invece, il sesso, il luogo di residenza e l’orientamento religioso.
5)    Donne, over 50, meridionali e religiosi sono comunque le categorie più sensibili al turpiloquio: hanno attribuito a molte voci punteggi superiori alla media generale, giudicando con più severità le espressioni legate al sesso, alla morale, alla religione e alla devianza dalle norme.
6)    Il 50,4% delle espressioni proposte è stata giudicata  dai navigatori “poco volgare o offensiva” (punteggi da 0 a 1,4). Queste parole, di conseguenza, hanno perso buona parte della loro forza espressiva, degradandosi a espressioni colorite e graffianti ma non molto offensive o scandalose: fra queste, terrone, cazzo, merda, va’ a cagare, sfigato, crumiro, buffone, incazzoso, rifatta/siliconata, sbirro, ostia, che palle, ballista. È aumentata l’abitudine alle parolacce, sia per un loro uso più frequente (dal 1999 le parolacce sono state depenalizzate con una legge-delega) sia per effetto del mutare dei valori sociali: tangentaro è oggi considerato molto più offensivo di eretico.
7)    Le categorie di insulti giudicate meno pesanti sono, in ordine decrescente, quelli classisti (pezzente, barbone, proletario), quelli etnici (negro, terrone) e quelli religiosi (talebano, bigotto). Il motivo? Oggi le differenze di classe sono diventate più sfumate, e c’è più tolleranza verso le diverse fedi religiose; per quanto riguarda le discriminazioni etniche, sono giudicate meno severamente, probabilmente perché non toccano direttamente gli italiani: i navigatori – con alcuni distinguo – hanno espresso scarsa immedesimazione verso il dramma degli stranieri di non sentirsi accettati e integrati.

Ma a che serve il volgarometro?
Può dare indicazioni utili, oltre che ai linguisti (per valutare se classificare una parola come spregiativa, descrittiva, offensiva…) e ai sociologi (per identificare e spiegare i valori morali e i tabù), anche ai giudici e agli educatori chiamati a esprimersi sulla carica di offensività di vari insulti (che però è determinata anche da altri fattori come il contesto, l’intenzione, il tipo di rapporto).
In mancanza di dati quantitativi, infatti, finora queste valutazioni si sono affidate alla percezione dei singoli, che non necessariamente riescono a fotografare la sensibilità di un’epoca.

originalIl volgarometro, inoltre, può essere utile anche ai traduttori. Non sempre, infatti, da una lingua all’altra esistono parolacce di significato equivalente: per esempio, nei Paesi del nord Europa ci sono molte meno espressioni volgari sui temi religiosi e sessuali. Con il volgarometro, i traduttori hanno uno strumento per scegliere parolacce dal significato diverso ma con una carica offensiva equivalente. A patto che siano fatti sondaggi analoghi in altre lingue.
Proposta che lancerò al 3° Convegno internazionale sulle parolacce previsto a fine maggio all’università della Savoia a Chambéry (Francia), dove sarò l’unico relatore italiano.

In conclusione, ringrazio – oltre ai navigatori di Focus – quanti hanno collaborato al progetto: il direttore Sandro Boeri, la redazione di Focus.it, Francesca Tartamella per l’insostituibile apporto nell’elaborazione dei dati.

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