Camilleri | Parolacce https://www.parolacce.org L'unico blog italiano di studi sul turpiloquio, dal 2006 - The world famous blog on italian swearing, since 2006 Wed, 22 May 2024 10:22:40 +0000 it-IT hourly 1 https://www.parolacce.org/wp-content/uploads/2015/06/cropped-logoParolacceLR-32x32.png Camilleri | Parolacce https://www.parolacce.org 32 32 Cacasenno, Katzone e gli altri eroi dal nome osè https://www.parolacce.org/2021/04/06/nomi-letterari-volgari/ https://www.parolacce.org/2021/04/06/nomi-letterari-volgari/#respond Tue, 06 Apr 2021 10:10:52 +0000 https://www.parolacce.org/?p=18596 “Che nome gli metterò?” — disse fra sè e sè. — “Lo voglio chiamar Pinocchio. Questo nome gli porterà fortuna. Ho conosciuto una famiglia intera di Pinocchi: Pinocchio il padre, Pinocchia la madre e Pinocchi i ragazzi, e tutti se… Continue Reading

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“Che nome gli metterò?” — disse fra sè e sè. — “Lo voglio chiamar Pinocchio. Questo nome gli porterà fortuna. Ho conosciuto una famiglia intera di Pinocchi: Pinocchio il padre, Pinocchia la madre e Pinocchi i ragazzi, e tutti se la passavano bene. Il più ricco di loro chiedeva l’elemosina“. Così pensava Geppetto mentre si apprestava a intagliare il suo celebre burattino. Dare il nome a qualcuno significa scegliere il suo avvenire (nomen omen, un nome un destino, dicevano gli antichi) e anche descrivere la sua personalità. E nella fiction – che sia la letteratura o il cinema – il destino dei personaggi è deciso dalla fantasia degli autori. Per esempio, Alessandro Manzoni scelse di chiamare la coprotagonista dei “Promessi sposi” Lucia Mondella: Lucia per evocare la sua natura luminosa, Mondella per alludere alla sua purezza d’animo e alla fase del lavaggio nelle filande.
Perché allora non scegliere anche un nome spinto per un personaggio immaginario?
In questo articolo ne ho raccolti una ventina (e non è detto che siano tutti: se avete segnalazioni, scrivete nei commenti). In questo modo potremo fare un viaggio insolito nella fantasia. Spesso i nomi volgari sono scelti per dare un effetto comico o satirico al racconto, ma a volte anche per descrivere alcune particolari qualità dei personaggi.  

Personaggi cinematografici

 

TONTOLINI

“Tontolini” di Giulio Antamoro, 1910

Tontolini è il burlesco nome del protagonista di questa pellicola del film muto. E’ un popolano sciocco e maldestro, dal viso buffo e con doti da funambolo. Il ruolo è interpretato dall’attore franco-italiano Ferdinand Guillaume.

 

 

CRETINETTI

“Le creazioni svariate di Cretinetti”, 1909 

Il nome è stato reso celebre da Franca Valeri, che così si rivolgeva al marito Alberto Sordi nel film di Dino Risi “Il vedovo” (1959). Ma quel nomignolo non fu un’invenzione della Valeri: era infatti il nome di un protagonista di film comici nell’era del muto, Cretinetti appunto. Era interpretato dal francese André Deed (pseudonimo di Henri André Augustin Chapais), che in Italia recitò in decine di film dando a Cretinetti una gloria internazionale.

CACCAVALLO

“Totò e Carolina”  di Mario Monicelli, 1955 

In questo film totò interpreta l’agente di polizia Antonio Caccavallo, che si lega a una ragazza che arresta per prostituzione (Carolina De Vico).  La pellicola è stata fra le più censurate nella storia del cinema italiano. Soprattutto per i temi affrontati dal regista (prostituzione, figli illegittimi, la morale perbenista).
In origine il protagonista avrebbe dovuto chiamarsi Antonio Callarone: fu trasformato in Caccavallo per far sì che la vicenda suonasse come una farsa fine a se stessa, senza alcun aggancio alla realtà del tempo, a causa delle molte pressioni della Commissione statale di censura dei film.

ROMPIGLIONI

“Il sergente Rompiglioni”  di Giuliano Biagetti, 1973 

Il sergente protagonista del film, Francesco Garibaldi Rompiglioni (Franco Franchi) coltiva due passioni: la musica classica e la disciplina. E istruisce le reclute in modo dittatoriale e isterico: il suo cognome è infatti una contrazione di “rompicoglioni”. Il film ha avuto un grande successo di pubblico, e nonostante il titolo non è infarcito di volgarità. 

NAKA KATA

“Anche gli angeli mangiano fagioli” di E.B. Clucher, 1973

Sonny (Giuliano Gemma) lavora come uomo delle pulizie in una palestra giapponese dove il maestro è Naka Kata (George Wang). Che lo licenzia dopo aver ricevuto da lui un micidiale calcio nei testicoli durante un combattimento.

 

CULASTRISCE 

“Culastrisce nobile veneziano” di Flavio Mogherini, 1976  

Culastrisce sembra un soprannome boccaccesco, invece allude a un antenato Lanzichenecco del protagonista, il marchese Luca Maria Sbrizon (Marcello Mastroianni).
I mercenari svizzeri, infatti,  oltre alle tipiche alabarde portavano brache con spacchi e inserti di stoffe di colori contrastanti: a strisce per l’appunto. Nel film il soprannome viene usato di rado: probabilmente è stato inserito nel titolo solo per evocare le commedie a base di nudi femminili, mariti cornificati e battute triviali.

 

PISELLONIO

“Brian di Nazareth” di Terry Jones, 1979

Il film è una satira dei Monthy Pyton sulla predicazione di Gesù, incarnata da Brian, suo contemporaneo, un rivoluzionario che viene spesso scambiato per il messia. Marco Pisellonio appare accanto a Ponzio Pilato durante la condanna alla crocifissione: è affetto da sigmatismo (zeppola: la “s” fischiante) e deve il suo nome al fatto che nel film originale il personaggio si chiama Biggus Dickus (“big dick” cioè cazzone).

 

KATZONE

“La città delle donne” di Federico Fellini, 1980

Il film è un viaggio onirico nella femminilità. Uno dei personaggi è il dottor Xavier Katzone, un maturo santone dell’eros che vive nell’adorazione di una femminilità che ormai non esiste più. Qui il protagonista Snaporaz (Marcello Mastroianni) scopre la singolare collezione di orgasmi registrati: sono quelli delle innumerevoli amanti di Katzone, che il padrone di casa ama riascoltare premendo dei pulsanti, disposti lungo una doppia parete ricoperta di marmo, che evoca i loculi di un cimitero. Il dottor Katzone li custodisce nella vana attesa di ritornare agli antichi splendori.
Dunque un cognome scelto volutamente per evocare, in modo ironico, l’erotismo.

 

SMERDINO O SMERVINO, SCERIFFO DI RUTTINGHAM

“Robin Hood – Un uomo in calzamaglia” di Mel Brooks, 1993

Il film è una parodia di “Robin Hood – Principe dei ladri” (1991) di Kevin Reynolds, con Kevin Costner. Uno dei personaggi è lo sceriffo di Ruttingham (invece di Nottingham: evoca il rutto), che nell’edizione originale si chiama Mervyn (nome realmente esistente), mentre in quella italiana si chiama Smervino o Smerdino: dal doppiaggio non si riesce a capire quale delle due versioni sia stata scelta (ascoltate il video qui sotto dal minuto 1:33). Ma l’effetto è lo stesso in ambo i casi.

 

CACCA DI NATALE

South Park, di Matt Stone e Trey Parker, 1997

Tra i personaggi di South Park c’è Mr. Hankey, la Cacca di Natale (the Christmas Poo): è un pezzo di cacca con grandi occhi, una bocca sorridente e un cappello da Babbo Natale. Appare nell’episodio intitolato “Uno stronzo per amico”. I bambini della scuola elementare vogliono mettere in scena un presepe tradizionale, ma una donna di fede ebraica chiede di cancellare dalla recita tutti i riferimenti religiosi. Alla fine sarà proprio Mr Hankey a riportare lo spirito natalizio, e alla fine vola via insieme a Babbo Natale. Il personaggio appare anche in altri 6 episodi (fra cui quello intitolato “Un Natale davvero di merda”).

 

CICCIO BASTARDO,  IVONA POMPILOVA, PIRULON, FELICITY LADÀ

Austin Powers – La spia che ci provava”  di Jay Roach, 1999 

Il film è una parodia del mito degli agenti segreti alla 007. Powers è un agente segreto al servizio di Sua Maestà la Regina d’Inghilterra. Rimasto ibernato dagli anni ‘60 a oggi, Powers irrompe nel mondo moderno. Il suo ruolo stride però col suo aspetto fisico piuttosto repellente. A cui lui rimedia col “maipiùmòscio” (nel film originale è il “mojo”, un amuleto),  che gli permette di aver successo con le donne. Fra gli altri personaggi del film ci sono: una ” guardia scozzese ” obesa, Ciccio Bastardo (Fat Bastard); la protagonista femminile, Felicity Ladà (Felicity Shagwell, cioè Felicita Scopabene),  la modella russa Ivona Pompilova ( “Ivana Humpalot” cioè Ivana Scopamolto) e Pirulon (Pirlone), che nel film originale è semplicemente Woody Harrelson che interpreta se stesso.

 

GAYLORD FOTTER e SFIGATTO

“Ti presento i miei” di Jay Roach, 2000

Il protagonista (Ben Stiller) si chiama Gaylord Fotter, un doppio riferimento sessuale: ai gay e all’atto sessuale (come nel film originale, in cui si chiama Gaylord Focker, smile a fucker). Gaylord, detto Greg,  cerca di fare bella figura con i suoceri, in particolare col suocero (Robert De Niro) burbero ex agente della Cia. Fotter cerca di fare di tutto per impressionare favorevolmente i suoceri, ma la sua insicurezza e il nome imbarazzante non lo aiutano. Da segnalare anche il nome del gatto dei suoceri, che nella versione italiana si chiama Sfigatto (Mr Jinx nell’originale: in inglese jinks sono gli scherzi chiassosi), perché ne passa di tutti i colori.

 

THE MOTHERFUCKER

 “Kick-Ass2”, di Jeff Wadlow, 2003

Il film è il sequel di “Kick-Ass”, storia di un ragazzino che diventa supereroe. In questo film il suo coetaneo Chris D’Amico, sconvolto dalla morte della madre, decide di voltare le spalle alla sua precedente incarnazione da eroe e di diventare il primo supercattivo della vita reale, facendosi chiamare Motherfucker, con l’obiettivo di vendicarsi di Kick-Ass. “Motherfucker” letteralmente “uno che si fotte la madre” è l’equivalente di carogna, figlio di puttana. Nella versione italiana non è stato tradotto.

BOGDANA

 “Pazze di me” di Fausto Brizzi, 2013

Il film è una commedia senza molte pretese che racconta la storia di un ragazzo, Andrea Morelli (Francesco Mandelli), unico maschio in una famiglia tutta al femminile. Nel nucleo è presente anche una badante rumena, una scansafatiche cafona che si chiama Bogdana (evidente assonanza con “puttana”). In una scena lei rivela però che quello è “un nome d’arte: il mio vero nome è Niculina” (evidenziando la somiglianza con “culo”).

PHUC

 “The gentlemen”, di Guy Ritchie, 2019

Il film è una storia di gangster della marijuana ambientata nel Regno Unito. Si fronteggiano varie fazioni: protagonista è il boss Michael “Mickey” Pearson (Matthew McConaughey), che ha costruito un impero della cannabis e vuole uscire dal giro. Il boss cinese Lord George gli vuole subentrare, e il suo vice, Occhio Asciutto, congiura per mettersi in mezzo. Uno dei suoi scagnozzi si chiama Phuc, che ha lo stesso suono di “fuck“, fottere. Un gioco di parole provocatorio in una commedia d’azione e sangue decisamente sopra le righe. 

Personaggi letterari

BACIACULO E NASAPETI

“Gargantua e Pantagruele”, François Rabelais, 1542.

Il libro è una satira del suo tempo. In un episodio l’autore racconta che “a quel tempo pendeva nel Parlamento di Parigi un processo su una controversia così alta e difficile «che la Corte del Parlamento non ci capiva più che se fosse alto tedesco». Così il re decise di affidare il giudizio a Pantagruele. I contendenti erano Baciaculo (Baisecul in francese) e Nasapeti (Humevesne): l’episodio è una satira contro la lentezza dei processi e il linguaggio incomprensibile di giudici e avvocati. Alla fine Baciaculo è dichiarato innocente con una lunga e incomprensibile sentenza, che però “lo condanna a tre bicchieroni di latte cagliato, ben mantecati, drogati e preparati secondo la moda del paese, a favore del detto convenuto, pagabili al Ferragosto, di maggio. Ma il convenuto a sua volta sarà tenuto a rifornirlo di tutto il fieno e la stoppa, necessari all’otturazione dei trabocchetti gutturali, con contorno di polpettoni ben arrostiti e conditi. E amici come prima”. E tutti a celebrare la saggezza di Pantagruele.

 

CACASENNO

dalle novelle “Bertoldo, Bertoldino e Cacasenno” di Giulio Cesare Croce, 1620

I racconti riprendono e rielaborano novelle antichissime. Cacasenno è più idiota del padre Bertoldino: il suo nome infatti significa che “defeca la saggezza”, termine che in italiano ancora oggi designa le persone saccente, i saputelli. L’autore lo deride fin dal suo aspetto fisico: “Questo Cacasenno era grosso di cintura, aveva la fronte bassissima, gli occhi grossi, le ciglia irsute, il naso e la bocca aguzza, che certo assomigliavasi ad un gatto mammone, ovvero ad uno scimiotto”. Per dire quanto fosse sveglio e intelligente, basta questo scambio di battute con uno dei personaggi, Erminio:

“Dimmi, come hai tu nome?”. E Cacasenno: “Messer no, che non sono un uomo, sono un ragazzo”. Erminio. “Non ti addimando se sei un uomo, dico il tuo nome: come ti chiami?”. E Cacasenno: “Quando uno mi chiama, ed io gli rispondo”. 

I racconti hanno ispirato tre versioni cinematografiche: la più famosa è quella firmata da Mario Monicelli nel 1984. In una scena, re Alboino solleva in aria il figlio di Menghina e Bertoldino, ma il neonato gli defeca in faccia, “e viene di conseguenza chiamato Cacasenno”.

 

AUGELLO

I gialli di Montalbano, 1994-2020

Camilleri aveva il gusto per i dettagli. Perciò non ha scelto a caso i cognomi de propri personaggi: Montalbano deve il suo cognome a Manuel Vàzquez Montalbàn, prolifico autore di gialli spagnolo che aveva ispirato Camilleri.
Mimì Augello, il vice di Montalbano, è’ un don Giovanni, e proprio per questo il suo cognome sembra evocare l’organo sessuale maschile. Invece così non è, come rivela lo stesso Camilleri (citato in questo studio): “questa storia del braccio destro di Montalbano che si chiama Augello, gli piacciono le donne. L’augello è quello che è, il membro maschile, da noi, il membro virile. Quindi, tutti hanno pensato che io avessi voluto chiamare in questo modo il vicecommissario perché è un gran donnaiolo. Ma manco per idea! Augello è un cognome fra i più diffusi che ci sono tra Siculiana e Realmonte, vicinissima a Porto Empedocle, ecco. Poi il lettore, magari, ci vede chissà quale ricerca etimologica, chissà che cosa. Per me era lontanissima, quest’idea. Augello, semmai, nasceva non dal fatto delle sue capacità virili, nasceva, semmai, dal fatto che svolazzava da una donna all’altra. Semmai, poteva essere lontanissimamente questo”.

Personaggi nelle canzoni

MERDMAN 

dall’album “Henna”, Lucio Dalla, 1994

La canzone parla di un “marziano disgustoso” che precipita sulla Terra, Merdman. Ecco alcune strofe che lo descrivono: A parte il puzzo veramente micidiale, aveva in sé qualcosa di familiare, Sui trent’anni, bocca larga e braghe corte, sempre sporco con uno stronzo sulla fronte. Ogni tanto spiaccicava una parola, e con le dita messe li’ a pistola catturava tutto l’audience della gente…. A poco a poco anche la stampa più esigente, lo trovava bello, fresco e divertente… Non parliamo dei bambini anche i più belli, si mettevano uno stronzo tra i capelli”.
La canzone è una feroce satira contro la tv spazzatura che glorifica il peggio degli uomini.

Qualche anno dopo, nel 2003, Elio e le storie tese scriveranno “Shpalman”, una canzone dedicata a un immaginario supereroe che sconfigge i cattivi” “spalmandogli la merda in faccia”.  

 

GADDA E I SOPRANNOMI DI MUSSOLINI

Fra il 1941 e il 1945, Carlo Emilio Gadda (l’autore del “Quer pasticciaccio brutto de via Merulana”) scrisse “Eros e Priapo: da furore a cenere” una riflessione storica feroce su Benito Mussolini e la sua dittatura (a cui inizialmente Gadda aveva aderito).
Nel saggio non viene mai menzionato il termine “fascismo”, mentre Mussolini viene ribattezzato con decine di nomignoli insultanti: Furioso Babbeo, Sozzo Nostro, Somaro Principe, Primo Racimolatore e Fabulatore delle scemenze, Giuda-Maramaldo, Paflagone-smargiasso, Priapo Moscio, il Gran Correggione del Nulla, il Predappio-Fava, il Culone in Cavallo, Il Fava impestatissimo, il Batrace Stivaluto, il Priapo Tumefatto, Ejettatore delle scemenze, il Giuda imbombettato, il Capocamorra, Appiccata Carogna, il Merda, Primo Maresciallo del Cacchio, il Mascelluto, Gaglioffo ipocalcico, Gran Cacchio,  Maccherone Ingrognato, Scacarcione Mago, Nullapensante, Priapo Maccherone Maramaldo. Solo per citarne alcuni…

Il saggio fu pubblicato solo nel 1967 e in versione censurata, dopo essere stato rifiutato da molti editori.

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Che ti venga il coronavirus! La maledizione dei nostri tempi.

“Ti deve venire il coronavirus!”: il primo a ricevere la nuova offesa è stato, a marzo, Juan Jesus, calciatore brasiliano della Roma. Segno dei tempi: la frase gli è arrivata su Instagram da un ragazzino di 15 anni. E mostra che la pandemia è entrata non solo nelle nostre vite quotidiane, ma anche nei modi di dire, dando origine a una nuova espressione offensiva.
Entrerà nei vocabolari? Presto per dirlo, come spiegherò più sotto. In ogni caso, non sarebbe l’unica offesa a sfondo patologico. Le offese, infatti, si possono esprimere non solo usando termini legati ai tabù del sesso, degli escrementi o della religione, ma anche evocando le malattie. Perché hanno una grande forza immaginifica: ci fanno immedesimare in una situazione dolorosa.
Quali sono le espressioni che fanno leva sulla paura delle malattie? Sono molte e hanno una lunga storia: risalgono a un’epoca molto antica, quando si credeva nell’efficacia della magia e dei malefici. Queste offese, infatti, si chiamano “maledizioni” e sono molto usate nei nostri dialetti e  in alcune lingue straniere come il polacco, lo yiddish (giudeo-tedesco) e soprattutto l’olandese, parlato nei Paesi Bassi e in Belgio. Qui l’espressione “corona” (usato come esclamazione o malaugurio) è già abbastanza popolare.

PAROLACCE OLANDESI, DAL CANCRO AL VAIOLO

Meme olandese: anche tu puoi beccarti il cancro

In olandese c’è un ricco catalogo di espressioni volgari, che sembrano uscite da un trattato di medicina. E l’intensità, l’offensività degli insulti è proporzionale alla gravità della patologia evocata. Ecco l’elenco dei principali modi di dire:

♦ CANCRO (KANKER): è usato come esclamazione di rabbia o sorpresa, (tipo “cazzo!”), ma è usato anche come cattivo augurio (“Krjg de kanker”, prendi il cancro). L’espressione “kankeren” significa “lamentarsi troppo”. “Kankerlijer”, malato di cancro, è un insulto pesante, tipo “figlio di puttana”.
A volte è usato come rafforzativo in senso positivo (“kankerlekker” equivale a “cazzutamente delizioso”)

♦ COLERA (KLERE/KOLERE): ha un uso simile a kanker. Anche in questo caso, klerelijer (malato di colera) è un’offesa pesante.

♦ ICTUS (TAKKE): usato come aggettivo squalificante. “Krijg de takke” (beccati un ictus) è un’offesa

♦ LEBBRA (LAZZARO): è usato come termine gergale per “ubriacarsi di brutto”.

♦ PESTE (PESTE): usato come rafforzativo. “Pesten”o “pestkop” (testa di peste) significa “bullo, prepotente”; “de pest in hebben” (avere la peste in) significa essere incazzati.

♦ PLEURITE (PLEURIS): è un equivalente di tubercolosi. Si usa nell’espressione “krjg de pleuris” (beccati la tubercolosi) e “alles ging naar de pleuris” (è andato tutto a puttane). “Pleurislijer” (malato di tubercolosi) è un insulto equivalente a stronzo.

♦ POLIOMIELITE (POLIO): è usato nell’espressione “heb je soms polio?” (hai la polio?) per insultare una persone eccessivamente pigra.

♦ TIFO (TYFUS): usato come esclamazione o come offesa (“tyfuslijer”, malato di tifo). Ma anche come malaugurio: krijg de tyfus (beccati il tifo) e persino “optiefen” (vai via col tifo, ovvero vaffanculo).

♦ TUBERCOLOSI (TERING): è usato come imprecazione o come aggettivo insultante ( “teringlijer”, malato di tubercolosi). “Krijg de tering” (beccati la tubercolosi) è un’offesa comune.

♦ VAIOLO (POKKEN): usato come rafforzativo. “Pokkenlijer” (malato di vaiolo) è un insulto tipo “figlio di puttana”.

Un meme olandese: cosa penso (sensazioni confuse) e cosa dico (cancro!)

Negli ultimi tempi, a questo elenco si è aggiunto (era inevitabile) anche il coronavirus (corona), usato nello stesso modo di cancro, colera, tubercolosi e tifo, cioè come insulto, esclamazione o malaugurio.

Da dove salta fuori questa ossessione degli olandesi per le malattie? E’ il ricordo di passate epidemie che hanno funestato i fiamminghi? No: è una sensibilità culturale di tipo religioso. Una ricerca di Tom Ruette, lessicologo dell’università di Lovanio (Belgio)  ricollega questo uso al calvinismo: secondo questa fede (il ceppo puritano del protestantesimo, diffuso nei Paesi Bassi dal 16° secolo), la malattia è considerata un segno di dannazione divina,una punizione da parte di Dio per una condotta immorale o antireligiosa. Così come la virtù viene ripagata su questa Terra con prosperità e salute. Dunque, una visione profondamente religiosa, che interpreta gli eventi negativi come voluti da Dio per dare un’avvertenza o un castigo a chi si comporta male. Anche gli ebrei dell’Antico Testamento la pensavano così: la malattia era vista come una punizione divina. Una posizione che mette la religione in un vicolo cieco, perché fa apparire Dio come un essere vendicativo e meschino: tant’è vero che per giustificare l’esistenza delle malattie si è dovuto o incolpare il diavolo o descriverle come occasione per redimere la propria anima attraverso la sofferenza del corpo.

Gli insulti patologici in italiano

Striscione da stadio rivolto ai tifosi del Napoli.

Nella nostra lingua, a differenza dell’olandese, restano poche tracce di insulti a sfondo sanitario. Ne ho trovati solo 5, a cui ne ho aggiunto uno in siciliano:

♦ TIFOSO: questo aggettivo designa gli appassionati di uno sport o di una squadra. Ma in origine si riferiva ai malati di tifo, che hanno la coscienza offuscata a causa della febbre alta

♦ ROGNOSO: l’aggettivo indica una persona ingrata, difficile, fastidiosa, pedante. Ma deriva da “rogna”, termine popolare per la scabbia, una malattia della pelle che causa prurito e infiammazione

♦ MICROBO: il termine indica una persona meschina, abietta o insignificante (anche se non tutti i microbi sono patogeni). Peraltro, la pandemia ci ha dimostrato l’opposto: un microbo può mettere in ginocchio intere nazioni. 

♦ COLEROSO: di per sè indica un malato di colera. Ma si è trasformato in un insulto (soprattutto negli stadi) da quando un focolaio di questa malattia si è presentato in Campania, Puglia  e Sardegna nel 1973. I tifosi delle squadre settentrionali usano questo appellativo per denigrare i tifosi del sud, imputando loro (a torto) scarsa igiene e civiltà.

Birra prodotta in Sicilia: “camurria”.

♦ PESTE/PESTIFERO: il termine è usato (per lo più in modo scherzoso, come iperbole) per indicare un bambino capriccioso, con un carattere difficile da gestire)

♦ CAMURRIA/CAMURRIUSU: sono termini siciliani, resi celebri dai romanzi di Andrea Camilleri. Camurria deriva da gonorrea, e significa “pesante seccatura, fastidio”; il termine è usato nelle imprecazioni (che camurrìa!). “Camurriusu” è una persona o una situazione seccante e fastidiosa.

Le maledizioni: un incantesimo negativo

Quando la scienza ha fatto crollare la fede nella magia, le maledizioni sono un modo immaginifico di sfogare la propria rabbia verso qualcuno, augurandogli ogni male. E in qualche modo hanno mantenuto il loro potere “magico”: perché riescono a trasmettere l’odio di chi le pronuncia, e a far provare un dispiacere a chi le riceve. Non è gradevole, infatti, immaginare di soffrire: che, da un certo punto di vista, è peggio rispetto a morire, dato che la morte libera dalle sofferenze. Ecco perché le maledizioni stimolano la fantasia nei modi più concreti e crudeli, come vedremo.
Va ricordato, però, che queste espressioni hanno effetto nella misura in cui chi le riceve dà loro peso. Se i placebo sono sostanze inerti che hanno efficacia terapeutica se chi le assume crede nel loro potere, le maledizioni sfruttano l’effetto-nocebo: la credenza che qualcosa (una frase negativa) abbia davvero effetto.

[ per approfondire, apri la finestra cliccando sulla striscia blu qui sotto ] 

LE ORIGINI: FORMULE MAGICHE E INCANTESIMI
 

In realtà, augurare le malattie non è un’esclusiva olandese. E neppure un atto religioso. Anzi, ha un’origine ben più antica, ed è radicata nella mentalità magica, secondo cui immaginare una situazione (in questo caso, una sventura che si abbatte su una persona) significa evocarla, farla avverare concretamente grazie al potere magico della parola. La maledizione, insomma, era un incantesimo: seguiva un preciso rituale che comprendeva gesti e formule magiche.
Come racconto nel mio libro, già gli antichi Greci (e gli Ebrei) usavano formule di maledizione: prendevano un’unghia o un capello del nemico, pronunciavano su di esso una formula di maledizione e poi lo bruciavano o lo gettavano in un pozzo o in un fiume, con una tavoletta su cui era incisa la maledizione. Nella formula erano citati, con un crescendo meticoloso, tutti gli organi del nemico fino alla sua anima.
L’esempio massimo, la “madre di tutte le maledizioni” è l’anatema, una formula inventata dal vescovo inglese di Rochester, Ernulhpus (1040-1124) contro gli eretici e i peccatori che venivano scomunicati: contro di loro, inventò una maledizione che non risparmiava alcuna parte del corpo, ciglia comprese: «Per l’autorità di Dio Onnipotente (…) sia egli maledetto nel mangiare e nel bere, nella fame e nella sete, nel digiuno, nel sonno, nella veglia, camminando, stando, sedendo, giacendo, lavorando, riposando, mingendo, cacando. Sia egli maledetto in tutte le facoltà del suo corpo. (…) Sia maledetto nei capelli della testa. Sia maledetto nel cervello, nel cocuzzolo, nella tempia, nella fronte, nelle orecchie, nelle ciglia, nelle guance, nelle mascelle, nelle narici, nei denti incisivi e molari, nelle labbra, nella gola, nelle spalle, nei polsi, nelle braccia, nelle mani, nelle dita. Sia maledetto nella bocca, nel petto, nel cuore e nei visceri e più giù sino allo stomaco. Sia maledetto nelle reni e nell’inguine, nelle cosce, nelle ginocchia, nelle gambe, nei piedi e nelle unghie dei piedi. Sia maledetto in tutte le giunture e articolazioni delle sue membra, dalla cima della testa alla pianta dei piedi; non vi sia salute in alcuna sua parte». 

IN ITALIANO

Film di Mario Mattoli del 1951.

La nostra lingua non è molto ricca di maledizioni a sfondo sanitario. Ecco quelle che ho rintracciato:

♦ ACCIDENTI: il termine designa un evento fortuito imprevisto. Ma questa espressione è la contrazione di “che ti venga un accidente” ovvero una malattia grave e improvvisa.  

♦ MANNAGGIA: mal n’aggia, che tu abbia male. E’ un malaugurio generico, che può riguardare malattie ma anche altri generi di eventi.

♦ CHE TI VENGA UN CANCRO: è una delle espressioni che nel volgarometro, un sondaggio fra i navigatori di questo blog, è risultata fra le più offensive in italiano. Fra le varianti: che ti venga un colpo/un infarto. Su questa espressione si è pronunciata la Cassazione nel 2008, con una sentenza di assoluzione che trovo esemplare per la sua lucidità:  «la malattia non è mai una colpa, ma un evento naturale che colpisce tutti e per la quale non c’è motivo di vergogna: l’augurio dell’altrui sofferenza denota miseria umana, ma non riveste rilevanza penale». Questa considerazione, ovviamente, vale per tutte le espressioni che cito in questo articolo.
Il discorso però cambia se la malattia che si desidera è legata a un’azione dell’imputato (“Ti faccio venire un infarto”): in tal caso si è in presenza del reato di minaccia, ha stabilito un’altra sentenza della Cassazione.

♦ CHE TI VENGA LO SCOLO: espressione in disuso. Lo scolo è un termine popolare per indicare la gonorrea, una malattia sessuale.

Schermata di Instagram di Juan Jesus: l’offesa è evidenziata con un cerchio, con la risposta del calciatore.

♦ CHE TI VENGA/BECCATI IL CORONAVIRUS: Cosa vuol dire esattamente questa espressione? In questo momento storico, il Covid-19 è ancora un nemico oscuro: non sappiamo bene come si diffonde, quanto tempo resti attivo al di fuori da un organismo, se una volta contagiati e guariti si resti immuni per sempre…. E soprattutto non abbiamo ancora strumenti efficaci per diagnosticarlo in modo rapido ed economico, né un vaccino o farmaci antivirali per curarci. Non sapendo quanti siano davvero i contagiati, non abbiamo certezze neppure sul suo reale tasso di mortalità. E’ comunque ben al di sotto dei valori di altri agenti infettivi tipo Ebola: di fatto, risulta rischioso, soprattutto per gli anziani, per i maschi e per chi è immunodepresso o soffre di altre patologie. E il suo impatto mortale è acuito dal fatto che i servizi di rianimazione sono troppo congestionati per garantire a tutti le cure necessarie.
Dunque, augurare a qualcuno il coronavirus non equivale direttamente a prospettargli la morte. Ma innesca una situazione ancora peggiore: l’angoscia verso un pericolo indeterminato e sfuggente. Non sapere a quale destino si andrà incontro. Ecco perché Juan Jesus si è offeso per la frase, dicendo che chi l’ha scritta aveva “mezzo cervello”.

NEI DIALETTI

I dialetti hanno radici più antiche rispetto all’italiano. E così sono molto più ricchi di fantasiose e crudeli maledizioni. E in questo campo, il primato va al sardo e al napoletano: probabilmente in Sardegna e in Campania è ancora diffusa una mentalità magica e superstiziosa

Bolognese

♦ CAT VEGNA UN CANCHER: che ti venga un cancro. Oltre a essere un malaugurio, questa espressione è usata anche come imprecazione, per sfogo contro una situazione sgradita.  

Milanese 

♦ VA A ONGES:  vai a ungerti. Si basa sull’antica credenza che si potesse contrarre la peste a causa di unguenti malefici che i malvagi spargevano sulle porte, sui muri, sulle cose.

Sardo

In sardo, maledire si dice “frastimare”. E le maledizioni sono davvero abbondanti:
♦ IS MANUS CANCARADAS/CANCARAU SIADA: che ti si blocchino le mani (per una paresi).
♦ ANCU TI SI BENGADA SU BREMINI: che ti vengano i vermi.
♦ ANCU TI CALIDI GUTTA: che ti venga la gotta.
♦ TINDI DEPPINT’ARRUI IS’OGUS IN SU COMURU: che ti cadano gli occhi nel cesso. Malattia impossibile, ma la prospettiva fa impressione.

Napoletano

Chi vuole il male di questa casa deve morire prima di entrare.

Come il sardo, è un dialetto ricco di immagini macabre, che si spingono non solo ad augurare malattie gravi e pesanti sofferenze: arrivano anche a proiettarsi fino al post-mortem, in una sorta di vilipendio di cadavere.
♦ PUOZZ’ CACÀ SANG: che tu possa cagare sangue (per un tumore intestinale o emorroidi)
♦ PUOZZ’ CICÀ: che tu possa perdere la vista
♦ PUOZZ’ STRUPPIÀ: che tu possa diventare storpio
♦ PUOZZ’ NZURDISC: che tu possa diventare sordo
♦ PUOZZ JETTÀ O’ SANG: che tu possa buttare il sangue, ovvero subìre una pesante emorragia
♦ TE POZZA VENÌ ‘NU TOCCOche ti venga un colpo apoplettico
♦ PUOZZE SCULÀ: che tu possa perdere i fluidi corporei (procedimento usato prima di inumare i cadaveri).
♦ PUOZZE SCHIATTÀ: che tu possa scoppiare, cioè (sempre da cadavere) gonfiarti fino a esplodere

Ringrazio Michelangelo Panico per le segnalazioni delle maledizioni in napoletano

A questo post ha dedicato un servizio l’emittente locale “Il 13” (TriVeneto) nell’edizione serale del Tg del 4 aprile. Potete vederlo cliccando sul player qui sotto:

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Non sono molti i linguisti italiani che si sono dedicati allo studio del turpiloquio, spesso considerato – a torto – un aspetto “minore” se non addirittura trascurabile del linguaggio. Insomma, una forma di snobismo culturale.
Una di queste eccezioni è stato Tullio De Mauro, linguista dotto, trasversale e attento al sociale. Anche se non l’ho mai conosciuto di persona, voglio ricordarlo qui, oggi, nel giorno della sua scomparsa a 84 anni d’età (foto Wikipedia).
Oltre ai suoi numerosi e importanti meriti in campo linguistico, il mio omaggio è dovuto a tre suoi fondamentali contributi nello studio delle parolacce.
Del primo ho parlato in un post recente: le statistiche sull’italiano parlato, dalle quali si possono ricavare dati importanti sulla frequenza delle scurrilità nel nostro linguaggio. Per esempio, che la parolaccia più pronunciata di tutte è cazzo. Un tratto distintivo delle ricerche di De Mauro era proprio l’attenzione ai dati come condizione preliminare per ogni indagine: il rigore innanzitutto.
Il secondo contributo che voglio ricordare è un altro censimento: quello delle parole d’odio (hate words), un elenco dotto e certosino – come nel suo stile – che ha compilato per il settimanale Internazionale, diretto da suo figlio Giovanni. Un lungo elenco di insulti e spregiativi che offre un’idea concreta di quanto possiamo essere linguisticamente creativi nella cattiveria.
Il terzo è un libro dedicato ai dialetti, “La lingua batte dove il dente duole”, scritto con Andrea Camilleri. Nel libro, di cui ho parlato in questo post, De Mauro ha ricordato l’intimo legame fra le parolacce e l’anima popolare dei dialetti. Ricordando come  entrambi sono il linguaggio della schiettezza e dell’immediatezza. Il linguaggio della verità. Altro che snobismo.

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