Cattelan | Parolacce https://www.parolacce.org L'unico blog italiano di studi sul turpiloquio, dal 2006 - The world famous blog on italian swearing, since 2006 - By Vito tartamella Tue, 24 Dec 2024 15:10:21 +0000 it-IT hourly 1 https://www.parolacce.org/wp-content/uploads/2015/06/cropped-logoParolacceLR-32x32.png Cattelan | Parolacce https://www.parolacce.org 32 32 Un libro e una mostra: ci metto la faccia (da blogger) https://www.parolacce.org/2023/10/16/libro-blogger-datrino/ https://www.parolacce.org/2023/10/16/libro-blogger-datrino/#respond Mon, 16 Oct 2023 10:30:08 +0000 https://www.parolacce.org/?p=20058 Era il 2016 quando una fotografa di Milano, Elena Datrino, mi contattò per farmi un ritratto. Richiesta insolita, ma Elena stava inseguendo un progetto originale: dare un volto ai principali blogger italiani (avevo raccontato l’esperienza del servizio fotografico in questo… Continue Reading

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Qui con Elena Datrino e la foto pubblicata sul suo libro.

Era il 2016 quando una fotografa di Milano, Elena Datrino, mi contattò per farmi un ritratto. Richiesta insolita, ma Elena stava inseguendo un progetto originale: dare un volto ai principali blogger italiani (avevo raccontato l’esperienza del servizio fotografico in questo articolo). Ora, a distanza di 7 anni, lavorando con tenacia Elena ha ottenuto un doppio traguardo: ha pubblicato i 100 ritratti in un libro, edito da Gangemi editore, e da oggi presenta tutte le foto (anche la mia) in una mostra alla Biblioteca Accursio di Milano, nell’ambito del “Milano photo festival” (fino al 31 ottobre).

Il libro, che si intitola “Facce da blogger: 100 volti dei creativi digitali italiani nell’era del web 2.0” è un volume ben curato di 224 pagine e mostra – per la prima volta – i volti dei principali blogger italiani. Nessuno ci aveva mai pensato prima. Ne racconta le storie, inquadrandole nell’ambito di un fenomeno globale nato 25 anni fa, che ha segnato una rivoluzione nell’informazione: i blog, come racconto nella prefazione del volume, hanno permesso a chiunque di diventare editore di se stesso. Una sfida ardua: conquistarsi una visibilità e una credibilità non è semplice, vista l’immensità del Web. Ma noi siamo sognatori e va bene così. La stessa Elena ha pagato di tasca propria le scenografie, i viaggi per l’Italia, la post produzione in 6 anni di lavoro: perciò ha avviato una campagna di crowdfunding per finanziare il progetto.

Un altro degli scatti di Elena finiti sul libro.

Un’iniziativa originale, che consacra il ruolo dei blogger e di Parolacce.org, l’unico blog in Italia a occuparsi di studi sul turpiloquio, ininterrottamente da 17 anni. Il primo articolo su questo blog (in origine ospitato sulle pagine online di Focus) risale infatti all’ottobre 2006: quando ho iniziato a scrivere, non avevo le idee chiare su quale piega avrebbe preso. Ora, con questo articolo, sono arrivato a quota 300 post. E vado avanti a studiare e a scoprire: il ritratto di Elena, che mi ha fotografato ai piedi della statua di Cattelan con il dito medio (“L.O.V.E.”) davanti alla Borsa di Milano, esprime la mia curiosità ancora viva verso questo argomento. Oltre a essere uno spettacolare biglietto da visita di cui persino mia mamma è quasi orgogliosa. Quasi: «Bella foto ma….ancora di parolacce ti occupi?!?».

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La faccia delle parolacce https://www.parolacce.org/2016/05/18/mostra-blogger-datrino/ https://www.parolacce.org/2016/05/18/mostra-blogger-datrino/#respond Tue, 17 May 2016 22:17:33 +0000 https://www.parolacce.org/?p=10114 Mi hanno chiamato “faccia da culo”, “faccia da pirla”, “faccia di tolla”… Ma è la prima volta che qualcuno mi ha definito “faccia da blogger“. L’ha fatto Elena Datrino, fotografa milanese specializzata in arte, moda e immagini istituzionali: lo scorso… Continue Reading

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Schermata-2016-05-10-alle-07.41.01Mi hanno chiamato “faccia da culo”, “faccia da pirla”, “faccia di tolla”… Ma è la prima volta che qualcuno mi ha definito “faccia da blogger“. L’ha fatto Elena Datrino, fotografa milanese specializzata in arte, moda e immagini istituzionali: lo scorso febbraio mi ha contattato con l’insolita richiesta di farmi un servizio fotografico.
Nel 2013, infatti, Elena aveva avuto un’idea originale: il progetto “Facce da blogger“, ovvero una galleria di ritratti dei principali blogger italiani, per mostrare le persone che li hanno creati. “Mi affascina” spiega Elena Datrino “chi utilizza un mezzo così privato come la scrittura per rivolgersi al mondo intero. E che con personalissima libertà costruisce una propria posizione con un pubblico che sceglie il suo punto di vista per informarsi, divertirsi e identificarsi”.

In questi 3 anni, Elena ha ritratto oltre 90 blogger digitali per la prima volta in carne e ossa: foto che raccontano in uno scatto gli autori e il loro mondo. Immagini di uomini e donne fotografati con un collier d’insalata (Alessandro Gerbino, ovvero chezuppa), un cappello da Indiana Jones (Andrea Pompele, adventurelifeprojectafrica) o una schiera di mouse (Salvatore Aranzulla, ora aranzulla)… I loro ritratti sono stati esposti in mostra a Roma e a Milano.
E ora tocca anche a me, inserito nella versione 2.0 della mostra che sarà inaugurata questo sabato, il 21 maggio, a Rivarolo Canavese (To) presso la galleria Areacreativa42. Nella mostra saranno esposti, insieme a quelle degli altri blogger (l’elenco completo è qui: Facce da Blogger 2.0), 2 scatti: una foto in studio, e una in esterno.
Per non bruciare la sorpresa, non pubblico le foto che saranno esposte a Rivarolo. Ma come abbiamo illustrato l’impalpabile tema delle parolacce?
Ritrarmi mentre faccio un gestaccio sarebbe stata un’idea forse spiritosa ma scontata. E anche inadeguata: non avrei espresso la distanza che occorre per studiare un argomento così ricco e delicato… Ma già dalla prima chiacchierata, l’idea ci è venuta all’unisono: posare davanti a L.O.V.E., la celebre scultura di Maurizio Cattelan, come si vede nella foto qui sotto.
A_8584333Un luogo-simbolo unico al mondo, per chi si occupa di parolacce: dove altro c’è un dito medio, alto 4 metri e 60, in marmo di Carrara, sormontato da un basamento che lo fa svettare a 11 metri d’altezza, come un palazzo di 4 piani? Un’opera irriverente di un artista provocatore e teatrale. E per di più posta davanti a un luogo altrettanto simbolico, conosciuto in tutto il mondo: la sede della Borsa di Milano, in piazza Affari.
Insomma, non potevo mancare a un appuntamento così denso di significati.

La giornata si è rivelata insolita (fotomodello a ore 😆 ) e divertente, come si può vedere nel filmatino qui sotto: cliccando, si vedono alcuni momenti del “backstage“, ambientato fra lo studio di Elena Datrino e piazza Affari, dove si è formato un crocicchio di curiosi durante gli scatti (“Ma lei chi è? Un allenatore di calcio?” “Sì, dell’Empoli”…).
Per chi è curioso di vedere com’è questa seconda sfornata di blogger, vi aspettiamo a Rivarolo (e spargete la voce)! La mostra rimane aperta fino al prossimo 26 giugno.

La mostra è stata citata da “D di Repubblica“.

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Lotta ai tumori: è arrivato il “vaffa day” https://www.parolacce.org/2016/01/21/vaffa-cancro/ https://www.parolacce.org/2016/01/21/vaffa-cancro/#respond Thu, 21 Jan 2016 22:17:55 +0000 https://www.parolacce.org/?p=9065 C’è una nuova arma contro i tumori: le parolacce. Per anni la parola “cancro” faceva così paura da essere impronunciabile: lo si chiamava, con un eufemismo, “brutto male”, “male incurabile”, “grave malattia”. Insomma, era quasi una parolaccia. Da qualche tempo, invece,… Continue Reading

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FuckCancer

Il sito della Fondazione “Fuck cancer”: fotti il cancro.

C’è una nuova arma contro i tumori: le parolacce. Per anni la parola “cancro” faceva così paura da essere impronunciabile: lo si chiamava, con un eufemismo, “brutto male”, “male incurabile”, “grave malattia”. Insomma, era quasi una parolaccia. Da qualche tempo, invece, si è inaugurata una strategia opposta: parlarne apertamente. E ora in America sono arrivati al terzo passo, osare l’inosabile: mandare il tumore affanculo. Il fenomeno non si può liquidare come una semplice goliardata: perché è un grido di battaglia che mobilita oltre 500mila persone, celebri attori come Stephen Amell e un merchandising che ha fruttato oltre 2,2 milioni di dollari in raccolta di fondi...
E allora bisogna esaminare il fenomeno seriamente: come nasce? E’ una via efficace, quella che propone? Arriverà anche in Italia?

In parte, diciamolo, è una scelta di marketing: scegliere un nome scioccante è un modo efficace per emergere fra le numerose associazioni di volontariato che competono in cerca di fondi. Un pragmatismo all’americana, fatto di vendita online di gadget ed eventi. Ma il fenomeno è interessante per un altro motivo: testimonia un cambio epocale nel rapporto fra malato e malattia.
Oggi , infatti, il tumore non è sempre sinonimo di condanna a morte. Perciò affrontarlo a viso aperto può aiutare i pazienti a superare le ansie e affrontare le terapie, spesso molto impegnative. E’ anche per questo motivo che molti personaggi pubblici (da Emma Bonino a Oliver Sacks, da Kylie Minogue a Nancy Brilli), quando scoprono di avere la malattia escono allo scoperto. Fanno “coming out“: ne parlano nelle interviste, per attivare la solidarietà degli altri, e soprattutto per darsi forza, guardare la realtà in faccia, chiamare le cose col loro nome. Tanto che oggi il rapporto dei malati col tumore non è più passivo: si parla, anzi, di “lotta al tumore“, spesso qualificato come un “nemico” da affrontare con coraggio.
E allora diventa logico fare il passo successivo: se il cancro è un nemico, perché non insultarlo apertamente? In Canada e negli Stati Uniti, infatti, stanno fiorendo diverse associazioni di volontariato che hanno scelto di chiamarsi “Fuck cancer“, ovvero “Fanculo il cancro” (ma anche il diabete, l’Alzheimer…). E hanno avuto un enorme successo in termini di iscritti e di fondi raccolti.

La nuova tendenza è decisamente insolita. Pochi giorni fa raccontavo in un post le 13 campagne sociali più volgari: a volte, una parolaccia può aiutare a scuotere l’opinione pubblica. Ma un conto è una campagna pubblicitaria, che ha un inizio e una fine, e un conto è scegliere di stare sempre sotto i riflettori chiamandosi con un nome volgare: donereste il 5 x 1000 a un’associazione che si chiama “Fanculo il cancro”?  Chiamereste il suo centralino per chiedere aiuto o consigli? Vi assocereste? La scelta è decisamente insolita, perché impegno sociale e parolacce, almeno sulla carta, non vanno d’accordo: chi dice parolacce, dicono le ricerche, risulta più schietto e simpatico ma perde autorevolezza. E questo non aiuta chi fa dell’impegno sociale la propria bandiera. Eppure, con la giusta dose di ironia e idealismo, un nome pesante può far decollare un’associazione invece di zavorrarla. Già lo psicoanalista ungherese Sàndor Ferenczi, aveva contestato l’invito di Freud a usare, con i pazienti, solo i termini medici per parlare di sesso. «In diversi casi, con questo procedimento non si ottiene niente: il paziente resta inibito e aumentano le sue resistenze», diceva Ferenczi. Meglio usare le parolacce, insomma. E uno psicoanalista contemporaneo, l’argentino Ariel Arango, si è spinto oltre: «Nessuna terapia psicanalitica può avere successo se il paziente non permette a se stesso di usare le parole oscene. Un paziente che parla della propria vita usando termini scientifici non rivela nulla della propria storia personale, ma si limita a fare un riassunto freddo e impersonale come un libro di medicina». Dunque, le parolacce – parole emotive immediate e schiette – possono essere non solo liberatorie ma anche terapeutiche. Del resto, una ricerca ha dimostrato che dire parolacce aiuta a sopportare il dolore.

IL SURFISTA
BRANDON-MCGUINNESS-FUCK-CANCER

Brandon McGuinness, fondatore di FuckCancer.org

La prima associazione ad adottare questa nuova filosofia è nata negli Stati Uniti, a Huntington Beach nel 2005. E’ la Fondazione “FuckCancer” (sfancula il cancro, fotti il cancro), fondata da Brandon McGuinness, un surfista californiano affetto da linfoma di Hodgkin: voleva aiutare altri malati di tumore ad affrontare la lotta contro questa durissima malattia con uno slogan diretto. «Le cose accadono per un motivo, e la mia ragione è stata di dare aiuto agli altri malati di cancro, e prendermi il tempo di capire perché sono qui su questa terra. Così cerco di fare del mio meglio per vivere ogni giorno come se fosse l’ultimo. Devo tenermi in movimento».
McGuinness morì 2 anni dopo, a soli 26 anni d’età, ma l’associazione continua ad esistere tuttora e ha mantenuto il nome originale, che campeggia sulle T-shirt (ma anche borse, cappelli, occhiali) vendute per sostenere la Fondazione. Fra le sue diverse attività promuove la diagnosi precoce dei tumori e supporta i malati e le loro famiglie ad affrontare la malattia attraverso la gioia, la speranza, l’ispirazione e il coraggio (organizzando manifestazioni e spettacoli negli ospedali). La fondazione ha oltre 284mila “like” su Facebook. Non sappiamo, però, perché Brandon abbia scelto un nome così forte per la sua Fondazione: forse in un impeto di rabbia, di ribellione, o di ironia. Di certo l’ha aiutato la giovane età: da sempre le parolacce sono il linguaggio della ribellione giovanile.  

braccialet

Susan Fiedler e i braccialetti con lo slogan “Fuck cancer”.

LA DISEGNATRICE DI GIOIELLI

Una risposta più rivelatrice arriva dalla fondatrice di un’altra associazione benefica simile: Susan Fiedler, una designer di gioielli canadese di Vancouver. Nel 2008, quando ha scoperto di avere un tumore (un linfoma anche nel suo caso) ha creato una linea di braccialetti d’argento con inciso lo slogan “Fuck cancer, embrace life“, ovvero “Fotti il cancro, abbraccia la vita”.
In breve tempo i braccialetti sono diventati una linea di gioielli con marchio registrato, che servono a finanziare un’associazione impegnata nella lotta ai tumori: negli ultimi 7 anni è riuscita in questo modo a raccogliere 200mila dollari (i braccialetti d’argento ne costano 50, ma ci sono anche anelli e braccialetti d’oro: da 900 a 2.500 $). Corrispondono a 4mila braccialetti venduti: i fondi hanno finanziato 3 centri che forniscono cure mediche, Inspire Health. E l’associazione ha oltre 21mila “like” su Facebook.
Perché “fotti il cancro”? La scelta è sorprendente perché è stata fatta da una donna: di solito, il mondo femminile è più restio alle volgarità. «Le grandi battaglie hanno bisogno di grandi parole» scrive la Fiedler sul sito dell’associazione. «Vivere con un cancro richiede coraggio, consapevolezza di sè e quella fonte segreta di potere che si chiama senso dell’umorismo. Vogliamo condividere una visione della vita che consiste nel guardare in faccia la paura e trasformare una diagnosi di cancro in un abbraccio ispirato alla vita, raccontando le cose per quello che sono». Coraggio, humor, sincerità: le parolacce, in effetti possono aiutare a esprimere questi sentimenti.

L’idea del braccialetto, racconta Fiedler, le è venuta guardando il bracciale che un amico aveva comprato in una moschea indiana. Aveva inciso un verso del Corano per proteggere chi lo indossa. Così a Susan è venuta in mente l’idea di creare un braccialetto: «Dopo tutto, io sono un designer di gioielli; quale modo migliore per esprimere quello che avevo passato? Che ci crediate o no,”‘Fanculo il cancro” è stata la prima frase protettiva che mi è venuta in mente. Non perché sia scioccante o oscena, ma perché era onesta, impertinente – e divertente! “Fanculo il cancro” rivelava che il cancro non aveva ucciso la mia anima ribelle e audace… Le persone che avevano vissuto con il cancro hanno capito al volo il messaggio: era quello che tutti provavamo ma nessuno aveva il coraggio di dire. E mi piaceva l’idea di condividere questi sentimenti con altri che sceglievano di indossare il bracciale. Ho capito che quell’oggetto sarebbe stato un formidabile volano per raccogliere fondi e aprire un dialogo. Qualcosa di forte e bello».
Dunque, se le parolacce sono le parole delle emozioni, ma anche della sincerità e dell’aggressività, possono funzionare anche nell’affrontare un tumore, un “nemico” da combattere. Non solo. La parolaccia può avere anche un effetto magico: “Fanculo il cancro” è più di uno slogan, è una maledizione basata sulla fede nel potere delle parole. Ci si fa forza augurando il male al cancro, credendo che questa frase avrà effetto sulla realtà. Un cambio radicale di prospettiva, comunque: da malati-vittime a malati-protagonisti. O esibizionisti?  Si passa dalla totale impotenza a un senso di onnipotenza: ugualmente sbagliato, ma forse può attivare una reazione attiva che può portare a un’accettazione più equilibrata della malattia.

MARCHI CONTESI E TESTIMONIAL
Amell

Stephen Amell testimonial di Letsfcancer.

L’iniziativa ha funzionato, tanto che in Canada sono nate altre associazioni esplicite, come Letsfcancer (fottiamo il cancro, al plurale) con annessa vendita di T-shirt a 25 $ l’una. La charity è nata dalla fusione (nel 2015) di due enti: Fuck cancer, fondato nel 2009 da Yael Cohen Braun dopo che a sua madre era stato diagnosticato un tumore al seno; e F*ck Cancer, fondato da Julie Greenbaum nel 2010 dopo che sua madre era morta per un tumore alle ovaie. Le associazioni si occupano di prevenzione, diagnosi precoce e supporto psicologico ai malati.
A quanto pare, almeno in America, la volgarità solidale paga, anche economicamente: oggi Letsfcancer ha oltre 262mila “like” su Facebook. E in questi anni ha raccolto in tutto oltre 2 milioni di dollari vendendo T-shirt. Merito anche del supporto offerto da un celebre attore canadese che ha fatto loro da testimonial, Stephen Amell, attore della serie tv “Arrow”.
Il fenomeno ha persino scatenato dispute legali, racconta la linguista americana Nancy Friedman: quando i fondatori di Letsfcancer (di Montreal) hanno cercato di registrare il marchio, la Fiedler gli ha fatto causa (ancora aperta).
La via era tracciata, e l’esempio ha contagiato anche altre associazioni americane che si occupano di malattie degenerative o croniche, come il diabete (“fuck diabetes“, una comunità su Facebook) e l’Alzheimer (“fuck alzheimers“).  

lilt2Di recente, tra l’altro, in occasione dei recenti lutti nel mondo dello spettacolo (David Bowie, Lemmy KilmisterAlan Rickman, tutti morti per tumore) il sito musicale GigWise ha twittato una foto delle 3 star col dito medio alzato e la dedica: “Caro cancro…”
Prenderà piede anche in Italia questo nuovo approccio alle malattie? Qualche segnale c’è: lo scorso autunno, come racconto qui, la Lilt (Lega italiana per lotta contro i tumori) ha posto il fiocco rosa – simbolo internazionale della lotta contro il tumore al seno – sul L.O.V.E., la celebre scultura del “dito medio” di Cattelan davanti alla sede della Borsa di Milano.
E di certo il nostro Paese è all’avanguardia in un altro campo: l‘impegno ecologico a colpi di parolacce. Nel prossimo post, infatti, racconto un’altra storia straordinaria: quella dell’associazione ecologista “Basta merda in mare“. Per quanto possa sembrare strano, anche grazie a questo nome dirompente è riuscita a vincere la battaglia contro l’inquinamento nell’Adriatico.

Questo post è stato ripreso da AdnKronos, Corriere della seraPanorama, il Tempo, Sassari Notizie, Arezzo Web, Catania OggiAffari Italiani, ilMeteo.it e Focus.it.

LE REAZIONI: POTENZA, IMPOTENZA O ONNIPOTENZA?

SoleScopro – in ritardo – che nell’inserto “Domenica” del “Sole 24 ore” un attento lettore, lo stimato collega Armando Massarenti, ha dedicato un interessante e critico commento a questo post nella rubrica “Il graffio” del 31 gennaio. Lo ringrazio perché mi dà l’occasione per approfondire meglio un argomento ricco di sfumature e delicatissimo.
Scrive Massarenti: “Dire che mandare a quel paese il cancro possa avere un effetto contro la malattia denuncia solo la nostra impotenza e la nostra necessità di sperare e di illuderci quando ci troviamo di fronte all’imponderabile. Che poi forse è, più in piccolo, ma con prospettive meno tragiche , la stessa impotenza di quando, nella vita di ogni giorno, imprechiamo o diciamo parolacce”.
Sono d’accordo: le parolacce sono spesso l’espressione della nostra impotenza. Quando ci schiacciamo il dito con un martello, l’imprecazione che ci esce dalla bocca è un urlo di impotenza. Ma ci aiuta ad esprimere un dolore che altrimenti sarebbe inesprimibile. E questo ci fa sentire meglio: ci fa sentire meno impotenti.
La parolaccia è senz’altro un’illusione, ma un’illusione efficace. E’ come l’effetto placebo. E, come il placebo, funziona: come hanno accertato alcune ricerche, imprecare aiuta a sopportare meglio il dolore. E questa non è impotenza: è un potere.
Per quanto riguarda i tumori, però, non ho affermato che il “vaffa” “possa avere effetto contro una malattia” così tragica. Ho raccontato, invece, l’effetto che ha sulla psiche dei malati: la parolaccia può aiutarli a uscire da un senso di totale impotenza. Così, almeno, raccontano i pazienti (e i loro familiari) che hanno fondato queste associazioni, incontrando un notevole seguito in America. Anche questo non mi pare poco.
Come tutte le illusioni, certamente, anche la parolaccia va maneggiata con cautela: bisogna ricordarsi come stanno le cose, e che una malattia non la si può sconfiggere con un’imprecazione (altrimenti si passerebbe dal senso di impotenza a quello di onnipotenza, altrettanto pericoloso). Ma mi pare comunque notevole che un “vaffa” aiuti tante persone a sentirsi meglio.
Fosse anche solo un modo per portare un senso di vitalità dove c’era solo un senso di morte.
Fosse anche solo un modo per sdrammatizzare il presente.
Fosse anche solo una stampella che aiuta a fare il primo passo verso un’accettazione più equilibrata e realista della malattia: in ogni caso, mi sembrano prove di potenza – e non solo di impotenza – della parolaccia.
Che poi si possa arrivare agli stessi risultati anche per altre vie: vero anche questo. La parolaccia può essere un placebo, ma di certo non è una panacea.

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Campagne sociali: la volgarità funziona? https://www.parolacce.org/2016/01/16/parolacce-pubblicita-progresso/ https://www.parolacce.org/2016/01/16/parolacce-pubblicita-progresso/#respond Sat, 16 Jan 2016 15:08:07 +0000 https://www.parolacce.org/?p=9123 Si può essere volgari nelle campagne sociali? L’uso della parolacce nella pubblicità non è una novità. Ma da qualche tempo si è varcata una nuova frontiera: il turpiloquio è entrato nelle pubblicità-progresso, gli spot che non promuovono l’acquisto di prodotti, bensì… Continue Reading

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Campagna contro il razzismo (Armando Testa, 2014, v. sotto).

Si può essere volgari nelle campagne sociali? L’uso della parolacce nella pubblicità non è una novità. Ma da qualche tempo si è varcata una nuova frontiera: il turpiloquio è entrato nelle pubblicità-progresso, gli spot che non promuovono l’acquisto di prodotti, bensì incoraggiano i comportamenti sanitari o sociali corretti, condannando invece quelli scorretti (droga, fumo, obesità, razzismo).
Ma le parolacce possono davvero aiutare a sensibilizzare le persone a sostenere la lotta ai tumori o a denunciare la violenza contro le donne? Come si possono conciliare i temi “alti” col linguaggio “basso”?

Il tema è affascinante, anche perché alcune delle campagne che vedrete qui sotto sono state commissionate dalle istituzioni: ministeri, Parlamento, Province…. Infatti bisogna sfatare un mito diffuso: i due mondi (il turpiloquio e le campagne sociali) non sono inconciliabili. Le parolacce, infatti, possono avere senso anche se si affrontano temi delicati: infatti possono servire ad attirare l’attenzione e a scuotere l’opinione pubblica su temi trascurati o sottovalutati (il bullismo, l’obesità…). E a volte sono l’unico modo di condannare una realtà sgradevole, chiamandola col suo nome: pane al pane, vino al vino.
La nuova tendenza si sta diffondendo a macchia d’olio, non solo in Italia ma anche all’estero. Poco tempo fa, il quotidiano britannico “The Guardian“, parlando delle campagne sociali sboccate, scriveva: “Siamo passati dalla povertà-oscena (le campagne con le foto dei bambini africani denutriti, piangenti e ricoperti di mosche) all’oscenità della volgarità?”. Evidentemente sì. Ma non tutta la volgarità vien per nuocere. Accanto alle (poche) campagne riuscite, ce ne sono molte brutte, di cattivo gusto o inefficaci: il turpiloquio va usato con intelligenza, in modo pertinente e soprattutto con ironia. Insomma: la volgarità non va condannata a priori, ma occorre esaminare caso per caso.

Lo facciamo ora, esaminando, in ordine cronologico, le 32 campagne sociali più volgari degli ultimi decenni, sia in Italia che all’estero. Con una sorpresa: per quanto ho potuto accertare, l’Italia è stata fra i precursori in questo campo.
Le campagne italiane sono 24, con un’impennata nel decennio 2011-2020 (vedi grafico). Nonostante il linguaggio forte, non risultano censurate (tranne la prima) dal Giurì dello IAP, l’Istituto di autodisciplina pubblicitaria.

COGLIONI

“Comincia dalla prima sigaretta il lento suicidio dei coglioni” (1982).  L’oncologo Umberto Veronesi affidò a Girolamo Melis una campagna di Pubblicità Progresso contro il fumo. Ne venne fuori un poster con una sigaretta accesa e uno slogan destinato a non essere mai più dimenticato.  Le reazioni furono feroci. Lo Iap (Istituto di autodisciplina pubblicitaria) ordinò l’immediata rimozione dei manifesti: «La parola “coglioni” ha una capacità d’urto offensivo e questo legittimerebbe l’inizio di un degrado selvaggio nello stile pubblicitario, che sarebbe arduo considerare un progresso» (autore del pronunciamento, Francesco Saverio Borrelli, che sarebbe diventato famoso con Tangentopoli). Giornalisti di spessore come Indro Montanelli ironizzarono. Altri, come Enzo Biagi, approvarono.

CANI & BASTARDI

abbandono_animali“Il vero bastardo sei tu che ci abbandoni” (1994). La prima campagna “strong” contro l’abbandono di animali domestici fu realizzata gratuitamente dalla Universal Advertising con il patrocinio di Pubblicità Progresso per la Lega nazionale difesa del cane. Lo spot mostrava il destino di un cane abbandonato, e si concludeva con la frase che condannava questo comportamento. Lo slogan – basato sul doppio senso di “bastardo” (cane non di razza/persona crudele, insensibile) – ha fatto fortuna, tanto da essere stato poi ripreso da diverse altre campagne, come quella nella foto a lato. Come dire che sono più bastardi alcuni uomini che i cani. 

DROGA DI MERDA

drogaNon toccare questa merda!(2007). Queste campagne contro la droga (cocaina ed ecstasy) sono state lanciate da Forza Nuova, movimento politico di estrema destra. Un linguaggio forte, diretto e senza ambiguità per rivolgersi a un pubblico giovane. Un tentativo di trasformare gli stupefacenti, simbolo di trasgressione e di moda, in oggetti repellenti come gli escrementi. Ma mentre nel primo caso (foto a sinistra) lo slogan risultava un po’ generico, nel secondo (foto a destra) era almeno accompagnato da una spiegazione e un invito: “il sabato sera divertiti, non ucciderti”. Lo slogan sarebbe stato più efficace se fosse stato: “Non mangiare (non sniffare) questa merda”.

BULLI & PISELLI

campagnabullismo1Bananona vs pisellino (2009).
La campagna è stata finanziata dalla Provincia di Bolzano e si inserisce nel progetto altoatesino “Fair play” contro ogni forma di estremismo. L’autore era il fotografo Oliviero Toscani, celebre per altre campagne senza peli sulla lingua (o nell’occhio): quella contro l’anoressia mostrava una ragazza scheletrica, quella contro la condanna a morte i volti dei condannati, quella contro l’Aids i preservativi…. etc etc. In questo caso Toscani ha scelto le rappresentazioni simboliche del pene: il “pisello” (termine usato per rivolgersi ai bambini) e la “banana” (metafora usata dagli adulti: in questo post ho raccontato la sua forza simbolica). Come dire che il bullo è infantile, perché compensa con la violenza una virilità inadeguata. Dunque, invece di far paura i bulli dovrebbero essere presi in giro. Un messaggio ironico, diretto e forte al tempo stesso. 

NEGRI & LESBICHE

campagna-sociale-razzismo-arci

“Ci chiami ‘sporco negro’ e ‘lesbica schifosa’. Ma ti offendi se ti chiamano ‘italiano mafioso'” (2009). Le persone raffigurate nella campagna Arci (Associazione Ricreativa e Culturale Italiana) sono  Jean Leonard Touadì, deputato di colore, e Paola Concia, deputata gay, entrambi del Pd. Lo slogan è efficace: il razzismo è un boomerang, e se non ti piace essere chiamato mafioso, non insultare gay e persone di colore. Ma la campagna non è del tutto azzeccata: innanzitutto, perché è una forzatura etichettare l’omofobia come razzismo (il razzismo ha a che fare con le origini etniche; semmai è una discriminazione). Poi, perché la discriminazione è decisamente più forte nei confronti dei maschi omosessuali rispetto alle femmine.
I due protagonisti sono ritratti nudi: per fare ancora più clamore mostrando due parlamentari senza veli? Può darsi. In ogni caso, i loro sorrisi aiutano a rendere la campagna più simpatica.

VANDALO = CRETINO

bullo_bus“Non fare il cretino, questo bus è anche il mio” (2010). La campagna è stata lanciata dal gruppo di formazione Ifos per combattere il bullismo sugli autobus a Cagliari. In realtà, il termine più corretto sarebbe stato vandalismo, visto che sotto la campagna è diretta contro “chi distrugge ciò che è di tutti”. Poco comprensibile l’immagine del ragazzino coi guantoni da boxe: incarna il vandalo immaturo che distrugge gli autobus, oppure dovrebbe rappresentare chi reagisce alla violenza dei vandali? In quest’ultimo caso, sarebbe un messaggio sbagliato perché indurrebbe alla violenza. Ma è più probabile che il ragazzino coi guantoni rappresenti il vandalo: in questo caso, allora, sarebbe stato più efficace metterlo maggiormente in ridicolo, evidenziando – appunto – la sua cretinaggine. Efficace, comunque, l’invito ad alzare la testa: il silenzio dà forza ai prepotenti. 

PICCHIATA E CRETINA

rassegna-stai-zitta-cretina-large“Stai zitta, cretina” (2011). E’ una campagna contro la violenza sulle donne, lanciata dall’associazione Intervita (oggi WeWorld): mostra una donna con la bocca cucita, accanto allo slogan”. Ovvero, non si chiude la bocca a una donna come se fosse una cretina. Ma a parte la scarsa chiarezza del messaggio (non si capisce che è una campagna contro la violenza alle donne), risulta respingente l’immagine della bocca cucita: la violenza, invece di essere esorcizzata, condannata, viene esibita così com’è, osserva Giovanna Cosenza, docente di semiotica dei nuovi media all’università di Bologna. 

STRUNZ

“Strunz” (2012). Come combattere le persone che non rispettano la fila o gettano i rifiuti per strada? Chiamando l’incivile col suo vero nome: “strunz“, stronzo in napoletano. Si chiama così una campagna contro l’inciviltà che è stata lanciata a Napoli. Dopo aver lanciato un sito internet (strunz.me, oggi disattivo), un’utenza Twitter e un flash mob, l’iniziativa sembra oggi tramontata. 

VIOLENTO = BASTARDO

yamamay-fermailbastardo“Ferma il bastardo” (2013). La campagna è stata promossa da Yamamay, noto marchio di abbigliamento femminile. Ancora una volta, la foto di una donna maltrattata (il primo piano di un occhio pesto) e lo slogan: “Ferma il bastardo“. Anche in questo caso, osserva Cosenza, un messaggio generico (in che modo si possono fermare i violenti?) e una violenza esibita: di certo, non si aiutano le donne a uscire dal ruolo di vittime se le si mostra sempre come vittime, commenta ancora Cosenza. Sarebbe più interessante (anche se più difficile) concentrare l’attenzione sull’uomo.

#COGLIONI

“Italiani #coglioni” (2013). La campagna “nelQ” nasce come parodia polemica nei confronti di una campagna Enel “#guerrieri”. L’agenzia BluMagenta ha voluto rappresentare lo scoramento degli italiani, con il seguente testo: “Abbiamo le tasse più alte del pianeta, un debito pubblico superiore a duemila miliardi, la disoccupazione giovanile al 40%. Il sistema sanitario nazionale è al collasso. Siamo tra i paesi Europei che investono meno in istruzione e cultura, quello con la più bassa percentuale di diplomati e laureati ma con la spesa pubblica costantemente in crescita. Facciamo trecento miliardi di evasione fiscale all’anno. Siamo uno dei paesi più corrotti al mondo. P.S. L’ energia italiana è la più cara d’Europa.” Quest’ultima è una stoccata polemica proprio verso Enel.

INSULTI COME PROIETTILI

razzismo

“Negro, ladra, ciccione, terrorista… Anche le parole possono uccidere. No alla discriminazione: l’altro è come me” (2014). La campagna, realizzata da Armando Testa, è stata promossa da Famiglia Cristiana, Avvenire e Fisc (Federazione italiana settimanali cattolici), col patrocinio di Camera e Senato. Lo scopo: “promuovere una cultura della consapevolezza, stimolare la riflessione e la discussione e fornire uno strumento alla crescita personale e sociale”. Le foto, molto curate, colpiscono subito. Perché esprimono efficacemente che gli insulti sono come proiettili: distruggono le persone. Un concetto drammatico, espresso in un modo che non può passare inosservato né lasciare indifferenti. 

CREATIVI, NON CRETINI

CreaWEB“Coglione no” (2014). Lo slogan è la reazione di un gruppo di creativi (comunicatori, autori, designer, etc) stanchi di essere sottopagati (o non pagati affatto) per il loro lavoro, spesso con alibi del tipo: “Non ti pago, ma tanto ti diverti…. Non ti pago, ma in cambio avrai visibilità…Non ti pago, ma ti fa curriculum” e così via.
Di qui la campagna per una maggiore dignità lavorativa: “Al tuo idraulico mica lo paghi con visibilità no? E perchè lo proponi a un designer? Siamo creativi, siamo giovani, siamo freelance: e siamo lavoratori, non coglioni”.  La campagna è stata ideata da Zero, un gruppo di giovani videomakers. Ed  è diventata virale in Rete.   

FUMATORE = SCEMO

C_17_campagneComunicazione_104_paragrafi_paragrafo_0_immagine“Ma che, sei scemo?” (2015). Altrettanto diretta è stata una campagna promossa dal ministero della Salute l’anno scorso. Il ministero ha lanciato in tv uno spot per dissuadere i giovani dal tabagismo. Invece di agitare lo spetto della morte (sentita inevitabilmente come un rischio lontano, e che tocca sempre ad altri), la campagna ha scelto di condannare il tabagismo senza “se” e senza “ma”, usando un linguaggio diretto: “chi fuma è scemo“.
Un insulto leggero, poco più di un buffetto, ma utile a far drizzare le antenne ai giovani, dicendo le cose come stanno. Ma la scelta del testimonial, il simpatico comico siciliano Nino Frassica (65 anni) non è stata altrettanto azzeccata, visto che la campagna era destinata ai giovani.  Nessuno di loro può identificarsi in lui, vista la differenza di età.

FANCULO AI TUMORI

lilt22Tumore al seno? Dito medio (2015). L’ultima campagna trash risale allo scorso autunno: la sezione milanese della Lilt (Lega italiana per la lotta contro i tumori) ha posto il fiocco rosa – simbolo internazionale della lotta contro il tumore al seno) – sul L.O.V.E., la celebre scultura del dito medio davanti alla sede della Borsa di Milano. Invece di una parolaccia, un gestaccio: ma il messaggio resta lo stesso: “Un gesto forte e irriverente per dire no al tumore al seno”, dice la Lilt, “un messaggio provocatorio per ribadire che non bisogna mai abbassare la guardia“. Sarà, ma la campagna risulta poco efficace, perché il segno (la scultura di Cattelan, famosa e ciclopica) prevale sul significato. E nessuno indosserebbe un nastro sul dito medio invece che al polso: in questo modo, ha obiettato ironicamente qualcuno, sembra più una campagna contro il tumore alla prostata

TRATTAMENTO DI MERDA

Fare-x-bene-2016-1000-2 (1)“Mi tratta come una merda” (2016). Per condannare bullismo e discriminazioni di genere, l’onlus “Fare x bene” ha lanciato da poco questa campagna dirompente.  Lo slogan è diretto e rende subito l’idea; e il viso della ragazza aggiunge drammaticità al messaggio: “Le idee sbagliate sull’amore crescono insieme a loro”. Questo aspetto – ovvero il fatto che il disprezzo subìto resta una ferita e un condizionamento emotivo anche da adulti – resta però poco sviluppato e passa in secondo piano. Ed è un peccato, perché era la parte più importante del messaggio: tratta male un bambino e creerai un adulto problematico. In questo modo, lo choc della parola “merda” risulta vanificato. E fine a se stesso.

FARSI I CAZZI ALTRUI

“I cazzi degli altri sono anche cazzi tuoi” (2017). Anche qui una campagna contro il bullismo a tinte forti: è un video realizzato dai ragazzi della Civica Scuola di cinema Luchino Visconti di Milano. Nel filmato si vede un ragazzo che tenta di lavare via un fallo disegnatogli sulla fronte da un bullo. I suoi compagni di squadra, per solidarietà, si presentano in campo tutti quanti con lo stesso disegno sulla fronte. Lo slogan: “Fai squadra contro il bullismo. I cazzi degli altri sono anche cazzi tuoi”. Indubbiamente una campagna che lascia il segno: il video è stato visto da quasi 8 milioni di persone. Sicuramente parla nel linguaggio dei giovani e arriva al punto senza tanti giri di parole; ma mette in primo piano le parolacce rispetto al messaggio fondamentale (fare squadra contro i bulli) e rischia di essere respingente per lo choc di aver utilizzato immagini e linguaggio violento. Difficile che sia proiettato nelle scuole…

FOTTERSI

“Se te ne fotti, l’Aids ti fotte” (2017). Vuole scuotere le coscienze, la campagna che l’associazione Anlaids (Associazione nazionale lotta all’Aids) ha scelto per far tornare sotto i riflettori l’allarme Hiv in occasione della Giornata mondiale contro l’Aids. Ancora oggi, in Italia, ci sono 4mila nuove diagnosi di infezione all’anno, Così l’Anlaids ha reclutato diversi personaggi del mondo dello spettacolo, dello sport e del volontariato (da Federica Fontana a Saturnino), che hanno posato sotto lo slogan dirompente. Il gioco di parole, basato sul doppio senso fottersene-essere fottuto, è molto efficace, soprattutto perché è rivolto ai giovani. Tanto più che si parla di un’infezione trasmessa principalmente per via sessuale.

CACCA

“Se mi abbandoni per strada… la cacca sei tu” (2019). La giunta di Santo Stefano Quisquina (Agrigento) in Sicilia, ha deciso che per combattere il problema degli escrementi canini bisogna passare alle maniere forti. E così ha lanciato il manifesto qui a lato sui canali social ufficiali del Comune, sperando che l’immagine e lo slogan diventino virali. Sperano, insomma, che la disapprovazione sociale riesca a cambiare la mentalità dei padroni incivili dei quadrupedi. Un’offesa educativa.

PORCO & CAPRA

“Capra! Capra!! Capra!!!” – “Che porco che sei!” (2019). Con lo slogan “Manda i tuoi amici a quel Paese”, l’associazione umanitaria internazionale Manitese ha lanciato un’originale campagna per la raccolta fondi del 5 x 1000. La campagna si basa su 4 poster, costruiti su slogan colloquiali a doppio senso: “Capra! Capra!! Capra!!!” ricalca il celebre insulto usato da Vittorio Sgarbi, ma qui serve a raffigurare l’importanza di finanziare la pastorizia in Kenya; lo stesso vale per lo slogan “Che porco che sei!”. Ci sono anche altri due slogan per finanziare le attività agricole: “Che cavolo vuoi?” e “Andate a zappare la terra”. Una campagna azzeccata: è un equilibrio ironico fra linguaggio colloquiale e impegno sociale.

SFIGATO

“A Pasqua mangi ancora l’agnello? #Seiunosfigato” (2019). Per quanto possa apparire strano, la campagna è stata lanciata dalla Lega nazionale per la difesa del cane. Ma, si sa, se inizi ad amare Fido diventi un po’ animalista.  E così la campagna cerca di rendere “trendy” chi non mangia l’agnello per Pasqua. Ma il resto dell’anno? E il resto degli animali? Se per Pasqua si registra “il massacro di migliaia di agnelli giovanissimi per banchettare paradossalmente in quella che dovrebbe essere la festa della vita”, negli altri 364 giorni dell’anno lo stesso tragico destino è riservato a maiali, buoi, conigli, polli e chi più ne ha più ne metta. Ma per loro, nessuna campagna….

PAROLACCE FEMMINISTE

“Mi cadono le tette” – “Andiamo a figa dura” – “Non rompermi il clitoride” – “Mi hai rotto le tube” (2021). Per celebrare l’8 marzo, Giornata della donna, l’agenzia pubblicitaria M&C Saatchi di Milano ha lanciato “Swherwords”, gioco di parole di “swearwords” (parolcce) + “her” (lei). In pratica ha preso 4 espressioni volgari basate su attributi maschili e le ha declinate al femminile. La scelta è patetica o ridicola, a seconda dei punti di vista: i diritti delle donne si giocano su ben altri piani che non quelli linguistici (sul lavoro, la carriera, il part time, i sostegni economici). E, sul piano linguistico, i modi di dire “femminilizzati” tentano di correggere espressioni che hanno decenni se non secoli di storia, che non si cancellano con un maquillage improvvisato. Con esiti involontariamente comici: “andare a figa dura” è un’espressione senza senso perché non ha radici nella realtà. Tra l’altro, i pubblicitari non hanno potuto correggere altri modi di dire basati sugli organi maschili: “cazzone” (“figone” diventerebbe un complimento), “che palle” (“che tube” sarebbe insensato), “testa di cazzo” (testa di figa”….), “incazzarsi” (c’è già “infighettarsi” ma ha il senso di “abbellirsi, vestirsi in modo elegante”). L’unica espressione azzeccata è “mi cadono le tette”, perché dà l’idea della vecchiaia, oltre a rimandare alla memoria “far  venire il latte alle ginocchia” (riferito peraltro alla mungitura, quando ooccorreva aspettare molto tempo prima che il latte raggiungesse il livello delle ginocchia).
Insomma, alla fine questa campagna dà l’idea di essere stata costruita più che altro per fare clamore e guadagnarsi una facile visibilità.

CANI E PADRONI

“Barletta è piena di st***zi” – “Se sporchi non sei incivile, sei deficiente” (2021). La campagna è stata lanciata da Bar.S.A. S.p.A., azienda municipalizzata della città di Barletta, in Puglia. Per sensibilizzare le persone sul problema dell’abbandono dei rifiuti e delle deiezioni canine in città, si è scelto di mettere da parte il “politically correct”. Ecco come l’ideatore della campagna, Giancarlo Garribba, spiega questa scelta lessicale: “Chi butta l’immondizia per strada, chi getta i mozziconi delle sigarette per terra, chi non raccoglie i bisogni del proprio cane, sa benissimo che non dovrebbe farlo ma se ne frega alla grande. E non è certo una campagna di sensibilizzazione a far sì che certa gente cambi il proprio atteggiamento, altrimenti tutti noi non useremmo il cellulare alla guida, non fumeremmo, non berremmo alcolici, non mangeremmo carne, faremmo mezz’ora di sport al giorno e così via. E allora che si fa? Si prova con un’ennesima campagna persuasiva, educatrice, del tipo “Orsù, raccogli gli escrementi del tuo cane, non essere birbaccione!”? No, meglio usare il messaggio per denunciare, anche per offendere, utilizzando il linguaggio che la gente “per bene” vorrebbe gridare in faccia a questi quando li incontra per strada. Utilizzando contestualmente immagini esplicite di quello che succederebbe se non ci fossero gli operatori ecologici a bonificare aiuole e marciapiedi della città dalle cacche dei cani lasciate dagli stronzi dei padroni”.

FROCIO

Frocio Vileda (2024). Si chiama FAGS, acronimo di “Fightin’ Against Gay Slurs”, ossia “combattere contro gli insulti gay” (e fag, faggot in inglese è lo spregiativo per gli omosessuali). E’ una campagna ideata dal grafico Dario Manzo, che utilizza gli insulti omofobi (frocio, checca, ricchione, finocchio, arrusu, pedè…) per depotenziarli. “Appropriarsi degli insulti diventa uno dei modi per combatterli, forse il più efficace perché è in grado di trasformarne la percezione. Prendere un insulto e trasformarlo equivale a dire: non fa più male perché ora questa parola è mia e la uso come voglio”. Idea originale, tutta da verificare l’efficacia reale.

SE TE NE FOTTI...

“Se te ne fotti sei fottuto” (2024).  E’  lo slogan della campagna, promossa da Erion WEEE, per stimolare il riciclo delle apparecchiature elettroniche. Ricordando che i negozi sono obbligati a prendere un elettromestico dismesso anche senza fare acquisti (1 contro 0) o lasciando il proprio dispositivo vecchio in cambio di un nuovo (1 contro 1).
Lo slogan strizza l’occhio ai giovani, ma è tutt’altro che originale (vedi sopra). E non si ricollega direttamente al contenuto della campagna.

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E ALL’ESTERO….

La tendenza delle campagne sociali oscene si sta diffondendo anche all’estero. Qui ho raccolto alcuni esempi, ma è probabile che ce ne siano diversi altri: se li conoscete, potete segnalarli nei commenti qui sotto.

FANCULO AL SESSISMO

fuckOK“F-bomb for feminism (Fanculo per il femminismo” (2014).  La campagna ha fatto clamore e non poteva essere altrimenti: un produttore statunitense di T-shirt,, FCKH8, ha realizzato un video contro il sessismo e la discriminazione di genere, impegnandosi a devolvere 5 dollari ad associazioni femministe per ogni maglietta venduta. Ottimo proposito, ma pessima realizzazione: per promuovere l’iniziativa ha diffuso un video nel quale 5 bimbe dai 6 ai 13 anni, condannano il sessismo con un linguaggio da caserma. Il video, infatti, inizia subito con un “What the fuck?!” (ma che cazzo?!) e prosegue su questi toni per 2 minuti e mezzo per denunciare le violenze e le discriminazioni economiche, lavorative e sociali ai danni delle donne. L’idea di fondo, secondo gli autori, è che ci sono parole e situazioni ben più offensivi delle parolacce: “cos’è più offensivo?” domanda retoricamente il video “una bambina che dice fanculo, o il modo in cui la nostra società sessista tratta le donne?”.
Il Washington post ha replicato: “Cosa c’è di più offensivo? Una società sessista o una bimba che recita un copione volgare, scritto da adulti pur di vendere magliette?“. Sono d’accordo: più che a una campagna sociale siamo di fronte a un marketing senza scrupoli, che non esita a sfruttare bambine pur di fare clamore. Se ci fosse un Oscar per il cattivo gusto, lo vincerebbero senz’altro loro. Il video, comunque, è stato visto da quasi 2,5 milioni di persone.

MARCIA DI M...

Tough“Merda dura” (2015). Si chiama così una marcia a ostacoli prevista il prossimo ottobre a Camberley (Uk) e promossa dall’associazione “Water aid”, impegnata a raccogliere fondi per l’acqua nei Paesi arretrati. La marcia è stata battezzata “Tough shit” (letteralmente “merda dura“, situazione difficile, in italiano si direbbe: cazzi amari), per sensibilizzare i partecipanti sul problema dei 2,5 miliardi di persone che, nel mondo, vivono in città prive di scarichi fognari. Uno slogan simpatico e pertinente.

LOTTA AL CIOCCOLATO

dechox“Dai il dito al cioccolato” (2015). L’anno scorso, la British heart foundation ha lanciato la campagna “Dechox“, per sensibilizzare i britannici sugli eccessi e i danni alla salute indotti dall’eccessivo consumo di zucchero. L’immagine della campagna è forte: 5 snack al cioccolato vanno a formare una mano con il dito medio alzato, e lo slogan: “Dai un dito al cioccolato”, ovvero: fanculo al cioccolato. La strategia ha pagato: 19mila persone hanno aderito alla campagna, e la Fondazione ha raccolto 800mila sterline (oltre un milione di euro) per la ricerca sulle malattie cardiache. Al di là del risultato, un simbolo inaspettato, originale e simpatico, che getta una luce inedita sui dolci, svelando che possono essere nostri nemici se consumati in quantità eccessive. 

BAMBINI & ANELLI

B-CuQ3XIAAAddCi“Dai il dito al matrimonio infantile” (2015). Una scelta simile l’ha fatta l’associazione britannica Plan, che si occupa di bambini: per raccogliere fondi contro i matrimoni infantili, ha lanciato una campagna che consiste nella vendita di un anello con la frase “Basta matrimoni infantili”. E l’ha fatto indossare alla cantante Eliza Doolittle con lo slogan:  “Dai il dito al matrimonio infantile”. Anche se il dito era l’anulare, l’effetto è più che evidente: fanculo ai matrimoni infantili, una piaga da abbattere in tutto il pianeta entro il 2030. Oggi, nei Paesi in via di sviluppo, 1 bimba su 9 viene fatta sposare prima dei 15 anni d’età. La campagna è incisiva: le spose bambine sono un dramma su cui non c’è da scherzare. 

CASCO DI MERDA

“Sembra una merda. Ma mi salva la vita” (2019). Questa campagna non è nata da qualche creativo americano in vena di provocazioni, ma nell’austera terra di Germania. E per di più è un’iniziativa ufficiale del ministero dei Trasporti. Come si spiega?  Il ministro dei trasporti Andi Scheuer dice che sono soprattutto i giovani tedeschi, fra i 17 e i 30 anni, a non indossare il casco da ciclisti. E negli ultimi tempi si sono registrate molte vittime sulle strade. Quindi ha voluto ribadire, con termini coloriti, che quell’elmo “poco figo” serve a salvare la pelle. Campagna efficace? Sicuramente ha fatto discutere sui social media. Soprattutto per la scelta di mostrare ciclisti in lingerie: già lo slogan è drammatico (in quanto volgare), ma con i ciclisti sexy si aggiunge la pruderie dell’erotismo e – qualcuno dice – del sessismo. Se avessero scelto un soggetto ironico o autoironico, la campagna sarebbe stata più efficace.

FANCULO AGLI UNTORI

“L’indice alzato per tutti quelli senza maschera” (2020). Questa campagna provocatoria è stata promossa dal Dipartimento per l’economia di Berlino e dall’ufficio turistico “Visit Berlin”. E’ una campagna provocatoria per sensibilizzare i tedeschi a indossare la mascherina per prevenire il contagio da Coronavirus o Covid che dir si voglia. La campagna è attuata con un contrasto e un doppio senso: lo slogan fa riferimento all’indice (“indice alzato” significa “stai attento”), ma l’immagine mette in evidenza il dito medio.
Il manifesto, che ha fatto furore sui social, è una doccia fredda per spingere le persone a fermarsi e a riflettere sul proprio senso di responsabilità sociale, mettendo fine a comportamenti irresponsabili come circolare senza protezioni contro la diffusione dell’infezione. Un comportamento che mette a rischio soprattutto le persone più vulnerabili come gli anziani: di qui la scelta di usare come testimonial una donna dai capelli argentati. La volgarità dell’immagine ha sollevato diverse polemiche in Germania.

 

 

 

CAZZO DI VACCINO

“Fatti quel cazzo di vaccino” “Indossa una cazzo di mascherina” (2021). La campagna – nonostante i termini forti – è stata lanciata da un ente governativo, i Centers for disease control and prevention (CDC). I manifesti sono stati affissi nelle principali città statunitensi, per combattere i no-vax con le loro stesse armi: il linguaggio colloquiale.

 

 

IL TUMORE NON MI FOTTE

“Il cancro non sarà l’ultima cosa a fottermi” (2023). Lo slogan campeggia sui manifesti di una campagna di GirlVsCancer, un’associazione di volontariato britannica per le donne colpite da tumore. La campagna si chiama “Smash the Stigma” e aveva l’obiettivo di promuovere una salute sessuale positiva per le donne malate di tumore.Nonostante il verbo fosse stato semicensurato da un asterisco (f*ck) la parola era facilmente comprensibile. Perciò l’Autorità che regola la pubblicità,  l’Advertising Standards Authority, l’ha censurata

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