censimento | Parolacce https://www.parolacce.org L'unico blog italiano di studi sul turpiloquio, dal 2006 - The world famous blog on italian swearing, since 2006 - By Vito tartamella Fri, 29 Nov 2024 12:25:44 +0000 it-IT hourly 1 https://www.parolacce.org/wp-content/uploads/2015/06/cropped-logoParolacceLR-32x32.png censimento | Parolacce https://www.parolacce.org 32 32 I mille modi di dire “bunga bunga” https://www.parolacce.org/2017/11/14/vocabolario-atti-sessuali/ https://www.parolacce.org/2017/11/14/vocabolario-atti-sessuali/#respond Tue, 14 Nov 2017 10:28:53 +0000 https://www.parolacce.org/?p=13218 Ho fatto un giro di giostra. Me la sono fatta. L’ho battezzata. Ho inzuppato il biscotto. L’ho aperta come una cozza…. Quando si parla di un rapporto sessuale, si usano espressioni colorite. Molte, però, non sono il massimo della gentilezza:… Continue Reading

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T-shirt goliardica di Fermento Italia (Lecce).

Ho fatto un giro di giostra. Me la sono fatta. L’ho battezzata. Ho inzuppato il biscotto. L’ho aperta come una cozza….
Quando si parla di un rapporto sessuale, si usano espressioni colorite. Molte, però, non sono il massimo della gentilezza: sono verbi nel migliore dei casi goliardici, ma spesso crudi e a volte offensivi per le donne.
Perché è così? Quanti modi abbiamo per descrivere l’atto sessuale? Ci sono metafore più efficaci di altre? E cosa svelano sul significato dell’erotismo?
Tempo fa, avevo fatto un censimento degli appellativi dei genitali: ne era emerso un quadro ricchissimo (avevo trovato 744 nomi per il pene, 595 per la vulva), e quel  post è diventato uno dei più letti di questo sito.
Ora ho esaminato le parole sugli atti sessuali: a quanto ne so, è il primo censimento (meglio: analisi semantico-statistica) di questo genere in Italia. E anche in questo caso il risultato è stato sorprendente: in italiano – escludendo le espressioni dedicate a  masturbazione, rapporto orale e anale – abbiamo 987 termini per designare l’amplesso, da “annaffiare” a “zappare” (in quel senso lì).
Sono circa 1/3 di tutto il lessico erotico. E rivelano due modi fondamentali con cui intendiamo il sesso: come piacere condiviso, o come atto di sopraffazione. Uno scenario che si registra non solo nella cultura italiana, ma anche in altre lingue: inglese, francese, portoghese, spagnolo, tedesco, russo, greco (vedi box più sotto)… Ora scopriremo perché.

Censimento a luci rosse

Doppio senso provocatorio uscito su “Libero”.

Ma prima di approfondire questo punto, val la pena raccontare come sono arrivato a questo risultato. Per censire tutte le parole del sesso ho consultato il monumentale “Dizionario storico del lessico erotico” di Valter Boggione e Giovanni Casalegno (Tea/Utet, 1999). Un’opera che tiene conto di tutti, ma proprio tutti i termini sessuali usati in 8 secoli di letteratura italiana: dalle metafore alle allusioni, dai termini arcaici a quelli moderni, dagli eufemismi infantili ai termini scientifici, fino alle espressioni più volgari.

Gli autori, con pazienza certosina, hanno catalogato le espressioni a seconda del tipo di metafora usata: “Da quando ha raggiunto la civiltà, l’uomo si è scontrato con la necessità di nominare l’innominabile” scrive Boggione. “Per far questo, ha fatto innanzitutto ricorso ai termini che gli erano messi a disposizione delle altre funzioni corporali: il mangiare e il bere, il dormire, il muoversi e il camminare; poi dalle attività quotidiane, il lavoro, la guerra, il divertimento”.

I risultati: movimento, lavoro e guerra

Le statistiche sulle metafore dell’atto sessuale (clic per ingrandire).

Per descrivere l’amplesso – clicca sulla torta qui a lato – si usano soprattutto le metafore ricavate da atti e movimenti (chiavare, ficcare:, 21,4%), dai lavori (scopare, seminare: 14,7%), e dalla guerra (dare un colpo, fare un giro di giostra: 9,6%). Questi tre tipi di metafore, insieme, rappresentano quasi la metà (45,7%) di tutte le metafore sul sesso. Ed è logico, dato che il sesso è un’attività dinamica.
Fra queste espressioni, possiamo approfondire quella più usata in italiano: “scopare” (che è l’8a parolaccia più pronunciata, come scrivevo in questo altro articolo).
In questa espressione, il pene è paragonato a una scopa, e l’organo femminile come locale da ripulire. Questa immagine era già stata usata nell’antica poesia greca (Saffo, Anacreonte) e nella commedia classica di Aristofane. Ed è riapparsa in italiano fra fine ‘400 e inizio ’500, nella tradizione dei canti carnevaleschi toscani. All’epoca si usavano anche altre metafore: nettare, ripulire, spazzare, rimonare. Inizialmente il complemento oggetto di questi verbi era l’organo femminile (designato con immagini tipo “cameretta”); solo negli ultimi due secoli poi avrà come complemento oggetto la donna (“Ho scopato quella tipa”).
Come nel canto rinascimentale “Scope, scope, o bone gente”: “Queste scope allo spazzare non faran polvere niente; se sapete pur menare con la scopa destramente (…)  Se la donna con destrezza nostra scopa adopra piano, averà tal contentezza che restar mai vorrà invano”.

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METAFORE SESSUALI

TIPI DI METAFORE QUANTITA’ % SUL TOTALE
azioni (farsi, maneggiare) 27 2,7
alimentazione (infornare, inzuppare, pestare, pappare) 79 8,0
cura del corpo (fregare, grattare, pettinare) 17 1,7
abbigliamento (alzare la gonna) 5 0,5
atti e movimenti (sbattere, montare, pestare, chiavare, trapanare, ficcare, impalare, sfondare) 211 21,4
sonno (giacere, andare a letto) 19 1,9
desideri (starci, soddisfare, darsi) 41 4,2
proprietà (possedere, usare, ingrufare) 25 2,5
vita sociale (conoscersi, accompagnarsi, amarsi, fare l’amore) 91 9,2
guerra (dare un colpo/una botta, fare un giro di giostra, ficcare) 95 9,6
lavori (annaffiare, arare, pompare, seminare, scopare) 145 14,7
piaceri (ruzzare, trastullarsi, trombare) 86 8,7
vita morale (libidinare, fornicare, peccare) 46 4,7
natura (beccare, cavalcare, uccellare, montare, ingroppare, deflorare) 80 8,1
altre voci (fottere, picciare, sveltina) 20 2,0
TOTALE 987 100

COME SI DICE ALL'ESTERO

Inzuppare il biscotto: una metafora sessuale sia in spagnolo che in italiano.

I modi linguistici di descrivere l’amplesso hanno ispirato una giovane brianzola, Laura Mangone, 28 anni. Si è laureata all’Accademia di Design di Eindhoven (Paesi Bassi) con una tesi su questo argomento: ha raccolto una serie di espressioni crude sull’atto sessuale in varie lingue, e le ha rappresentate in disegni (sono visibili sul suo sito sexpressions), per mostrarne la carica offensiva Alcuni esempi?

  • In spagnolo far l’amore si dice “Ti misuro il livello dell’olio” (Te mido el aceite) o “Ti taglio come un formaggio” (Te parto como un queso)
  • in portoghese, le crude espressioni “Affogare l’oca” (Afogar o ganso) e “Aprire il granchio” (Abrir o caranguejo)
  • in inglese,Lanciare il missile di carne” (Launching the meat missile) o “Sbattere il salmone” (To smack the salmon) o “L’ho avvitata” (I screwed her)
  • in greco, il cruento “Ho strozzato il coniglio” (πνιγω το κουνελι)
  • in rumenoL’ho gonfiata come un palloncino” (Am umflat-o)
  • in tedesco, lingua poco incline alle volgarità: “Ho fatto entrare il treno” (Den zug einfahren lassen)
  • in francesePiantare un giavellotto nella moquette” (Je plante le javelot dans la moquette), forse per alludere all’eccezionalità del risultato
  • in austriacoDemolire la casa” (das haus abreißen), “Ripulire la cantina” (ihre kantine putzen) o “Nascondere la banana” (die banane verstecken).

«Con questi modi di esprimerti ti abbassi come persona» dice Laura. «La donna è trattata  come oggetto e non come soggetto, in una prospettiva maschilista. C’è un io che fa qualcosa ma mai un noi». La posizione, come vedremo qui sotto, non è nuova. Ma va inquadrata in un’ottica più ampia: lo scontro fra natura e cultura. Per capirlo, dobbiamo analizzare i verbi dell’amplesso.

Sesso transitivo e sesso intransitivo

L’antropologo Ashley Montagu definisce “fottere” un verbo transitivo per il più “transitivo” degli atti umani:  i verbi transitivi sono quelli in cui il verbo non esaurisce l’azione in sé ma la estende su un “oggetto” (“Ho scopato Maria”).
Così ho voluto verificare quanto siano diffusi i verbi nel vocabolario italiano dell’erotismo: ne ho trovati 593, pari al 60,1% del totale dei lemmi. Quando si tratta di descrivere l’atto sessuale, insomma, i verbi sono i più usati rispetto ai sostantivi (botta, colpo, coito, amplesso).

Pubblicità contro corrente: è la donna che “si fa” l’uomo.

Ma sono tutti transitivi questi verbi? In realtà, quelli usati nelle espressioni meno volgari sono proprio i verbi intransitivi: fare sesso, fare l’amore, andare a letto insieme, avere un rapporto, accoppiarsi, copulare. Non sono nemmeno verbi a sè stanti, ma espressioni idiomatiche costruite associando un sostantivo o un aggettivo a un ausiliare. Non descrivono un cambiamento (fatto o subìto) ma sono azioni simmetriche: Mario ha fatto l’amore con Lucia o Lucia ha fatto l’amore con Mario (per quanto anche i verbi transitivi volgari ammettono questa simmetria: una donna può dire “Ho scopato con Mario”). Nei verbi intransitivi si descrive un’azione volontaria comune, come in ballare, parlare, lavorare. Nei modi di dire accettabili, quindi, il sesso è un’attività, dalla modalità non specificata, a cui  due persone si dedicano insieme.

Vista questa importante distinzione, ho cercato di calcolare quanti fossero transitivi e quanti intransitivi, ma i confini fra le due categorie sono labili. E i verbi transitivi (scopare) possono essere usati sia con un complemento oggetto (ho scopato qualcuno) ma anche in senso assoluto (ho scopato). Come criterio, ho classificato come transitivi anche i verbi che ammettono costruzioni intransitive.
Detto questo, comunque, i verbi transitivi sono la grande maggioranza: sono il 76,5% dei verbi, e il 46% del totale dei lemmi, contro il 14,1% dei verbi intransitivi (vedi box qui sotto).
Le metafore sui piaceri, il sonno e l’alimentazione hanno percentuali simili di verbi sia transitivi che intransitivi. Insomma, quando si pensa al sesso in questi termini, c’è una “par condicio” uomo-donna: è un’attività in condivisione, alla pari.

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TRANSITIVI E INTRANSITIVI

VERBI TRANSITIVI % SULLA CATEGORIA VERBI INTRANSITIVI % SULLA CATEGORIA
azioni 4 14,8 6 22,2
alimentazione 21 26,6 22 27,8
cura del corpo 9 52,9 1 5,9
abbigliamento 5 100,0 0 0,0
atti e movimenti 138 65,4 12 5,7
sonno 6 31,6 5 26,3
desideri 19 46,3 6 14,6
proprietà 16 64,0 2 8,0
vita sociale 26 28,6 15 16,5
guerra 37 38,9 20 21,1
lavori 102 70,3 7 4,8
piaceri 15 17,4 17 19,8
vita morale 16 34,8 9 19,6
natura 37 46,3 11 13,8
altre voci 3 15,0 6 30,0
TOTALE 454  46,0 139 14,1
TOTALE VERBI 593 (60,1% sul totale dei lemmi)

Fare sesso = sfruttare o danneggiare?

Nelle espressioni volgari, i verbi sessuali hanno quasi sempre un soggetto maschile. E il soggetto è la parte attiva. E se la donna è l’oggetto, come viene modificata dall’azione? Per rispondere, osserva Steven Pinker, psicolinguista ad Harvard, basta ricordare alcuni modi di dire: “l’ho fottuta”, “l’ho presa in culo”. «Queste espressioni» scrive nel libro “Fatti di parole” «rivelano che fare sesso significa sfruttare o danneggiare qualcuno».

Copertina di Internazionale: è la traduzione letterale di una dell’Economist.

La scrittrice femminista Andrea Dworkin, famosa per il suo attivismo contro la pornografia e la tesi secondo cui ogni rapporto sessuale è uno stupro, ha collegato il linguaggio scurrile all’oppressione delle donne. Nel 1979 scriveva (in “Pornography: men possessing women”): «Scopare implica che il maschio agisca su qualcuno dotato di minore potere, e tale giudizio di valore è così radicato, fino in fondo implicito nell’atto, che chi è scopato è bollato… Nel sistema maschile il sesso è il pene, il pene è potere sessuale, usarlo per scopare è virilità».
Non tutte le donne, però, la pensano così. Nel libro “Dimmi le parolacce: l’immaginario erotico femminile”, la scrittrice statunitense Sallie Tisdale dice: «“Scopare”: ormai ho sentito usare questa parola così tante volte in accezioni semplicemente descrittive, che mi sembra la possibilità più neutra, ben spesso più precisa e meno impegnativa dell’espressione “fare l’amore” che riempie la bocca, o dell’assurdo “andare a letto”. Una mia amica, l’altro giorno, mi ha lasciato allibita dicendomi che lei e il marito, quella mattina, avevano “avuto un rapporto carnale”. Mi ero quasi dimenticata di quell’espressione».

Le due facce del sesso

Che fare dunque? In realtà, sottolinea Pinker, verbi transitivi e intransitivi sono due facce della stessa medaglia. «Esprimono due modelli di sessualità ben diversi. Il primo, quello dei verbi intransitivi, ricorda i manuali di educazione sessuale: il sesso è un’attività, non meglio specificata, cui si dedicano insieme due partner su un piano di uguaglianza. Il secondo, quello dei verbi transitivi, riflette una visione più fosca, a cavallo fra la sociobiologia dei mammiferi e il femminismo stile Dworkin: il sesso è un atto di forza promosso da un maschio attivo che ricade su una femmina passiva, sfruttandola o danneggiandola. Entrambi i modelli esprimono la sessualità umana in tutta la sua gamma di manifestazioni, e se il linguaggio è la nostra guida, il primo è approvato per il discorso pubblico, mentre il secondo è tabù, anche se è ampiamente riconosciuto in privato».

Campagna osè di un candidato alle comunali di Torino 2011: alla fine fu “spazzato” lui, prendendo solo lo 0,37% dei voti.

Insomma, in questi due modi di descrivere il sesso si cela l’eterno dissidio fra natura e cultura. I verbi transitivi sono tabù perché descrivono in modo concreto, nudo e crudo, l’atto sessuale, mostrandone il lato animalesco (da cui vorremmo prendere le distanze); i verbi intransitivi, invece, sono considerati più accettabili perché nascondono l’atto sessuale offrendone una descrizione vagaparitaria e disinfettata.
Un dissidio inevitabile, tanto più che le prospettive maschile e femminile sono opposte anche biologicamente: una
ricerca recente ha scoperto che i centri cerebrali che controllano il sesso e l’aggressività sono separati nelle femmine ma sovrapposti nei maschi.  Questo è stato riscontrato nei topi, ma è plausibile che sia così anche per gli uomini. Ma anche trascurando questo aspetto, nella sessualità maschile e femminile c’è una differenza di fondo: la donna può rimanere incinta, e questo rende il suo approccio verso il sesso meno goliardico e superficiale rispetto a quello degli uomini.

Come uscirne? Una possibile soluzione arriva dalla Francia, dove amoreggiare si dice, in modo onomatopeico, fare “tactac boumboum”: si salva la concretezza dell’atto, ma al tempo stesso la si descrive solo nel suo aspetto acustico. Proprio come avviene nella nostra espressione “fare zum zum”. A questo punto, si potrebbe rivalutare anche il berlusconiano “bunga bunga”.

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Cosa svelano le parolacce nei film di Tarantino https://www.parolacce.org/2017/03/30/turpiloquio-cinema-di-tarantino/ https://www.parolacce.org/2017/03/30/turpiloquio-cinema-di-tarantino/#respond Thu, 30 Mar 2017 13:24:36 +0000 https://www.parolacce.org/?p=12065 Si può capire il cinema di Quentin Tarantino studiando le parolacce che ha inserito nei suoi film? La domanda è stuzzicante: il regista più splatter del nostro tempo ama infatti il linguaggio senza filtro, e le sue pellicole ne sono… Continue Reading

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Tarantino posa dopo lasciato l’impronta delle mani nel cemento (Shutterstock).

Si può capire il cinema di Quentin Tarantino studiando le parolacce che ha inserito nei suoi film? La domanda è stuzzicante: il regista più splatter del nostro tempo ama infatti il linguaggio senza filtro, e le sue pellicole ne sono la prova.
Ma quante parolacce contengono, e di che tipo? Ne usa più o meno rispetto ad altri registi? E qual è il film più volgare della sua carriera? 
Per rispondere a queste domande, un giornalista statunitense, Oliver Roeder, ha fatto un lavoro certosino: ha rivisto tutti i film di Tarantino, segnando pazientemente tutte le parolacce dette dai protagonisti. In questo post analizzerò i risultati di questo lavoro, che getta una luce inedita sul regista di “Pulp fiction”.

Innanzitutto, definiamo il campo d’analisi: Roeder ha esaminato le 7 pellicole principali dirette da Tarantino: “Le iene” (1992), “Pulp fiction” (1994), “Jackie Brown” (1997), “Kill Bill vol. 1” (2003), “Kill Bill vol. 2” (2004), “Bastardi senza gloria” (2009), “Django unchained” (2012). A questa analisi (i dati grezzi li trovate qui) ho aggiunto le parolacce contenute in “The hateful eight” (2015), di cui lo stesso Roeder ha esaminato la sceneggiatura (che potrebbe avere alcune differenze rispetto al film effettivo).

Scena da “Pulp fiction”.

Il risultato è impressionante: le volgarità censite sono state in tutto 1882, pari a una media di 235 per ogni pellicola (ma, come vedremo, ci sono in realtà differenze notevoli da un film all’altro). Dato che i film di Tarantino durano in tutto 1155 minuti, significa che, in media, nelle sue pellicole si dice più di una parolaccia al minuto (per la precisione 1,6 al minuto).

Un assaggio eloquente è la scena iniziale delle “Iene” che è un vero concentrato di scurrilità. Basti dire che solo nei primi 10 minuti ne vengono pronunciate 59, quasi 6 al minuto, ovvero una ogni 10 secondi… I protagonisti, infatti, mentre giocano a carte, lanciano interpretazioni sempre più spinte sul vero significato della canzone di Madonna “Like a virgin”. E al minuto 1:24 lo stesso Tarantino si produce in una mitragliata di “cazzo” (ripetuto 9 volte), tanto che Edward Bunker (Mr Blue) domanda: “Quanti cazzi fanno?”. E Harvey Keitel (Mr White) risponde: “Una marea!”. Insomma, un inizio così non passa certo inosservato…

Ma esattamente quali parolacce ha inserito nei suoi film Tarantino? Il lessico è abbastanza vario: Roeder ha censito 27 diverse espressioni, anche se c’è un’ossessiva ricorrenza di fuck (fottere, fanculo) che, nella sue varianti, rappresenta più di una parolaccia su 3. Un dato che sorprende fino a un certo punto, dato che è la scurrilità più usata in inglese, anche come intercalare e rafforzativo: come per noi lo è la parola cazzo, come raccontavo in questo articolo.
Ecco l’elenco delle parolacce censite negli 8 film: nella tabella ho accorpato sotto la voce “altre” le espressioni che ricorrono pochissime volte (da 1 a 3), come cocksucker (succhiacazzi) o il francese merde.

Parolaccia Quantità % sul totale
fuck (fottere, fanculo) 683       36,3
shit (merda) 244       13,0
nigger (negro) 233       12,4
ass (culo) 183        9,7
goddamn (maledizione) 114        6,1
motherfucker (bastardo, carogna) 112        6,0
bitch (cagna, stronza, troia) 87        4,6
damn (dannato) 84        4,5
hell (inferno) 61        3,2
dick (cazzo) 20        1,1
bullshit (stronzata) 15        0,8
bastard (bastardo) 11        0,6
pussy (figa) 11        0,6
altre espressioni 24        1,3
TOTALE 1882 100

Dunque, metà delle volgarità (quasi il 48%) sono di origine sessuale, e anche questo non sorprende, perché in inglese, come in altre lingue, gran parte del turpiloquio è alimentato da metafore oscene. Che sono usate per parlare di sesso in modo diretto e colloquiale, ma anche per esprimere rabbia, enfasi e sorpresa, emozioni fondamentali nell’arte di Tarantino.
Gli insulti, invece, sembrano avere meno peso, rappresentando circa ¼ delle parolacce censite, anche se è una statistica molto approssimata. In realtà, quando deve descrivere l’odio fra le persone, Tarantino preferisce mostrarle mentre lottano fisicamente fino all’ultimo sangue: è molto più spettacolare.

Uma Thurman in “Kill Bill vol. 1”.

Ma in questo scenario ci sono alcune variazioni interessanti: il film con il maggior numero di insulti etnici (negro) è “Django unchained”, e ha senso dato che il protagonista è uno schiavo di colore.
E, allo stesso modo, i film col maggior numero di insulti sessisti verso le donne (bitch, pussy) sono “Jackie Brown”, “Kill Bill” 1 e 2: tutti con protagoniste femminili. Da notare un fatto non scontato: sono quasi assenti gli insulti omofobi, faggot (frocio) è stato censito una sola volta. Almeno finora, quindi, l’omofobia non è dunque una delle ossessioni del regista, che ha preferito approfondire altri sentimenti, dall’odio razziale al senso dell’onore, alla vendetta, e così via.

Tarantino, però, non è stato costante nell’uso del turpiloquio: anzi, come potete vedere nel grafico qui a lato (clic per ingrandire), 2 espressioni volgari su 3 (il 66,9%) sono presenti solo nei suoi primi 3 film. Come mai? Roeder lancia un’interpretazione maliziosa: mentre la violenza verbale non costa nulla, quella fisica è molto costosa da realizzare.
Roeder infatti ha messo in rapporto l’uso di parolacce con la quantità di omicidi nei film di Tarantino. Notando che mentre in “Jackie Brown” muoiono solo 4 personaggi, in “Kill Bill vol. 1” le vittime salgono a 63.Ecco la conclusione di Roeder:  “Se vuoi far salire l’audience dei tuoi film, hai due strade, una costosa e una economica. Se vuoi fare una scena in cui tagli in due una persona, hai bisogno di soldi; se hai un budget scarso, ti butti sulle parolacce. Costa molto meno inserire una dozzina di imprecazioni sulla celluloide, che far accoppare una dozzina di samurai”. Infatti, mentre “Le iene” (10 omicidi) sono costate 2 milioni di dollari, “Django unchained” (47 morti) è costato 100 milioni.

Forse c’è qualcosa di vero, ma in realtà l’uso del turpiloquio dipende dai contenuti della trama, che è comunque estrema, sia nelle scene che nei dialoghi. Se calcolo c’è stato, forse è stato di altro genere: Tarantino, come tutti i registi, vuole che i suoi film siano visti dal maggior numero di persone, e col passare del tempo ha limitato i contenuti volgari per non pregiudicarsi gli spettatori con i divieti ai minori. Gli Usa, infatti, classificano i film con vari tipi di restrizioni anche a seconda del tipo di linguaggio. Tanto che anche la frequenza del turpiloquio è nettamente in discesa nelle sue opere, come mostra il grafico qui a lato (clic per ingrandire).
Dunque, anche il turpiloquio rivela aspetti interessanti sull’arte di Tarantino.
Ma com’è rispetto a quella di altri registi? Va a lui la palma del regista più volgare della storia del cinema?
Impossibile rispondere: nessuno si è preso la briga di censire tutte le parolacce di un autore, come ha fatto Roeder con Tarantino. L’unico censimento disponibile si limita al termine fuck. E ci rivela un dato sorprendente: almeno nell’uso di questa espressione la palma non va a Tarantino… Se volete sapere a chi, potete leggere questo altro mio
articolo.
E se, come me, siete appassionati di cinema, potete curiosare in una nuova categoria che ho creato in questo sito:
parolacce e cinema.
Per finire, potete vedere e ascoltare tutti i “fuck” contenuti nei film di Tarantino, raccolti in un unico video di 26 minuti: sono 1.371 (un totale diverso dal conteggio di cui sopra, perché esamina altri 5 suoi film, ed esclude “The hateful eight”). Da far girare la testa.

Ringrazio Francesca (sei una grande!) per il prezioso aiuto nel rielaborare i dati.

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De Mauro, il linguista che censiva le parolacce https://www.parolacce.org/2017/01/05/de-mauro-il-linguista-che-censiva-le-parolacce/ https://www.parolacce.org/2017/01/05/de-mauro-il-linguista-che-censiva-le-parolacce/#respond Thu, 05 Jan 2017 16:25:18 +0000 https://www.parolacce.org/?p=11524 Non sono molti i linguisti italiani che si sono dedicati allo studio del turpiloquio, spesso considerato – a torto – un aspetto “minore” se non addirittura trascurabile del linguaggio. Insomma, una forma di snobismo culturale. Una di queste eccezioni è… Continue Reading

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Non sono molti i linguisti italiani che si sono dedicati allo studio del turpiloquio, spesso considerato – a torto – un aspetto “minore” se non addirittura trascurabile del linguaggio. Insomma, una forma di snobismo culturale.
Una di queste eccezioni è stato Tullio De Mauro, linguista dotto, trasversale e attento al sociale. Anche se non l’ho mai conosciuto di persona, voglio ricordarlo qui, oggi, nel giorno della sua scomparsa a 84 anni d’età (foto Wikipedia).
Oltre ai suoi numerosi e importanti meriti in campo linguistico, il mio omaggio è dovuto a tre suoi fondamentali contributi nello studio delle parolacce.
Del primo ho parlato in un post recente: le statistiche sull’italiano parlato, dalle quali si possono ricavare dati importanti sulla frequenza delle scurrilità nel nostro linguaggio. Per esempio, che la parolaccia più pronunciata di tutte è cazzo. Un tratto distintivo delle ricerche di De Mauro era proprio l’attenzione ai dati come condizione preliminare per ogni indagine: il rigore innanzitutto.
Il secondo contributo che voglio ricordare è un altro censimento: quello delle parole d’odio (hate words), un elenco dotto e certosino – come nel suo stile – che ha compilato per il settimanale Internazionale, diretto da suo figlio Giovanni. Un lungo elenco di insulti e spregiativi che offre un’idea concreta di quanto possiamo essere linguisticamente creativi nella cattiveria.
Il terzo è un libro dedicato ai dialetti, “La lingua batte dove il dente duole”, scritto con Andrea Camilleri. Nel libro, di cui ho parlato in questo post, De Mauro ha ricordato l’intimo legame fra le parolacce e l’anima popolare dei dialetti. Ricordando come  entrambi sono il linguaggio della schiettezza e dell’immediatezza. Il linguaggio della verità. Altro che snobismo.

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Twitter e parolacce: 9 scoperte della scienza https://www.parolacce.org/2016/08/01/insulti-su-twitter/ https://www.parolacce.org/2016/08/01/insulti-su-twitter/#respond Mon, 01 Aug 2016 11:12:18 +0000 https://www.parolacce.org/?p=10531 Quante parolacce circolano su Twitter? Più o meno rispetto a quante si dicono di persona, faccia a faccia? Quando se ne dicono di più? Sono più volgari gli uomini o le donne? A queste e altre domande risponde una ricerca straordinaria fatta… Continue Reading

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tweetBQuante parolacce circolano su Twitter? Più o meno rispetto a quante si dicono di persona, faccia a faccia? Quando se ne dicono di più? Sono più volgari gli uomini o le donne?
A queste e altre domande risponde una ricerca straordinaria fatta da 4 scienziati della Wright State university di Dayton (Usa): straordinaria perché gli autori – un gruppo di informatici guidati da Wenbo Wang – hanno studiato una montagna di tweet: 51 milioni, scritti in un mese (dall’11 marzo al 7 aprile 2013) da 14 milioni di persone: in media 3,6 tweet a persona. Insomma, è come se avessero studiato un gruppo pari alle popolazioni di Piemonte e Lombardia messe insieme. Con la differenza, però, che gli autori dei tweet erano parlanti di lingua inglese: le scoperte dei ricercatori, quindi, hanno radici nel mondo anglosassone.
Sarebbe interessante verificare se anche in Italia c’è uno scenario simile: la nostra cultura ha elementi di somiglianza oltre che di differenza con quella anglosassone. (Foto: Gli uccellini incazzosi protagonisti del film “Angry birds”, elaborazione foto Shutterstock).

In ogni caso, la ricerca merita di essere letta anche per la mole di dati che ha interpretato. Solo 20 anni fa sarebbe stata impensabile: all’epoca, per studiare la lingua parlata ci si doveva armare di registratore, girare per le strade e infine trascrivere a mano e catalogare tutte le parole registrate. Un lavoro certosino che, nel 1994, proprio in questo modo ha generato la Banca dati dell’italiano parlato. Un database preziosissimo (è il più corposo dei 5 “corpora” di lingua parlata esistenti in italiano) che però era limitato a un campione di 1.653 parlanti, quasi un decimillesimo rispetto a quelli studiati dalla Wright State university. Oggi invece, grazie all’informatica, si possono elaborare anche milioni di dati, e per la linguistica è una vera manna.
Ecco le 9 scoperte che hanno fatto gli scienziati.

1) QUANTE PAROLACCE SI TWITTANO?

I ricercatori hanno censito la frequenza d’uso di 788 parolacce in inglese, comprese le varianti digitali (la Computer mediated communication, ovvero le parole abbreviate o camuffate tipiche dell’informatica, per intenderci: $hit, b1tch, f*ck, che in italiano diventerebbero m&rda, tro1a, fan*ulo). Ebbene, su Twitter le parolacce sono l’1,15% di tutte le parole: ve ne aspettavate molte di più? Probabile, ma sappiate che anche nella conversazione a voce le parolacce non sono poi tante: sono solo lo 0,5% delle parole, come aveva rilevato una passata ricerca. In ogni caso, su Twitter si dicono pur sempre più del doppio di parolacce rispetto a quante se ne dicono a voce.
I tweet che contengono parolacce sono il 7,73% (uno su 13), ovvero il doppio di quanto è stato rilevato nelle chat (3%) in un’altra ricerca. Dunque, su Twitter si impreca, si insulta molto (rispetto ad altri mezzi di comunicazione): il motivo? Semplice: nascosti dal display di un cellulare o dal monitor di computer (e magari anche dietro un’identità fittizia) ci si sente più liberi d’esprimersi senza censure.

2) QUALI SONO LE PIÙ TWITTATE?

Nella tabella qui sotto potete leggere le 10 parolacce più twittate in inglese. Bastano le prime 7 (con i loro derivati e varianti) a coprire oltre il 90% di tutte le parolacce. Altra osservazione interessante: la maggioranza sono a sfondo sessuale (6: fuck, ass, bitch, whore, dick, pussy), seguito da quello escrementizio (2: shit, piss), etnico (1: nigga) e religioso (1: hell). A occhio, nei tweet in italiano potremmo avere la stessa proporzione di categorie di significato, ma con un lessico diverso.

Parolaccia Frequenza
fuck (fottere, scopare, fanculo) 34,73%
shit (merda) 15,04%
ass (culo, stupido) 14,48%
bitch (cagna) 10.34%
nigga (negro) 9,68%
hell (inferno) 4,46%
whore (troia) 1,82%
dick (cazzo) 1,67%
piss (pisciare, piscia) 1,53%
pussy (passera) 1,16%

3) QUALI EMOZIONI ESPRIMONO?

Viotti

Un tweet di Daniele Viotti (europarlamentare gay del Pd), infuriato con la componente cattolica del partito su unioni civili e stepchild adoption.

La domanda è interessante, ma viene da chiedersi come abbiano fatto i ricercatori a ricavare questa informazione leggendo 51 milioni di messaggi. Semplice: hanno usato un software automatico di riconoscimento di testo, Liwc (Linguistic Inquiry and Word Count), capace di analizzare e collegare i tweet alle 7 emozioni primarie (quelle fondamentali, presenti in ogni cultura): gioia, tristezza, rabbia, amore, paura, gratitudine e sorpresa. Dopo una fase di test su 500mila tweet, i ricercatori hanno però deciso di scartare sorpresa e paura perché il programma aveva una precisione inferiore al 65%. Pur premettendo che il software è tutt’altro che infallibile, ecco i risultati. Le parolacce nei tweet sono associate per lo più alle emozioni negative: a tristezza (21,83%) e rabbia (19,79%); per contrasto, infatti, solo l’11,31% dei tweet senza parolacce esprimevano tristezza e il 4,5% rabbia. Ma, osservano i ricercatori, non va trascurato il fatto che, comunque, il 6,59% dei tweet volgari esprimeva amore: le parolacce, infatti, si usano anche per enfatizzare emozioni positive (“che figata!”), nell’erotismo (“ti scoperei”) o per confidenza fra amici (“Non fare il pirla!”). Per quanto riguarda il tasso di frequenza di messaggi volgari all’interno di ciascuna emozione, il 23,82% dei tweet rabbiosi conteneva parolacce, contro il 13,93% di quelli tristi, il 4,16% di quelli d’’amore, il 3,26% di quelli di gratitudine e il 2,5% di quelli di gioia. In sintesi: se devo esprimere la rabbia tendo a farlo attraverso le parolacce; mentre in assoluto, la maggior percentuale di tweet volgari è figlio di un senso di tristezza.

4) QUANDO SE NE TWITTANO DI PIÙ?

quandoI momenti più “caldi” per insultare o imprecare sono fra le ore 21 e le 22. La maggior concentrazione di tweet volgari si registra dalle 22 all’1,30 di notte. Si è più volgari all‘inizio della settimana (dal lunedì al mercoledì) rispetto agli altri giorni, in cui – ipotizzano i ricercatori – si è più rilassati (cliccare sui diagrammi per ingrandirli).

5) QUALI SONO I TWEET PIÙ VOLGARI?

La più alta concentrazione di parolacce è nei retweet: i commenti senza censure sono quelli più popolari e letti. Insomma, la parolaccia fa notizia e si diffonde col passaparola.

6) DOVE SE NE DICONO DI PIÙ?

Combinando i Tweet con Foursquare, la rete sociale basata sulla geolocalizzazione degli utenti, i ricercatori hanno identificato da quali luoghi twittavano gli autori dei tweet volgari. Risultato: per lo più da casa (7,08%), seguita da università (6,45%), negozi (6,41%), locali notturni (6,37%), luoghi ricreativi (5,7%). Ovvero nei luoghi informali. Gli ambienti naturali (parchi, spiagge, montagna) sono quelli in cui si impreca di meno (4,9%): forse perché all’aperto si è più  rilassati, immaginano ancora gli scienziati. E quindi si ha di meglio da fare che stare a twittare insulti, aggiungo.

7) E CON CHI?

Incrociando le parolacce con il sesso degli utenti, i ricercatori hanno appurato che si è più sboccati soprattutto quando si sta insieme a persone del proprio sesso. E com’era facilmente prevedibile, il tasso più elevato di tweet volgari è nei discorsi fra uomini (5,48%), mentre in quelli tra donne la percentuale scende al 3,81%. Più raffinate, ma non così tanto.

8) MASCHI E FEMMINE DICONO LE STESSE?

No, prediligono insulti diversi: i maschi usano più spesso fuck (fottere, scopare, fanculo), shit (merda) e nigga (negro); le femmine, bitch e slut (troia). Gli uomini, insomma, vanno più sul pesante, ma hanno anche una maggior varietà lessicale, almeno quando si tratta di essere volgari.

9) CHI È FAMOSO NE DICE DI PIÙ O DI MENO?

Un dato curioso: il prestigio, alto o basso che sia, rende più trattenuti nel linguaggio. Infatti, dicono meno parolacce le persone col maggior numero e quelle col minor numero di followers: ovvero, quelli che devono mantenere o curare di più la propria immagine. Chi sta nel mezzo, non si preoccupa molto del proprio prestigio, forse perché ha poco da perdere. Ecco perché fa notizia quando un personaggio celebre twitta una parolaccia.

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Il logo di “parolacce” su Twitter.

Tutte scoperte interessanti, ma i risultati, avvertono i ricercatori, non valgono necessariamente anche fuori da Twitter: 14 milioni di utenti sono davvero tanti, ma non somigliano necessariamente a quelli di altri social network né tantomeno alla popolazione generale. Gli utenti di Twitter, infatti, sono solo una parte (circa il 25%) degli utenti di Internet, e sono per lo più persone abbastanza istruite, di ceto medio-alto, residenti in grandi città e di età compresa fra i 18 e i 50 anni (come ha appurato questa ricerca). Restano non censiti tutti gli altri strati sociali e anagrafici, e non sono pochi. In più, aggiungo, la comunicazione attraverso i sistemi digitali (i 140 caratteri di Twitter, per intenderci) non coincidono con gli stili di comunicazione che abbiamo quando siamo di fronte ad altre persone, senza la mediazione di schermi digitali.
Con questa doverosa avvertenza finiscono le scoperte della ricerca americana. Se volete essere aggiornati via Twitter con le ultime news sul turpiloquio, basta seguire l’account parolacce: dal 2013, più di 2mila tweet sul turpiloquio, in Italia e nel mondo.

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Parolacce nelle canzoni: il primo censimento https://www.parolacce.org/2015/12/16/studio-parolacce-musica/ https://www.parolacce.org/2015/12/16/studio-parolacce-musica/#comments Wed, 16 Dec 2015 15:29:15 +0000 https://www.parolacce.org/?p=8919 Pensate che il rock sia la musica più trasgressiva? Vi sbagliate: una ricerca ha accertato che è l’hip hop il genere musicale con più parolacce nelle canzoni. La ricerca di cui sto per parlare è uno studio notevole: è il primo ad aver censito… Continue Reading

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Un gestaccio di Jay Z (Shutterstock).

Pensate che il rock sia la musica più trasgressiva? Vi sbagliate: una ricerca ha accertato che è l’hip hop il genere musicale con più parolacce nelle canzoni.
La ricerca di cui sto per parlare è uno studio notevole: è il primo ad aver censito su ampia scala le parolacce nelle canzoni. Gli autori sono Varun JewalikarFederica Fragapane, e l’hanno fatta per musixmatch, uno dei più popolari database mondiali di testi musicali. Un database tutto italiano: è di Bologna.
Il campione di canzoni che hanno esaminato è sterminato: quasi mezzo milione (490.100) scritte da oltre 10mila artisti (10.386). Il risultato? Lo 0,45% di tutte le parole nelle canzoni sono parolacce: una ogni 234. Tante? No, nella media, anzi: un po’ sotto. Lo psicolinguista Timothy Jay, in una passata ricerca, ne aveva censite fra lo 0,5% e lo 0,7% sul totale delle parole dette da una persona in un giorno. Se le canzoni sono lo specchio della vita, allora sono uno specchio abbastanza realistico.

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I dati dello studio (clicca per ingrandire)

Ma come hanno scelto il campione i ricercatori? Hanno censito le canzoni in inglese, scegliendo i 51 artisti più cliccati su Google per ogni genere musicale (8: pop, hiphop, folk, heavy metal, rock, country, indie rock, elettronica). In pratica, si va da Michael Jackson a Bob Dylan, dai Pink Floyd ai Metallica, fino ai Kraftwerk ed Eminem. La popolarità, insomma, ha prevalso sull’omogeneità temporale, il che è un punto debole della ricerca: paragonare le parolacce di Snoop Dog a quelle dei Beatles ha poco senso, perché negli anni ’60 le parolacce erano decisamente più rare che nella musica di oggi.

Ed ecco la classifica dei generi musicali per uso (decrescente) di parolacce:

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Vince l’hip hop, seguito da heavy metal (anche questo era prevedibile), e musica elettronica (dato sorprendente, visto che spesso le canzoni sono solo strumentali). Il rock si classifica solo al 6°posto: non è più la musica trasgressiva di una volta. Non a caso, i giovani di oggi scelgono l’hip hop per esprimere la propria ribellione anticonformista.
E quali sono le parolacce più usate in inglese? Qui c’è un’altra sorpresa: prevale la parola “nigga” (negro), al 24%, seguita da fuck (scopare, 18%) e shit (merda, 14,5%). Se le parolacce sono lo specchio dei valori, delle paure e delle ossessioni di una società, beh: le canzoni rappresentano non solo gli intercalare più usati (fuck, shit) ma anche lo spinoso problema del razzismo, dell’emarginazione delle persone di colore. Anche se, come giustamente sottolineano gli autori della ricerca, la parola “nigga” (negro) nell’hiphop non è usata in senso offensivo, ma come termine gergale, come identità sbandierata senza complessi. Alla luce di questa precisazione, se togliamo la prola “nigga” nelle canzoni hip hop le parolacce scendono da 1 ogni 47 parole a 1 ogni 74 parole.
Nell’elenco delle parolacce, peraltro, c’è l’altro punto debole della ricerca: per stabilire quali fossero le parolacce, i ricercatori hanno attinto a un elenco scritto da Google per filtrare i contenuti in un’applicazione. Ma in questo elenco figurano anche espressioni (sex, sesso, lust, libidine) disturbanti per la sensibilità puritana degli statunitensi, ma non certo per quella di noi europei: motivo per cui li ho cassati dalla lista, e ho anche accorpato fra loro le varianti linguistiche di uno stesso termine (nigga, niggas, niggaz li ho uniti sotto nigga). Ecco i risultati così rielaborati: queste 14 parolacce, da sole, rappresentano quasi l’85% di tutte le parolacce nelle canzoni.

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Insomma, un’indagine interessante. A quando un censimento del genere per le parolacce nelle canzoni italiane? Alcuni studi li ho fatti: li trovate in queste pagine.

Di questo post ha parlato IlGiornale.

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L’enciclopedia dei gestacci https://www.parolacce.org/2015/08/23/elenco-dei-gestacci/ https://www.parolacce.org/2015/08/23/elenco-dei-gestacci/#comments Sun, 23 Aug 2015 20:22:11 +0000 https://www.parolacce.org/?p=8177 Sono le offese più potenti, e non subiscono inflazioni: fanno sempre scandalo perché violano i tabù più forti. Anzi, li evocano in carne e ossa. Sono universali: abbattono le distanze fisiche e culturali, e li si capisce in ogni angolo del… Continue Reading

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Il cantautore Johnny Cash (che si esibì nelle prigioni) risponde così al fotografo Jim Marshall che gli aveva chiesto cosa pensasse delle autorità carcerarie (1969).

Sono le offese più potenti, e non subiscono inflazioni: fanno sempre scandalo perché violano i tabù più forti. Anzi, li evocano in carne e ossa. Sono universali: abbattono le distanze fisiche e culturali, e li si capisce in ogni angolo del mondo. Forse l’Italia è uno dei Paesi che ne ha (o ne usa) di più, eppure la cultura e la scienza non ne parlano: sono i gestacci, ovvero le parolacce espresse col corpo. Le parolacce senza parole: così possono dirle anche i muti e i sordi.
Avevo già parlato (in questo articolo) dei gesti insultanti in generale. Ora approfondirò i gesti osceni: più avanti in questa pagina trovate il primo elenco completo dei 18 gestacci italiani.

Questi gesti sono i più volgari perché violano i tabù più delicati: sesso ed escrementi, ovvero la vita e la morte, la salute e la malattia. Concetti che non possono essere mai innocui, ed è per questo che andrebbero espressi con cautela e timore riverenziale, non in modo diretto e greve come avviene con le parolacce e i gestacci. Ma perché usiamo questi gesti?
I segnali osceni, dice l’etologo inglese Desmond Morris nel libro “L’uomo e i suoi gesti”, possono avere due scopi:
1) esprimono complimenti o inviti sessuali: evocano atti o zone erogene, per sedurre un’altra persona o esprimere eccitazione, attrazione. E’ il caso di un uomo che fa un gesto sessuale spinto a una donna (o viceversa). Sono gesti “volgarmente amichevoli”: non hanno l’intenzione di offendere, ma sono sgradevoli e inopportuni perché il rapporto fra le due persone non ha raggiunto il grado d’intimità in cui quel gesto sarebbe accettabile; e risulta ancora più offensivo se fatto in pubblico;
2) esprimono insulti: si usa il segno più sporco, più tabù possibile come forma simbolica di attacco. Invece di colpire l’avversario, lo si insulta con un gesto sessuale. Questo accade anche fra i primati: anche loro mimano atti sessuali come gesti di minaccia. Per esempio, le scimmie maschio arrivano a mimare la posizione di monta verso un altro maschio per trasmettergli questo messaggio: “Poiché solo un maschio dominante può montare una femmina, se io monto te allora tu devi essere mio inferiore”. Dunque, gli atti sessuali, anche fra gli animali, hanno il senso di auto-affermazione anche in situazioni non sessuali. “E oggi non rappresentano più la preminenza maschile, ma sono un’espressione di superiorità per entrambi i sessi”, osserva Morris. Se guardate le foto di questa pagina, ricche di presenze femminili, ne trovate un’eloquente conferma.

“Un gesto vale più di mille parole. E un gestaccio? Più di mille parolacce”.parolacce.org

ALLE ORIGINI DEL LINGUAGGIO
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Campagna promozionale Snai (scommesse): gioca sul gesto che significa “avere culo”.

Ma questi gesti sono innati oppure no? Spesso riproducono una parte anatomica o un atto sessuale in modo realistico, immediato, corporeo, tanto che gran parte di questi gesti sono diffusi in molti Paesi e comprensibili anche fra chi parla lingue diverse. Diversi, però, sono frutto di convenzioni culturali, e perciò possono essere decodificati solo in una nazione o regione geografica. Di sicuro, molti di questi gesti sono antichissimi: quello del dito medio, per esempio, è noto fin dai tempi degli antichi Greci, non è affatto un’invenzione angloamericana. Di recente, alcuni ricercatori del Cnr e dell’Università di Milano Bicocca hanno fatto una ricerca sulla comprensione di 187 gesti spontanei (ok, vieni qui, guarda qui…): sono giunti alla conclusione che questi gesti siano una via di mezzo fra il linguaggio corporeo emozionale (la mimica neurofisiologica del corpo quando, per esempio, proviamo disgusto, noia o gioia) e il linguaggio formale dei segni, come quello usato dai non udenti. In pratica, i gesti avrebbero aiutato l’uomo a passare dall’espressione “istintiva” delle emozioni a un linguaggio più simbolico. Peccato, però, che la ricerca non abbia esaminato i gestacci.

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Campagna dell’Università di Macerata: il gestaccio contrappone la maleducazione all’educazione. Ma rischia di far perdere autorevolezza all’ateneo.

Ma perché sono tanto usati? Innanzitutto perché sono molto più immediati rispetto alle parole e spesso sono usati in aggiunta alle parole, per rafforzare un concetto attraverso il corpo: anzi, i gesti danno l’impressione di una maggiore spontaneità e intensità emotiva rispetto alle parolacce dette a voce. Danno corpo alle offese, le fanno “incarnare”. E poi perché permettono di comunicare anche a grandi distanze: laddove la voce non arriva, i gesti sono visibili. Ecco perché molti di questi gesti sono usati in manifestazioni sportive, proteste di piazza, oppure nel traffico cittadino. E, data la loro immediatezza, possono essere usati per insultare persone che non parlano la propria lingua.
Dunque, un patrimonio enorme, del quale però non si trova un catalogo completo sul Web: ecco perché ho deciso di radunarli tutti (ne ho trovati 18), anche per verificare se siano conosciuti a tutte le latitudini.
Dato che molti di questi gesti sono osceni e palesemente volgari, i lettori più sensibili sono avvisati: potrebbero trovare offensivo il contenuto di questo articolo. Ma non bisogna dimenticare un fatto, come acutamente dice Morris: “Nessun gesto, per quanto brutale possa essere la sua oscenità o lascivo il suo significato, ha mai fatto versare una goccia di sangue ad alcuno. Anche se a volte possono provocare una rappresaglia, i gesti osceni sono essenzialmente sostituti dell’aggressione: riti in miniatura, che si sostituiscono all’attacco fisico”. E scusate se è poco.

GLUTEI

paura

HAI PAURA, EH?!?

Il gesto della mano (con le dita che si uniscono e si separano ripetutamente di pochi centimetri) riproduce la strizza, ovvero lo spasmo dello sfintere anale quando si prova paura. E’ un gesto sprezzante e provocatorio: al posto di provare compassione verso chi è in difficoltà, lo si deride per la sua fragilità.

 

 

 

 

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TI FACCIO UN CULO COSI’!

Le mani riproducono la forma del deretano, o più probabilmente dello sfintere: per minacciare una sodomizzazione violenta. Ma può anche darsi che il gesto riproduca l’atto di afferrare un’altra persona per il bacino, mimando una presa da dietro. In ogni caso, come molti gesti osceni, è un gesto di minaccia di monta.

 

 

 

 

 

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CHE CULO CHE HAI!

L’origine del gesto è simile a quello precedente, ma con tutt’altro significato: in italiano, “avere culo” equivale ad “avere fortuna”. Perché i glutei sono simbolo di fecondità, come spiegavo in questo post, e la fecondità è stata sempre associata a felicità e buona sorte.

 

 

 

 

 

 

moon

BECCATI QUESTO!

Mostrare i glutei (nudi, o anche coperti da vestiti) è una forma di insulto: equivale a dire “Defeco su di te”, “Lancio un peto verso di te”, oppure “Baciami i glutei”, come forma di disprezzo e sottomissione. E’ un gesto usato anche come scherzo (memorabile una scena del genere nel film “Amici miei”) o come forma di protesta irridente e provocatoria nelle manifestazioni di piazza. In inglese questo gesto è chiamato “mooning” perché moon (luna) può significare anche sedere.

 

 

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PRRRRRRRRR!!!

La pernacchia riproduce il rumore di un peto: ecco perché l’ho inserita fra i segnali che riproducono i glutei anche se è un gesto fatto con il volto. Fare una pernacchia a qualcuno equivale a fargli un peto addosso: un gesto irriguardoso e di disprezzo, equivalente al precedente.

 

 

 

 

 

SENO

bocce

DUE TETTE COSI’

Le mani davanti al petto evocano le forme del seno, di solito in modo esagerato. E’ un complimento enfatico: “ha due tette/bocce/poppe/zinne così!” (come nel celebre sketch di Carlo Verdone, qui a lato). Esiste anche un altro gesto che si riferisce al seno: quello che imita l’atto di palparle, mettendo le mani con le palme rivolte verso l’esterno mentre si aprono e si chiudono.

 

 

 

SEGNI FALLICI

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VAFFANCULO! (Shutterstock)

Il dito medio è il simbolo fallico per eccellenza. E’ uno dei gesti più popolari, offensivi e più antichi: è citato già in una commedia del greco Aristofane (V secolo a.C.), e i Romani l’avevano ribattezzato “digitus impudicus“. Il suo significato è duplice: può voler dire “sto cazzo” (ovvero: non mi importa di te e di quello che dici), oppure è una minaccia simbolica di sodomizzazione (vaffanculo). Un gesto di scherno eloquente.
Il gesto si è così diffuso che negli ultimi anni è stato usato anche dai politici (di destra, di sinistra, di centro) per controbattere ai contestatori: Umberto Bossi, Daniela Santanché, Piero Fassino, Silvio Berlusconi, Roberto Formigoni, Mario Borghezio, Maurizio Gasparri sono solo alcuni di quelli che l’hanno esibito in pubblico. In inglese è chiamato “the finger“, e il gesto è detto “flipping the bird” (lanciare l’uccello: in origine l’espressione designava l’atto di richiamare l’attenzione di qualcuno fischiando come un uccello). Nei Paesi arabi, il gesto è fatto con il palmo rivolto a terra, il dito medio piegato verso il basso e le altre dita tese. In Italia abbiamo l’unica o certamente la più famosa scultura dedicata al dito medio: L.O.V.E. (acronimo di Libertà, Odio, Vendetta, Eternità) di Maurizio Cattelan, di fronte alla Borsa di Milano. Nella foto, Asia Argento sfancula i fotografi al Festival di Cannes nel 2013.

 

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TIE’!

Il gesto equivale al precedente, sia come significante (al posto del dito si usa l’avambraccio, e il pugno chiuso rappresenta la punta del pene) che come significato: significa “vaffanculo”, “prendi questo” (spingo il braccio più in fondo possibile nel tuo deretano). E’ chiamato “gesto dell’ombrello” perché ricorda la postura di quando si tiene un parapioggia agganciato al braccio.In Francia (chissà perché) è chiamato bras d’honneur, braccio d’onore, in Spagna corte de manga, taglio di manica, in Portogallo manguito (polsino) e in Brasile dar uma banana (dare una banana). Il gesto è stato reso celebre dal film “I vitelloni” di Federico Fellini: Alberto Sordi rivolge il gesto a un gruppo di operai stradali (“lavoratori della mazzaaa”) per sbeffeggiarli, passando accanto a loro con un’auto. Ma dopo pochi metri la vettura si ferma per un guasto, e Sordi – insieme ai suoi amici – viene malmenato dagli operai. Nella foto a lato, il gesto dell’ombrello fatto da Mara Maionchi.

 

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UN UCCELLO COSI’

E’ un gesto simile al precedente, ma con un significato diverso: non è una minaccia di sodomizzazione, quanto un’esibizione (esagerata) di potenza sessuale, esagerando le dimensioni del membro. Una delle ossessioni maschili, che può essere usata sia in modo esibizionista che ironico: basti ricordare il musicista italoamericano Frank Zappa, che nel 1982 ha composto una canzone intitolata “Tengo ‘na minchia tanta” (fra le strofe: “devi usare un pollo se me la vuoi misurar”).

 

 

 

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CHE PALLE! / DUE PALLE COSI’

Il gesto enfatizza una sensazione di forte noia, fastidio, insofferenza: come raccontavo in questo articolo, evoca la fastidiosa saturazione dei testicoli dovuta a prolungata astinenza sessuale, oppure l’orchite (ingrossamento patologico dei testicoli).

 

 

 

 

 

 

 

 

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TIRA FUORI LE PALLE! / HO LE PALLE

Il gesto evoca i testicoli come fonte e simbolo di virilità. E’ un modo enfatico di alludere alla propria forza, o un modo provocatorio di spingere qualcuno a “tirar fuori gli attributi”. Ma toccarsi i testicoli può avere anche un altro significato: quello di gesto apotropaico, per scacciare la mala sorte (come raccontavo sempre qui). Perché si ritiene che la loro “forza vitale” possa allontanare gli influssi maligni.
La foto a lato è la locandina del film “Uova d’oro” di Juan Bigas Luna (1993).

 

 

 

MALEDIZIONI

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VAFFANCULO!

Il gesto consiste nel muovere le braccia in avanti, come per scacciare via qualcuno o scagliargli addosso una pietra: il gesto contraddistingue il “vaffanculo” (come fa Vittorio Sgarbi nell’animazione a lato), del quale ho raccontato il significato qui. Ma il gesto può rafforzare anche gli insulti: come il celebre “Capra! Capra! Capra!” di Sgarbi, che accompagna l’offesa coi gesti delle braccia, come per scagliare un oggetto contro un avversario (video visibile qui).

INSULTI A SFONDO SESSUALE

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CORNUTO!

Gesto tipicamente italiano, è un’irrisione nei confronti di un uomo tradito dalla propria partner. Le corna evocano il caprone, un animale indifferente al fatto che la sua femmina sia montata da altri (come raccontavo in questo articolo). Le corna sono un gesto simbolico con più significati: dato che le corna sono un attributo tipico di molti animali forti (come il toro), esse hanno anche significato di potenza. Ecco perché sono usate anche (se rivolte verso terra) come gesto apotropaico per scacciare le influenza negative, la malasorte.

 

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RICCHIONE! (Shutterstock)

L’origine di questo gesto – un insulto verso gli omosessuali – è controversa. Secondo alcuni, riproduce il gesto effeminato di passarsi una mano fra i capelli dietro l’orecchio. Ma è più probabile che sia un calco allusivo al termine spagnolo spregiativo maricòn (omosessuale: accrescitivo del nome Maria), da cui il termine napoletano “ricchione” (e l’italiano “orecchione”). Napoli, infatti, fu sotto il dominio spagnolo per oltre due secoli. Oggi il gesto è considerato un gesto molto “politicamente scorretto”, viste le lotte per la dignità degli omosessuali che contraddistinguono la nostra epoca.

 

SEGNI VAGINALI

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VULVA! (foto Paola Agosti)

Il gesto evoca la forma della vulva: è stato portato in auge dai movimenti femministi negli anni ’70 come modo provocatorio di ribadire l’identità e l’orgoglio femminile. Ma mostrare la vulva è un gesto ben più antico e con risvolti magici, come raccontavo in questo articolo. Il gesto può essere fatto anche con le mani rivolte verso il basso.

 

 

ATTI SESSUALI

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SCOPARE

Il gesto consiste nello spingere avanti e indietro l’avambraccio tenendo la mano a pugno: riproduce le spinte pelviche di un rapporto sessuale. Gesto molto volgare perché riduce il rapporto sessuale a un’azione meccanica. Il fotogramma a lato è tratto dal film “Italiano medio” di e con Maccio Capatonda.

 

 

 

 

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SEGA

La mano si muove su e giù mimando l’atto della masturbazione: spesso questo gesto (molto volgare), più che evocare l’atto in sè, è usato per sottolineare con fastidio una situazione molto noiosa e ripetitiva.

 

 

 

 

collage

SUCCHIA QUI!

E’ uno dei gesti più tabù: mima un rapporto orale, ed è usato spesso negli stadi come forma provocatoria di superiorità e di disprezzo nei confronti degli avversari. Nella versione maschile, spesso le mani mimano l’atto di tenere la testa della partner per avvicinarla al pube. In altri casi il rapporto orale è mimato direttamente con le mani che si avvicinano alla bocca aperta. Nella foto sono ritratti in azione una tifosa e il calciatore Zlatan Ibrahimovic.

 

Ringrazio l’attore Antonio Napoletano per essersi prestato a riprodurre queste pose imbarazzanti… ci siamo divertiti!

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Ha vinto solo una statuetta (per la migliore attrice non protagonista). Ma il film “The help” di Tate Taylor può consolarsi: l’Oscar 2012 della parolaccia è suo. L’ha scoperto il sito statunitense Dhreck.com, che ha fatto un lavoro strepitoso: ha esaminato i 9 film arrivati alla nomination per la miglior pellicola, e ha individuato tutte le frasi che contenevano insulti, imprecazioni, maledizioni. Ha contato tutte le parolacce, le ha isolate e le ha montate in un video unico. Un lavoraccio, con un risultato notevole: un divertente filmato che potete vedere qui sotto, una classifica (che pubblico fra qualche riga), e qualche riflessione

Partiamo dal filmato (in inglese): fa una certa impressione vedere un concentrato di 452 parolacce in poco meno di 8 minuti…

Ma vediamo la classifica dei 9 film più volgari (in ordine decrescente) che sono arrivati alla nomination per la miglior pellicola all’Oscar 2012:

Film (e Oscar* ricevuti) Genere e durata (in minuti) Parolacce

 

Frequenza (parolacce al minuto)
The Help – 1*

 

Commedia drammatica (146’) 106 0.72

 

Paradiso amaro (The Descendants)

Commedia drammatica (115’) 103 0.90

 

Midnight in Paris – 1*

Commedia, romantico, fantastico (94’) 58 0.61

 

Hugo Cabret (Hugo) – 5*

Avventura, fantasy, drammatico (126’)

 

46 0.37

 

L’arte di vincere (Moneyball)

Drammatico, biografico, sportivo (133’)

 

44 0.38

 

War Horse

Drammatico, guerra, storico (146’)

 

43 0.29

 

Molto forte, incredibilmente vicino  (Extremely Loud and Incredible Close)

Drammatico (129’) 31 0.24

 

The Tree of Life

Drammatico (139’) 12 0.086
The Artist – 5*

Drammatico, commedia, romantico (100’)

 

9 0.09

Dunque, un totale di 452 parolacce, con una media di 50,2 per film e una frequenza media di 0,41 al minuto per i 9 film finalisti. Tante? Poche?
Prima di rispondere, un dato sorprendente su tutti: la presenza di parolacce perfino in un film muto (“The artist“, il vincitore dell’Oscar per il miglior film). E non per errore: a parte le parolacce contenute nelle didascalie (i testi filmati fra una scena e l’altra, con le battute degli attori), l’estensore della classifica ha conteggiato – giustamente – anche i gestacci, in particolare il dito medio. E non solo per “The artist”, ma anche per altri film, come “Paradiso amaro”.

Dunque, la presenza di parolacce non è di per sè un ostacolo ad ambire a un Oscar: è così dai tempi di “Via col vento” (1939) che fece il pieno di statuette (8) pur contenendo alcune espressioni forti (per l’epoca), tanto da essere stato multato dall’Associazione dei produttori cinematografici Usa. Segno dei tempi, dunque, se tutti i film che sono arrivati alla nomination quest’anno contengono parolacce: e non poteva essere diversamente, dato che ormai da decenni le espressioni forti hanno fatto irruzione nel cinema, come nella tv e nella vita. Anche se la giuria sembra aver premiato dialoghi “puliti”. Ma sarebbe riduttivo fare l’equazione: più parolacce = meno Oscar. Ciò che conta, almeno si spera, è il valore artistico dei film in concorso: e le parolacce sono al servizio dei contenuti. Se servono a esprimere un determinato genere di emozioni (o di caratteri psicologici) sono pertinenti ed efficaci; altrimenti, esprimono solo… il vuoto di idee degli autori.

E ora qualche riflessione sul metodo usato da Dhreck. L’autore (un newyorkese di nome Dirk) ha identificato le parolacce basandosi non sugli studi linguistici, ma sulla propria sensibilità personale: non è un criterio sbagliato, ma può essere fallibile, in eccesso o in difetto. Ma Dirk ne è consapevole: egli stesso precisa, giustamente, che alcune scene, pur prive di termini tabù, risultano molto forti. Per esempio, nell’”Albero della vita” ci sono diverse scene in cui Brad Pitt si infuria, ottenendo un alto impatto emotivo pur senza dire molte parolacce.

Altra precisazione: il peso specifico delle parolacce, la loro “virulenza”. Sia “L’arte di vincere” che “Hugo Cabret” hanno più o meno lo stesso numero di parolacce (44 e 46), ma con intensità diverse: il primo ha parolacce più pesanti, più volgari e moderne, mentre il secondo (diretto a un pubblico di bambini) ha parolacce più innocenti e anche creative. Discorso diverso per “Paradiso amaro”, che per la sua trama drammatica non poteva non contenere parolacce ad alta intensità: è la storia di Matt King, marito indifferente e padre assente, che deve rimettere in discussione la sua vita quando la moglie entra in coma irreversibile per un incidente. Deve ricucire i rapporti con le figlie, e alla fine scopre che la moglie lo tradiva

Ma c’è una novità: stimolato dalle mie osservazioni, Dirk ha aggiornato la classifica con una scrematura più rigorosa, eliminando le espressioni spregiative fantasiose e limitando l’analisi alle parolacce in senso stretto. Ecco come cambia la classifica:

Film Parolacce in senso lato Parolacce in senso stretto
Paradiso amaro 103 79
The Help 106 30
L’arte di vincere 44 22
Molto forte, incredibilmente vicino 31 11
War Horse 43 11
Midnight in Paris 58 8
The Artist 9 2
The tree of Life 12 1
Hugo Cabret 46 0
Totale 452 164
Media 50,2 18,2

Non solo. Su mia richiesta, Dirk ha anche censito le parolacce più frequenti nei film, ottenendo una classifica piuttosto interessante (la versione integrale qui):

Parolacce Quantità  (% sul totale)
Shit (merda e composti) 28 (17%)
Fuck (fottere e composti) 27 (16,45%)
Damn (dannazione) 15 (9,1%)
Hell (inferno) 15 (9,1%)
Twat (figa/idiota) 15 (9,1%)
Nigger (negro) 8 (4,9%)
Ass (culo/stronzo/idiota) 7 (4,3%)
Christ (Cristo) 6 (3,7%)
Retard (ritardato) 6 (3,7%)
Bitch (puttana e composti) 5 (3%)

Dunque, prevalgono le parolacce classiche (shit e fuck), alcune retrò (damn, hell), ma non mancano espressioni molti forti (twat): in questo senso, “Paradiso amaro” è il film non solo a più alto tasso di parolacce, ma anche con la maggior presenza di espressioni forti.
Concludendo: le 106 parolacce di “The help” (o le 79, in senso stretto, di “Paradiso amaro”) sono tante o poche? Non sono certo un record: stando sui film candidati all’Oscar, “Crash” (2006) ne aveva 182. Se poi allarghiamo le statistiche anche ai film non candidati all’Oscar, trovate la classifica assoluta dei film più volgari della storia in questa pagina.
Se poi siete curiosi di sapere:

• quali sono state le prime parolacce nella storia del cinema (mondiale e italiano);

• la parolaccia più lunga della storia del cinema;

• la più originale;

• le parolacce censurate;

• le parolacce di Totò;

• le bestemmie nei film;

• gli studi sulle parolacce nella storia del cinema;

• le regole (italiane e anglosassoni) sulla classificazione dei film volgari…

… e molto altro ancora, trovate tutto sul mio libro.


 

 

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I mille nomi del pisello e della patata https://www.parolacce.org/2011/08/03/le-parole-del-sesso/ https://www.parolacce.org/2011/08/03/le-parole-del-sesso/#comments Wed, 03 Aug 2011 13:59:10 +0000 https://www.parolacce.org/?p=236 «Gli eschimesi hanno 50 parole per nominare la neve». Suggestivo, ma falso: e da poco, peraltro, si è scoperto che lo scozzese ne ha 421… Ma vi siete mai chiesti quante parole abbiamo in Italia per denominare gli organi genitali e i… Continue Reading

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«Gli eschimesi hanno 50 parole per nominare la neve». Suggestivo, ma falso: e da poco, peraltro, si è scoperto che lo scozzese ne ha 421… Ma vi siete mai chiesti quante parole abbiamo in Italia per denominare gli organi genitali e i rapporti sessuali?
Fate una stima: ottanta? Cento? Duecento parole? Fino a qualche giorno fa anch’io avevo solo un’idea vaga, perché – strano ma vero – nessuno ha mai fatto un calcolo preciso del nostro lessico sessuale. Perciò ho deciso di farlo io. E ho trovato un dato ancora più sorprendente di quello degli scozzesi: in italiano, le parole del sesso sono 3.163. Tremilacentosessantatre. Per avere un termine di paragone, quasi l’equivalente dei primi 4 canti della “Divina Commedia” (3.463 parole). Altro che neve!
Certo, i lessici della medicina e quello della giurisprudenza sono ancora più numerosi, ma sono pur sempre vocabolari specialistici: per impararli, occorre spendere anni di studio. Il lessico erotico, invece, è un patrimonio comune a tutti: non occorre una laurea per apprenderlo. Allora, i risultati di questo conteggio aprono nuove curiosità: perché tutta questa abbondanza di termini sul sesso? Che cosa ci rivelano, questi nomi, sul modo in cui viviamo e giudichiamo la sessualità?

Prima di rispondere, è doveroso raccontare con quale metodo ho fatto questo censimento. La fonte è stato il “Dizionario storico del lessico erotico” di Valter Boggione e Giovanni Casalegno (Tea/Utet). Un’opera che tiene conto di tutti, ma proprio tutti i termini sessuali usati in 8 secoli di letteratura italiana: dalle metafore alle allusioni, dai termini arcaici a quelli moderni, dagli eufemismi infantili ai termini scientifici, fino alle espressioni più volgari.

Una raccolta ricchissima: comprende anche gli appellativi usati verso gli omosessuali (finocchio, etc), che nella presente analisi non ho inserito perché incompleti: andrebbero uniti a quelli sulla morale sessuale (puttana) che però nel Dizionario non sono censiti. Così come i termini strettamente dialettali, cioè usati in una sola area geografica italiana (da bigolo a baggiuggiu fino a barbisa e spaccazza),  e i nomi gergali del sesso (ancora non entrati nell’uso comune, come pipilone o ciuffo: a loro ho dedicato un post). Dunque, se aggiungessimo anche tutte queste categorie, il lessico sessuale italiano potrebbe arrivare a quota 4mila espressioni, forse anche di più: difficile dirlo con certezza, perché manca una raccolta così completa.

Per chi vuole approfondire questo argomento, ne ho fatto una versione accademica pubblicata su “Antares“, rivista scientifica della facoltà di Lettere dell’Università di Caxias do Sul (Brasile). L’articolo – in italiano – si può leggere a questo link. Se invece volete approfondire quali sono le espressioni che descrivono il rapporto sessuale, cliccate su questo articolo.

Stando sui dati certi, che non sono pochi, facciamo qualche approfondimento. Quale ambito ha stimolato maggiormente la fantasia linguistica? Gli atti sessuali (1.147 termini), come emerge da questi grafici che ho elaborato (clic per ingrandire):

Tornando alla prima domanda: perché tutta questa abbondanza? Per tre motivi, che ho trattato più analiticamente nel mio libro:

1)    il sesso è fonte di piacere, ed è una delle pulsioni fondamentali dell’uomo. E’ una spinta verso la sopravvivenza, come per i Sami è fondamentale sapere che tipo di neve ci sia nell’ambiente, per potersi adattare… Inevitabile, quindi, che il sesso animi gran parte dei nostri pensieri e delle nostre emozioni.

2)    Il sesso implica una serie di ansie. E’ un campo tanto intimo e delicato da essere un argomento tabù: bisogna parlarne con cautela. Infatti il sesso può comportare figli illegittimi, incesto, gelosia, adulterio, abbandono, faide, abusi su minori, stupro, sfruttamento, malattie… Ecco perché va “maneggiato con cura”, anche dal punto di vista linguistico. E questa censura genera, per contrasto, un accanimento verbale per tentare di nominare l’innominabile, alludere, parlare in codice.

3)     il sesso è anche mistero, il mistero della vita, dell’energia vitale. E’ la spinta verso il futuro e l’eternità attraverso la riproduzione. Ecco perché in molte religioni il sesso è sacro: è considerato un modo per ricongiungersi al divino, e le rappresentazioni degli organi sessuali sono usati in riti propiziatori sulla fecondità (ancora oggi, le processioni con i ceri sostituiscono antichi simboli fallici). I nomi del sesso sono anche un tentativo di descriverlo, di dargli un’identità altrimenti sfuggente, attingendo ad altri campi della vita quotidiana (cibo, animali, oggetti….).

E veniamo ai nomi dei genitali. La loro abbondanza è diventata il tema di un esilarante monologo di Roberto Benigni:


E dire che l’antologia di Benigni è solo una piccola parte di questo vocabolario… Ma che cosa ci raccontano tutti questi termini? E quanti sono esattamente? Comprendendo tutti i termini della sfera genitale, abbiamo il quadro che potete vedere nei grafici qui sotto: 984 termini complessivi per la sfera sessuale maschile, 766 per quella femminile. Ho classificato a parte i 266 termini relativi ai glutei, perché possono essere una zona erogena sia maschile che femminile.

Limitandoci ai termini che designano il pene e la vagina, sono per 744 per il primo e 595 per la seconda. Qual è il motivo di questo primato linguistico? Un sintomo del maschilismo della nostra cultura, o semplicemente del fatto che i genitali maschili sono più evidenti e quindi più facili da descrivere? La questione resta aperta. Ma quali immagini usa la nostra lingua per descrivere i genitali? Vediamo…

SESSO MASCHILE

In italiano, il sesso maschile ha 2 record: è designato dal più alto numero di termini (se ne contano 744, escludendo i testicoli), ed è la parolaccia pronunciata più spesso, secondo la Banca dati dell’italiano parlato. Del resto, notava lo scrittore Italo Calvino, il termine cazzo ha un’espressività impareggiabile, non solo rispetto a tutti gli altri sinonimi, ma anche alle altre lingue europee. Tanto che, in italiano, è un vero jolly linguistico: può indicare stupidità, nullità e disvalore (cazzone, cazzata, cazzeggiare, minchione, minchiata, cappellata) ma anche il contrario, cioè potenza, abilità e valore (cazzuto). Serve a indicare ira e malumore (incazzarsi), noia e sconforto (scazzato); affari personali e problemi (cazzi miei), parte sensibile (rompere il c a z z o), approssimazione (a  c a z z o).

Una ricchezza del genere si spiega non solo con la sua evidenza esterna. Ma soprattutto con il suo significato simbolico: tra le scimmie, nota l’etologo Irenäus Eibl-Eibesfeldt, la monta è un segno di dominanza, così l’erezione è usata come minaccia simbolica.

Ma com’è descritto il sesso maschile?
E’ visto per lo più come un oggetto (44%: per lo più di uso domestico, come bastone o manico, ma sono numerose le espressioni che attingono alla guerra, vista l’aggressività dell’atto sessuale: clava, mazza). Numerose anche le metafore tratte dal mondo animale (15%: anguilla, uccello, proboscide) e dalle personificazioni (7%: amico, bambino fino a Walter, il termine inventato da Luciana Littizzetto) a indicare il fatto che è un membro “vivo”, che muta forma e consistenza.

Rilevante la quantità di nomi ironici, grotteschi o iperbolici sulla potenza o la dimensione del sesso, ossessione di tutti i maschi: sberla, calippo, pitone, missile, obelisco, sei quinti, torre di Pisa, maritozzo, pendolino delle 9:07, sardeon, sciupavedove, sventrapapere, vermicione e … tronchetto della felicità.

Ecco il dettaglio:

CATEGORIE Lemmi Esempi
Oggetti generici 31 Affare, arnese, malloppo, pacco
Oggetti di uso domestico 82 Bastone, candelotto, cazzo, manico
Agricoltura 31 Cavicchio, falce, pertica
Tessitura, abbigliamento 18 Fuso, manganello
Attrezzi da lavoro 34 Ferro, manovella, randello, mazza
Armi e guerra 45 Asta, archibugio, clava, mazza
Navigazione e pesca 13 Arpione, timone
Strumenti musicali 29 Batacchio, bischero, piffero
Religione 6 Cero, reliquia
Monete e preziosi 16 Fiorino, quattrino
Altri oggetti 22 Cric, menhir, pirla, scettro
327 (44%)
Luoghi 10 (1%) Lì, posto, San cresci
Architettura, edilizia 8 (1%) Campanile, colonna
Animali 3 Bestia
Uccelli 39 Canarino, fringuello, pipistrello, uccello
Pesci 13 Anguilla, pesce, cefalo
Rettili 11 Aspide, biscia
Equini 12 Asino, cavallo
Animali da caccia 4 Bracco, cane
Altri animali 22 Gatto, lepre, toro
Parti di animali 11 Becco, pene, proboscide
115 (15%)
Piante 23 Banano, pino, ramo
Frutti 21 Banana, melone, pannocchia
verdure 37 Carota, cetriolo, fava, pisello
Erbe e fiori 12 Bocciolo, giglio, papavero
93 (13%)
Parti del corpo umano 28 (4%) Braccio, gamba, naso, vena
Cibi 32 (4%) Biscotto, maritozzo, salsiccia, babà
Personificazioni 53 (7%) Amico, bambino, fra mazza
Termini astratti 42 (6%) Natura, pudende, sesso
Altre voci 36 (5%) Asso di bastoni, crescimmano, fallo, minchia
TOTALE 744

 

SESSO FEMMINILE

In molte lingue, è una delle parole più tabù: guai a nominarla. Come dimostra lo scandalo suscitato dallo spettacolo “I monologhi della vagina” della scrittrice Eve Ensler. E un sondaggio del 2004: il 73% delle donne Usa lo ritiene un argomento scioccante.

Ma perché il sesso femminile è più tabù di quello maschile? Stephen Pinker, psicologo della Harvard University (Usa) fa un’ipotesi: prima dell’avvento di assorbenti, carta igienica, bagni regolari e antimicotici, il sesso femminile evocava il rischio di contrarre malattie.

Le parole che designano il sesso femminile – in italiano sono 595, tra metafore e volgarità – manifestano anche lo sgomento e l’ammirazione di fronte a un sesso nascosto, misterioso, che racchiude il segreto della vita. Non a caso alcuni dei termini per designarla (grotta, scrigno, bosco) evocano questo aspetto.

Ma anche una visione maschilista, ha notato il premio Nobel Dario Fo in un saggio recente che ho presentato tempo fa: i termini spregiativi come fesso (da fessa, vulva), sorca (ratto), patacca (moneta di scarso valore) testimoniano la misoginia della Chiesa cattolica.

E come è descritto il sesso femminile?
I nomi mettono in rilievo la recettività e passività dell’organo femminile (designato nel 33% dei casi con oggetti, per lo più domestici), e lo qualificano come un elemento fisso: sostanzialmente, un luogo (23%). Poche, rispetto al sesso maschile, le personificazioni (bernarda, lei, sorella, Filippa, siora Luigia o Jolanda, creato sempre dalla Littizzetto) vista la sua “fissità”. Non mancano appellativi ironici, che manifestano il timore di malattie o di “rimanere invischiati” in un rapporto (trappola, tagliola), ma sono più numerosi quelli poetici (rosa) o affettuosi (paradiso, tesoro), con una venatura di mistero (grotta, scrigno).
Ecco il dettaglio:

CATEGORIE Lemmi Esempi
Oggetti generici 16 Cosa, mercanzia, essa
Oggetti domestici 49 Borsa, padella, pentola, potta, scodella
Agricoltura 11 Botte, sacco
Tessitura, abbigliamento 24 Ciabatta, pelliccia, tasca
Altri attrezzi 15 Gabbia, sfiatatoio, ventosa
Armi e guerra 14 Guaina, vagina, vulva
Caccia e pesca 10 Rete, tagliola, trappola
Barche 5 Barca, vela, gondola
Strumenti musicali 17 Chitarra, piva, zampogna
Religione 6 Altare, reliquie
Monete 5 Patacca
Altri oggetti 24 Gioia, tesoro
196 (33%)
Luoghi 148 (23%) Posto, varco, abisso, buco, fessa, bosco, caverna, valle, palude, giardino, tana
Architettura 63 (11%) Casa, capanna, solaio, porta, canale
Animali 25 (4%) Lumaca, passera, vongola
Vegetali 13 Lattuga, pucchiacca,
Fiori 6 Fiore, rosa, giglio
Alberi 13 Fico, pero, noce
Frutta e verdura 13 Fica, fragola, oliva, prugna
45 (8%)
Parti anatomiche 28 Bocca, coscia, grembo
ferite 3 Piaga
31 (6%)
Cibi 23 (4%) Brodosa, frittella, lasagna, gnocca
Personificazioni 13 (2%) Bernarda, filippa
Termini astratti 60 (10%) Centro, natura, pelosa
TOTALE 595

 

Diversi di questi termini sessuali, sia maschili che femminili, sono molto antichi: ecco perché già quasi 2 secoli fa aveva già celebrato questa ricchezza linguistica il poeta romano Gioacchino Belli (1791-1863) con 2 sonetti straordinari che qui meritano di essere ricordati:

 

 Er padre de li Santi

Er cazzo se pò ddí rradica, uscello,
ciscio, nerbo, tortore, pennarolo,
pezzo-de-carne, manico, scetrolo,
asperge, cucuzzola e stennarello.Cavicchio, canaletto e cchiavistello,
er gionco, er guercio, er mio, nerchia, pirolo,
attaccapanni, moccolo, bbruggnolo,
inguilla, torciorecchio, e mmanganello. Zeppa e bbatocco, cavola e tturaccio,
e mmaritozzo, e ccannella, e ppipino,
e ssalame, e ssarciccia, e ssanguinaccio.Poi scafa, canocchiale, arma, bbambino:
poi torzo, crescimmano, catenaccio,
mànnola, e mmi’-fratello-piccinino.E tte lascio perzino
ch’er mi’ dottore lo chiama cotale,
fallo, asta, verga, e mmembro naturale.Cuer vecchio de spezziale
disce Priàpo; e la su’ mojje pene,
seggno per dio che nun je torna bbene.
La madre de le Sante

Chi vvò cchiede la monna a Ccaterina,
pe ffasse intenne da la ggente dotta
je toccherebbe a ddí vvurva, vaccina,
e ddà ggiú co la cunna e cco la pottaMa nnoantri fijjacci de miggnotta
Dìmo scella, patacca, passerina,
fessa, spacco, fissura, bbuscia, grotta,
fregna, fica, sciavatta, chitarrina, sorca, vaschetta, fodero, frittella,
ciscia, sporta, perucca, varpelosa,
chiavica, gattarola, finestrella,fischiarola, quer-fatto, quela-cosa,
urinale, fracoscio, ciumachella,
la-gabbia-der-pipino, e la-bbrodosa.E ssi vvòi la scimosa,
chi la chiama vergogna, e cchi nnatura,
chi cciufèca, tajjola, e ssepportura.

In conclusione, resta solo un quesito aperto: tutta questa ricchezza linguistica è tipica solo dell’italiano? Certamente no. Anche in inglese, in francese, in spagnolo c’è una grande quantità di termini e metafore sessuali. Ma che io sappia manca ancora un censimento rigoroso: quando ci sarà, vedremo chi ce l’ha più lungo (l’elenco!).

Hanno parlato di questo post:

  • La trasmissione “Mine vaganti” su Radio 24,  condotta da Federico Taddia: un’intervista che potete ascoltare (dal minuto 10:15) cliccando qui.
  • Una pagina de “Il Giornale” con un articolo di Massimo M. Veronese che potete leggere qui.
  • Un articolo de “Il Foglio” che potete leggere qui.
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