chat | Parolacce https://www.parolacce.org L'unico blog italiano di studi sul turpiloquio, dal 2006 - The world famous blog on italian swearing, since 2006 - By Vito tartamella Sun, 19 Apr 2020 14:41:47 +0000 it-IT hourly 1 https://www.parolacce.org/wp-content/uploads/2015/06/cropped-logoParolacceLR-32x32.png chat | Parolacce https://www.parolacce.org 32 32 Insultare con gli emoji https://www.parolacce.org/2019/01/29/dizionario-parolacce-emoji/ https://www.parolacce.org/2019/01/29/dizionario-parolacce-emoji/#comments Tue, 29 Jan 2019 07:07:47 +0000 https://www.parolacce.org/?p=15189 Dobbiamo farcene una ragione: per gli emoji è finita l’età dell’innocenza. Melanzane, pesche, manine, spruzzi… non sono più immagini candide. Le volgarità, infatti, sono sbarcate anche nelle icone che condiscono le nostre comunicazioni su WhatsApp, Facebook e gli altri social.… Continue Reading

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Cosa vogliono dire queste due frasi? Lo scoprite in fondo a questo articolo.

Dobbiamo farcene una ragione: per gli emoji è finita l’età dell’innocenza. Melanzane, pesche, manine, spruzzi… non sono più immagini candide. Le volgarità, infatti, sono sbarcate anche nelle icone che condiscono le nostre comunicazioni su WhatsApp, Facebook e gli altri social. E si stanno diffondendo anche nel mondo reale: una catena di abbigliamento svizzera, Talli Weijl, ha lanciato una campagna per jeans che valorizzano il “lato B” usando l’emoji della pesca e lo slogan “Bottoms up!” (“In alto le chiappe!”). L’emoji della pesca, infatti, è usata anche come simbolo del deretano.
E’ un bene? Un male? E comunque: funzionano? Come vedremo in questo articolo sì e no. Ma il dado è tratto: oltre a dirle a voce, per iscritto, coi gesti, le parolacce hanno trovato un canale espressivo anche in questi simboli. In questo articolo ho ricostruito il primo dizionario delle parolacce con gli emoji. Sia quelle già codificate che quelle possibili con le icone disponibili oggi.

Ma perché è stata necessaria questa rivoluzione? Nelle chat digitali, il poco spazio a disposizione per digitare le frasi rende difficile esprimere le proprie emozioni. Tanto che spesso nascono grandi fraintendimenti: Giorgio dice una frase per scherzo, Silvia non lo capisce, si offende e reagisce insultando, e la frittata è fatta.
Gli equivoci sono inevitabili nella comunicazione che avviene attraverso uno schermo, la cosiddetta “computer mediated communication”. Perché è una comunicazione molto più povera: si è accertato che, quando comunichiamo di persona, le parole veicolano solo il 7% dei significati. Gran parte del senso (il 55%) lo esprimiamo invece con il corpo, ovvero attraverso i gesti e soprattutto le espressioni del viso; e il restante 38% con la voce: tono, volume e ritmo. Insomma, la  “comunicazione non verbale” esprime più di quella verbale.

I 3 segni fondamentali

Gli emoji specifici per le parolacce (montaggio foto Shutterstock).

Emoticon ed emoji sono nati nel tentativo di colmare questa lacuna, ovvero per aggiungere il colore emotivo ai messaggi di testo. E quando si parla di emozioni, non potevano mancare le parolacce, che sono il linguaggio delle emozioni forti: esprimono rabbia, sorpresa, gioia, disgusto, aggressività. Eppure, nonostante tanti anni di onorato servizio degli emoji (ho raccontato quest’altro articolo la loro lunga storia), ne sono stati creati soltanto 3 specifici per le volgarità. Li vedete nella foto: sono il dito medio, la cacca e una faccina che impreca. In quest’ultimo emoji, però, le parolacce sono censurate dai segni grafici &$!#%: quindi, non è una vera parolaccia ma un eufemismo generico.
Tre icone sono davvero poche, ma rappresentano comunque una scelta significativa: sfanculare, mandare a quel paese (“maledire”, come raccontavo in questo articolo) e insultare (cioè dire a qualcuno che è una cacca, insulto che hanno imparato spontaneamente persino le scimmie, come raccontavo qui) sono funzioni basilari del linguaggio. Per questo rientrano nel nostro vocabolario essenziale, al pari del “ciao” e del “ti voglio bene”.
E infatti questi emoji sono diventati di uso comune, anche al di fuori dei display dei cellulari.

La campagna di WaterAid con gli emoji della cacca.

Oltre alla campagna di Talli Weijl che raccontavo all’inizio, un’associazione no profit di New York, “Water aid” (impegnata a fornire acqua pulita alle nazioni povere) ha lanciato una raccolta fondi con lo slogan “#give a shit”, “dai una merda”. In inglese, infatti, “don’t give a shit” significa “non fregarsene un cazzo, non cagare”. Qui, invece, bisognava fare il contrario: interessarsi alla causa ambientale, e sostenerla comprando una serie di emoji con l’immagine della “cacca” in varie versioni (con cappello, occhiali, pizza e quant’altro).
Di recente, il tribunale di Verona ha condannato un politico che aveva pubblicato su Facebook l’icona della cacca per replicare a un rivale. Dunque, gli emoji sono entrati nelle nostre abitudini al punto che anche la magistratura ne tiene conto come possibili fonti di reato (diffamazione).
In ogni caso, queste 3 immagini sono del tutto insufficienti per eguagliare l’abbondante carnet di volgarità offerto dal vocabolario

Oscenità

 

La finta confezione di profilattici all’aroma di melanzana.

E’ per colmare questa lacuna che, nel frattempo, altri innocenti emoji hanno iniziato ad acquisire significati volgari, soprattutto in campo sessuale, che è poi una delle fonti principali del turpiloquio.
Le icone qui sotto sono usate in campo internazionale, a eccezione  di quelle per il seno (pere e meloni) e per l’uccello, che hanno un uso limitato all’Italia.
La melanzana, in particolare, ha preso piede negli Usa e nel Regno Unito come simbolo fallico: al punto che la Durex  ha annunciato la creazione di una linea di profilattici all’aroma di melanzana… In realtà era uno scherzo provocatorio (vedi qui): la Durex ha cavalcato la popolarità dell’emoji della melanzana, per chiedere al consorzio Unicode di creare l’emoji del profilattico. Un modo, dicono, per tener desta l’attenzione sulla prevenzione delle malattie a trasmissione sessuale. (Grazie a Licia Corbolante per la segnalazione).

pene (cazzo) uccello
simboli fallici

testicoli

(palle)

glutei

(culo)

seno
(tette, pere, meloni)
vulva
(figa)
rapporto orale reciproco (69: l’immagine, in realtà, è il segno zodiacale del cancro)
sperma, orgasmo, eccitazione
(sborra, vengo)


E qualcuno si è spinto oltre, usando le combinazioni di più icone per alludere a determinati atti sessuali: 

rapporto sessuale
(scopare, fottere)
rapporto orale (“suca”)
masturbazione
(sega)

Insulti

La campagna di Talli Weijl con gli emoji della pesca a indicare il sedere.

L’uso volgare di queste immagini si sta diffondendo sui social. Sono usate non solo per insultare, ma anche come linguaggio ammiccante in senso erotico. Ma è un uso scivoloso: se li riceve una persona che non gradisce approcci “piccanti”, rischiano di diventare una forma di molestia sessuale. Bisogna fare molta attenzione quando li si usa.
Ma le potenzialità degli emoji non si limitano all’aspetto osceno. Diverse immagini, infatti, possono essere usate come insulti: ho passato in rassegna le icone disponibili per i principali social, e ne ho trovate diverse che si prestano a un uso offensivo.
Eccole: se si escludono le icone di gay, maiale, peto e toilette, usate a livello internazionale, tutte le altre hanno un uso limitato all’Italia.

buffone
pagliaccio
cornuto
ricchione, frocio
pollo, gallina
serpe
porco
ratto, topo di fogna
coniglio
scoreggia

(di per sè l’immagine indica la velocità, la fretta)

cesso

Modi di dire

Il poster del film “Deadpool”: un rebus con gli emoji (DEAD-POO-L).

Molte di queste sono già entrate nell’uso, mentre altre ne hanno il potenziale: bisogna vedere se e quanto si diffonderanno. Intanto, però, alcuni si sono spinti a un uso ancora più complesso degli emoji, utilizzandoli per comporre dei veri e propri rebus. E’ il caso di una campagna pubblicitaria per il film “Deadpool“, un supereroe Marvel molto sopra le righe. Il nome del protagonista è stato reso con l’emoji di un teschio (“dead”, morto) e della cacca (“poo”), con l’aggiunta della “L”.
Non è l’unico caso attestato: negli Stati Uniti, infatti, si sta diffondendo l’uso di rendere l’insulto “bastardo” affiancando 3 icone: una famiglia (mamma, papà, bimbo), un cartello di divieto seguito da un anello. Come dire: quel bambino è nato da una relazione fuori dal matrimonio (i figli bastardi erano appunto quelli nati da una famiglia non ufficiale).
Così ho pensato di proseguire in questa direzione, vedendo quali composizioni fossero possibili per alcuni modi di dire in italiano. Ecco che cosa ho trovato:

bastardo
sei una merda

6

1

vai a cagare
vaffanculo

FAN

chiavare
mortacci tua

TUA

scorreggia
testa di cazzo

DI

faccia di merda

DI

leccaculo
rompere le palle

ROM

LE  

Un’arma attenuata

Poster del film “The emoji movie” (2017). Qui l’emoji della cacca dà vita al rebus “shit happens”, ovvero: le disgrazie succedono.

Ma una comunicazione simile funziona, è efficaceAl di là del loro significato simbolico, il tratto di questi disegni dà un aspetto infantile ai messaggi, e questo depotenzia la loro carica offensiva. E’ come dire “cacchio” al posto di “cazzo”. E questo, in alcuni rapporti personali, potrebbe essere un vantaggio: usare un emoji invece di un insulto verbale potrebbe attenuarne l’impatto. Bisogna ricordare che questi simboli sono ratificati dal Consorzio Unicode che ha sede negli Stati Uniti, dove la sensibilità puritana verso i “contenuti espliciti” è alta.
Al tempo stesso, però, l’interpretazione di questi disegni è libera, quindi possono essere letti anche attraverso il registro basso: melanzana = cazzo.
In ogni caso, anche se fossero disegnati con un tratto più realista, restano comunque un’arma poco efficace per un altro motivo: dobbiamo ancora familiarizzare con questi simboli. Le parolacce e i gestacci, invece, sono sedimentati per secoli nel nostro cervello e quindi suscitano in noi una reazione immediata, come raccontavo
qui.
In più, queste icone mantengono una grande ambiguità: dicono e non dicono. Non è facile anche per noi interpretare le emozioni che stiamo provando: e le faccine sono uno strumento solo parziale per esprimerle. Delle mie emozioni possono dare solo un’idea vaga e approssimativa.
Infine, quando gli emoji sono costruiti come rebus diventano simili ai tarocchi: una serie di immagini enigmatiche da decifrareDunque, può afferrarne il senso solo chi già le conosce, chi è in qualche modo alfabetizzatoSolo se queste icone saranno usate regolarmente nelle conversazioni digitali, il loro significato sarà citato nel loro elenco ufficiale (quello del consorzio Unicode) e verrà condannato il loro uso, allora potranno acquisire la forza espressiva delle parolacce. Già in Arabia Saudita inserire l’emoji del dito medio è considerato un reato e come tale punito. Per metabolizzare tutte le altre, dovremo aspettare qualche annetto.

AGGIORNAMENTO

Il Consorzio Unicode ha appena annunciato l’esordio di 59 nuove emoji (Emoji 12.0), che saranno disponibili dal prossimo marzo. Non ce n’è nessuna che abbia attinenza con le parolacce. Ma ce n’è una che, probabilmente, sarà usata in senso malizioso: quella della “piccola quantità” resa col gesto della mano in cui pollice e indice mimano un oggetto piccolo.  Basta aggiungere questa icona a quella della melanzana (o della banana) ed ecco coniato l’insulto sulle dimensioni ridotte del sesso maschile:

 

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Dare dell’idiota è reato? Guida pratica sugli insulti e la legge https://www.parolacce.org/2018/04/24/come-fare-su-insulti-e-denunce/ https://www.parolacce.org/2018/04/24/come-fare-su-insulti-e-denunce/#comments Mon, 23 Apr 2018 22:05:22 +0000 https://www.parolacce.org/?p=14042 «Ho scritto che in quel ristorante si mangia malissimo, che cosa rischio?». «Se mi chiamano “uomo da niente” posso denunciare?». «Si può dare del “razzista” a qualcuno?». Questo è solo un piccolo assaggio dei quesiti che mi sono arrivati da… Continue Reading

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I giudici valutano l’offensività di un insulto (montaggio foto Shutterstock).

«Ho scritto che in quel ristorante si mangia malissimo, che cosa rischio?».
«Se mi chiamano “uomo da niente” posso denunciare?».
«Si può dare del “razzista” a qualcuno?».
Questo è solo un piccolo assaggio dei quesiti che mi sono arrivati da quando ho scritto un articolo  sulla riforma del reato di ingiuria. In poco più di 2 anni, quell’articolo è diventato uno dei più letti di questo blog. Il che è sorprendente: questo non è un sito giuridico, ma di linguistica.
Ma la sorpresa più grande è stata un’altra: pur avendo ribadito a chiare lettere che non sono un avvocato né un giurista, più di 320 lettori di tutta Italia mi hanno scritto per chiedermi un parere sugli insulti, fatti o ricevuti, su Facebook, Whatsapp, Twitter, ma anche in condominio, in ufficio, in famiglia o al bar.
Erano tutti quesiti accorati: esprimono emozioni forti (angoscia, risentimento, offesa, umiliazione, imbarazzo) che non possono lasciare indifferenti. E, soprattutto, possono portare le persone in tribunale: le leggi puniscono con multe salate e perfino col carcere chi offende con l’arma della parola. Ma a volte le sentenze vanno contro le aspettative, condannando parole apparentemente inoffensive e tollerando espressioni anche forti.
Dunque, quando conviene denunciare un insulto? Come si fa? Cosa rischia chi ne scrive uno su Facebook o Whatsapp?  

Questo genere di domande mi sono arrivate a ritmo incalzante, raccontando frammenti di vita vissuta: il maggior numero di richieste sono arrivate da persone preoccupate di essersi lasciate sfuggire un insulto. Così mi sono informato per cercare di dare risposte plausibili.
In questo post ho deciso di riassumere i 14 casi più frequenti, radunandoli in un prontuario con la formula domande e risposte. Insomma, le FAQ… sul fuck.
Spero che vi siano utili, e ricordate il consiglio dei consigli: gli insulti scritti su sms, email, Whatsapp, Facebook, chat, Tripadvisor restano per sempre, e possono essere usati contro di voi. Quindi, fate sempre attenzione a cosa scrivete!!

[ clicca sul + per aprire le risposte ]

La legge punisce sempre le parolacce?

Anche gli insulti virtuali feriscono (foto Shutterstock).

No. Ci sono diverse eccezioni:

  1. quando gli insulti sono reciproci: in tal caso i giudici tendono a dar torto ad ambo le parti che si sono insultate
  2. se gli insulti sono la reazione a un torto subìto, ma a due condizioni: che si reagisca subito, a caldo (non il giorno dopo), e se si può dimostrare di aver davvero subìto un torto
  3. quando si impreca, cioè si esplode con espressioni di rabbia o dolore che non sono indirizzate a una persona particolare (“e che cazzo!”, “porca troia!” e simili). Fanno eccezione le bestemmie e le offese contro i defunti: entrambi i comportamenti sono puniti con una sanzione pecuniaria, cioè un’ammenda (da 51 a 309 euro)
  4. quando si dicono parolacce per goliardia, per far ridere: ad esempio, uno spettacolo con canzoni volgari (ma solo se dal vivo; in tv lo si può fare solo fuori dalle fasce orarie protette).

 Tutte le parolacce sono offensive/perseguibili?

Non è detto. Diversi insulti lo sono (stronzo, testa di cazzo), ma alcuni (come rompicoglioni, ad esempio) non sono stati sanzionati dai tribunali.
E’ importante ricordare che i giudici, per valutare l’offensività di una parola, non si limitano a esaminare la parola in quanto tale, ma danno un peso anche al contesto in cui viene detta: per quale motivo e con quale intenzione è stata detta quella parola (con astio, livore, aggressività, ironia…)? In quale ambiente (a casa, per strada, al bar, su Facebook)? Davanti a quali e quante persone? A chi (un’autorità, un superiore, un sottoposto, un vicino di casa…)? Ciascuno di questi elementi può appesantire ma anche alleggerire lo stesso insulto: a volte si può dire “va a cagare” anche con ironia o affetto.

Si può offendere anche senza dire parolacce?

Sì. Dare del “maleducato”, o del “ladro”, sono offese che i giudici hanno condannato in diverse sentenze. Anche se non sono parolacce. Ciò che conta è il contenuto offensivo di una frase: ovvero, se si sminuisce una persona nella sua interezza o in un comportamento grave, che pregiudica pesantemente l’immagine di una persona.

Le offese sui social (Facebook, Twitter, Whatsapp, Tripadvisor, Youtube) sono più gravi rispetto a quelle dette di persona?

Sì, perché di solito i giudici considerano gli insulti sui social una forma di diffamazione, che prevede pene più pesanti rispetto all’ingiuria pronunciata di persona (che ora non è più un illecito penale ma solo civile: si procede solo su denuncia dell’interessato, che va fatta presso un giudice di pace o un tribunale civile).

E’ sempre giusto denunciare chi ti ha insultato?

I diverbi per il traffico accendono passioni forti (foto Shutterstock).

In teoria sì, ma non sempre è opportuno o ne vale la pena. Bisogna soppesare diversi fattori:

  1. di soldi: fare causa implica rivolgersi a un legale, e questo comporta spese che bisogna mettere in conto di sostenere. E se chi vi ha offeso è nullatenente, in caso di condanna non pagherebbe nulla.
  2. di tempo: prima di arrivare a una sentenza possono passare 1-2 anni. E spesso il tempo guarisce le ferite delle offese.
  3. prove: avete prove solide (documenti, registrazioni, testimoni) per dimostrare che avete subìto un torto? Potete dimostrare anche che avete subìto un danno?
  4. di opportunità: vale davvero la pena denunciare chi vi ha offeso? Se rischiate di peggiorare il clima di ostilità, no. La denuncia in tribunale è una carta pesante, da giocare quando non ce ne sono di migliori: se vivete in un condominio, avete prima tentato di risolvere i litigi rivolgendovi all’amministratore? Se i dissidi nascono a scuola o in ambiente di lavoro, avete raccontato tutto al preside/al direttore? A volte un intervento dall’alto può sbloccare una situazione. Come, a volte, funziona anche ignorare un insulto: una persona fastidiosa, se vede che i suoi insulti non hanno effetto, dopo un po’ smette di offendere. Come dice il proverbio, “raglio d’asino non arriva in cielo”. Sui social è molto semplice: basta cancellare una persona fastidiosa dalla propria rubrica.

Tutte le critiche sono perseguibili?

No: bisogna sempre distinguere le critiche dagli insulti. La critica è un diritto che abbiamo tutti: la nostra Costituzione garantisce la libertà di espressione, comprese le critiche. La critica è un giudizio negativo nei confronti di un comportamento specifico. In pratica, siamo liberi di criticare, a due condizioni: che argomentiamo la nostra critica (cioè spieghiamo i motivi per cui critichiamo), e che ci limitiamo a disapprovare un singolo comportamento e non una persona nella sua interezza. Per esempio, la frase “sei proprio uno stronzo per non essere venuto alla festa” non è stata ritenuta offensiva da una sentenza.
I giudici usano il termine “continenza”. In pratica: posso dire (a patto di provarlo o argomentarlo) che “hai fatto una cazzata”, ma non che “sei un cazzone”.

C’è un termine entro cui va fatta una denuncia per ingiuria o diffamazione?

Sì: la denuncia per diffamazione va presentata al massimo entro 3 mesi dall’offesa. Una causa per ingiuria invece si può fare entro 5 anni dall’offesa.

Si può denunciare una persona di cui si conosce solo il soprannome (nickname) su Facebook?

Sì, ma occorre rivolgersi alla Polizia postale per risalire alla sua vera identità. Il procedimento è lungo e non è sempre facile.

Si può offendere liberamente un personaggio pubblico?

Gli insulti reciproci possono annullarsi a vicenda (montaggio foto Shutterstock).

No. La legge impone il rispetto per tutti, che siano persone qualunque o celebrità. Le celebrità hanno qualche tutela in meno solo nella loro privacy, essendo, per loro stessa scelta, personaggi pubblici.
Il discorso cambia, invece, per i politici. Dire “falso”, “bugiardo”, finanche “buffone”, a un politico potrebbe non essere reato, ma solo se i fatti a lui contestati sono veri (o comunque appaiono tali o sono molto opinabili). Le critiche anche molto aspre sono tollerate. Sono invece sempre punibili le espressioni gratuite, ovvero quelle inutilmente volgari o umilianti o dileggianti: le offese che infangano una persona nella sua totalità. Ad esempio, si può dire a un politico che “ha fatto qualcosa di vergognoso”, ma non che lui è vergognoso.
Diverso è, invece, usare l’appellativo “ladro”: questo termine, infatti, implica una colpevolezza per un fatto specifico. Se non si hanno le prove per affermarlo, o se non c’è una sentenza definitiva in merito, questo appellativo deve ritenersi diffamatorio.

Quanti tipi di insulto esistono per la legge?

Le critiche, anche aspre, sono consentite. Ma a patto di non umiliare l’altra persona (foto Shutterstock).

Possiamo dividerli in 4 grandi categorie a seconda se si è stati insultati di persona (ingiuria) o no (diffamazione), e se il destinatario dell’insulto è un’autorità. E’ importante sapere in quale categoria rientra un reato, perché le pene cambiano molto.

  1. ingiuria: quando si dice un insulto direttamente alla persona, anche di fronte a testimoni (o anche al telefono, via email o in una chat a tu per tu). Si rischiano: sanzioni fino a 8-12mila €, ma non dal giudice penale, solo come ulteriore pena nel caso di condanna dal giudice civile.
  2. diffamazione: quando si insulta una persona assente davanti almeno a 2 testimoni. Questo vale anche su Facebook, Twitter o i gruppi di Whatsapp. Si rischiano: multe fino a 2065 € e reclusione fino a 3 anni
  3. oltraggio: se si insulta un pubblico ufficiale (poliziotto, carabiniere, vigile, impiegato comunale, controllore, insegnante, giudice in udienza…).  Si rischiano: multe fino a 6.000 € e reclusione fino a 5 anni.
  4. vilipendio: se si insulta il presidente della Repubblica (ma anche la bandiera, la Repubblica, la Nazione, le tombe). Pene: reclusione fino a 5 anni.

In quali circostanze i giudici sono meno severi nel giudicare gli insulti?

I giudici sono più tolleranti verso gli insulti in 4 situazioni: i diverbi fra tifosi negli stadi; i litigi fra automobilisti; le discussioni fra politici e sindacalisti; le liti di condominioSport, traffico, casa e politica, infatti, accendono passioni molto forti.

Se qualcuno mi insulta davanti a un poliziotto, vigile o carabiniere, quest’ultimo è obbligato a denunciarlo?

No: se si tratta di ingiuria, cioè di un insulto a una persona presente, la legge oggi prevede un’azione legale solo su querela di parte. In pratica, se la persona offesa non fa causa (attraverso un legale, non in caserma), non succede nulla.

Davanti a quante persone dire un insulto diventa diffamazione?

Si diffama qualcuno quando lo si offende in sua assenza: parlando male di lui/lei davanti ad altri. Che devono essere almeno 2. La diffamazione può avvenire non solo nei luoghi pubblici (bar, ristoranti, strada, etc) ma anche negli spazi virtuali: quando si insulta qualcuno su Facebook, Youtube, gruppi Whatsapp, Tripadvisor, i Tribunali considerano questa offesa una diffamazione. Anche se il destinatario dell’insulto risulta in quel momento “connesso” a Internet.

Da quale età una persona può essere denunciata per insulti (ingiuria  diffamazione, oltraggio, vilipendio, ecc.)?

Dai 14 anni in su. I minori di 14 anni, infatti, non sono perseguibili dalla legge.

 

Altre risorse sul tema leggi e parolacce (clicca per andare al link):

cosa dicono le sentenze

 • si possono dire parolacce al lavoro?

 diffamazione

 come difendersi dagli insulti su Facebook e gli altri social network

toh, l’ingiuria non è più reato

 oltraggio a pubblico ufficiale

 vilipendio

• e molti altri argomenti nel canale leggi e sentenze

 Ringrazio l’avvocato cassazionista Giuseppe d’Alessandro per la revisione.

SU RADIO RAI1

Ho parlato di questo e di altri temi legati al turpiloquio durante un lungo intervento notturno alla trasmissione “Domani in edicola” su Radio Rai1 condotta da Stefano Mensurati.
Clicca qui sotto per ascoltare l’audio (il mio intervento inizia dal minuto 10:50).
(PS: più volte il conduttore parla del mio libro dicendo che è pubblicato da Rizzoli. Vero, ma ora l’unica versione acquistabile la trovate in formato ebook , pubblicata con StreetLib).

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Tutto il turpiloquio in 3 tweet https://www.parolacce.org/2017/01/27/chat-sulle-parolacce-twitter/ https://www.parolacce.org/2017/01/27/chat-sulle-parolacce-twitter/#respond Fri, 27 Jan 2017 14:46:47 +0000 https://www.parolacce.org/?p=11636 A volte, essere costretti a esprimere tante cose in poco spazio, o in poco tempo, può essere intrigante. Mi è successo ieri su Twitter: un insegnante di inglese statunitense di Magnolia (Arkansas, Usa), Michael Maune, ha lanciato una chat linguistica… Continue Reading

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A volte, essere costretti a esprimere tante cose in poco spazio, o in poco tempo, può essere intrigante. Mi è successo ieri su Twitter: un insegnante di inglese statunitense di Magnolia (Arkansas, Usa), Michael Maune, ha lanciato una chat linguistica (#lingchat) sul tema parolacce. Poneva 3 questioni cruciali:
1) quali sono alcuni dei miti più popolari sul turpiloquio, e come gli dovrebbero replicare i linguisti?
2) quali sono alcune delle implicazioni sociolinguistiche delle parolacce?
3) qual è la caratteristica più interessante del turpiloquio che hai imparato?

La sfida di condensare i miei oltre 10 anni di studi su queste complesse questioni in soli 140 caratteri mi attirava, ma non potevo partecipare alla chat: sarebbe iniziata alle 2 di notte (per il fuso orario italiano). Ho lasciato perdere, ma dato che Michael mi ha gentilmente dato la possibilità di rispondere anche oggi, l’ho fatto. Ecco le mie risposte:
1) Un mito: dire parolacce = avere un vocabolario povero. Risposta corretta: “andate a leggervi il sig. Shakespeare (e molti altri), per favore!”

2) implicazioni sociolinguistiche: lista delle parolacce = lista delle fobie della tua società. Pensaci

3) Caratteristica interessante: le parolacce mi fanno ridere! E se scopri perché, impari sempre qualcosa di sorprendente.

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