chatte | Parolacce https://www.parolacce.org L'unico blog italiano di studi sul turpiloquio, dal 2006 - The world famous blog on italian swearing, since 2006 - By Vito tartamella Wed, 22 Jan 2020 14:24:08 +0000 it-IT hourly 1 https://www.parolacce.org/wp-content/uploads/2015/06/cropped-logoParolacceLR-32x32.png chatte | Parolacce https://www.parolacce.org 32 32 Cin-cin, curva e altre parole da non dire all’estero https://www.parolacce.org/2016/03/23/falsi-amici-italiano/ https://www.parolacce.org/2016/03/23/falsi-amici-italiano/#comments Wed, 23 Mar 2016 17:08:52 +0000 https://www.parolacce.org/?p=9741 Il più famoso è il cin-cin: se fate un brindisi con amici giapponesi, evitatelo come la peste. Nel Paese del Sol Levante, infatti, significa pene, nel senso di organo sessuale maschile (montaggio con foto Shutterstock). Ma non è l’unica espressione italiana che,… Continue Reading

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cinCin2Il più famoso è il cin-cin: se fate un brindisi con amici giapponesi, evitatelo come la peste. Nel Paese del Sol Levante, infatti, significa pene, nel senso di organo sessuale maschile (montaggio con foto Shutterstock). Ma non è l’unica espressione italiana che, in altre lingue, ha un significato volgare.
Avevo già raccontato (
qui) i casi contrari: ovvero le parole straniere che in italiano suonano come parolacce.  Ora, però, visto che si avvicinano le vacanze (e i viaggi) di Pasqua, vale la pena conoscere i fenomeni inversi: i “falsi amici” italiani, ovvero le nostre parole che hanno assonanze con parolacce straniere: ne ho trovate 28 in 8 lingue (se avete altri casi da segnalare aggiornerò la lista). Se le conosci, le eviti: se non volete rischiare equivoci o situazioni imbarazzanti

 

CECO

kurva2

Gli Szeki Kurva, gruppo punk.

Flag_of_the_Czech_RepublicSe andate a Praga, non dite che avete preso una curva: in ceco, kurva non è una strada tortuosa, significa puttana. Il termine è diventato molto celebre, tanto da essere usato anche in altri Paesi dell’est: Polonia, Russia, Ucraina, Bielorussia.
E ha un’etimologia curiosa: il termine, infatti, ha davvero a che fare con le curve. In passato, infatti, le donne che avevano difetti fisici (tra i quali le gambe “incurvate” o “arcuate”) erano emarginate perché considerate inadatte al lavoro nei campi e ad allevare figli. Così, alle “zitelle” con questo difetto fisico, non restavano molte alternative: spesso diventavano prostitute. E come tali erano mal viste dalle altre donne, che hanno caricato di disprezzo il termine kurva.

Non è l’unico termine imbarazzante in ceco. Anche la parola panna può creare equivoci: significa vergine, che non è una parolaccia ma introduce un tema sessuale mentre siamo convinti di parlare di cibo.
E il nostro avverbio
così ha una pronuncia simile a kozy, che vuol dire capre ma anche tette.

FINLANDESE
Flag_of_FinlandQui, la parola panna è ancora più pesante che in Repubblica ceca: significa mettere, anche nel senso di fottere, scopare. E attenti: portto non è un molo ma vuol dire puttana, come akka (occhio quando fate lo spelling: non è la H!). La parola bimbo, invece, è per adulti: significa tetta, sciocco, coglione.

UNGHERESE

Flag_of_HungarySe dite che state seguendo un ciclo di conferenze, potreste risultare comici: ha la stessa pronuncia di csikló, che significa clitoride.  Ma va decisamente peggio per chi ha un amico o un marito si chiama Pino: non chiamatelo ad alta voce in strada, perché il suo suono è identico a pina, che vuol dire fica.

SPAGNOLO

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“Nonna, passami la canna!”

Nonostante le notevoli corrispondenze fra la nostra lingua e lo spagnolo, i “falsi amici” sono numerosi. Anche fra le espressioni volgari. Per esempio, parlando di verdure, attenti a dire porro: significa persona goffa, maleducata e stupida, ed è anche un sinonimo gergale di spinello. Così come il burro non è un alimento: vuol dire asino, incivile, grezzo.
Chi si occupa di lavorazione delle pelli, meglio che sappia che concia, in molti Paesi latino-americani (Argentina, Perù, Bolivia, Cile, Guatemala, Paraguay, Uruguay) ha lo stesso suono di concha, fica (in origine significa conchiglia).
Se volete andare a pranzo in Messico, Ecuador, Honduras, El Salvador o in Nicaragua, state attenti a parlare di mensa con una cameriera: significa stupida, tontaIn Argentina, invece, se dite che amate dedicarvi all’orto, non stupitevi se chi vi ascolta resterà interdetto: state parlando del culo.
Ma il capolavoro più sorprendente di ambiguità è la parola bergamasca: una donna che dica “Yo soy bergamasca”, può suscitare l’ilarità generale. Perché “berga” ha lo stesso suono di verga (cazzo), e masca significa “mastica”: la sua frase, quindi, può essere intesa come “Io sono mastica cazzo”.

PORTOGHESE

Flag_of_Portugal

Il portoghese non è una lingua monolitica: come lo spagnolo, in America Latina si arricchisce di nuovi vocaboli e significati. E, soprattutto in Brasile, terra di immigrazione, si mescola con altre lingue: l’italiano è una di queste. Ecco perché, in alcuni Stati brasiliani, le parole italiane sono entrate nei modi di dire gergali. Come testimonia il sito Brazzil.commosca, polaca, minestra, piranha, a dispetto delle apparenze, significano tutti “puttana” (e mosca può significare anche fica). Mentre ferramenta non si riferisce al negozio di utensili: significa affare nel senso di pene. Ma non è tutto. In Brasile, se dite a una donna “Posso entrar?”, potreste ricevere uno schiaffo: entrar significa anche penetrare, fottere.

FRANCESE

Flag_of_France

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Quando Sarkozy disse: “Taci, povero coglione”.

La stretta parentela fra italiano e francese può generare molti equivoci. Se dite, guardando il cielo, “Che belle scie“, la frase, in francese, suonerebbe “Che bella cacata” perché scie, in francese, ha la stessa pronuncia di chier = cagare.
E ricordate che
con, in francese, non è una congiunzione ma significa figa, stronzo (è diventata celebre quando la usò l’ex presidente Nicholas Sarkozy per zittire un contestatore).
Attenti, infine, a tradurre
baciare con baiser (vuol dire anche scopare) e gatta con chatte (che indica anche la vulva).

INGLESE
Flag_of_the_United_KingdomLa distanza fra le radici linguistiche dell’italiano e dell’anglosassone produce poche assonanze volgari. Fra le più evidenti c’è ass, che non vuol dire asso ma (negli Usa) culo, stupido. Ma nella lista delle parole pericolose bisogna segnalarne due italiane che sono entrate nel dizionario inglese con significati del tutto diversi: bagnio (con la i) non vuol dire toilette ma bordello; e bimbo non vuol dire bambino ma sciacquina, oca giuliva, svampita.

Elizabeth-mikoshi

La processione fallica Kanamara Matsuri.

GIAPPONESE

Flag_of_JapanL’ho già anticipato all’inizio di questo post: in giapponese, chinchin (pronuncia: cin cin) vuol dire pene. Tant’è vero che il festival della Kanamara Matsuri, la processione fallica che si svolge ogni anno a Kawasaki per propiziare la fertilità, è chiamato anche Chinchin Matsuri (festival del… cazzo). Se siete in Giappone, quest’anno l’appuntamento è fissato per il 3 aprile. E se volete brindare con gli amici giapponesi, dovete usare un’altra espressione: “kanpai”.
Ma perché in italiano per brindare usiamo l’espressione cin cin? In effetti, l’espressione ha origini orientali, per la precisione cinesi: deriva infatti da qǐng qǐng, che significa “prego, prego”. Queste parole erano usate fra i marinai di Canton come forma di saluto cordiale ma scherzoso, e si diffuse nei porti europei. E’ entrato nei nostri modi di dire per la somiglianza onomatopeica con il suono prodotto dal tintinnare di due bicchieri tra loro.

RmcHo parlato di questo post con Monica Sala e Max Venegoni su Radio Montecarlo. Potete ascoltare il podcast con il mio intervento cliccando qui.

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Cosa c’entra la “topa” con i topi https://www.parolacce.org/2015/09/23/perche-si-dice-topa/ https://www.parolacce.org/2015/09/23/perche-si-dice-topa/#comments Wed, 23 Sep 2015 08:00:28 +0000 https://www.parolacce.org/?p=8412 Potete chiamarla passera, gatta, lumaca, grignàppola (pipistrella), vongola e vitella... Ma se dovete paragonare il sesso femminile a un animale, pensate ai roditori. Battono tutti gli altri animali con 3 termini: topa, sorca e zoccola. Nomi più o meno equivalenti, ma con sfumature… Continue Reading

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Campagna Betadine (detergente intimo) di Pratama

Campagna pubblicitaria del Betadine, un detergente intimo: gioca sulla somiglianza vulva-topa (Pratama).

Potete chiamarla passera, gatta, lumaca, grignàppola (pipistrella), vongola e vitella... Ma se dovete paragonare il sesso femminile a un animale, pensate ai roditori. Battono tutti gli altri animali con 3 termini: topa, sorca e zoccola. Nomi più o meno equivalenti, ma con sfumature diverse: topa può avere anche una connotazione neutra o positiva (“Che bella topona/topina”, riferito all’intera persona); sorca ha una sfumatura voyeristica (“Le ho visto la sorca pelosa”) e zoccola è uno spregiativo (“Sei proprio una zoccola”, cioè una puttana).
Ma perché questa predilezione per i topi? Che c’entrano con la vulva?
Me lo sono chiesto giorni fa, mentre scrivevo un reportage sui ratti per il nuovo numero di Focus. Approfondendo la loro storia e il loro comportamento, mi ha colpito il loro uso come metafore sessuali. E non solo in Italia: la vulva è chiamata topa anche in portoghese (rata) e in norvegese (mus), mentre gli altri Paesi usano invece l’immagine della gatta per riferirsi al sesso femminile (pussy in inglese, chatte in francese, muschi in tedesco): una scelta solo in apparenza diversa, come racconterò fra qualche riga.

Locandina del Vernacoliere

Il Vernacoliere, settimanale satirico.

I sinonimi della topa sono diffusi soprattutto in Italia centrale, e zoccola in quella meridionale. Zoccola deriva dal latino sorcula, piccolo sorcio e calcato su socculus, zoccolo, nel senso spregiativo di ignorante: designa la femmina del ratto di fogna e per estensione la donna di strada.
Il primo termine apparso nella nostra letteratura è sorca, già nel Candelaio di Giordano Bruno (1582), ma il termine diventa celebre con Gioachino Belli ne “La madre de le sante” (1832): un sonetto in romanesco sui nomi della vulva, chiamata tra l’altro “sorca, vaschetta, fodero, frittella,… chiavica (fogna: dove vivono i topi, ndr), gattarola, finestrella”.
Topa, invece, è approdato in letteratura molto più tardi, negli anni ’70 con Gianni Celati e Pier Vittorio Tondelli: “Si è fatta sparire le mutande con un colpo di magia. Prima le aveva e poi improvvisamente non le aveva più. Ma aveva invece una grossa topaccia nera fra le gambe, che ha voluto presentarmi sollevando le sottane” (Celati, “Banda sospiri”) .

collage

Campagne animaliste: la pelliccia che conta è lì!

Detto questo, dove sta il legame fra topi e topa? Innanzitutto, i topi sono il simbolo della sessualità e della fecondità perché sono molto prolifici: hanno fino a 20 rapporti sessuali al giorno. Una coppia di roditori, se lasciata indisturbata, può arrivare a generare oltre 108 mila discendenti in un solo anno.
Ecco perché la Chiesa ha sempre visto con ostilità i topi: non solo perché rubavano le provviste e diffondevano malattie, ma anche per il loro esplicito legame con la sessualità, con le forze “terrene” (e, vivendo nell’oscurità e nelle fogne, anche dell’impurità). Essendo roditori instancabili, in psicoanalisi sono anche il simbolo dell’oralità.

i topi che aiutano Cenerentola a liberarsi da un destino infelice

L’unica topa sexy della Disney (“Basil l’investigatopo) e una “topona”.

Ma in realtà la letteratura non sottolinea molto la sessualità dei topi. Li utilizza invece come simboli di altri valori: della vita sociale (vivono in gruppo per difendersi dai predatori); dell’intelligenza, della furbizia, del lavoro instancabile (vedi Mickey Mouse, Jerry, Ratatouille); del mondo sotterraneo, di azioni clandestine (come i topi che aiutano Cenerentola a liberarsi da un destino infelice). 
Nelle religioni orientali, invece, il topo è simbolo di ricchezza e prosperità (perché vive dove ci sono provviste). Ed è il primo dei 12 segni dello zodiaco cinese: creativo, onesto, generoso, ambizioso e veloce a decidere.

LA CITAZIONE
 Ti hanno visto alzare la sottana, la sottana fino al pelo. Che nero!

(Lucio Dalla, “Disperato erotico stomp“)

Playboy Brasile 31' anniversario

31 anni di “Playboy” in Brasile: com’è cambiato il pube femminile!

Ma torniamo alle metafore sessuali. In queste ha avuto un peso maggiore un’altra somiglianza fra topo e topa: il folto pelo che ricopre entrambi. Un attributo molto evidente, che per di più ricorda la nostra originaria natura animale, selvatica: incivilirsi ha comportato la perdita dei peli (alcuni li abbiamo perduti, altri li rasiamo). Così i peli, soprattutto quelli del sesso, restano legati a un’eredità del passato che condividiamo (in parte, anzi: in certe parti) con gli animali.
Non solo. Il pube è da sempre una fonte di identità per le donne, visto che il sesso femminile è in realtà nascosto proprio dalla peluria. Lo dimostra non solo il termine “pilu“, che al Sud Italia è sinonimo di vulva, ma anche i tagli dei peli pubici, anch’essi soggetti a mode, varianti, corsi e ricorsi (negli ultimi 40 anni si sono sempre più assottigliati, come evidenzia la pubblicità di Playboy qui a lato…). Ed è sempre per la somiglianza con il pelo che, in altri Paesi,  la vulva è stata invece paragonata anche alla gatta.

LA CITAZIONE
 Tira più un pelo di fica che un carro di buoi.

(Proverbio popolare)

Tanto che nel mondo anglosassone, più di 5 secoli fa, è nata una moda bizzarra: le “merkin”, parrucche pubiche femminili. Erano usate, fin dal 1450, dalle prostitute inglesi come ornamento. Dopo essersi rasate il pube (per prevenire la diffusione di parassiti), le ponevano sul pube sia per bellezza, ma anche, talvolta, per mascherare i segni della sifilide. Di recente una giovane fotografa statunitense, Rhiannon Schneiderman, ha riportato in auge le merkin per un provocatorio progetto artistico, “Lady Manes”: una serie di autoritratti, nei quali l’artista posava nuda, con vistose parrucche attaccate al pube col velcro. Una sfida ai canoni attuali della bellezza femminile, che impongono pubi lisci come quelli delle bambole. «Perché è considerato volgare avere peli sotto le ascelle o sulle gambe? Perché queste cose mettono a disagio le persone? Perché bisogna criticare il corpo di qualcun altro?». Insomma, può darsi che in futuro torni la topa “a tutto pelo”? Chissà. Nel frattempo qui sotto potete vedere un video divertente sulle fantasiose e numerose acconciature per il pube femminile:

LA TOPOLA DI DARIO FO

Grazie alla segnalazione di Frida, una lettrice di questo blog, ho scoperto che il legame fra topa e topi è molto antico: è presente già in un fabliau (un racconto popolare) medievale del XII secolo: la storia della “parpàja tòpola”, resa celebre in uno sketch dal premio Nobel Dario Fo. Ecco la trama (il testo integrale è qui).
C’era una volta un prete senza scrupoli, il Faina, che aveva una relazione con Alessia, una fanciulla in fiore. La madre di lei, la Volpassa, contadinona col cervello fino e il culo grosso, impone al prete di trovare un marito alla figlia se vuole continuare a copulare senza scandalo. Don Faina pensa subito a Giavàn Pietro, un capraio “candido coglioncione”.
Alla prima notte di nozze, Giavàn chiede alla moglie di godere dei giochi d’amore. Ma Alessia, che aveva già amoreggiato col prete, non ne vuol sapere e trova una scusa: dice al novello sposo che era impossibile fare l’amore perché lei, nel bailamme dei preparativi di nozze, aveva dimenticato la sua parpàja (la farfalla, ovvero la vulva) a casa della madre, appesa a un chiodo.
Giavàn, cocciuto, non si dà per vinto e vuole andare alla ricerca del sesso perduto, a costo di raggiungere la casa della suocera, che stava dall’altra parte del fiume. Quando, dopo varie disavventure, arriva dalla Volpassa, lui le dice: “Son venuto a prendere la parpaja topola!“. “Quale?”. “Quella che hai tu!”.
La suocera, all’inizio perplessa, poi capisce l’equivoco e decide di stare al gioco: consegna a Giavàn un cesto di stoppie lanose, facendolgi credere che contenesse la topola, e lo congeda.
Durante il tragitto, Giavàn infila la mano fra le stoppie alla ricerca della parpaja topola: e trova un topolino, che si era accucciato nel cesto per starsene tranquillo. E così l’allocco si convince che il roditore fosse il sesso dell’amata. Accarezza la topola, che però si spaventa e fugge, tuffandosi nel fiume.
Giavàn torna a casa sconvolto e disperato: “Sono un disgraziato! Ho fatto annegare la tua parpaja!”.
La moglie, commossa da tanto candore, si pente delle sue menzogne e lo consola: “Non ti preoccupare, la parpaja è viva, è tornata da me”. Solleva la gonna e guida la sua mano sul ciuffo della topola. “E’ lei! La riconosco” dice Giavàn. “Che fatica che avrà fatto, con quella fuga… Lasciamola riposare: faremo i giochi d’amore domani”.

Un racconto divertente, che trasforma il sesso in un animale dotato di vita propria: una metafora ricorrente nei nomi del sesso, come raccontavo in questo post

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