cinese | Parolacce https://www.parolacce.org L'unico blog italiano di studi sul turpiloquio, dal 2006 - The world famous blog on italian swearing, since 2006 - By Vito tartamella Fri, 10 May 2024 14:54:41 +0000 it-IT hourly 1 https://www.parolacce.org/wp-content/uploads/2015/06/cropped-logoParolacceLR-32x32.png cinese | Parolacce https://www.parolacce.org 32 32 La mamma è sempre la mamma (anche negli insulti) https://www.parolacce.org/2024/05/09/lista-insulti-alla-madre/ https://www.parolacce.org/2024/05/09/lista-insulti-alla-madre/#comments Thu, 09 May 2024 18:00:25 +0000 https://www.parolacce.org/?p=20478 E’ una delle offese più potenti che esistano. Perché colpisce la persona più importante del nostro mondo affettivo: la mamma. E non solo in Italia, nota per essere una cultura di mammoni: questo genere d’offesa è diffusa nelle altre lingue… Continue Reading

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Striscione offensivo dei tifosi del Pescara contro quelli dell’Ascoli

E’ una delle offese più potenti che esistano. Perché colpisce la persona più importante del nostro mondo affettivo: la mamma. E non solo in Italia, nota per essere una cultura di mammoni: questo genere d’offesa è diffusa nelle altre lingue romanze (francese, spagnolo, portoghese, rumeno), in inglese e nelle lingue dell’est, dal russo al cinese, oltre all’arabo e diverse altre.
In italiano gli insulti alla madre sono una quarantina ed esprimono una fantasia molto malevola. Perché sviliscono, con immagini ripugnanti o sessuali, la figura più sacra: la persona che ci ha trasmesso la vita. Un colpo dinanzi al quale nessuno può restare indifferente: come ha ricordato papa Francesco (paragonando il sentimento religioso con l’attaccamento alla madre), «Se il dottor Gasbarri, un grande amico, dice una parolaccia contro la mia mamma, lo aspetta un pugno. E’ normale». Come diceva il comico toscano Francesco Nuti «Te la mi’ mamma tu la lasci stare, va bene?».

Questo genere di insulti ha influenzato non soltanto i modi di dire, ma anche le culture: le battaglie rap consistono spesso nell’improvvisare rime offensive sulla madre di un’altra persona (“yo mama…“, “tua madre…“), in una sfida che rappresenta non solo un duello linguistico e simbolico, ma è anche un rito di affiliazione fra giovani, come racconterò più avanti. Pensate che in russo il gergo volgare si chiama proprio “Mat”, termine che deriva dalla stessa radice di “madre” (dall’espressione “yob tvoyu mat”, «fotti tua madre»).

Battaglia rap a suon di insulti alla madre: è uno show in Australia

Nella nostra lingua gli insulti alla madre sono più numerosi nei dialetti, per lo più del Sud: in italiano ci sono 5 espressioni, contro le 36 fra: napoletano (11), veneto e friulano (8), sardo (6), toscano (3),  pugliese (3),  siciliano e calabrese (2) e lombardo (1). Un’ulteriore prova che si tratta di offese molto antiche: infatti le dicevano anche Cicerone e Shakespeare. Degno di nota il fatto che prevalgono le espressioni di tipo incestuoso: rappresentano metà delle locuzioni censite.

Gli insulti alla madre sono uno dei 4 temi universali (cioè diffusi in ogni cultura) delle parolacce insieme agli insulti fisici, alle espressioni oscene e ai termini escrementizi. E sono offese del tutto particolari perché colpiscono una persona non direttamente, ma offendendone un’altra: una sorta di vendetta trasversale. Una strategia molto efficace, visto il rapporto così intimo e profondo con la figura materna. Insomma, la mamma è anche…. la madre degli insulti.
Come nasce questa usanza? E come si manifesta, in italiano e in altre lingue?

Figlio di… 

Locandina di Eleazaro Rossi, comico.

L’espressione “figlio di puttana”, con le sue diverse varianti, è presente in tutte le lingue: inglese (son of a bitch), francese (fils de pute, Ta mère la pute), tedesco (hurensohn), spagnolo (hijo de puta), portoghese (filho da puta), rumeno (Fiu de curvă) arabo (Ibin Sharmootah: la puttana di tua madre), russo (Сукин сын). In cinese si usa l’espressione 王八蛋wáng bā dàn) che significa letteralmente “uovo di tartaruga”: dato che la tartaruga abbandona le uova dopo averle covate, l’espressione denota un figlio di madre ignota (mignotta per l’appunto: vedi sotto), nato da una relazione extraconiugale. Ma ci sono anche due altre spiegazioni: un tempo si pensava che le tartarughe concepissero solo con il pensiero, rendendo impossibile ricostruire la paternità della prole (dunque, in questo caso, “figlio di padre ignoto”). Oppure, secondo un’altra interpretazione ancora, all’origine dell’espressione c’è la somiglianza fra la testa della tartaruga che esce dal guscio e il glande  che emerge dal prepuzio: l’espressione indica quindi una donna che ha perso la virtù.

In spagnolo esistono anche altri modi pittoreschi per dirlo: “anda la puta que te pari” (Torna dalla prostituta che ti ha partorito) e “tu puta madre en bicicleta”, ovvero “tua madre puttana in bicicletta”.

In Italiano è una delle espressioni considerate più offensive dopo le bestemmie (e a pari merito con “succhiacazzi”), secondo la mia ricerca sul volgarometro. Ed è l’offesa che raccoglie più denunce e processi, secondo uno studio.

Perché? Per motivi giuridici, sociali e psicologici.

[ per approfondire, apri la finestra cliccando sulla striscia blu qui sotto ] 

BASTARDI E ILLEGITTIMI
 

Film del 2003. L’espressione significa “avere una natura cattiva”

In passato, i figli delle prostitute (e in generale quelli nati fuori dal matrimonio) erano disprezzati: la struttura sociale si basava sulle coppie matrimoniali ufficiali, nelle quali – fino all’avvento dei test genetici – era più immediato stabilire l’appartenenza sociale e i diritti ereditari, dato che “Mater semper certa est, pater numquam” (“L'[identità della] madre è sempre certa”, quella del padre no). E proprio dall’impossibilità di accertare in modo oggettivo la paternità è nata l’ossessione per il controllo sul sesso femminile: la moralità della donna era l’unica condizione per assicurare stabilità sociale e ordine. I figli nati fuori dal matrimonio erano visti come una minaccia a questo ordine, poiché potevano complicare le questioni di eredità e le alleanze familiari.

Nel mondo antico erano considerati “bastardi” (altro termine offensivo legato alle figure genitoriali) i figli di coppie conviventi, quelli nati da una prostituta o frutto di una relazione adulterina o incestuosa. Questi figli, denominati “illegittimi”, erano penalizzati nell’ambito del diritto successorio (non potevano ereditare il patrimonio dei genitori), erano esclusi dalle cariche pubbliche, non potevano svolgere alcune professionisposare persone appartenenti ai cosiddetti mestieri onorabili. In più, per la religione, il sesso al di fuori del matrimonio era considerato immorale, e di conseguenza, i figli nati da queste unioni erano  stigmatizzati come prova visibile di un comportamento peccaminoso.

E questa prospettiva è arrivata fino ai tempi moderni: in Italia solo dal 1975 con la riforma del diritto di famiglia i figli nati fuori dal matrimonio acquisirono gli stessi diritti dei figli “ufficiali”. E solo dal 2012 è sparita, con la riforma della filiazione, la legge 219, la distinzione fra “figli legittimi” e “figli naturali”.

Questo genere di insulti sono un retaggio della cultura patriarcale? Secondo Francine Descarries, femminista e docente di sociologia all’Université du Québec à Montréal, la risposta è sì: «Le donne sono sempre state considerate proprietà degli uomini, siano esse figlie, mogli o madri. Attaccare la madre significa contaminare la proprietà dell’uomo. Quindi, quando insultiamo la madre di un uomo, attacchiamo i suoi beni, proprio come i suoi vestiti o la sua casa».

La testata di Zidane a Materazzi: l’artista algerino Adel Abdessemed ne ha fatto una statua.

In effetti, ricordate perché Zinedine Zidane diede una testata a Marco Materazzi, giocandosi così la finale dei Mondiali di calcio 2006? Perché Materazzi gli aveva detto: “Non voglio la tua maglia, preferisco quella puttana di tua sorella.
L’ipotesi ha del vero: nessuno nega il peso del maschilismo nella nostra cultura. Tuttavia, in questo caso, c’è una ragione molto più immediata, come evidenzia la psicologia: la madre è l’affetto più profondo che abbiamo, la fonte delle nostre sicurezze, le nostre radici. Non solo gli uomini, ma anche le donne si sentirebbero offese se qualcuno denigrasse la loro madre. E, in ogni caso,
insultare i familiari di qualcuno è, in generale, un’offesa pesante: tant’è vero che in napoletano si offende non solo la madre (“mamm’t”), ma anche la sorella (“soreta”), il padre (“patete”), o il fratello (“frateto”).  Toccare i rapporti di sangue, quelli più stretti, fa sempre male. Del resto, non condividiamo con loro parte del nostro patrimonio genetico?

Gli insulti alla madre sono molto antichi: già Plutarco, nella “Biografia di Cicerone” ricorda la battuta di quest’ultimo a Metello Nepote che gli chiedeva “Chi è tuo padre?”. Cicerone gli rispose: “Nel tuo caso,” disse Cicerone, “tua madre ha reso la risposta a questa domanda piuttosto difficile.”

E nel “Timone d’Atene” William Shakespeare inserisce questo dialogo:

PITTORE – Sei un cane!

APEMANTO – Della mia stessa razza è tua madre: che altro potrebbe essere quella che ha fatto te, s’io sono un cane?

 

MODI DI DIRE

In questa categoria ho censito 11 espressioni:

“5 figli di cane”, film di gangster del 1969

♦ figlio della colpa: figlio nato al di fuori del matrimonio, fra conviventi o adulteri 

♦ figlio della serva: persona considerata inferiore per nascita e trattata di conseguenza, anche in modo sgarbato e villano. Usato soprattutto in senso figurato per chi viene emarginato da un gruppo, o trattato con minor considerazione rispetto agli altri.

♦ figlio di nessuno: trovatello, o figlio naturale. Era usato anche come insulto o con valore spregiativo. In senso figurato, anche bambino molto trascurato dai genitori.

♦ figlio di puttana (dal latino puta, fanciulla) / di troia (femmina del maiale, sozza fisicamente e moralmente) / di zoccola (femmina del topo di fogna, notoriamente prolifica. Ma può derivare dal fatto che nel 1700 le prostitute dei quartieri spagnoli indossavano le stesse scarpe vistose, con alti zoccoli, delle nobildonne, che li usavano per non sporcare di fango le loro vesti) / di baldracca (da Baldacco, antico nome di Baghdad. Era anche il nome di un’osteria di Firenze frequentata dalle meretrici) / di mignotta (un tempo molte madri naturali non intendevano riconoscere legalmente i propri figli, e non davano il loro nome all’anagrafe; questi bambini erano pertanto registrati come “figli di madre ignota”, che abbreviato in “M.Ignota” ha dato luogo al termine “mignotta” con valore d’insulto) / di bagascia (dal francese bagasse,  “serva” o “fanciulla”) 

♦ figlio d’un cane: l’espressione è equivalente a “figlio di puttana”, ma aggiunge una valenza spregiativa il riferimento all’animale (considerato inferiore all’uomo) considerato vile, crudele e comunque inferiore all’uomo. In inglese “son of a bitch” significa letteralmente “figlio di una cagna”: i cani sono disprezzati per il fatto di avere rapporti sessuali davanti a tutti e con partner diversi

In napoletano:

♦ figlio’ e’ ntrocchia: figlio di puttana. La parola ntrocchia deriva dal latino “antorchia”, torcia: nell’antichità le prostitute giravano di notte in strada con una torcia accesa per attirare clienti. L’equivalente di “lucciola”, insomma. L’espressione può essere usata anche in senso ammirativo (vedi prossimo riquadro)

♦ chella puttan ‘e mamm’t: quella puttana di tua madre

In veneto, friulano:

♦ tu mare putana: tua madre puttana

♦ tu mare grega: “grega” significa “greca”, donna straniera: spesso le prostitute dei bordelli erano di origine straniera, e in friulano “grego” designa anche una persona infida, doppia 

In siciliano:

♦ ‘dra pulla i to matri: quella puttana di tua madre

♦ figghiu d’arrusa / buttanazza: figlio di puttana

DA INSULTI A COMPLIMENTI

L’attore Samuel L. Jackson fa spesso il motherfucker, un tipo tosto.

L’espressione “figlio di puttana”, oltre a indicare i figli delle prostitute, designa anche una persona spregevole e priva di scrupoli che compie azioni disoneste: i figli delle prostitute, del resto, crescevano per strada, o senza un’educazione, e spesso vivevano di espedienti per riuscire a cavarsela.
Al punto che l’espressione “figlio di puttana” (e in napoletano “figl ‘e ndrocchia” e “figl ‘e bucchino”) può essere usata, in modo scherzoso, anche come complimento: indica chi riesce a cavarsela nelle situazioni difficili grazie a un’abilità spregiudicata. E questo vale anche per l’espressione spagnola de puta madre”, di madre puttana, che però è usata come rafforzativo enfatico: equivale al nostro “della Madonna”, “cazzuto”, “molto figo”, “da paura”: come dire, figlio di una madre spregiudicata e tosta. Anche l’espressione inglese “motherfucker” (letteralmente: uno che si fotte la madre, ovvero “uno capace di fottere sua madre”) significa
“persona meschina, spregevole o malvagia” o si può riferire a una situazione particolarmente difficile o frustrante. Ma può essere usato anche in senso positivo, come termine di ammirazione, come nell’espressione badass motherfucker (acronimo: BAMF), che significa ”persona tosta, impavida e sicura di sé”.

Arma letale: le espressioni incestuose

In spagnolo la “concha” è la conchiglia, ma qui significa vulva.

Gli insulti alla figura materna possono utilizzare una variante se possibile ancora più offensiva: quella che evoca la sessualità della madre. Giocano, cioè, sul tabù dell’incesto, il più forte e antico: evocando la sessualità della propria madre costringono il destinatario dell’insulto a un pensiero altamente sgradevole, ripugnante e imbarazzante. Un “incantesimo” verbale pesantissimo, innescato evocando i suoi genitali, gli atti sessuali o una vita sessuale dissoluta. Il sesso evoca sempre la nostra natura animalesca, dalla quale cerchiamo sempre di prendere le distanze: a maggior ragione nei rapporti affettivi che non hanno (e non devono avere) risvolti erotici.
Dunque, abbinare pensieri osceni alla figura materna è un’arma linguistica micidiale, ed è presente in molte lingue:
oltre al già ricordato russo  “Ёб твою мать” (“yob tvoyu mat”, scopa tua madre, all’origine del “mat”, il gergo volgare), c’è l’albaneseqifsha nënën” (mi fotto tua madre) o “Mamaderr” (Tua mamma è una maiala) e l’araboKos immak” (La figa di tua madre) e Nikomak (scopa tua madre). E anche il rumenoDute-n pizda matii“, torna nella figa di tua madre, e il cinese ha due espressioni per “scopa tua madre”屌你老母 (diu ni lao mu, cantonese) e  操你妈 (cao ni ma, mandarino). E il persiano: Kiram tu kose nanat, ovvero “il mio cazzo nella figa di tua madre”, Madar kooni “tua madre è lesbica”, Kos é nanat khaly khoob hast “La figa di tua madre è buona”, Sag nanato kard “Un cane ha scopato tua madre”, Pedarbozorget nanato kard “Tuo nonno ha scopato tua madre”, Nanat sag suk mizaneh “Tua madre fa pompini ai cani”, Molla nanato kard “Un mullah (teologo) ha scopato tua madre”, Madareto kardam “Mi sono scopato tua madre”, Kiram to koone nanat “il mio cazzo nel culo di tua madre”.

In francese c’è “nique ta mère” (scopa tua madre) e “Ta salope de mère” (quella maiala di tua madre), in spagnolo(vete a) la concha de tu madre” (vai nella figa di tua madre), “Chinga tu madre” (“Scopa tua madre”), “Tu madre culo” (“Il culo di tua madre”). E in finlandese c’è l’espressione  “Äitisi nai poroja” che significa “Tua madre scopa con una renna”: ogni cultura adatta gli insulti al proprio contesto.

 

MODI DI DIRE

E’ la categoria più numerosa, con 20 espressioni:

In veneto:

“A fess d mamt”, un brano disco degli Impazzination (2012).

♦ quea stracciafiletti de to mare: quella strappa frenuli (del prepuzio) di tua madre

♦ va in figa de to mare / va in mona: vai nella figa di tua madre, ovvero: torna da dove sei venuto. E’ usato anche in modo bonario, come sinonimo di “Ma và a quel paese”

♦ quea sfondrada de to mare: quella sfondata di tua madre

♦ chea rotinboca de to mare: quella rottinbocca di tua madre 

♦ va in cùeo da to mare: và nel culo a tua madre.

In mantovano:

♦ cla vaca at ta fàt: quella vacca che ti ha fatto

In toscano:

♦ la tu mamma maiala / la maiala di tu mà: tua madre maiala

In napoletano:

♦ a fess d mam’t: la figa di tua madre (usato anche come esclamazione di disappunto, o per mandare qualcuno a quel paese)

♦ bucchin e mamt: la bocchinara di tua madre

♦ mocc a mamm’t / vafammocc a mamm’t: in bocca a tua madre / vai a farti fare un rapporto orale da tua madre

♦ ‘ncul a mamm’t: in culo a tua madre

♦ figl’e bucchino (figlio di un rapporto orale): persona scaltra e senza scrupoli capace di cavarsela in ogni situazione

In pugliese:

La birra “De puta madre”, una Ipa tosta.

♦ lu piccioni spunnatu di mammata: la figa sfondata di tua madre

♦ a fissa i mammeta : la figa di tua madre

In calabrese:

♦ Fiss’i mammata: la figa di tua madre

♦ In culu a memmata e a tutta a razza da tua: In culo a tua madre e a tutta la tua famiglia

In sardo:

♦ mi coddu cussa brutta bagass’e mamma: Mi fotto quella brutta puttana di tua madre

♦ t’inci fazzu torrai in su cunnu: Ti faccio tornare nell’apparato riproduttivo di tua madre

♦ su cunnu e mamma rua: La figa di tua madre

♦ su cunnu chi ta cuddau a sorri tua baggassa impestara luride e’merda: La figa che ti ha partorito a te e a tua sorella impestata lurida di merda 

♦ su cunnu chi ti ndà cagau: La figa che ti ha cagato

♦ sugunnemamarua bagassa, babbu ruu curruru e caghineri coddau in culu e in paneri de su figllu de su panettieri: La figa di tua mamma bagascia e tuo padre finocchio inculato dal figlio del panettiere

 Offese generiche (e da rapper)

“Yo mama”, film del 2023 su un gruppo di mamme che si mettono a rappare.

Le offese alla madre non sono soltanto di tipo sessuale. Esistono anche insulti generici usati per ferire la persona infangando l’immagine della madre. Un atteggiamento piuttosto comune nell’infanzia e nell’adolescenza, con frasi del tipo “tua madre è brutta”, “tua madre è cicciona”. E questa abitudine sta anche alle origini del rap: la battaglia rap, in particolare, è un duello verbale in rima nei quali gli avversari si fronteggiano improvvisando insulti sempre più spinti sulla madre dell’avversario con la formula “Yo mama” (“your mama”, tua madre). Questa tradizione deriva dalle “dozzine”, duelli d’insulti di origine africana, ma diffusi anche in diverse altre culture. Ma le “dozzine” non sono soltanto un duello verbale nel quale i partecipanti devono mostrare la propria abilità linguistica cercando di sconfiggere l’avversario con insulti sempre più creativi e pesanti. Secondo gli antropologi Millicent R. Ayoub e Stephen A. Barnett, le dozzine erano anche un rituale per rafforzare i legami fra i coetanei. Una sorta di rito di affiliazione: partecipando, il giovane è disposto a lasciare che altri insultino sua madre senza ritorsioni, in cambio di una più stretta integrazione nel suo gruppo di amici. Solo un rapporto molto intimo fra i partecipanti rende possibile gli insulti reciproci alle madri senza passare alle mani. Secondo il sociologo Harry Lefever, questo gioco potrebbe essere anche uno strumento per preparare i giovani afroamericani ad affrontare gli abusi verbali senza arrabbiarsi. Una sorta di allenamento a sopportare le provocazioni: un possibile effetto secondario rispetto alla sfida di sfidarsi con offese che fanno girare la testa.


Di battaglie rap sulla madre abbiamo anche un celebre esempio italiano: il “Mortal kombat” tra Fabri Fibra e Kiffa nel 2001. Dopo una sequela di insulti di vario genere, Fibra (dal minuto 2:08) inizia a insultare Kiffa dicendo “Tua madre non avvisa / Quando si fa calare a gambe larghe sopra la torre di Pisa”, a cui Kiffa risponde con: “Invece tua madre è troppo brava / L’ho vista conficcarsi la Mole Antonelliana”, e così via in un crescendo sempre più osceno e crudo (siete avvisati):

Oltre che nel rap, gli insulti alla figura materna sono diffusi a ogni latitudine. In spagnolo ci sono espressioni fantasiose come Tu madre tiene  bigote” (Tua madre ha i baffi) , o “Me cago en la leche que mamaste” (cago nel latte che hai succhiato dal seno di tua madre). In giapponese c’è l’espressione Anata no okaasan wa kuso desu (Tua madre è un pezzo di merda). In persianoMadar suchte“, Tua madre è bruciata all’inferno, e Nane khar “Tua madre è un’asina”.

Lo scrittore Lu Xun.

Gli insulti sulla madre sono molto diffusi anche in Cina. Già nel 1925 lo scrittore Lu Xun (1881-1936) osservava: «Chiunque abiti in Cina sente spesso dire “tāmāde” (他妈的 = tua madre) o altre espressioni abituali del genere. Credo che questa parolaccia si è diffusa in tutte le terre dove i cinesi hanno messo piede; la sua frequenza d’utilizzo non è inferiore al più cortese nǐ hǎo (ciao). Se, come alcuni sostengono, la peonia è il “fiore nazionale” della Cina, possiamo dire, allo stesso modo, che “tāmāde” ne è il “turpiloquio nazionale”».Secondo Xun, attaccare la madre era un modo per mettere in discussione non solo la reputazione, ma anche il prestigio sociale delle classi altolocate, che basavano il loro potere e prestigio sugli antenati: annientando questi ultimi, con espressioni come “discendente di madre schiava”(而母婢也), “sporco figlio dell’eunuco” (赘阉遗丑), scompare anche il prestigio dei presenti. «Se vuoi attaccare il vecchio sistema feudale, prendere di mira i lignaggi nobiliari è davvero una strategia intelligente. La prima persona ad aver inventato l’espressione “tāmāde” può essere considerata un genio, ma è un genio spregevole».

 

MODI DI DIRE

In italiano non ho trovato frasi fatte con espressioni denigratorie sulla madre. Ce ne sono 8, invece, in alcuni dialetti:

In napoletano:

Tua madre è così grassa: è uno degli insulti contro la madre

♦ chella pereta / loffa ‘e mammeta: quella scorreggia di tua madre

♦ chella zompapereta ‘e mammeta: quella salta scorregge di tua madre: appellativo rivolto alle donne popolane e volgari, o anche alle prostitute

♦ chella latrina / cessa ‘e mammeta: quel cesso di tua madre

♦ chella cessaiola / merdaiola ‘e mammeta : quella lava gabinetti di tua madre 

In veneto:

♦ to mare omo: tua madre è un uomo

Una particolare variante degli insulti materni riguarda evocare la morte della madre oppure insultare i suoi defunti, anche in questo caso nei dialetti:

In livornese:

♦  budello cane di tu madre morta: budella da cane di tua madre morta

♦ il budello de tu ma: le budella di tua madre

In pugliese:

♦ l’ murt de mam’t: i morti di tua madre

E tu, conosci altri modi di dire con insulti alla madre? Scrivilo nei commenti e aggiornerò l’articolo.

Ringrazio Lina Zhou per la preziosa traduzione dell’articolo di Lu Xun.


Ho parlato di questa ricerca a Radio Deejay, ospite della trasmissione “Il terzo incomodo” condotta da Francesco Lancia e Chiara Galeazzi. Qui sotto l’audio dell’intervento:

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51 modi creativi di mandare a quel paese. In tutte le lingue https://www.parolacce.org/2017/07/25/maledizioni-modi-di-dire/ https://www.parolacce.org/2017/07/25/maledizioni-modi-di-dire/#comments Mon, 24 Jul 2017 22:21:25 +0000 https://www.parolacce.org/?p=12522 “Ti hanno mai mandato a quel paese? Sapessi quanta gente che ci sta…”. Così cantava Alberto Sordi, attore celebre – tra l’altro – per il gesto dell’ombrello fatto a un gruppo di operai nel film “I vitelloni” di Fellini: anche questo… Continue Reading

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Massimo Boldi mentre sfancula (dal film “Tifosi”).

“Ti hanno mai mandato a quel paese? Sapessi quanta gente che ci sta…”. Così cantava Alberto Sordi, attore celebre – tra l’altro – per il gesto dell’ombrello fatto a un gruppo di operai nel film “I vitelloni” di Fellini: anche questo è un modo di mandare a quel paese…
In questo articolo parlo di queste espressioni, tanto usate quanto poco conosciute: pochi sanno, infatti, che hanno una storia millenaria, perché derivano da antichi riti magici, i malefici. Sono l’equivalente linguistico del malocchio. Ed è per questo che sono presenti in tutte le lingue: più sotto (nei riquadri azzurri) ne elenco 51, in 12 lingue e 5 dialetti. Questo lungo elenco mostra quanto l’uomo può essere crudele, creativo e anche divertente  persino nei momenti di rabbia: quando si tratta di sfanculare, la fantasia umana non conosce limiti di immaginazione, a ogni latitudine.
Le maledizioni – questo il nome tecnico di questo genere di espressioni – come tutte le parolacce non sono semplici parole: sono azioni (atti linguistici come diceva il linguista John Austin), tanto che spesso le accompagniamo con gesti delle mani e delle braccia (come raccontavo qui, elencando i gestacci più usati in Italia). Ma quali azioni facciamo con queste parole?

Come funzionano le maledizioni

Tipica maledizione veneta (la spiego nel riquadro delle situazioni imbarazzanti; da memegen.it).

Le maledizioni non si limitano a sfogare la rabbia, come le imprecazioni (porca vacca!). E non ledono l’autostima e l’immagine di una persona, come gli insulti (stronzo!).
Per capire come funzionano le maledizioni, facciamo un esempio: “va all’inferno!”. Dicendo questa frase, facciamo due azioni: cacciamo via una persona, e la mettiamo (a livello immaginario) in una situazione sgradevole o dolorosa (la morte e la dannazione eterna). Le maledizioni, infatti, sono l’esatto contrario degli auguri (buona Pasqua) o delle benedizioni (che tu possa essere felice): mentre con questi si immagina un futuro piacevole per un’altra persona, con le maledizioni si prefigura una cattiva sorte. Insomma, si augura al massimo livello “buona sfortuna”. 
Queste espressioni infatti sono un modo non solo per allontanare qualcuno, ma esprimono anche un desiderio di vendetta: “tu mi hai fatto soffrire? Vattene via, e prova anche tu qualcosa di brutto”. Anche solo a livello mentale, immaginando una situazione spiacevole.
La maledizione, dunque si basa su una mentalità magica, per la quale la parola e l’immaginazione hanno il potere di influenzare la realtà. Queste espressioni, infatti, si basano sulla fede che l’augurio (negativo) indirizzato a qualcuno si realizzi davvero. Dunque, parlare equivale a fare un sortilegio, un incantesimo, un malocchio: è una forza ostile che si può indirizzare a qualcuno per sopraffarlo.


In questo esercizio di immaginazione, ci sono infinite varianti. Nei riquadri qui sotto ho riunito 51 maledizioni, non solo in italiano ma anche in diversi dialetti (romanesco, veneto, napoletano, milanese, siciliano) e in varie lingue del mondo (inglese, francese, portoghese, arabo, cinese, norvegese, olandese, russo…) e li ho aggregati per tipo: si va dalle maledizioni più “pulp” e crudeli (persino dopo la morte e contro i defunti) a quelle bonarie. Molti di questi modi di dire evocano immagini terribili, altre prospettano situazioni assurde: è un viaggio nelle fantasie più creative e divertenti. Si augurano non solo morte, malattie e dolori fisici (una specie di contrappasso dantesco), ma anche di restare impegnati in attività senza senso: raddrizzare le banane, mungere tori, pettinare le oche…
Insomma, leggendo queste espressioni potete arricchire la vostra tavolozza espressiva a seconda del gusto e della situazione. Ma ne esistono molte altre ancora: alcune le trovate nel mio libro, altre, se volete, potete segnalarle nei commenti a questo post.

[ clicca sui + per aprire i riquadri ]

VIOLENZE SESSUALI
  1. VAFFANCULO (su questa celebre espressione trovate un approfondimento sulla sua origine qui), VAI A FARTI FOTTERE. Significa augurare una sodomizzazione, e ha  espressioni equivalenti in molte lingue, a dimostrazione che le metafore sessuali sono molto usate per esprimere emozioni forti: inglese (fuck off), francese (Va te faire foutre/enculer), spagnolo (vete a tomar por culo), brasiliano (vai tomar no cu), ungherese (baszon meg)

    Alberto Sordi fa il gesto dell’ombrello (dal film “I vitelloni”).

  2. FOTTITI. Che cosa vuol dire questa espressione? Potrebbe essere un invito alla masturbazione, ma secondo lo psicologo Steven Pinker, almeno in inglese (fuck you) potrebbe essere una contrazione di “God fuck you“, che Dio ti fotta. Ha anche un equivalente in tedesco (fick dich).
  3. VÀ A DÀ VIA I CIAP / VA A DÀ VIA IL CÙ (milanese) = vai a dare via le chiappe/il culo.
  4. VATTELA A PIJÀ ‘NDER CULO (DE RETROMARCIA) (romanesco) = vattela a prendere in culo (in retromarcia). Ha un equivalente in portoghese (Pau no cu, cioè cazzo in culo) e in ungherese (Baszon meg, possa qualcuno fotterti).
  5. ‘NCULO A SORETA/A MAMMETA (napoletano) = in culo a tua sorella/mamma; VAFFANCULO A MAMMETA E ‘NTA A FESSA E SORETA (napoletano) = vaffanculo a tua mamma e dentro la vulva di tua sorella. Offendere madri e sorelle, prefigurando che siano sodomizzate: tutte fantasie difficili da sopportare. Equivalente, ma iperbolica, la maledizione araba MILLE CAZZI NELLA FIGA DI TUA MADRE (Aleph Aeer Eb Koos Omak)
  6. VA’ A FOTTERE TUA MADRE: maledizione incestuosa in arabo (Kis em ick).
  7. UN CAZZO DI CAVALLO NEL TUO CULO: è un’espressione ungherese (Lofasz a segedbe). Avete presente le dimensioni?
  8. VAFAMMOCC A CHI T’È MUORT (napoletano) = vai a fare un bocchino a chi ti è morto. Terribile profanazione dei defunti!
  9. METTI LA TUA TESTA NELLA FIGA DI UNA MUCCA E ASPETTA FINCHÉ ARRIVA UN TORO A INCULARTI: lunghissima maledizione dal Sud Africa (Sit jou kop is die koei se kont en wag tot die bul jou kom holnaai)
VIOLENZE FISICHE, MALATTIE E ALTRI DANNI
  1. VAI ALLA MALORA = rovina. Ha un equivalente in messicano (mandar a alguien a la chingada, cioè mandare qualcuno a puttane).
  2. CHE DIO TI FULMINI / STRAFULMINI: ha origine dalla credenza dei pagani in Giove pluvio che lanciava fulmini sulla Terra.

    “Che Dio vi fulmini” (in romanesco): striscione allo stadio.

  3. CHE DIO TI MALEDICA / CHE TU SIA MALEDETTO. Si augura un destino rovinoso a una persona, per volontà di Dio stesso. Ha espressioni equivalenti in inglese (God damn you) e in arabo (Allah Yela’ an).
  4. CHE TE POSSINO CECATTE (romanesco) = accecarti. Si augura una grave e permanente menomazione fisica
  5. ACCIDENTI = che ti venga un accidente. Ha un equivalente in ungherese (A pokolba vele).
  6. MANNAGGIA = mal n’aggia, che tu abbia male
  7. VA GHETTA SANGU (siciliano) = vai a buttare sangue, ovvero che tu abbia una morte violenta per dissanguamento.
  8. VAI A GIOCARE A MOSCA CIECA IN AUTOSTRADA / SUI TETTI = vai a fare un’attività pericolosa dalla quale difficilmente uscirai vivo o incolume.
  9. VA A ONGES (milanese) = vai a ungerti. Si basa sulla credenza antica che la peste si prendesse a causa di misteriosi unguenti malefici che i malvagi spargevano sulle porte, sui muri, sulle cose
  10. CHE TI VENGA UN CANCRO: è una delle espressioni che nel volgarometro, un sondaggio fra i navigatori di questo blog, è risultata fra le più offensive in italiano.
  11. CHE TI VENGA UN COLPO: è una maledizione in tedesco (Den soll der schlag treffen).
  12. CHE TI VENGA IL COLERA: è un antico modo di dire olandese (krijg de keleren), retaggio di quando la malattia era diffusa.
  13. CHE TI VENGA UN’INFEZIONE ALL’UCCELLO: pesante maledizione araba (waj ab zibik), che probabilmente si riferisce alla gonorrea. Del resto ancora oggi in siciliano c’è l’esclamazione “Che camurria!” (= che seccatura) che deriva proprio dal termine gonorrea.  
MORTE E OLTRETOMBA
    1. La più celebre maledizione romanesca in versione inglese.

      VAI A QUEL PAESE / IN QUEL POSTO (= nell’aldilà, al cimitero= muori): è un modo eufemistico di augurare la morte a qualcuno. L’attore Alberto Sordi ha interpretato questo modo di dire in una celebre canzone ironica  “E va e va” (Te c’hanno mai mannato a quel paese, sapessi quanta gente che ce sta”)

    2. VAI AL DIAVOLO / ALL’INFERNO. Per chi crede nell’aldilà, si augura il tormento eterno nella vita ultraterrena. Ha espressioni equivalenti in olandese (Loop naar de hel), tedesco (hol’ dich der teufel), ungherese (Az ordog vigye).
    3. CHE IL DIAVOLO TI PRENDA. Anche questa frase fa leva sulla credenza nei diavoli e nell’inferno. Ha equivalenti anche in francese (Que le diable t’emporte), portoghese (Que o capeta carregue), danese (Fanden ta).
    4. VÀ A MORÌ AMMAZZATO (romanesco): vai a morire ammazzato.
    5. CHE TE POSSINO AMMAZZATTE (romanesco) = che possano ammazzarti. Può essere sintetizzato, in modo eufemistico, in “Te possino”.
    6. CREPA!  Dare l’ordine di morire è un assurdo, in realtà questo imperativo è in realtà un augurio (che tu possa crepare). In napoletano, infatti, si dice “Puozze schiattà”.
    7. CHE POSSA MORIRE TUTTA LA TUA FAMIGLIA: è una maledizione cinese (Hahm gaa chàan) e prefigura un’ecatombe familiare.
    8. LI MORTACCI TUA (romanesco) = i tuoi spregevoli defunti: la frase potrebbe essere una contrazione di “siano maledetti i tuoi spregevoli defunti”. Ha un equivalente in napoletano: “All’anm e chi t’è muort”, all’anima di chi ti è morto (abbreviato anche in “Chi te mmuort”) e in in arabo (Yin’al mayteen ehlak, siano maledetti i tuoi antenati).
    9. SPARATI! In questo caso, è davvero un ordine.
SITUAZIONI IMBARAZZANTI / RIDICOLE / ASSURDE
  1. CAGATI IN MANO E PRENDITI A SCHIAFFI: è un modo visionario di smerdare qualcuno.
  2. VAI IN MONA (veneto) = mona è la vulva: il detto significa quindi letteralmente “torna da dove sei venuto”, a cui si aggiunge lo sgradevole pensiero della vulva della propria madre.
  3. VAI A PETTINARE LE BAMBOLE / LE OCHE = a fare un’attività inutile e noiosa
  4. VA A CAGARE (SULLE ORTICHE) / VA A CAGHER (bolognese). A questa espressione ho dedicato un approfondimento qui. Il contatto con gli escrementi ha ispirato anche lingue, come lo spagnolo (vete a la mierda, vattene alla merda) e l’arabo (Khara alaik, che ci sia merda su di te).

    Versione goliardica (in bolognese) di “Keep calm”.

  5. VÀ SCUÀ L MAR CUN VERT L’UMBRELA (milanese)  = Vai a spazzare il mare con l’ombrello aperto. Impresa assurda e inutile, come le successive.
  6. VA A SCUÀ IN DUÈ CHE L’È NETT  (milanese) = Vai a scopare dove è pulito. Assurdo e inutile.
  7. VÀ SCUÀ L MAR CUN LA FURCHÈTA (milanese) = Vai a spazzare il mare con la forchetta. Provateci!
  8. VÀ A BAGG A SONÀ L’ORGAN (milanese) = vai a Baggio a suonare l’organo: nel quartiere milanese di Baggio c’è, in una piccola cappella votiva, un dipinto che rappresenta un organo, quindi si invita a fare una cosa impossibile.
  9. VÀ A MUNG AL TOR!  (milanese)  =  Vai a mungere il toro. Impresa non solo impossibile ma anche pericolosa.
  10. VÀ A TASTÀ I GAIJN  (milanese) =  Vai a tastare le galline. Impresa assurda oltre che difficile.
  11. VÀ A ‘DRISÀA I BANAN  (milanese)  = Vai a raddrizzare le banane. Impossibile correggere la natura! Almeno a mani nude…
  12. CHE POSSA CRESCERTI UN CAZZO IN FRONTE: immaginifica maledizione in russo (stoby u nego xuy na lbu vyros).
  13. UN MIGLIAIO DI CAZZI NELLA TUA RELIGIONE: maledizione araba (Elif air ‘ab tizak). La guerra santa si fa anche a colpi di maledizioni a sfondo sessuale.
  14. VAI A SCIARE IN UNA FIGA: maledizione finlandese (suksi vittuun). Evoca una situazione impossibile, per quanto interessante…  

MALEDIZIONI BONARIE
  1. Jean-Luc Picard (personaggio di Star Trek) con la maledizione bonaria in milanese (da memegen.it).

    VAI A FARTI BENEDIRE: una benedizione come maledizione… Sembra una contraddizione, ma è un modo per augurare la morte o un esorcismo.

  2. VAI A FARTI FRIGGERE: straordinaria fantasia culinaria!
  3. ATTACCATI AL TRAM: un tempo i tram avevano delle sporgenze esterne, utilizzabili come maniglie, che venivano utilizzate dai ritardatari che si “attaccavano” al tram in corsa. Questo valeva anche per tutti quelli che volevano viaggiare gratis
  4. VAI A RANARE (milanese) = vai a prendere le rane, compito non facile visto che saltano.
  5. VÀ A CIAPÀ I RATT (milanese) = Vai ad acchiappare i topi, impresa ancor più difficile a mani nude.
  6. VAI DOVE CRESCE IL PEPE: espressione norvegese (Dra dit pepper’ngror), è un modo per scacciare qualcuno lontano, visto che la pianta è di origine orientale.

Una storia millenaria

Come avrete notato, c’è una sorprendente corrispondenza fra i modi di dire di lingue anche lontane. Perché, come dicevo all’inizio, le maledizioni hanno una lunghissima storia. Un tempo, infatti, le maledizioni erano formule che si inserivano in un rito preciso. Gli antichi Greci (come anche gli ebrei, gli egizi e tutte le culture antiche) prendevano un’unghia o un capello del nemico, pronunciavano su di esso una formula di maledizione (“possa tu soffrire le pene più dolorose…”) e poi lo bruciavano o lo gettavano in un pozzo o in un fiume, con una tavoletta su cui era incisa la maledizione. Nella formula erano citati, con un crescendo meticoloso, tutti gli organi del nemico fino alla sua anima.

Il calciatore brasiliano Romario sembra mandare qualcuno a quel paese.

Lo storico inglese William Sherwood Fox spiega questo rito con una metafora postale: la tavoletta su cui era incisa la maledizione era la lettera; il pozzo, la buca per lettere; gli spiriti dei trapassati erano i postini; gli dèi degli inferi i destinatari; la formula di accompagnamento era il francobollo di posta prioritaria.
Centinaia di queste tavolette sono state ritrovate dagli archeologi: come ha scritto Sigmund Freud, “è una bella fortuna che tutti questi desideri non posseggano l’efficacia che gli uomini preistorici attribuivano loro, giacché altrimenti sotto il fuoco incrociato delle maledizioni reciproche l’intera umanità sarebbe già da gran tempo andata distrutta».
Un esempio – molto divertente – di maledizione all’antica è questo numero di cabaret di Antonio Albanese, qui nei panni del siciliano Alex Drastico, un tipo molto incazzoso. Ecco la sequela di disgrazie che Drastico augura al ladro che gli ha rubato il motorino (dal minuto 1:50): “Che si spenga in una notte tutta buia, mentre incrocia un grosso tir guidato da un camionista ubriaco, morto di sonno e per di più inglese, e che per questo tiene la sinistra….”

Mentalità superstiziosa

Le maledizioni, dunque, appartengono al regno dell’immaginazione: sono profezie rivolte al futuro, e si basano sull’effetto nocebo (il contrario del placebo): costringono il destinatario a fare un pensiero sgradevole, spingendolo ad avere aspettative negative sul proprio destino. E a volte ci si suggestiona al punto da fare davvero andar male le cose.
La nostra lingua (e molte altre, come abbiamo visto) sono piene di queste espressioni, che a volte non sono immediatamente riconoscibii: l’espressione “accidenti” è la contrazione di “che ti venga un accidenti”, “mannaggia” è la contrazione di “mal n’aggia”, cioè abbia male.

Mandare qualcuno a quel paese è come fargli un rito vudu (foto Shutterstock).

Del resto, nonostante ci professiamo razionali, viviamo ancora di superstizioni, anche in senso positivo.
per esempio, dire “buon mattino” significa indurre un’aspettativa positiva, soprattutto all’inizio della giornata, dato che fin dai tempi antichi si credeva che le prime ore del giorno fossero determinanti per il resto della giornata. E lo stesso valore hanno anche le espressioni “in bocca al lupo”, “buona fortuna“, “in culo alla balena“, etc.
La nostra letteratura è piena di maledizioni: basti dire che nella Bibbia (Genesi, 3:14-19) è Dio stesso a maledire il serpente che tentò Adamo ed Eva (“Poiché hai fatto questo, sii tu maledetto più di tutto il bestiame, sul tuo ventre camminerai e polvere mangerai per tutti i giorni della tua vita…”).
Volete approfondire? Trovate molti altri esempi e citazioni letterarie nel mio
libro.

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