cultura | Parolacce https://www.parolacce.org L'unico blog italiano di studi sul turpiloquio, dal 2006 - The world famous blog on italian swearing, since 2006 - By Vito tartamella Mon, 15 Apr 2024 12:45:55 +0000 it-IT hourly 1 https://www.parolacce.org/wp-content/uploads/2015/06/cropped-logoParolacceLR-32x32.png cultura | Parolacce https://www.parolacce.org 32 32 I libri e la moda dei titoli volgari: funzionano? https://www.parolacce.org/2016/08/11/libri-con-parolacce-nel-titolo/ https://www.parolacce.org/2016/08/11/libri-con-parolacce-nel-titolo/#comments Thu, 11 Aug 2016 08:36:00 +0000 https://www.parolacce.org/?p=10583 Qualche giorno fa, in una libreria, ho visto una cosa che mi ha colpito. Davanti alla cassa campeggiavano in bella mostra due libri che mi hanno fatto sobbalzare. Si intitolavano: “Ma fa ‘n po’ come cazzo te pare“, e “Il culo non esiste solo… Continue Reading

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Libri4Qualche giorno fa, in una libreria, ho visto una cosa che mi ha colpito. Davanti alla cassa campeggiavano in bella mostra due libri che mi hanno fatto sobbalzare. Si intitolavano: “Ma fa ‘n po’ come cazzo te pare“, e “Il culo non esiste solo per andare di corpo“.
Mi hanno colpito perché, solo qualche anno fa, volumi con titoli del genere sarebbero rimasti confinati e un po’ nascosti nel settore “umorismo” o “erotismo”. E magari li avremmo comprati con un po’ di imbarazzo. Oggi, invece, evidentemente sono considerati un fatto normale.
Ma è un fenomeno nuovo? E’ in crescita? Quanti sono, ogni anno, i titoli volgari che vengono pubblicati in Italia? E, soprattutto: hanno successo?
Ho deciso di approfondire. Anche perché, a modo loro, tutti questi libri sono imparentati con “Parolacce”, di cui è appena uscita la nuova edizione in ebook.

Cazzaria

“La cazzaria” (1531), il più antico libro con titolo volgare.

Innanzitutto, smentisco subito un pregiudizio diffuso: il fenomeno non è affatto nuovo. Come potrete leggere in fondo a questo articolo, in realtà i primi titoli scandalosi risalgono già al 1500.
Ma torniamo per ora ai giorni nostri. Per fare una statistica attendibile ho consultato il database più completo di cui disponiamo: il catalogo del Servizio bibliotecario nazionale, ovvero tutti i libri posseduti dalla rete delle biblioteche italiane.
Nella maschera di ricerca, ho digitato le 10 parolacce più usate (al maschile e al femminile, al singolare e al plurale), circoscrivendo la ricerca dal 1960 a oggi, sui testi a stampa in italiano. La ricerca avanzata restituisce i risultati ordinando i libri per anno di pubblicazione.
Ho scartato dal conteggio le edizioni successive del medesimo titolo, ma non posso garantire una precisione assoluta (che, come vedremo, per i numeri in gioco non avrebbe senso).
Ecco il – prevedibile – risultato: l’uso di parolacce nei titoli è stato un crescendo esponenziale. Negli anni  ’70 e ’80 si è quadruplicata, per poi esplodere negli anni ’90 e 2000, come emerge dal grafico qui sotto (clicca per ingrandire):

Quanti sono?

GraficiLibri1Rispetto agli anni ’60, i libri con un titolo volgare sono aumentati di 13 volte negli anni ’90 e di 29 volte negli anni 2000. Se la tendenza resterà costante, entro la fine di questo decennio saranno aumentati di 36 volte. C’è di che inquietarsi? Direi di no: perché i numeri in gioco sono davvero piccoli rispetto al totale dei libri pubblicati.
Prendiamo il decennio record 2000-2009, per il quale abbiamo dati definitivi dell’Aie (Associazione italiana editori) e dell’Istat. In quegli anni, in media, sono stati pubblicati in Italia 56mila libri all’anno, per un totale di 560mila dal 2000 al 2009: i 231 volumi con un titolo volgare usciti in quel decennio rappresentano un misero 0,04% del totale. Vuol dire 4 ogni 10mila libri, una ventina l’anno: una piccola minoranza, anche se fa rumore. Piccola curiosità: l’editore che ha pubblicato il maggior numero di titoli osè risulta Mondadori (65), seguito da Piemme (sempre del gruppo Mondadori, 24) e Zelig (16).

Perché questo boom?

Perché questa diffusione crescente? Innanzitutto perché, dagli anni ’70 il linguaggio è cambiato: il vento della rivoluzione giovanile del 1968 ha portato il linguaggio informale e colloquiale anche sui media (radio, film, tv, giornali e, ovviamente, libri), come raccontavo in questo articolo. Ma per i titoli dei libri vanno considerati anche altri aspetti. Primo, il peso sempre più crescente della satira, della comicità e della letteratura popolare. Non a caso, una delle apparizioni più osè è un titolo del 1970: “Le poesie d’amore: dar core ar cazzo er passo è breve“. Il libro è la traduzione, in dialetto romanesco, delle poesie di Catullo da parte di Massimo Catalucci. Insomma, la stessa operazione di “Il culo non esiste solo per andar di corpo” di Alvaro Rissa (2015), che è un’antologia di classici greci e latini.
LibriMa la vera svolta, come rivelano i numeri qui sopra, è maturata negli anni ’90, quando è iniziata un’esplosione di titoli che dura ancora. Se volessimo identificare un punto di inizio in un libro di successo, forse potremmo trovarlo nel 1997 con “Che stronzo! Il libro-verità sul fidanzato italiano” di Silvio Lenares. Un libro umoristico, nel quale il sedicente Ettore Bengavis, emerito dottore in Stronzologia, descrive le tipologie del fidanzato italiano, consigliando come sfuggire al maschio italiano.
Nel 2002 Luciana Littizzetto pubblica un altro titolo dirompente: “Ti amo bastardo“. Seguito da un best seller che ha rotto gli schemi della saggistica, per il tono colloquiale dei titoli: “Come smettere di farsi le seghe mentali e godersi la vita” di Giulio Cesare Giacobbe (2003), poi replicato con “Come diventare bella, ricca e stronza: istruzioni per l’uso degli uomini” (2006) e “Il fascino discreto degli stronzi” (2009). La via era tracciata: l’uso di parolacce nei titoli è passato dalla letteratura satirica e umoristica alla saggistica.
Un approccio che ha avuto un successo notevole: non solo perché la parolaccia attira l’attenzione e quindi è un potente strumento di marketing (l’abbiamo visto a proposito di vini con etichetta sboccata), ma anche perché la parolaccia è il linguaggio della schiettezza, della sincerità, del “pane al pane vino al vino”. Dunque, chi scrive un saggio (che sia di auto-aiuto, di psicologia o di denuncia politica e sociale) se ricorre al linguaggio colloquiale dà subito l’idea di essere alla portata di tutti. Come dimostrano i saggi, serissimi, “Stronzate: un saggio filosofico” (2005) di Harry Frankfurt, “Il culo e lo stivale: i peggiori anni della nostra vita” di Oliviero Beha (2012) o “Siamo tutti puttane: contro la dittatura del politicamente corretto” di Annalisa Chirico (2014). E infatti, fra i titoli che ho esaminato in questa indagine, gran parte rientra nel genere humor, seguito proprio da psicologia (ed erotismo, ma meno di quanto ci si aspetterebbe).
Insomma, l’uso della parolaccia nei titoli dei libri è il sintomo di un’epoca che gioca a contaminare gli stili e i registri, che sono diventati permeabili fra loro: formale e colloquiale, serio e comico si mischiano fra loro. Fino agli anni ’80, se qualcuno avesse pubblicato un saggio (serio) con un titolo volgare, avrebbe perso in prestigio e credibilità. Oggi, invece risulta simpatico e schietto.
Da un altro punto di vista, poi, significa che la cultura “ufficiale” ha legittimato, oltre al linguaggio, anche la cultura comica e quella popolare in generale. Gli ha dato dignità letteraria. E questo è senz’altro un bene.

Quali parolacce si usano? Hanno successo?

GraficiLibri2Ma quali sono le parolacce più usate nei titoli dei libri italiani? In classifica svetta “bastardo” (257 titoli), seguito da “puttana” (109) e “culo” (60). In questo decennio si assiste a un’impennata di “stronzo“, che ha già superato “culo” e tallona “puttana“. Trovate i dati in dettaglio nella tabella qui a destra.
Se i libri sono lo specchio di un’epoca, allora viviamo in un tempo di bastardi e di puttane? L’ipotesi è suggestiva e ha un fondo di verità; ma in realtà, bastardi e puttane sono presenze costanti in tutta la storia, perché sono le due facce della medesima miseria umana…
A parte questo: è una strategia vincente pubblicare libri con titoli volgari? Dipende. Un titolo con una parolaccia senz’altro attira l’attenzione dei lettori fra i numerosi volumi pubblicati ogni anno in Italia (oggi ci avviciniamo ai 60mila). Ma la medaglia ha il suo rovescio: i libri con un titolo spudorato hanno meno possibilità di essere recensiti da tv, radio, giornali. Dove, almeno in alcuni casi, si sta attenti al linguaggio, e certi titoli sarebbero impronunciabili. Insomma, un libro come “Il metodo antistronzi“, più che una recensione su un giornale prestigioso dovrà la sua fama al passaparola, ai social network o anche come regalo goliardico. D’altronde, se le parolacce sono il registro colloquiale e popolare per eccellenza, è giusto che si diffondano in quello stesso canale comunicativo.
E comunque, ovviamente, una parola forte non basta a decretarne il successo: sui 594 libri con titoli volgari che ho preso in esame per questa statistica, i best seller non mi sono sembrati più di una ventina. Insomma, alla fine vince pur sempre il contenuto (com’è giusto che sia).

Quando sono stati pubblicati i primi libri con titoli volgari?

Resta un’ultima curiosità: a quali anni risale l’esordio di queste parolacce nei titoli librari? Ecco quanto sono riuscito a ricostruire nella tabella qui sotto. Come potete vedere, non è affatto una tendenza moderna, visto che 7 termini su 10 sono precedenti a prima del 1900; e risalgono al 1500, dopo poco più di un secolo dall’invenzione della stampa a caratteri mobili (1455). Solo vaffanculo, tette e fica sono stati “sdoganati” negli ultimi 40 anni. Anche in questo caso, contrariamente a quanto ci si potrebbe aspettare, i libri erotici sono una minoranza (20%); la maggioranza (70%) sono scritti a sfondo umoristico o satirico. Già nell’antichità, le parolacce si usavano soprattutto per far ridere. E se vi capitasse di leggere qualcuno di questi libri, vi accorgerete che non sono affatto libri commerciali: hanno uno spessore culturale che oggi non ci sogniamo lontanamente. Perché sono stati scritti dai (pochi, veri) intellettuali dell’epoca. Le parolacce, scritte da uomini di cultura, acquistano un altro sapore.

Parolaccia Anno Titolo Autore Genere
Cazzo 1531 La cazzaria Antonio Vignali Satirico
Puttana 1532 La puttana errante Lorenzo Venier Umoristico
Coglione 1569 Historia della vita, et fatti dell’eccellentissimo capitano di guerra Bartolomeo Coglione Pietro Spino Satirico
Bastardo 1594 Trattato delle ragioni sopra il regno di Cipro, appartenti alla serenissima casa di Sauoia. Con narratione d’historia del violento spoglio, commesso dal bastardo Giacomo Lusignano.  Storico. (Il termine, pur con sfumatura spregiativa, non significa “cattivo, spregevole, spietato” bensì “figlio illegittimo”).
Merda
Stronzo  
1629 La merdeide, stanze in lode delli stronzi della gran villa di Madrid, del sign. D. Nicolò Bobadillo. Tommaso Stigliani Satirico
Culo 1842 La culeide in antitesi al moderno costume dei culi finti Gabriele Rossetti Cantone Umoristico
Vaffanculo 1977 La Traviata Norma, ovvero: vaffanculo… ebbene sì. Collettivo teatrale “Nostra signora dei fiori” Umoristico
Tette 1979 Lord tette M.H. Englen. Erotico
Fica 1994 La fica di Irene Louis Aragon Erotico

Questo articolo è stato ripreso da AdnKronos, Il Giornale, Prima Comunicazione, Il MessaggeroBooksBlogAgora Magazine, Donna Charme, Reportage online, Italy journal.

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Le contraddizioni delle tette https://www.parolacce.org/2016/06/05/significati-culturali-seno/ https://www.parolacce.org/2016/06/05/significati-culturali-seno/#comments Sun, 05 Jun 2016 11:15:17 +0000 https://www.parolacce.org/?p=10274 Se volete prendere le distanze, potete chiamarle mammelle, seni, petto… Ma se ci aggiungete il sentimento e l’immaginazione, diventano borracce, zampogne, davanzali, cocomeri, meloni, pere, ciucce, poppe, sise, bocce, zinne, e, ovviamente, tette. Nella nostra lingua, i sinonimi delle ghiandole mammarie… Continue Reading

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thumbSe volete prendere le distanze, potete chiamarle mammelle, seni, petto… Ma se ci aggiungete il sentimento e l’immaginazione, diventano borracce, zampogne, davanzali, cocomeri, meloni, pere, ciucce, poppe, sise, bocce, zinne, e, ovviamente, tette. Nella nostra lingua, i sinonimi delle ghiandole mammarie sono quasi cento: per la precisione, i linguisti Giovanni Casalegno e Valter Boggione, nel “Dizionario storico del lessico erotico” (Longanesi) ne hanno trovati 94. E non è un dato insolito: i nomi dell’anatomia erotica stimolano da sempre la fantasia, sopra e sotto la cintura, come raccontavo in questo post. (Nella foto, campagna pubblicitaria dei reggiseni brasiliani “Hope” per taglie forti: “destra e sinistra insieme”, dice lo slogan).

SEXY. MA INFLAZIONATO?

Oggi, però, questa zona erogena sembra aver perso il suo potere: già dal 2000 la Cassazione ha sancito che il topless non offende il pudore in quanto “da vari lustri è comunemente accettato ed entrato nel costume sociale”. In effetti è vero: oggi un seno nudo non fa più scandalo, perché ormai inflazionato da rotocalchi, film e tv… occhiEppure, in Italia e nei Paesi mediterranei, è ancora un attributo essenziale della seduzione femminile: da decenni nel nostro immaginario cinematografico si alternano sempre nuove “maggiorate“, da Sophia Loren a Sabrina Ferilli, passando per le donne super prosperose di Federico Fellini.
Qualcuno dice che è un sintomo del mammismo italiano: può darsi, ma anche nel mondo anglosassone – tutt’altro che mammista – i tabloid con le foto di modelle tettone riscuotono molto successo: perché il seno è un simbolo di femminilità, accoglienza, caloredolcezza, cibofecondità, seduzione, salute. Sono come due grandi occhi che ipnotizzano lo sguardo maschile. E, se il seno è bello, suscita ammirazione (e un po’ di invidia) anche nelle altre donne. Oggi, però, è diventato una moda, un’ossessione, anzi: uno status symbol. Chi può, si rifà le zinne. Secondo l’Associazione italiana chirurgia plastica estetica (Aicpe), infatti, nel 2014 in Italia gli interventi per aumentare il seno (mastoplastica additiva) sono stati il secondo intervento più diffuso dopo la liposuzione: l’hanno fatto 33.532 donne, quanto l’intera popolazione di Castelfranco Veneto. Insomma, sono nate le poppe in serie: il seno tondo, sodo e abbondante è diventato uno standard omologato, uguale per tutte. E anche questo contribuisce a ridurne la carica erotica: tant’è che, secondo un’opinione abbastanza diffusa, “tette” non sarebbe una parolaccia ma un’espressione colloquiale o familiare. Infatti, la usano anche le mamme coi loro bambini: “Vieni qui, che ti do la tetta”…

TABU’ E ISTERIE

tetteSarandon

“Io ce l’ho più grande del tuo”: anche a 69 anni, Susan Saradon (destra) fa a gara con Salma Hayek per il seno più “large”.

E’ davvero così? Sì e no. Già un indizio dovrebbe indurre alla cautela: se una donna va dal medico per una visita, non gli dirà che “sente un nodulo alle tette” ma al seno: altrimenti, porterebbe un aspetto di seduzione e di confidenza in un rapporto terapeutico. E, come raccontavo in questo post, i limiti d’uso – insieme al registro basso e ai colori emotivi – sono i tratti distintivi delle parolacce. Ma c’è anche un altro indizio, ancora più rilevante: il termine tette è usato anche nella letteratura erotica e nella pornografia (lo trovate nei siti hot, alla voce “tette grandi”, “tette enormi”, “tettone”). Senza contare che con le tette si può fare la “spagnola”, di cui parlavo qui.
Come si spiega questo fatto? E’ una delle tante schizofrenie sul seno, che oscilla fra due opposte polarità nella nostra cultura: simbolo di maternità e simbolo sexy.
Per la psicoanalisi non è una novità, ma per la nostra società (tradizionalista e maschilista) sono visioni inconciliabili: o sei madre, o sei puttana. Tutte e due le cose insieme, no. Ecco perché a volte si creano cortocircuiti culturali, come accade nelle reazioni isteriche di quanti non tollerano di vedere una donna che allatta in un luogo pubblico, come racconto più avanti.

LE PAROLE PER DIRLO

MappaTettePartiamo dall’analisi linguistica (clicca le mappe per ingrandirle; credito Shutterstock). I termini che si riferiscono al seno fanno riferimento per lo più alla loro forma rotonda (meloni, bisacce, palloni) o sporgente (zinne, dal longobardo “merlo di una muraglia”). Molto diffuso il termine poppe, che – contrariamente a quanto si può immaginare – non deriva dal termine poppare (che ne è un derivato) bensì da pupa, ragazza. Come dire che il seno è un elemento caratterizzante della femminilità. Da questo termine, tra l’altro, deriva anche l’inglese boobs.

Treviso, la Fontana delle tette (1559): zampillava vino.

Treviso, la Fontana delle tette (1559): zampillava vino.

Ma i termini più espressivi legano il termine all’atto del succhiare: ciucce, tette, zizze, menne, e lo stesso termine mamma e mammella riproducono, in modo onomatopeico, la suzione dei bambini. Dunque, mamma è colei che offre il petto da succhiare. E quando una parola evoca qualcosa in modo diretto e fortemente immaginifico, scattano le censure: ecco perché la parola tette non si può dire in ogni circostanza.
Nella nostra civiltà infatti, il seno è diventato una zona eroticamente carica: a differenza delle culture africane, dove è visto solo come un organo per allattare, che attrae solo i bambini. Ecco perché nelle tribù africane il topless è la regola e non turba nessunoSecondo molti antropologi, infatti, l’erotizzazione del seno è un fatto culturale, soggettivo: rappresenterebbe il passaggio da una sessualità “da tergo” (con il richiamo erotico dei glutei, come raccontavo qui) a una frontale, nella quale il seno richiama sul petto le rotondità del sedere.

SACRO E PROFANO

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Campagna in Germania: i lavori manuali sono sexy. Il nesso glutei-seno è evidente.

Eppure, anche nella nostra (apparentemente) libera civiltà, il seno riesce ancora a dare scandalo. Innanzitutto quando è usato nelle pubblicità, che ne sfruttano la carica erotica per attirare l’attenzione e sedurre. Ma mentre in passato era messo in mostra dalle prostitute per attirare i clienti, nella civiltà dei consumi il seno è esposto non per vendere il corpo femminile, bensì per piazzare altre merci, che siano liquori, telefonini, o automobili (ecco perché queste pubblicità sono accusate di sessismo, come raccontavo qui).
E’ un uso strumentale e commerciale del seno, che non ha precedenti nella storia. In passato, invece, il seno era usato in un campo diametralmente opposto: la religione. Leonardo_da_Vinci_Madonna_LittaMolte immagini sacre, dal 1300 in poi, raffigurano infatti la Madonna mentre allatta il bambin Gesù: una tradizione nata nell’arte bizantina nel V secolo, e poi approdata in occidente con grande successo, tanto da aver ispirato artisti come Ambrogio Lorenzetti, Nino Pisano, Jan van Eyck, Albrecht Durer e Leonardo da Vinci (dipinto a sinistra).
E’ la Madonna del latte (detta anche Virgo lactans o Galaktotrophousa, che nutre col latte), un tema che divenne molto popolare perché rappresentava Maria nella sua umanità terrena, nella sua tenerezza di mamma: quindi, più vicina ai fedeli. Col cristianesimo, insomma, l’allattamento è stato rivalutato. Le antiche greche e romane, invece, rifiutavano l’allattamento al seno: per non rovinarlo, le ricche affidavano i poppanti alle balie.
Madonna_del_Latte_San_Bernardo (1)Anzi, si arrivò al punto di rappresentare l’illuminazione mistica di Bernardo di Chiaravalle come una poppata di latte dal seno della Madonna: secondo una leggenda diffusa nel 1300, racconta Victor Stoichita, a Bernardo fu ordinato di predicare davanti al vescovo di Chalon. San Bernardo si rifiutò, si mise in preghiera davanti a Nostra Signora e si addormentò. “Nostra Signora gli mise il suo seno sulla bocca trasmettendogli la scienza divina. Da quel momento Bernardo divenne uno dei predicatori più sottili del suo tempo”. L’episodio fu illustrato da diversi artisti, come Alonso Cano che nel 1656 lo raffigurò come uno schizzo diretto alla bocca del santo (vedi dipinto a destra): d’altronde, era l’unico modo di mantenere le distanze fra la bocca di Bernardo e il seno di Maria. Ma nel frattempo erano cambiati i tempi: con l’austerità dei costumi voluta dalla Controriforma (1563), la Chiesa censurò queste immagini, raffigurando da allora in poi la Madonna in modo più castigato.

SE ALLATTARE FA SCANDALO

Eppure, ancora oggi, l’allattamento fa scandalo: nel 2014 ha fatto clamore la disavventura di una 35enne britannica, Louise Burns, che è stata costretta dai camerieri di un hotel di lusso di Londra, il Claridge, a coprirsi con un tovagliolo mentre allattava. Un caso tutt’altro che isolato, che dimostra quanto poco libera è la nostra civiltà: cosa c’è di scandaloso in una donna che allatta? Il motivo è che l’immagine naturale di un seno usato per la sua funzione fisiologica di ghiandola mammaria stride con quella del seno come richiamo erotico. E minaccia di annullarne la sua carica sexy.

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La top model Nicole Trunfio in una copertina pro allattamento e in una versione censurata.

Ma questo tabù nasconde in realtà anche un classismo e un interesse commerciale, denuncia in un recente saggio, Amy Bentley, docente di nutrizione all’università di New York: da quando, negli anni ’50, si diffuse il latte in polvere, l’industria alimentare ha fatto molte campagne per promuovere la nutrizione infantile tramite biberon, descrivendola come “pratica, utile, moderna”, facendo passare l’allattamento al seno come un’abitudine da classi povere e primitive.
Sono occorsi decenni di studi per comprendere invece che il latte materno è molto più sano di quello in polvere, perché rafforza le difese immunitarie dei bambini. E così sono nati i movimenti per sostenere l’allattamento al seno, come la Leche League. E da questo punto di vista, è molto più progressista papa Francesco, che fin dalla sua elezione ha sempre esortato le donne a nutrire i loro neonati, perfino in chiesa.

seno

Il seno per attirare l’attenzione: una scorciatoia usata in molti spot. E contestata per il suo sessismo.

LE TETTE IN POLITICA

I seni nudi sono le nostre armi: lo slogan di Femen.

I seni nudi sono le nostre armi: lo slogan di Femen.

Ma c’è un altro aspetto del seno che ha creato scandalo: il suo uso come arma di protesta. Sfruttando tutte queste contraddizioni della nostra cultura, le attiviste di Femen, movimento femminista ucraino, hanno inscenato diverse proteste presentandosi a seno nudo, spesso sovrastato da scritte e slogan. Le loro performance fanno sempre clamore, e non solo per i loro bersagli (uomini e luoghi di potere): ma soprattutto per il contrasto fra la nudità, la vulnerabilità, l’intimità femminile e l’esposizione mediatica. Danno un senso di intimità violata.
A differenza dei topless degli anni ’70, esibiti come bandiera della liberazione sessuale e dell’eguaglianza con gli uomini (“anche noi abbiamo diritto a stare a petto nudo”), le Femen invece mostrano un seno desessualizzato e politico. Non è più una zona erogena e nemmeno un attributo materno: è un’arma di protesta, un nudo di sofferenza e di rabbia tutta femminile davanti a un mondo che altrimenti le ignorerebbe. Le poppe nude fanno notizia e attirano l’attenzione? Bene, allora guardatele, perché sono la vetrina, il manifesto delle nostre idee. E’ nato un nuovo cortocircuito sulle tette.

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