De puta madre | Parolacce https://www.parolacce.org L'unico blog italiano di studi sul turpiloquio, dal 2006 - The world famous blog on italian swearing, since 2006 - By Vito tartamella Wed, 02 Oct 2024 13:57:53 +0000 it-IT hourly 1 https://www.parolacce.org/wp-content/uploads/2015/06/cropped-logoParolacceLR-32x32.png De puta madre | Parolacce https://www.parolacce.org 32 32 La mamma è sempre la mamma (anche negli insulti) https://www.parolacce.org/2024/05/09/lista-insulti-alla-madre/ https://www.parolacce.org/2024/05/09/lista-insulti-alla-madre/#comments Thu, 09 May 2024 18:00:25 +0000 https://www.parolacce.org/?p=20478 E’ una delle offese più potenti che esistano. Perché colpisce la persona più importante del nostro mondo affettivo: la mamma. E non solo in Italia, nota per essere una cultura di mammoni: questo genere d’offesa è diffusa nelle altre lingue… Continue Reading

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Striscione offensivo dei tifosi del Pescara contro quelli dell’Ascoli

E’ una delle offese più potenti che esistano. Perché colpisce la persona più importante del nostro mondo affettivo: la mamma. E non solo in Italia, nota per essere una cultura di mammoni: questo genere d’offesa è diffusa nelle altre lingue romanze (francese, spagnolo, portoghese, rumeno), in inglese e nelle lingue dell’est, dal russo al cinese, oltre all’arabo e diverse altre.
In italiano gli insulti alla madre sono una quarantina ed esprimono una fantasia molto malevola. Perché sviliscono, con immagini ripugnanti o sessuali, la figura più sacra: la persona che ci ha trasmesso la vita. Un colpo dinanzi al quale nessuno può restare indifferente: come ha ricordato papa Francesco (paragonando il sentimento religioso con l’attaccamento alla madre), «Se il dottor Gasbarri, un grande amico, dice una parolaccia contro la mia mamma, lo aspetta un pugno. E’ normale». Come diceva il comico toscano Francesco Nuti «Te la mi’ mamma tu la lasci stare, va bene?».

Questo genere di insulti ha influenzato non soltanto i modi di dire, ma anche le culture: le battaglie rap consistono spesso nell’improvvisare rime offensive sulla madre di un’altra persona (“yo mama…“, “tua madre…“), in una sfida che rappresenta non solo un duello linguistico e simbolico, ma è anche un rito di affiliazione fra giovani, come racconterò più avanti. Pensate che in russo il gergo volgare si chiama proprio “Mat”, termine che deriva dalla stessa radice di “madre” (dall’espressione “yob tvoyu mat”, «fotti tua madre»).

Battaglia rap a suon di insulti alla madre: è uno show in Australia

Nella nostra lingua gli insulti alla madre sono più numerosi nei dialetti, per lo più del Sud: in italiano ci sono 5 espressioni, contro le 36 fra: napoletano (11), veneto e friulano (8), sardo (6), toscano (3),  pugliese (3),  siciliano e calabrese (2) e lombardo (1). Un’ulteriore prova che si tratta di offese molto antiche: infatti le dicevano anche Cicerone e Shakespeare. Degno di nota il fatto che prevalgono le espressioni di tipo incestuoso: rappresentano metà delle locuzioni censite.

Gli insulti alla madre sono uno dei 4 temi universali (cioè diffusi in ogni cultura) delle parolacce insieme agli insulti fisici, alle espressioni oscene e ai termini escrementizi. E sono offese del tutto particolari perché colpiscono una persona non direttamente, ma offendendone un’altra: una sorta di vendetta trasversale. Una strategia molto efficace, visto il rapporto così intimo e profondo con la figura materna. Insomma, la mamma è anche…. la madre degli insulti.
Come nasce questa usanza? E come si manifesta, in italiano e in altre lingue?

Figlio di… 

Locandina di Eleazaro Rossi, comico.

L’espressione “figlio di puttana”, con le sue diverse varianti, è presente in tutte le lingue: inglese (son of a bitch), francese (fils de pute, Ta mère la pute), tedesco (hurensohn), spagnolo (hijo de puta), portoghese (filho da puta), rumeno (Fiu de curvă) arabo (Ibin Sharmootah: la puttana di tua madre), russo (Сукин сын). In cinese si usa l’espressione 王八蛋wáng bā dàn) che significa letteralmente “uovo di tartaruga”: dato che la tartaruga abbandona le uova dopo averle covate, l’espressione denota un figlio di madre ignota (mignotta per l’appunto: vedi sotto), nato da una relazione extraconiugale. Ma ci sono anche due altre spiegazioni: un tempo si pensava che le tartarughe concepissero solo con il pensiero, rendendo impossibile ricostruire la paternità della prole (dunque, in questo caso, “figlio di padre ignoto”). Oppure, secondo un’altra interpretazione ancora, all’origine dell’espressione c’è la somiglianza fra la testa della tartaruga che esce dal guscio e il glande  che emerge dal prepuzio: l’espressione indica quindi una donna che ha perso la virtù.

In spagnolo esistono anche altri modi pittoreschi per dirlo: “anda la puta que te pari” (Torna dalla prostituta che ti ha partorito) e “tu puta madre en bicicleta”, ovvero “tua madre puttana in bicicletta”.

In Italiano è una delle espressioni considerate più offensive dopo le bestemmie (e a pari merito con “succhiacazzi”), secondo la mia ricerca sul volgarometro. Ed è l’offesa che raccoglie più denunce e processi, secondo uno studio.

Perché? Per motivi giuridici, sociali e psicologici.

[ per approfondire, apri la finestra cliccando sulla striscia blu qui sotto ] 

BASTARDI E ILLEGITTIMI
 

Film del 2003. L’espressione significa “avere una natura cattiva”

In passato, i figli delle prostitute (e in generale quelli nati fuori dal matrimonio) erano disprezzati: la struttura sociale si basava sulle coppie matrimoniali ufficiali, nelle quali – fino all’avvento dei test genetici – era più immediato stabilire l’appartenenza sociale e i diritti ereditari, dato che “Mater semper certa est, pater numquam” (“L'[identità della] madre è sempre certa”, quella del padre no). E proprio dall’impossibilità di accertare in modo oggettivo la paternità è nata l’ossessione per il controllo sul sesso femminile: la moralità della donna era l’unica condizione per assicurare stabilità sociale e ordine. I figli nati fuori dal matrimonio erano visti come una minaccia a questo ordine, poiché potevano complicare le questioni di eredità e le alleanze familiari.

Nel mondo antico erano considerati “bastardi” (altro termine offensivo legato alle figure genitoriali) i figli di coppie conviventi, quelli nati da una prostituta o frutto di una relazione adulterina o incestuosa. Questi figli, denominati “illegittimi”, erano penalizzati nell’ambito del diritto successorio (non potevano ereditare il patrimonio dei genitori), erano esclusi dalle cariche pubbliche, non potevano svolgere alcune professionisposare persone appartenenti ai cosiddetti mestieri onorabili. In più, per la religione, il sesso al di fuori del matrimonio era considerato immorale, e di conseguenza, i figli nati da queste unioni erano  stigmatizzati come prova visibile di un comportamento peccaminoso.

E questa prospettiva è arrivata fino ai tempi moderni: in Italia solo dal 1975 con la riforma del diritto di famiglia i figli nati fuori dal matrimonio acquisirono gli stessi diritti dei figli “ufficiali”. E solo dal 2012 è sparita, con la riforma della filiazione, la legge 219, la distinzione fra “figli legittimi” e “figli naturali”.

Questo genere di insulti sono un retaggio della cultura patriarcale? Secondo Francine Descarries, femminista e docente di sociologia all’Université du Québec à Montréal, la risposta è sì: «Le donne sono sempre state considerate proprietà degli uomini, siano esse figlie, mogli o madri. Attaccare la madre significa contaminare la proprietà dell’uomo. Quindi, quando insultiamo la madre di un uomo, attacchiamo i suoi beni, proprio come i suoi vestiti o la sua casa».

La testata di Zidane a Materazzi: l’artista algerino Adel Abdessemed ne ha fatto una statua.

In effetti, ricordate perché Zinedine Zidane diede una testata a Marco Materazzi, giocandosi così la finale dei Mondiali di calcio 2006? Perché Materazzi gli aveva detto: “Non voglio la tua maglia, preferisco quella puttana di tua sorella.
L’ipotesi ha del vero: nessuno nega il peso del maschilismo nella nostra cultura. Tuttavia, in questo caso, c’è una ragione molto più immediata, come evidenzia la psicologia: la madre è l’affetto più profondo che abbiamo, la fonte delle nostre sicurezze, le nostre radici. Non solo gli uomini, ma anche le donne si sentirebbero offese se qualcuno denigrasse la loro madre. E, in ogni caso,
insultare i familiari di qualcuno è, in generale, un’offesa pesante: tant’è vero che in napoletano si offende non solo la madre (“mamm’t”), ma anche la sorella (“soreta”), il padre (“patete”), o il fratello (“frateto”).  Toccare i rapporti di sangue, quelli più stretti, fa sempre male. Del resto, non condividiamo con loro parte del nostro patrimonio genetico?

Gli insulti alla madre sono molto antichi: già Plutarco, nella “Biografia di Cicerone” ricorda la battuta di quest’ultimo a Metello Nepote che gli chiedeva “Chi è tuo padre?”. Cicerone gli rispose: “Nel tuo caso,” disse Cicerone, “tua madre ha reso la risposta a questa domanda piuttosto difficile.”

E nel “Timone d’Atene” William Shakespeare inserisce questo dialogo:

PITTORE – Sei un cane!

APEMANTO – Della mia stessa razza è tua madre: che altro potrebbe essere quella che ha fatto te, s’io sono un cane?

 

MODI DI DIRE

In questa categoria ho censito 11 espressioni:

“5 figli di cane”, film di gangster del 1969

♦ figlio della colpa: figlio nato al di fuori del matrimonio, fra conviventi o adulteri 

♦ figlio della serva: persona considerata inferiore per nascita e trattata di conseguenza, anche in modo sgarbato e villano. Usato soprattutto in senso figurato per chi viene emarginato da un gruppo, o trattato con minor considerazione rispetto agli altri.

♦ figlio di nessuno: trovatello, o figlio naturale. Era usato anche come insulto o con valore spregiativo. In senso figurato, anche bambino molto trascurato dai genitori.

♦ figlio di puttana (dal latino puta, fanciulla) / di troia (femmina del maiale, sozza fisicamente e moralmente) / di zoccola (femmina del topo di fogna, notoriamente prolifica. Ma può derivare dal fatto che nel 1700 le prostitute dei quartieri spagnoli indossavano le stesse scarpe vistose, con alti zoccoli, delle nobildonne, che li usavano per non sporcare di fango le loro vesti) / di baldracca (da Baldacco, antico nome di Baghdad. Era anche il nome di un’osteria di Firenze frequentata dalle meretrici) / di mignotta (un tempo molte madri naturali non intendevano riconoscere legalmente i propri figli, e non davano il loro nome all’anagrafe; questi bambini erano pertanto registrati come “figli di madre ignota”, che abbreviato in “M.Ignota” ha dato luogo al termine “mignotta” con valore d’insulto) / di bagascia (dal francese bagasse,  “serva” o “fanciulla”) 

♦ figlio d’un cane: l’espressione è equivalente a “figlio di puttana”, ma aggiunge una valenza spregiativa il riferimento all’animale (considerato inferiore all’uomo) considerato vile, crudele e comunque inferiore all’uomo. In inglese “son of a bitch” significa letteralmente “figlio di una cagna”: i cani sono disprezzati per il fatto di avere rapporti sessuali davanti a tutti e con partner diversi

In napoletano:

♦ figlio’ e’ ntrocchia: figlio di puttana. La parola ntrocchia deriva dal latino “antorchia”, torcia: nell’antichità le prostitute giravano di notte in strada con una torcia accesa per attirare clienti. L’equivalente di “lucciola”, insomma. L’espressione può essere usata anche in senso ammirativo (vedi prossimo riquadro)

♦ chella puttan ‘e mamm’t: quella puttana di tua madre

In veneto, friulano:

♦ tu mare putana: tua madre puttana

♦ tu mare grega: “grega” significa “greca”, donna straniera: spesso le prostitute dei bordelli erano di origine straniera, e in friulano “grego” designa anche una persona infida, doppia 

In siciliano:

♦ ‘dra pulla i to matri: quella puttana di tua madre

♦ figghiu d’arrusa / buttanazza: figlio di puttana

DA INSULTI A COMPLIMENTI

L’attore Samuel L. Jackson fa spesso il motherfucker, un tipo tosto.

L’espressione “figlio di puttana”, oltre a indicare i figli delle prostitute, designa anche una persona spregevole e priva di scrupoli che compie azioni disoneste: i figli delle prostitute, del resto, crescevano per strada, o senza un’educazione, e spesso vivevano di espedienti per riuscire a cavarsela.
Al punto che l’espressione “figlio di puttana” (e in napoletano “figl ‘e ndrocchia” e “figl ‘e bucchino”) può essere usata, in modo scherzoso, anche come complimento: indica chi riesce a cavarsela nelle situazioni difficili grazie a un’abilità spregiudicata. E questo vale anche per l’espressione spagnola de puta madre”, di madre puttana, che però è usata come rafforzativo enfatico: equivale al nostro “della Madonna”, “cazzuto”, “molto figo”, “da paura”: come dire, figlio di una madre spregiudicata e tosta. Anche l’espressione inglese “motherfucker” (letteralmente: uno che si fotte la madre, ovvero “uno capace di fottere sua madre”) significa
“persona meschina, spregevole o malvagia” o si può riferire a una situazione particolarmente difficile o frustrante. Ma può essere usato anche in senso positivo, come termine di ammirazione, come nell’espressione badass motherfucker (acronimo: BAMF), che significa ”persona tosta, impavida e sicura di sé”.

Arma letale: le espressioni incestuose

In spagnolo la “concha” è la conchiglia, ma qui significa vulva.

Gli insulti alla figura materna possono utilizzare una variante se possibile ancora più offensiva: quella che evoca la sessualità della madre. Giocano, cioè, sul tabù dell’incesto, il più forte e antico: evocando la sessualità della propria madre costringono il destinatario dell’insulto a un pensiero altamente sgradevole, ripugnante e imbarazzante. Un “incantesimo” verbale pesantissimo, innescato evocando i suoi genitali, gli atti sessuali o una vita sessuale dissoluta. Il sesso evoca sempre la nostra natura animalesca, dalla quale cerchiamo sempre di prendere le distanze: a maggior ragione nei rapporti affettivi che non hanno (e non devono avere) risvolti erotici.
Dunque, abbinare pensieri osceni alla figura materna è un’arma linguistica micidiale, ed è presente in molte lingue:
oltre al già ricordato russo  “Ёб твою мать” (“yob tvoyu mat”, scopa tua madre, all’origine del “mat”, il gergo volgare), c’è l’albaneseqifsha nënën” (mi fotto tua madre) o “Mamaderr” (Tua mamma è una maiala) e l’araboKos immak” (La figa di tua madre) e Nikomak (scopa tua madre). E anche il rumenoDute-n pizda matii“, torna nella figa di tua madre, e il cinese ha due espressioni per “scopa tua madre”屌你老母 (diu ni lao mu, cantonese) e  操你妈 (cao ni ma, mandarino). E il persiano: Kiram tu kose nanat, ovvero “il mio cazzo nella figa di tua madre”, Madar kooni “tua madre è lesbica”, Kos é nanat khaly khoob hast “La figa di tua madre è buona”, Sag nanato kard “Un cane ha scopato tua madre”, Pedarbozorget nanato kard “Tuo nonno ha scopato tua madre”, Nanat sag suk mizaneh “Tua madre fa pompini ai cani”, Molla nanato kard “Un mullah (teologo) ha scopato tua madre”, Madareto kardam “Mi sono scopato tua madre”, Kiram to koone nanat “il mio cazzo nel culo di tua madre”.

In francese c’è “nique ta mère” (scopa tua madre) e “Ta salope de mère” (quella maiala di tua madre), in spagnolo(vete a) la concha de tu madre” (vai nella figa di tua madre), “Chinga tu madre” (“Scopa tua madre”), “Tu madre culo” (“Il culo di tua madre”). E in finlandese c’è l’espressione  “Äitisi nai poroja” che significa “Tua madre scopa con una renna”: ogni cultura adatta gli insulti al proprio contesto.

 

MODI DI DIRE

E’ la categoria più numerosa, con 20 espressioni:

In veneto:

“A fess d mamt”, un brano disco degli Impazzination (2012).

♦ quea stracciafiletti de to mare: quella strappa frenuli (del prepuzio) di tua madre

♦ va in figa de to mare / va in mona: vai nella figa di tua madre, ovvero: torna da dove sei venuto. E’ usato anche in modo bonario, come sinonimo di “Ma và a quel paese”

♦ quea sfondrada de to mare: quella sfondata di tua madre

♦ chea rotinboca de to mare: quella rottinbocca di tua madre 

♦ va in cùeo da to mare: và nel culo a tua madre.

In mantovano:

♦ cla vaca at ta fàt: quella vacca che ti ha fatto

In toscano:

♦ la tu mamma maiala / la maiala di tu mà: tua madre maiala

In napoletano:

♦ a fess d mam’t: la figa di tua madre (usato anche come esclamazione di disappunto, o per mandare qualcuno a quel paese)

♦ bucchin e mamt: la bocchinara di tua madre

♦ mocc a mamm’t / vafammocc a mamm’t: in bocca a tua madre / vai a farti fare un rapporto orale da tua madre

♦ ‘ncul a mamm’t: in culo a tua madre

♦ figl’e bucchino (figlio di un rapporto orale): persona scaltra e senza scrupoli capace di cavarsela in ogni situazione

In pugliese:

La birra “De puta madre”, una Ipa tosta.

♦ lu piccioni spunnatu di mammata: la figa sfondata di tua madre

♦ a fissa i mammeta : la figa di tua madre

In calabrese:

♦ Fiss’i mammata: la figa di tua madre

♦ In culu a memmata e a tutta a razza da tua: In culo a tua madre e a tutta la tua famiglia

In sardo:

♦ mi coddu cussa brutta bagass’e mamma: Mi fotto quella brutta puttana di tua madre

♦ t’inci fazzu torrai in su cunnu: Ti faccio tornare nell’apparato riproduttivo di tua madre

♦ su cunnu e mamma rua: La figa di tua madre

♦ su cunnu chi ta cuddau a sorri tua baggassa impestara luride e’merda: La figa che ti ha partorito a te e a tua sorella impestata lurida di merda 

♦ su cunnu chi ti ndà cagau: La figa che ti ha cagato

♦ sugunnemamarua bagassa, babbu ruu curruru e caghineri coddau in culu e in paneri de su figllu de su panettieri: La figa di tua mamma bagascia e tuo padre finocchio inculato dal figlio del panettiere

 Offese generiche (e da rapper)

“Yo mama”, film del 2023 su un gruppo di mamme che si mettono a rappare.

Le offese alla madre non sono soltanto di tipo sessuale. Esistono anche insulti generici usati per ferire la persona infangando l’immagine della madre. Un atteggiamento piuttosto comune nell’infanzia e nell’adolescenza, con frasi del tipo “tua madre è brutta”, “tua madre è cicciona”. E questa abitudine sta anche alle origini del rap: la battaglia rap, in particolare, è un duello verbale in rima nei quali gli avversari si fronteggiano improvvisando insulti sempre più spinti sulla madre dell’avversario con la formula “Yo mama” (“your mama”, tua madre). Questa tradizione deriva dalle “dozzine”, duelli d’insulti di origine africana, ma diffusi anche in diverse altre culture. Ma le “dozzine” non sono soltanto un duello verbale nel quale i partecipanti devono mostrare la propria abilità linguistica cercando di sconfiggere l’avversario con insulti sempre più creativi e pesanti. Secondo gli antropologi Millicent R. Ayoub e Stephen A. Barnett, le dozzine erano anche un rituale per rafforzare i legami fra i coetanei. Una sorta di rito di affiliazione: partecipando, il giovane è disposto a lasciare che altri insultino sua madre senza ritorsioni, in cambio di una più stretta integrazione nel suo gruppo di amici. Solo un rapporto molto intimo fra i partecipanti rende possibile gli insulti reciproci alle madri senza passare alle mani. Secondo il sociologo Harry Lefever, questo gioco potrebbe essere anche uno strumento per preparare i giovani afroamericani ad affrontare gli abusi verbali senza arrabbiarsi. Una sorta di allenamento a sopportare le provocazioni: un possibile effetto secondario rispetto alla sfida di sfidarsi con offese che fanno girare la testa.


Di battaglie rap sulla madre abbiamo anche un celebre esempio italiano: il “Mortal kombat” tra Fabri Fibra e Kiffa nel 2001. Dopo una sequela di insulti di vario genere, Fibra (dal minuto 2:08) inizia a insultare Kiffa dicendo “Tua madre non avvisa / Quando si fa calare a gambe larghe sopra la torre di Pisa”, a cui Kiffa risponde con: “Invece tua madre è troppo brava / L’ho vista conficcarsi la Mole Antonelliana”, e così via in un crescendo sempre più osceno e crudo (siete avvisati):

Oltre che nel rap, gli insulti alla figura materna sono diffusi a ogni latitudine. In spagnolo ci sono espressioni fantasiose come Tu madre tiene  bigote” (Tua madre ha i baffi) , o “Me cago en la leche que mamaste” (cago nel latte che hai succhiato dal seno di tua madre). In giapponese c’è l’espressione Anata no okaasan wa kuso desu (Tua madre è un pezzo di merda). In persianoMadar suchte“, Tua madre è bruciata all’inferno, e Nane khar “Tua madre è un’asina”.

Lo scrittore Lu Xun.

Gli insulti sulla madre sono molto diffusi anche in Cina. Già nel 1925 lo scrittore Lu Xun (1881-1936) osservava: «Chiunque abiti in Cina sente spesso dire “tāmāde” (他妈的 = tua madre) o altre espressioni abituali del genere. Credo che questa parolaccia si è diffusa in tutte le terre dove i cinesi hanno messo piede; la sua frequenza d’utilizzo non è inferiore al più cortese nǐ hǎo (ciao). Se, come alcuni sostengono, la peonia è il “fiore nazionale” della Cina, possiamo dire, allo stesso modo, che “tāmāde” ne è il “turpiloquio nazionale”».Secondo Xun, attaccare la madre era un modo per mettere in discussione non solo la reputazione, ma anche il prestigio sociale delle classi altolocate, che basavano il loro potere e prestigio sugli antenati: annientando questi ultimi, con espressioni come “discendente di madre schiava”(而母婢也), “sporco figlio dell’eunuco” (赘阉遗丑), scompare anche il prestigio dei presenti. «Se vuoi attaccare il vecchio sistema feudale, prendere di mira i lignaggi nobiliari è davvero una strategia intelligente. La prima persona ad aver inventato l’espressione “tāmāde” può essere considerata un genio, ma è un genio spregevole».

 

MODI DI DIRE

In italiano non ho trovato frasi fatte con espressioni denigratorie sulla madre. Ce ne sono 8, invece, in alcuni dialetti:

In napoletano:

Tua madre è così grassa: è uno degli insulti contro la madre

♦ chella pereta / loffa ‘e mammeta: quella scorreggia di tua madre

♦ chella zompapereta ‘e mammeta: quella salta scorregge di tua madre: appellativo rivolto alle donne popolane e volgari, o anche alle prostitute

♦ chella latrina / cessa ‘e mammeta: quel cesso di tua madre

♦ chella cessaiola / merdaiola ‘e mammeta : quella lava gabinetti di tua madre 

In veneto:

♦ to mare omo: tua madre è un uomo

Una particolare variante degli insulti materni riguarda evocare la morte della madre oppure insultare i suoi defunti, anche in questo caso nei dialetti:

In livornese:

♦  budello cane di tu madre morta: budella da cane di tua madre morta

♦ il budello de tu ma: le budella di tua madre

In pugliese:

♦ l’ murt de mam’t: i morti di tua madre

E tu, conosci altri modi di dire con insulti alla madre? Scrivilo nei commenti e aggiornerò l’articolo.

Ringrazio Lina Zhou per la preziosa traduzione dell’articolo di Lu Xun.


Ho parlato di questa ricerca a Radio Deejay, ospite della trasmissione “Il terzo incomodo” condotta da Francesco Lancia e Chiara Galeazzi. Qui sotto l’audio dell’intervento:

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Nero di troia e bernarda: la lista dei vini osè https://www.parolacce.org/2015/05/10/vini-nomi-volgari/ https://www.parolacce.org/2015/05/10/vini-nomi-volgari/#comments Sun, 10 May 2015 13:48:44 +0000 https://www.parolacce.org/?p=7483 Come accompagnare un menu fatto di portate volgari (l’ho raccontato qui), se non con una cantina adeguata? Il mondo dei vini (e degli alcolici in generale) riserva notevoli sorprese agli appassionati di parolacce e di goliardia: l’alcol libera i freni inibitori, e un… Continue Reading

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Come accompagnare un menu fatto di portate volgari (l’ho raccontato qui), se non con una cantina adeguata?
Il mondo dei vini (e degli alcolici in generale) riserva notevoli sorprese agli appassionati di parolacce e di goliardia: l’alcol libera i freni inibitori, e un nome osceno apre le porte dell’erotismo ed è beneaugurante. D’altronde, da un vino ci si aspetta che sia inebriante, e quindi lo aiuta avere un nome evocativo. E infine, dato che il vino rende più sinceri (in vino veritas), si abbina bene alle parolacce, che sono un linguaggio spontaneo e diretto. Ma anche il marketing ci mette lo zampino: con 45 milioni di ettolitri di vino prodotti nel 2017, l’Italia è il primo produttore al mondo, ed è sempre più diffusa l’esigenza di avere un’etichetta che attiri l’attenzione e sia facilmente memorizzabile. Ecco perché i nomi “piccanti” dati alle bevande non sono frutto del caso o di incidenti. Dunque, entriamo nella cantina più osé del mondo: 13 etichette italiane (più 5 estere), fra le quali il primato incontrastato va ai rossi toscani. Perché sono fra i maggiori produttori nazionali di vino, ma anche per lo spirito sanguigno che li contraddistingue. Prosit!

VINI ROSSI
e-divino

Soffocone di Vincigliata (Toscana, vol. 14%; uve: 90% Sangiovese, 7% Canaiolo, 3% Colorino; alcol: 14%). Soffocone è un termine dialettale: significa fellatio, rapporto orale (da una donna a un uomo). Prodotto dall’azienda di Bibi Graetz, artista norvegese, perché la sua tenuta vinicola, vicino a Fiesole, è una località dove spesso si appartano le coppiette. Concetto ribadito anche nell’etichetta, che mostra una donna inginocchiata. La scelta ha causato qualche problema negli Usa, dove le autorità hanno imposto al produttore di cambiare l’etichetta.

 

bernardaBernarda (Piemonte; vol. 13%; uve: bonarda e barbera): il nome del vino, prodotto da Christian Trinchero, è nato fondendo i nomi dei due vitigni (barbera e bonarda) in un nome dal voluto doppio senso: la grafica dell’etichetta, del resto, non lascia dubbi in proposito.

 

Rosso Bastardo (Umbria, vol. 13,5%; uve: Sangiovese, Merlot, Cabernet, Umbro surmaturo). Prodotto dalla cantina Cesarini Sartori, deve il suo nome non al fatto di essere un vino spurio, ma dalle località in cui si colitvano i suoi vitigni. Infatti c’è da un paese umbro che si chiama Bastardo: è una frazione di Giano dell’Umbria che ha preso il nome da un’antica stazione di posta lungo l’antica Via Flaminia, l'”Osteria del bastardo”.

 

Event-Torino-design-2 (1)Bricco dell’uccellone (Piemonte, vol. 15,5%; uve: Barbera): prodotto dall’azienda Braida, che spiega così l’origine del nome: “Si chiama così perché una volta, nella casa accanto, abitava una vecchia signora sempre vestita di nero, che era stata soprannominata l’uselun (l’uccellone)”. Sarà, ma il doppio senso è evidente, tanto che diversi sommelier lo definiscono scherzosamente “il vino più desiderato dalle donne”. Del resto, l’azienda Braida ha una vena ironica, visto che ha battezzato un’altra varietà di barbera “La monella” (“per il suo carattere frizzante ed esuberante”).

 

Scopaio_2009_modScopaio: (Toscana; vol. 13,5%; uve: Cabernet Sauvignon, Syrah). Il nome evoca lo scopare, ma in realtà nasce anch’esso come riferimento geografico: la località Lo Scopaio a Castagneto Carducci (Livorno). Il vino è prodotto da varie aziende, fra cui Roggio Molina e da La Cipriana.

 

Merlo-della-Topanera-bottigliaMerlo della TopaNera (Toscana, vol. 14%; uve: Merlot): il vino è prodotto a Montecarlo (non il principato di Monaco, ma una frazione in provincia di Lucca) dall’azienda di Gino Fuso Carmigiani. Stavolta la geografia non c’entra: il nome è un voluto omaggio goliardico al sesso femminile.

 

97918Nero di Troia: è un vitigno autoctono della Puglia, e dà il nome a vini prodotti da diverse etichette. Il suo nome può essere collegato con la città pugliese di Troia, oppure con la leggenda dello sbarco sulle rive del fiume Ofanto dell’eroe greco Diomede, reduce dalla guerra di Troia, che portò con sè alcuni vitigni della propria terra. In effetti, gli studi sui vitigni hanno confermato la provenienza dall’Adriatico orientale. Dunque, si tratta solo di un’assonanza con la parola troia (con la t minuscola). La sua uva ha una buccia spessa particolarmente ricca di polifenoli e dal moderato potenziale zuccherino; dà origine a vini con profumi floreali (sentori di viola impreziositi da sfumature speziate).

BioNaSega: per capire il gioco di parole bisogna ricordare che, in toscano, “una sega” significa “una cosa da niente” (letteralmente, la sega è la masturbazione). Questo vino, infatti, è un rosso Igt di Toscana, e viene prodotto senza ricorrere alle procedure del “biologico”: il nome, quindi, significa provocatoriamente “altro che biologico”. “E’ un vino normale e toscano. Ed è semplicemente buono: punto” dice il produttore Rodolfo Cosimi.

Amis d’la barbisa: è un barbera d’Asti prodotto dall’azienda piemontese Bertolino J’Aime, attiva dal 1925. “Barbisa” è un termina dialettale per la vulva: il nome significa quindi, goliardicamente, “Amico della vulva”, un significato sottolineato anche dall’etichetta in cui un calice stilizzato evoca l’aspetto del pelo pubico femminile. Il vino risulta prodotto fino al 2016.

 

VINI BIANCHI

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Passerina: è un vitigno diffuso nelle Marche, in Abruzzo, in Emilia Romagna e nel Lazio. Il suo nome deriva dalle piccole dimensioni degli acini e dal fatto che i passeri hanno una particolare predilezione per le sue uve, caratterizzate da una polpa gustosa.  Ma la passera evoca ben altro, e diversi produttori hanno giocato sul doppio senso, come ha fatto la cantina Lepore nella pubblicità della Passera delle vigne (contestata per il suo sessismo).

 

Ficaia (Toscana, vol. 12,5%; uve: Pinot Bianco e Viogner): chi poteva produrre questo vino, se non la fattoria Uccelliera? La ficaia, in toscano, è l’albero del fico, o un campo coltivato a fichi. Ma il doppio senso appare evidente (e difficilmente frutto del caso…).

 

DeUnaSega: è il nome di una linea di bevande alcoliche (vini e birre) prodotte in Toscana, nell’Empolese. E’ lo stesso gioco di parole usato per il vino rosso “BioNaSega” (vedi sopra): significa “di niente, cose da nulla”. L’etichetta campeggia su vino bianco frizzante, chianti rosso, Igt toscano rosso e anche su una linea di birre artigianali (bionda, rossa e due malti).

 

Addio cugghiuna: in dialetto siciliano, questa espressione significa “addio coglioni”. E’ l’equivalente di “buona notte al secchio”, “addio core”: un modo di salutare un’impresa (o una situazione) che si è rivelata impossibile. Questo modo di dire è stato usato come nome di uno spumante biologico brut metodo classico, ottenuto da vitigni chardonnay, Ortrugo, Muller-Thurgau. Il produttore è un trapanese trapiantato in Lombardia. 

 

VINI ESTERI

Senza titolo-1Cojòn de gato e teta de vaca: sì, il significato è proprio quello che avete capito. Nonostante le assonanze col veneto, i vini sono prodotti in realtà da un’azienda vinicola spagnola, il cui nome è tutto un programma: “Vinos divertidos“. In realtà, la goliardia c’entra fino a un certo punto, perché i nomi sono quelli di due vitigni spagnoli autoctoni, che sono chiamati proprio “coglione di gatto” e “tetta di vacca”.

 

deputamadreeDe puta madre: l’espressione significa letteralmente “Di madre puttana”. In spagnolo è usata come rafforzativo, equivalente al nostro “Della Madonna”: questo vino, prodotto da François Lurton, è stato così chiamato per il suo gusto forte e dolce: ricavato da uve verdejo della regione di Castilla e Leòn, ha una gradazione di 15,5%.

 

 

Hijoputa: in spagnolo, questa espressione (hijo de puta) significa “figlio di puttana”. In spagnolo, come in italiano, può avere sia un significato insultante che uno elogiativo, di ammirazione (quel gran figlio di puttana!). Il nome è stato scelto da un produttore di liquori di Gijón, in Asturia (Spagna) per una linea di liquori. Alcuni anni fa ha tentato di registrare il marchio presso l’Unione Europea, ma la domanda è stata respinta.

20121103-000028Le vin de merde: ci vuole coraggio, per un viticoltore francese, a chiamare così i propri vini. Jean-Marc Speziale l’ha avuto, e i fatti gli hanno dato ragione: dal 2007, quando ha fondato la sua azienda, ha avuto un notevole successo, anche per merito del nome. Che è nato per provocazione: Speziale voleva attirare l’attenzione sui vini del Languedoc, che non godevano di buona fama pur essendo buoni. Così decise di chiamarli come li definivano gli altri: “vini di merda”.  Sull’etichetta, per rimarcare il concetto, è raffigurata una mosca e il motto “Le pire cache le meilleur” (Il peggiore nasconde il migliore). Nato come vino rosso, oggi il “vin de merde” è anche bianco e rosè.

 

Chateau le Frègne: è un vino Bordeaux prodotto in Francia dalla famiglia Rizzetto, di probabili origini italiane. Non sappiamo se il nome del castello sia stato volutamente malizioso, in ogni caso i vini di questo produttore hanno vinto diversi premi prestigiosi. Mica fregnacce.

Licor de merda: è un celebre liquore portoghese a base di latte, creato a Cantanhede nel 1974. Il nome ha origine dalla fantasia goliardica del suo creatore, Luís Nuno Sergio. Le prime volte che tentava di produrlo, versava gli scarti di lavorazione in una brocca da 20 litri, chiamata per l’appunto “liquore di merda”: quando riuscì a trovare una ricetta valida, decise di lasciare quel nome.  E dopo la Rivoluzione dei Garofani del 1974, acquisì un risvolto polemico in “omaggio” alla classe politica portoghese che stava gestendo quella convulsa fase di ritorno alla democrazia.

Se volete leggere un intero menu fatto di pietanze scurrili, lo trovate qui. In questo articolo, invece, trovate i prodotti stranieri con un nome che in italiano diventa imbarazzante.

Grazie a Giovanni Erba (Winepoint) e Cassio Filippucci per le preziose segnalazioni.

PS: alcuni lettori mi segnalano il “Verduno pelaverga“, un rosso delle Langhe. Caso suggestivo, ma non può stare in questa lista per due motivi: verga può significare pene, ma non è una parolaccia (è un termine letterario, colto); e in questo caso, verga significa bastone: “pelaverga” vuol dire ramoscello pelato, senza foglie (per esporre le uve al sole, favorendone la maturazione).

BIRRE

Dal 1980, esiste la Birra Minchia. E’ prodotta, ovviamente, in Sicilia, e precisamente a Messina, con lo slogan: “Vera, come noi siciliani”. Un riferimento alla schiettezza che esprimono le parolacce. La bevanda è disponibile in 3 varianti: bionda, rossa e… tosta (doppio malto). A differenza della Birra Stronzo (v. sotto), in questo caso ogni riferimento volgare è puramente voluto.

In Puglia, per “par condicio”, dal 2018 è stata avviata la produzione della birra Ciunna, termine dialettale che designa la vulva. Certamente, dire “Ciunna bionda” assume tutt’altro significato. L’idea è venuta a due imprenditori di San Severo (Foggia): è stata eletta “Birra dell’anno” nel 2019.

loghi13E’ nata nel Nord Europa, invece, e precisamente in Danimarca, la birra Stronzo: la bevanda, disponibile in diverse varietà, a quanto pare è nata perché i proprietari danesi avevano sentito la parolaccia italiana, ne amavano il suono ma non ne sapevano il significato. Ma l’hanno usata ugualmente per battezzare la loro birra. Nel frattempo, però, la ditta ha chiuso nel 2014.

 

ANALCOLICI

Dicono che questa bevanda “tira”. Il nome, del resto, è tutto un programma: FIGA’ (con l’accento sulla “a”). E’ una bevanda ai fiori di guaranà, infatti il nome vorrebbe essere un acronimo di “Fi. (fiori) e guaranà (GA’).  Una sigla scelta con malizia: il nome, infatti, non è un incidente dovuto a scarsa conoscenza dell’italiano, dato che la bibita – analcolica – è prodotta a Padova dalla Targa Ilva Srl. Di sicuro non passa inosservata, ma non è facile chiedere a una barista: “Mi dà la Figà?”.

Di questo post hanno parlato AdnKronosIl Giornale, Mondo Udinese.

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