disprezzo | Parolacce https://www.parolacce.org L'unico blog italiano di studi sul turpiloquio, dal 2006 - The world famous blog on italian swearing, since 2006 - By Vito tartamella Tue, 28 May 2024 07:28:39 +0000 it-IT hourly 1 https://www.parolacce.org/wp-content/uploads/2015/06/cropped-logoParolacceLR-32x32.png disprezzo | Parolacce https://www.parolacce.org 32 32 Vaccate, cazzate e altre cose da nulla https://www.parolacce.org/2023/11/28/spregiativi-cose-situazioni/ https://www.parolacce.org/2023/11/28/spregiativi-cose-situazioni/#respond Tue, 28 Nov 2023 14:05:40 +0000 https://www.parolacce.org/?p=20139 “Non vedere una mazza”. “Non capire un tubo”. “Dire cazzate”. Ci avete fatto caso? Alcune espressioni usano insulti come sinonimi di “niente” e “di scarso valore”. E per esprimere questi concetti così sfuggenti, usano un grande ventaglio di espressioni fantasiose,… Continue Reading

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Un poster di “Manifesti abbastanza ostili

“Non vedere una mazza”. “Non capire un tubo”. “Dire cazzate”. Ci avete fatto caso? Alcune espressioni usano insulti come sinonimi di “niente” e “di scarso valore”. E per esprimere questi concetti così sfuggenti, usano un grande ventaglio di espressioni fantasiose, che ho riunito in questo articolo.
Sono più di 50, e offrono uno sguardo sulle cose che la nostra cultura considera prive di valore. Una prospettiva arbitraria e sorprendente: ci si aspetterebbe che i riferimenti a rifiuti o escrementi siano la categoria più nutrita, visto che sono l’emblema dello scarto. E  invece sono più numerosi i riferimenti a oggetti, alimenti e organi sessuali.
Perché usiamo queste immagini? Per esprimere il nostro punto di vista emotivo. Un conto è dire “Con questa nebbia non si vede niente”,  ma se dico: “Con questa nebbia non si vede un cazzo (o un cazzo di niente)” esprimo la rabbia e il disprezzo verso la situazione. E do un valore enfatico, rafforzativo alla mia affermazione: “non vedere un cazzo di niente” significa non vedere completamente nulla.
Ho suddiviso i termini di questo tipo in 2 grandi famiglie:

  • i sinonimi di nulla, niente 
  • i sinonimi di “cosa da poco”, “ di scarso valore”

Le espressioni che ho raccolto hanno diversi gradi di offensività: si va dalle parole neutre alle espressioni enfatiche fino ai modi di dire volgari e blasfemi (evidenziati entrambi in rosso). 

Sinonimi di “nulla”

Come si può nominare il nulla? L’impresa, a ben pensarci, è impossibile: se il nulla non esiste, non possiamo averne esperienza e quindi descriverlo. I termini che lo designano sono:  zero, nullità, niente, vuoto, nessuna cosa, alcunché. Ci sono alcuni sinonimi con una valenza più espressiva:i rafforzativi nonnulla, nisba (dal tedesco “nichts”, niente), nullaggine, alcunché, checchessia. Ma nessuno di questi possiede un’espressività adatta a veicolare il disprezzo, la rabbia, insomma: una coloritura emotiva. Perché non rimandano a un’immagine concreta: per evocare il nulla, abbiamo bisogno di dargli una consistenza anche minima. Ecco come. 

ALIMENTI

♦ un fico / fico secco: nel mondo antico, il fico era considerato un cibo da poveri, di scarso valore economico. “Fico secco” è un’allusione a un episodio evangelico (Matteo XXI,18–19): Gesù, avendo fame, vide un albero di fichi, che però erano senza frutti. Allora disse. “Mai più nasca frutto da te, in eterno”. E subito il fico si seccò. 

♦ un’ostia: il sottile disco di farina di frumento (impastata con acqua naturale e cotta al forno) che il sacerdote consacra nel sacrificio della messa. E’ quindi un cibo di poco conto, e il suo uso come sinonimo di “nulla” è una forma di blasfemia anti religiosa 

♦ un cavolo: è considerato un ortaggio di scarso valore, e la sua sillaba iniziale si presta a farne un sinonimo eufemistico di “cazzo”

♦ (campare) d’aria: non avere nulla da mangiare

OGGETTI

♦ un tubo: per la sua forma cilindrica è un sinonimo allusivo di “cazzo”

♦ (non capire / fare) un accidente: l’accidente è la disgrazia fortuita, qui equivale a rafforzare il concetto di “nulla”

♦ una mazza: è un riferimento fallico, equivalente di “cazzo”. Secondo alcune interpretazioni potrebbe essere anche un riferimento al generale Francesco Mazza che nel 1909 fu nominato commissario straordinario per gestire i danni del terremoto di Messina: fece una marea di errori e angherie 

♦ una ceppa : la ceppa è la base del tronco di un albero, da cui si dipartono le radici. E’ un riferimento fallico

♦ un corno : riferimento fallico (tant’è che il corno portafortuna ha origine dal fallo, come raccontavo qui)

♦ (essere) carta straccia: scritto o denaro di nessun valore

♦ (non valere) una cica: è la membrana che si trova nell’interno della melagrana, di nessun valore 

♦ (non valere) una cicca : mozzicone di sigaretta  

♦ (non valere) una cicca frusta: La « cicca » in dialetto milanese è la biglia colorata, in origine di terracotta. Se erano fruste, cioè consumate, non andavano bene.  

♦ (non valere) un soldo bucato, non spendibile quindi senza valore    

♦ (non valere) un quattrino: moneta di rame di valore infimo 

 

SESSO
♦ un cazzo / un cazzo di niente: è il disprezzo verso il nostro lato animalesco, rappresentato dall’organo sessuale, come ho raccontato più diffusamente qui .

RELIGIONE
♦ una madonna, un cristo: qui i termini religiosi sono usati, per spregio verso la fede, come sinonimi di nulla  .

LETTERE

♦ (non capire) un’acca (fam.), in latino l’H, inizialmente si pronunciava aspirata, successivamente, con l’evoluzione della lingua, ha perso questa sua caratteristica aspirazione quando presente e quindi non valere più nulla

♦ (non importare) un ette (fam., in disuso): deriva dalla congiunzione latina “et”, “e”, una parola piccola e di poco valore.

 Cose da poco, di scarso valore

Come definire un oggetto senza valore? I criteri seguiti dalla nostra lingua sono due: la dimensione e l’utilità. In pratica, qualifichiamo qualcosa come così piccola o inutile da essere irrilevante, impercettibile, ininfluente, insignificante. 

OGGETTI

♦ cosa da niente, cosuccia, coserella

♦ pinzillacchera (dal napoletano pizzillo, pezzettino) 

♦ carabattola (lettuccio, oggetto di poco conto)

♦ (contare / valere come il) due di picche: la carta che vale di meno nel mazzo

♦ bazzecola da bazza, carta di poco valore vinta all’avversario 

♦ bagattella (da gabbatella, gabbare: oggetto falso), cosa frivola e di poco conto

♦ bubbola, da bubbolo, sonaglio (suono falso)

♦ corbelleria (da corbello, cesto di vimini: eufemismo di coglione)

SESSO

Film del 1971 diretto da Fernando Merino.

♦ del cazzo / cazzata, belinata, minchiata, bischerata (da bischero, pene; il termine designa il pirolo, legnetto per tendere una corda negli strumenti musicali): il disvalore attribuito all’organo sessuale è usato per esprimere disprezzo

♦ (del) menga: il termine ha un’origine oscura, probabilmente è  originato da un effetto di rima nella frase goliardica “è la legge del Menga, chi ce l’ha nel culo se lo tenga”, ovvero ‘chi ha subito un danno lo deve sopportare. L’espressione, da sola, equivale a “del cazzo” 

♦ coglioneria, coglionata: atto o cosa da coglioni

♦ fesseria da fessa (fessura): è uno dei rari casi di disprezzo attribuito all’organo sessuale femminile

♦ monata da mona (vulva), vedi sopra.

ESCREMENTI, SCARTI

La celebre recensione di Fantozzi al film “La corazzata Potemkin” (Il secondo, tragico Fantozzi”, 1976)

♦ stronzata, cagata, merdata / di merda

♦ aria fritta: discorso inconsistente al di là delle parole usate

♦ fetecchia: cosa di poco conto (da fetore, flatulenza)

♦ quisquilia: da quisquiliae, immondizia

   

ALIMENTI

♦ cavolata / del cavolo (qui usato per eufemismo di “cazzo”)

♦ boiata: (da boj, bollire: vivanda semiliquida): schifezza, porcheria, stupidaggine

♦ baggianata (da baggiana, fava in senso fallico): stupidaggine

♦ giuggiola frutto del giuggiolo buono ma di piccole dimensioni (e ricorda i testicoli)

♦ ostiata: stupidaggine, errore, cosa di poco conto (da “ostia” come cibo di poco conto).

DERIVATI DA INSULTI

Idea regalo per Natale: un libro di giochi che è tutto un programma.

♦ inezia (da inetto, “incapace”, quindi cosa fatta da un incapace).

♦ sciocchezza / sciocchezzuola, scemenza, stupidaggine, cretinata: atto compiuto da una persona poco intelligente, quindi di nessun valore

♦ puttanata, troiata, vaccata: stupidaggine, sciocchezza (lett.: cosa da donnaccia)

 

The post Vaccate, cazzate e altre cose da nulla first appeared on Parolacce.]]> https://www.parolacce.org/2023/11/28/spregiativi-cose-situazioni/feed/ 0 Perché “somaro” è un’offesa? Qui casca l’asino https://www.parolacce.org/2019/11/12/perche-asino-insulto/ https://www.parolacce.org/2019/11/12/perche-asino-insulto/#comments Mon, 11 Nov 2019 23:05:07 +0000 https://www.parolacce.org/?p=16399 I suoi nomi sono 4: asino, somaro, ciuccio (o ciuco) e mulo. Ma nessuno ha un significato positivo, a parte indicare l’Equus africanus asinus, il mammifero che tutti conosciamo. Quei 4 appellativi, se indirizzati agli uomini, indicano infatti gli zotici,… Continue Reading

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Orecchie (autoironiche) da asino in vendita sul Web.

I suoi nomi sono 4: asino, somaro, ciuccio (o ciuco) e mulo. Ma nessuno ha un significato positivo, a parte indicare l’Equus africanus asinus, il mammifero che tutti conosciamo. Quei 4 appellativi, se indirizzati agli uomini, indicano infatti gli zotici, rozzi, maleducati; oppure gli ignoranti, ottusi, incapaci, svogliati nell’apprendere; o, ancora, chi è cocciuto, ostinato, testardo. Insomma, l’asino è diventato un insulto.
Eppure, chi conosce gli asini sa bene che queste caratteristiche negative non gli appartengono: in realtà è un animale intelligente, affettuoso e soprattutto gran lavoratore.
Come si spiega, allora, la sua pessima fama? Perché si è deciso di attribuire all’asino una scarsa intelligenza e comportamenti tanto riprovevoli?

In tutte le epoche. E in tutte le lingue

“Asini”, film di Antonello Grimaldi (1999).

L’usanza è antichissima: il termine “asino” era usato già come insulto non solo da Dante (Convivio: “Chi da la ragione si parte, e usa pur la parte sensitive, non vive uomo, ma vive bestia… “Asino vive”), e Boccaccio (Decameron: “Asino fastidioso ed ebraico che tu dèi essere!”), ma anche dal latino Marco Tullio Cicerone, che insultò Lucio Calpurnio Pisone dicendogli: “Perché ora, asino, dovrei insegnarti la letteratura?”.
La parola “mulo”, poi, significa anche incrocio, bastardo: il termine “mulatto” deriva proprio dal mulo, generato dall’accoppiamento fra una cavalla e un asino. Un razzismo sottile: si paragona l’incrocio fra un nero e un bianco a quello fra due animali di specie diverse.
Il frutto dell’incrocio fra un cavallo e un’asina, invece, si chiama bardotto: ma solo il mulo è diventato un insulto, forse per un implicito disprezzo maschilista verso la cavalla che si è “abbassata” a congiungersi con un mulo.

Pinocchio si trasforma in somaro.

Collodi, in “Pinocchio”, ha eletto il somaro a simbolo dell’ignoranza: dopo aver passato 5 mesi a giocare invece di andare a scuola, Pinocchio si trasforma in asino perché “tutti quei ragazzi svogliati che, pigliando a noia i libri, le scuole e i maestri, passano le loro giornate in balocchi, in giuochi e in divertimenti, debbono finire prima o poi col trasformarsi in tanti piccoli somari”.
Eppure, chi ha visto un vero asino, sa bene che sono in realtà infaticabili lavoratori. Del resto, “somaro” deriva da “soma”, peso; e “muletto” indica anche un carrello a motore per sollevare carichi pesanti.

Ma non è tutto. La pessima nomea di questo animale ha contagiato infatti non solo l’italiano, ma anche  molte altre lingue: “somaro” è un insulto anche in inglese (donkey, jackass), tedesco (esel), spagnolo e portoghese (asno, burro), francese (âne)  e russo (osel).

Il logo dei democratici Usa.

Ma a volte l’asino può diventare un simbolo positivo. E’ il caso dei democratici negli Usa, rappresentati proprio da un asino. L’usanza ha quasi 2 secoli: risale ad Andrew Jackson, che nella campagna elettorale del 1828 usò come simbolo l’asino. Un gesto d’orgoglio verso gli avversari che lo avevano soprannominato, storpiandogli il cognome, “Jackass” (somaro, ignorante): Jackson, per tutta risposta, scelse proprio l’asino come simbolo del partito, per rappresentare il popolo che lavora e soffre ma non si arrende.

Dunque, la domanda si impone in modo ancora più forte: “Come ha fatto a resistere così a lungo il cliché della stupidità, pur essendo palesemente falso?”, si chiede Jutta Person nel libro “L’asino” (Marsilio).
Ho deciso di indagare. Per capire come mai l’asino è diventato un somaro. E conoscere meglio un animale che merita rispetto, come ho già fatto con altri animali linguisticamente disprezzati: il cane, il maiale, il topo (e altri animali, vedi i link in fondo a questo articolo). Ovvero i più vicini compagni della nostra vita quotidiana.

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UNA MACCHINA PERFETTA

Per capire com’è davvero l’asino, basta ricordare la sua storia e la sua etologia. L’asino è stato addomesticato per la prima volta fra 5 e 7mila anni fa nell’Africa nord-orientale (Eritrea, Somalia, Egitto). Fu allevato con cura perché resisteva alla fatica, era forte, e costava poco mantenerlo: mangia meno di un cavallo. Insomma, una macchina perfetta, capace di resistere alle fatiche e agli ambienti più ostili.
Per capire il suo comportamento, bisogna ricordare da dove viene: le regioni aride, montuose e sassose ai margini del deserto. Così riesce a muoversi in modo agile nelle zone più impervie. Tanto che in caso di pericolo, mentre un cavallo tende a fuggire, l’asino rimane immobile e non si sposta nemmeno se trascinato o picchiato. E fa bene, perché correre su un suolo roccioso significherebbe azzopparsi. Negli zoccoli, tra l’altro, l’asino ha un’alta sensibilità tattile, per riconoscere le asperità del terreno.
Ma il suo atteggiamento guardingo è stato frainteso come indecisione: da qui la leggenda dell’asino di Buridano (indeciso fra due mucchi di paglia posti a uguale distanza, non riesce a decidersi e muore di fame).
Gli asini originari vivevano in piccoli gruppi. L’udito acuto e la vocalizzazione potente gli servono per ascoltare i pericoli e avvisare gli altri. La sua lentezza e i suoi sensi sviluppati lo portano ad affrontare un evento inatteso non con la fuga, ma cercando di capire come affrontarlo.
Le orecchie dell’asino sono particolarmente lunghe perché adatte a disperdere calore in un clima desertico. La pelle d’asino è usata come tamburo: è coriacea, ed è dotata di un tessuto adiposo (su collo, dorso e groppa) che funziona da riserva idrica, come per i cammelli.
Le sue labbra sono grosse e molto pronunciate: sono molto sensibili per la ricerca del cibo. Anche l’olfatto è molto sviluppato: pare sia uno degli erbivori capaci di riconoscere il maggior numero di aromi.
Gli occhi hanno un campo visivo molto ampio e con buona vista notturna.
Che dire della sua intelligenza (ammesso che sia corretto attribuire un canone umano a un animale)? Di certo ha una memoria eccellente: quello che ha sperimentato una volta, non lo dimentica più. Ed è curioso, esplora l’ambiente anche da solo. Ed è generoso nell’approcciarsi con chi si avvicina a lui nel modo giusto. Non è pauroso, è indipendente. Ecco perché nell’antichità, l’asino era considerato una ricchezza.

Un “mostro” mite, superdotato e schiavizzato

Dunque, un animale con doti eccezionali. Da dove salta fuori, allora, la sua pessima fama? Da 4 sue caratteristiche che hanno gettato un’ombra sulla sua immagine:

  1. L’uomo-asino in una delle tavole di Giambattista Della Porta.

    IL SUO ASPETTO FISICO: nell’antichità, gli animali erano stati visti come modelli di determinate caratteristiche umane. Leoni, pantere, cinghiali erano utilizzati come simboli per definire il carattere (coraggioso, codardo, sfacciato…) degli uomini, nella convinzione che ci fosse un collegamento fra la forma del corpo e l’anima. Nel 300 a.C., infatti, lo Pseudo Aristotele scrisse la “Physiognomonica”, un trattato nel quale diversi animali rappresentavano  determinati tipi di uomini: l’asino, in particolare, rappresenta l’ottusità, la stupidità e l’indolenza. Colpa dei suoi occhi sporgenti (segno di stupidità), della fronte curva (ottusità), delle labbra grosse (scarsa intelligenza) e delle orecchie grandi (timorosità). E questi stereotipi sono sopravvissuti per secoli: erano ancora ben presenti nella “De humana physiognomonia” di Giambattista Della Porta (1586).

  2. LA SUA SESSUALITA’: l’asino è un superdotato, essendo dotato di un pene enorme. In più ha rapporti più frequenti e aggressivi rispetto ai cavalli. Ecco perché in due racconti latini, le “Metamorfosi” di Apuleio (2° secolo d.C.) e “Lucio o l’asino” dello Pseudo-Luciano, il protagonista si trasforma in asino, e ha rapporti con una donna che ne apprezza le doti. Ma l’aspetto erotico dell’asino ha suscitato, soprattutto dal Medioevo, un’ondata di repulsione e diffidenza, facendo catalogare l’asino fra gli esseri mostruosi e demoniaci, o comunque da censurare. E in realtà potrebbe aver giocato, in questo disprezzo, anche una “invidia del pene” (termine preso a prestito dalla psicanalisi) nei confronti delle sue doti erotiche.
  3. LA SUA VOCE, SGRADEVOLE E SPAVENTOSA: come abbiamo visto sopra, con il suo verso l’asino riesce a segnalare i pericolo al proprio gruppo, anche se è lontano. Ma il raglio dell’asino è molto sgradevole per le orecchie umane, tanto che è diventato l’emblema di chi è ignorante: “raglio d’asino non sale al cielo”, dice il proverbio. Ovvero, chi è intelligente non dà ascolto alle chiacchiere delle persone sciocche.
  4. I SUOI OCCHI: pur avendo un’ottima vista l’asino non riesce a guardare in alto: questo fatto potrebbe aver indotto, nel Medioevo, a considerare l’asino un animale rivolto alla terra piuttosto che al cielo e alla spiritualità.
  5. LA SUA MITEZZA: l’asino è molto servizievole. Dato che si lascia fare di tutto, viene sfruttato e deriso come passivo e indeciso. Gli erbivori più miti sono stati sempre considerati imbecilli: il filosofo Friedrich Nietzsche lo disprezza come bestia da soma che si carica di ogni peso, dice sempre di sì e tiene gli occhi bassi.
  6. LA SUA IMMOBILITA’: dato che in alcune circostanze (soprattutto di pericolo, vero o presunto) l’asino rimane immobile questo è stato interpretato come testardaggine e ostinazione (“sei un mulo”) e stupidità, incapacità di imparare, ottusità.

Un amico forte e pacifico

Dunque, un animale dal valore simbolico molto ricco. E non solo in negativo: nell’Antico Testamento, era considerato una ricchezza (nei 10 comandamenti l’asino è incluso fra “la roba d’altri” con moglie, schiavi e buoi). E nel racconto biblico dedicato all’indovino Balaam (Numeri, 22, 28-31), fu un’asina ad accorgersi della presenza di un angelo, avvisandolo.

Gesù a Gerusalemme su un asino (Hippolyte Flandrin, 1848).

E anche nel Nuovo Testamento l’asino ha un ruolo di primo piano: era nella grotta della natività insieme al bue, fu usato da Giuseppe e Maria per la fuga in Egitto, e soprattutto per l’ingresso di Gesù a Gerusalemme. Una scelta simbolica molto forte, per caratterizzare il Messia come un re umile, che non ha bisogno di un destriero da battaglia. Gesù, insomma, somiglia al quadrupede che cavalca: umile e servizievole, mite, pacifico, si lascia picchiare senza opporre resistenza, pur essendo forte. Un racconto così suggestivo che fino a tutto il Medioevo, si celebravano messe in cui il sacerdote entrava in chiesa a dorso d’asino, mentre l’assemblea ragliava.
Poi c’è Sancho Panza che va in giro con l’asino, l’asino d’oro dei fratelli Grimm (al suono della parola magica lascia cadere monete d’oro dietro di sè). Nella “Fattoria degli animali” George Orwell crea il personaggio di Benjamin Beniamino, un asino scettico e intelligente, assai più sveglio della maggior parte dei suoi compagni. L’ultimo asino della fantasia è Ciuchino, che dal 2001 appare nei cartoni animati di Shrek: è un gran chiacchierone, ama cantare e ballare, ed è molto intelligente , anche se piuttosto fifone.

Uno status symbol (in negativo)

Un editore controcorrente, Edizioni dell’asino: dà attenzione alle minoranze.

Dunque, l’asino è in realtà un animale ambivalente, su cui l’uomo ha proiettato lodi e offese. Questo animale è visto benefico o demoniaco, potente o umile, sapiente o ignorante. Anche se, alla fine, ha prevalso l’immagine negativa. Perché? Nel libro “Asino caro” (Bompiani) Roberto Finzi dice che la ragione è socio-economica: il somaro è disprezzato perché simbolo delle persone povere e contadine, che non possono permettersi mezzi di trasporto più prestigiosi (dal cavallo in su).
Tant’è vero che per dire che una persona è scesa nella scala sociale, oltre al detto “dalle stelle alle stalle” c’è anche “ab equis ad asinos”, dai cavalli agli asini. Insomma, alla fine l’asino come insulto è il riflesso del disprezzo sociale per chi è povero e umile.

 

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Perché il suino è diventato un porco https://www.parolacce.org/2019/03/19/maiale-come-simbolo-e-insulto/ https://www.parolacce.org/2019/03/19/maiale-come-simbolo-e-insulto/#comments Mon, 18 Mar 2019 23:02:55 +0000 https://www.parolacce.org/?p=15431 E’ uno dei pilastri della nostra alimentazione e della medicina. Ed è un animale intelligente e affettuoso, oltre che pulito. Eppure, è diventato l’insulto per eccellenza: incarna lo sporco, il vizio, la volgarità, l’indecenza, l’ingordigia alimentare e sessuale. Ed è… Continue Reading

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Controversa copertina del “New York” magazine (aprile 2018): Trump è raffigurato col naso da maiale.

E’ uno dei pilastri della nostra alimentazione e della medicina. Ed è un animale intelligente e affettuoso, oltre che pulito. Eppure, è diventato l’insulto per eccellenza: incarna lo sporco, il vizio, la volgarità, l’indecenza, l’ingordigia alimentare e sessuale. Ed è un tabù alimentare per islamici ed ebrei, che considerano la sua carne “impura”.
Ma perché tanto odio verso il suino?  La domanda si impone, anche perché quest’anno, il 2019, è – per lo zodiaco cinese – l’anno del maiale. Non dobbiamo aspettarci orge né abbuffate, ma un anno pieno di scoperte, sincerità e ottimismo.
Ma anche se così non fosse, avremmo molte domande da… porci a proposito di questo animale. Che è speciale per tre motivi: è onnipresente sulle nostre tavole. E’ protagonista della nostra cultura con personaggi letterari, divinità religiose e diversi modi di dire. Ed è presente “in carne ed ossa” negli allevamenti: in Italia vivono 8,5 milioni di maiali, quanto le popolazioni di Puglia e Emilia-Romagna messe assieme (non me ne vogliano gli abitanti di queste regioni). In pratica, un animale da allevamento su 3 è un suino (e non se la passa molto bene).
E lo stesso avviene nel resto d’Europa, dove vivono oltre 147 milioni di maiali, soprattutto in Spagna (29,2), Germania (27,2) e Francia (12,7). Eppure, anche se sono tanti, non possiamo dire di conoscerli: ormai li vediamo per lo più sotto forma di costine, salame o zampone. 

Modi (porci) di dire

Un meme ironico dedicato al modo di dire romanesco.

Partiamo dall’analisi linguistica. L’unico termine neutro per riferirsi a questo animale, il Sus scrofa domesticus, è il termine “suino” , che deriva da una radice che significa “partorire, generare”: un riferimento alla sua prolificità. Stesso discorso per l’altro termine “verro” che indica il maiale maschio fertile (deriva da una radice che significa “maschio, virile”).
Ma gli altri modi per riferirsi a questo animale hanno tutti una connotazione spregiativa: maiale, porco, scrofa, troia. Oltre ai derivati porcheria, porcile, porcata, maialone, porcone. Tutti termini che alludono a persone dall’aspetto grasso o sporco, e dal comportamento spregevole: viziosi nel cibo o nel sesso, spregiudicati nei rapporti sociali, volgari nei modi. A volte, però, queste espressioni possono essere usate in senso positivo, come apprezzamento erotico senza censure o moralismi: “Sei un gran maiale”, “Sono la tua troia”. Non a caso, diversi film porno usano porca, maiala e troia nei titoli.
La legge n. 270 del 21 dicembre 2005 è passata alla storia come Porcellum: era una legge elettorale che era stata promossa dall’allora ministro leghista Roberto Calderoli. Il quale, a cose fatte, la definì in tv “una porcata”. Il politologo Giovanni Sartori tradusse in latino l’espressione, che ebbe molta fortuna.

Titolo de “L’Unità” quando il Porcellum fu dichiarato anti costituzionale. Era davvero una porcata.

“Porco” è usato anche come aggettivo per rafforzare, in termini spregiativi, altri insulti o imprecazioni: porco cane (espressione di cui ho parlato qui), porca miseria, porca puttana, pigro porco, porco Giuda, e nelle bestemmie (porco d*, porca m*). Non ci facciamo caso, ma quando diciamo “porca troia” è come se dicessimo “suino suina”, un maiale al quadrato.
Lo stesso vale anche per il termine “maiale”, usato come aggettivo in alcune espressioni come “Maremma maiala” (che è un eufemismo per una bestemmia contro la Madonna, vedi questo articolo). In toscano, “l’è maiala” (è maiala), se riferito a una situazione, significa che è un momento duro e senza via d’uscita.
L’espressione romanesca “mi sale il porco” indica invece una rabbia che sta per esplodere in una bestemmia (porco d*).

Celebri racconti di Bukowski (1969).

Anche il termine “marrano” – uno spregiativo che in passato si usava per gli ebrei che si convertivano al cristianesimo per convenienza, dunque, esseri falsi, traditori – deriva da un termine spagnolo per designare i maiali.
Eppure, in origine, questi termini non avevano un’accezione negativa: “maiale” deriva da Maia, la dea della fecondità a cui il maiale era sacrificato nei riti per propiziare i raccolti. Questo termine designa il maiale castrato.
Porco” invece potrebbe derivare da “poro”, un’allusione all’abitudine dei maiali di scavare e fare buchi (pori) nel terreno. Anche il termine “scrofa” deriva da una radice che significa scavare, grufolare.
Infine, il termine troia (che designa la scrofa da riproduzione) si ricollega a una ricetta, il “porcus trojanus” ovvero un maiale arrosto ripieno di altri animali e quindi ingannatore come il cavallo di Troia. Di qui il termine “troia” sarebbe passato a indicare la femmina del maiale in stato di gravidanza. Infine, con un altro passaggio semantico, il vocabolo ha acquisito il significato attuale, volgare e spregiativo, di donna dai facili costumi: una donna ingannevole, in apparenza per bene ma in realtà immorale

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LA SUA STORIA. E LA SUA VITA

Sant’Antonio con maialino: curava l’herpes (fuoco di S. Antonio) col lardo di maiale.

Per capire il ruolo del maiale nella nostra cultura, bisogna ricordare la sua storia evolutiva. Il maiale domestico è parente stretto del cinghiale (appartiene all’ordine degli artiodattili, insieme con capre, mufloni, stambecchi): non è stato il primo animale selvatico ad essere addomesticato (cani e gatti l’hanno preceduto) ma la nostra convivenza ha già una storia lunghissima, essendo iniziata nel vicino oriente circa 15mila anni fa. E’ stato amore a prima vista, dato che è un animale facile da allevare: mangia di tutto, si riproduce in tempi rapidi (partorisce 3 volte l’anno un totale di 30 cuccioli) e ingrassa altrettanto velocemente. E la sua carne è molto gustosa: “del maiale non si butta via niente”. Oltre a ricavare carni, salumi e grassi, dal maiale si ricavano pennelli, farine e spazzole.
Già nel 1500 Giulio Cesare Croce, l’autore di “Bertoldo” diceva: “vuoi tu star bene tutto l’anno, ammazza il porco”.
E’ da questo aspetto che nasce il detto  “fare carne di porco”, cioè sfruttare fino all’ultimo brandello.
Tutto questo spiega perché il maiale, nell’antichità, era visto positivamente, soprattutto come simbolo di fecondità e abbondanza: in Egitto la scrofa rappresentava la dea del cielo Nut, e nell’antica Grecia era molto diffuso il sacrificio di un maialino nelle feste in onore di Demetra, dea della Terra.

La “Dame au cochon” di Félicien Rops (1878): il maschio è un maiale, la donna lo domina ma si fa condurre da lui.

Che dire della sua ingordigia, sia alimentare che sessuale? Beh, non è un mito del tutto fuori luogo. Il maiale mangia di tutto, e – se può – lo fa in continuazione. La sua riproduzione, invece, non ha nulla di eclatante rispetto a quella di altri mammiferi: la scrofa va in calore e per 60 ore resta disponibile ai verri che vogliano montarla. La monta dura dai 5 ai 20 minuti, e il maschio può farlo da 3 a 8 volte alla volta (i cavalli arrivano a 20, i buoi a 80). Non è vero, quindi, che il loro orgasmo dura mezz’ora (sempre che si possa parlare di orgasmo dato che non sappiamo cosa provino gli animali). Dunque, il nesso fra maiale e sesso, quindi, si limita al fatto che è un animale prolifico. Ma immaginare una cucciolata di 10 maialini non ha nulla di sexy: la fama erotica del maiale è immeritata.
Il maiale, inoltre, è di per sè un animale pulito, attento all’igiene. Infatti, se osserviamo il suo parente selvatico, il cinghiale, questi depone gli escrementi in un luogo appartato. Ma se è così pulito, perché si immerge spesso nel fango? I suini non hanno ghiandole sudoripare, perciò si immergono nel fango per cercare la frescura, per ripararsi dai raggi solari e per tenere lontani i parassiti. E quando il fango si è seccato, il maiale si gratta sui tronchi per eliminare i parassiti e tenere pulito il pelame. I maiali che vediamo sporchi di escrementi sono quelli che vivono negli allevamenti intensivi, costretti in spazi angusti e pieni di sporcizia.  

Il culto (e il tabù) del porco

Singapore, sfilata per il capodanno cinese: il 2019 è l’anno del maiale (Shutterstock).

Nelle antiche religioni il maiale era venerato come simbolo di fecondità e di benessere, dato che cresce rapidamente ed è prolifico. Il fatto che scavi nel terreno, inoltre, l’ha trasformato anche in un intermediario con il mondo dell’Oltretomba.
Le prime figure di culto, vasi a forma di scrofa, risalgono già a 7mila anni fa.
Freyia, la dea germanica del nord, era soprannominata Syf, scrofa. Gli Egizi rappresentavano Nut, la dea del cielo, era rappresentata come una scrofa. Nei misteri greci di Eleusi, il maiale era l’offerta sacrificale  a Demetra, dea della terra e dell’agricoltura.
Per quanto riguarda l’uso del maiale come simbolo di prosperità, vengono subito in mente i salvadanai a forma di maialino: eppure, la loro origine è diversa: in Inghilterra alcuni recipienti per la conservazione degli alimenti erano detti “pygg” e contenevano il sale. Poi i pygg furono chiamati pig (maiale), ne assunsero l’aspetto e venivano usati per conservare soldi (del resto, sale e salario hanno la stessa etimologia perché un tempo il sale era prezioso).
In Cina, come dicevo, il maiale è uno degli animali dello zodiaco annuale. I nati sotto questo segno sono considerati “affettuosi, protettivi, generosi, forti, lavoratori, pazienti, onesti e intelligenti, ma anche possessivi, timidi, ingenui, lenti, infantili”.

“Il giardino delle delizie” di Bosch (1505): un maiale col velo da suora, una critica al clero dell’epoca.

Col passare dei secoli la cultura occidentale ha trasformato l’adorazione in disprezzo.  Nell’Odissea (800 a.C.) la maga Circe trasforma alcuni uomini (compresi i compagni di Ulisse) in porci: un’umiliazione, dato che la loro mente restava umana.
Più o meno nella stessa epoca, in Israele, il maiale viene inserito fra i tabù alimentari: nel Levitico (cap 11 verso 7) è scritto: “fra i ruminanti e gli animali che hanno l’unghia divisa, non mangerete i seguenti (…) il porco, perché ha l’unghia bipartita da una fessura, ma non rumina, lo considererete impuro. Non mangerete la loro carne e non toccherete i loro cadaveri; li considererete impuri”.

Maiali tatuati con griffe della moda: è  “Art farm” dell’artista belga Wim Delvoye (2010). Ribadisce il nesso maiale-denaro.

Il Nuovo Testamento non ha ereditato questo tabù. Ma il maiale è citato in due passaggi in cui è evidente la sua immagine negativa: “Non date le cose sante ai cani e non gettate le vostre perle davanti ai porci, perché non le calpestino con le loro zampe e poi si voltino per sbranarvi”  Matteo cap 7, verso 6. In questo passo il maiale simboleggia le persone superficiali e disinteressate al Vangelo e alle cose spirituali. non disperdete le energie con persone che non stanno ad ascoltarvi, che non sono in grado (o non vogliono) comprendervi e magari potrebbero anche attaccarvi (“sbranarvi”) vedendo le cose in modo troppo diverso dal vostro
Nel Vangelo di Marco (cap 5, 1-17) si racconta di Gesù che guarisce un indemoniato, pieno di demoni che lo scongiurano di mandarli in una mandria di porci. E gli spiriti impuri, dopo essere usciti, entrarono nei porci e la mandria si precipitò giù dalla rupe nel mare; erano circa duemila e affogarono nel mare. I maiali avevano la fama di cibarsi di carogne.

Il maiale volante usato dai Pink Floyd durante i concerti.

Nel bestiari del Medioevo il suino è descritto come bestia immonda che grufola sempre, guarda sempre a terra e non leva mai il capo verso il Signore. E’ il peccatore che ai tesori del Cielo preferisce i beni di questo mondo, il potente che non lavora e non è mai sazio dei piaceri, simbolo di ingordigia e ignoranza. Il simbolo dei piaceri della carne. Un’immagine che è arrivata fino all’epoca moderna: nel romanzo “La fattoria degli animali” (1945) George Orwell fa una satira della Rivoluzione sovietica del 1917, rappresentando Lenin, Stalin e Trotsky come maiali dotati di intelligenza superiore ma anche dei peggiori difetti morali. Con lo stesso ruolo negativo il maiale è stato usato dai Pink Floyd nel disco “Animals” per rappresentare proprio i personaggi di Orwell: politici dispotici e spietati. Poi il cinema ha fatto recuperare dignità: dai “tre porcellini” (ispirati a una fiaba inglese del 1800) a “Babe maialino coraggioso“, fino a Miss Piggy (Muppet show), Peppa Pig e la coppia Rosita-Gunther in “Sing”.
Oggi invece, il bando verso il maiale ha motivazioni più alimentari che etiche: salumi e insaccati (di maiale, ma anche di manzo) sono nella lista nera dei cibi carcinogeni, che cioè fanno venire il cancro. E a questo si aggiunge il peso del suo impatto ambientale: fra i prodotti di origine animale, l‘impronta ecologica del maiale è alta: sta al 4° posto assoluto (dopo agnello, manzo e formaggi).

TABÙ ALIMENTARE

Attivisti di “Farms not factories”, associazione britannica contro gli allevamenti intensivi.

Da cosa nasce il tabù verso la carne di maiale, ereditata tal quale dall’islam? Nessuno ha trovato una risposta certa, perché la Bibbia non motiva il divieto. Gli studiosi hanno formulato varie ipotesi per spiegarne le ragioni:

  1. l’allevamento del maiale è incompatibile con la vita dei nomadi nel deserto, quali sono stati, per parte della loro storia, gli ebrei: l’habitat ideale per allevare il maiale sono le foreste ombrose e ricche d’acqua
  2. era un modo netto per proteggere le persone dal rischio di contrarre la trichinellosi, una malattia causata da un parassita, che provoca febbre e diarrea; tale malattia si contrae mangiando carne di maiale poco cotta
  3. era un modo di differenziarsi dai popoli pagani che sacrificavano il maiale come simbolo di fertilità e di ricchezza. E soprattutto un modo di difendersi dalla tentazione di cannibalismo o dei sacrifici umani: si dice che l’odore della carne di maiale sia molto simile a quello della carne umana bruciata.

Quest’ultimo è il motivo che mi pare più convincente: il maiale, come vedremo, presenta notevoli somiglianze con l’uomo.  

Una somiglianza pericolosa

“Maiale intelligente come un bambino”: campagna animalista australiana (un po’ esagerata, ma non troppo).

In effetti, le somiglianze fra l’uomo e il maiale sono diverse. Le elenco:

  • è onnivoro
  • ha un manto rosa che ricorda il colore della pelle umana
  • urla come un essere umano quando viene scannato
  • forma famiglie i cui membri si scambiano molte premure affettuose
  • è un animale giocherellone e intelligente: in alcuni esperimenti si è visto che può imparare persino a usare il computer (col muso muove il cursore su un monitor), e riesce a distinguere un segno grafico nuovo da uno già noto.

Oltre a questi aspetti singoli, c’è una comunanza biologica: il Dna del maiale è simile all’84% a quello umano. E’ una somiglianza rilevante, anche se di per sè vuol dire poco: col gatto condividiamo il 90% dei geni, con la banana e il pollo il 60%. In realtà ciò che conta è la somiglianza nei geni del maiale coinvolti in diverse patologie (cardiovascolari, obesità)E queste somiglianze genetiche spiegano anche altri fatti straordinari: prima che fosse inventata quella sintetica, l’insulina che si dava ai diabetici era ricavata dal pancreas del maiale. E le valvole cardiache usate per i trapianti sono spesso quelle di maiale. Diversi chirurghi plastici usano sostanze dermatologiche (filler, grassi) ricavati dai maiali.
Gli estrogeni ricavati dai maiali sono usati per ottenere le pillole antifecondative. In medicina, infatti, il maiale è una perfetta cavia da laboratorio perché i suoi organi interni hanno dimensioni simili a quelle umane: l’apparato cardiovascolare e quello digerente presentano notevoli somiglianze, tanto che il maiale è molto usato nella ricerca. Insomma, oltre a sfamarci il suino ci salva anche la vita in medicina.

Pubblicità di un detersivo per piatti (Lowe, Thailandia, 2013)

Eppure, il disprezzo verso il maiale resta. Perché?  Forse perché ci somiglia “troppo” e col disprezzo cerchiamo di prenderne le distanze,  attribuendo al maiale i nostri difetti. “Il maiale ci mette a disagio perché è un nostro fratello gemello” scrive Thomas Macho nel libro “Il maiale” (Marsilio).
Ma forse c’è di più dice Roberto Finzi ne “L’onesto porco” (Bompiani). “Abbiamo un particolare senso di colpa verso i maiali: li alleviamo solo per ucciderli e mangiarli (nonostante siano esseri intelligenti, ndr), il che suscita un sentimento di vergogna che ben presto finisce col ricadere sul maiale. Dal maiale l’uomo trae un grande piacere, quindi matura nei suoi confronti una cattiva coscienza, il senso di colpa di chi tutto prende senza nulla dare”. Povero maiale: alla fine, i veri porci siamo noi

 

PORCI EQUIVOCI

A volte, l’uso del termine “maiale” come metafora (per indicare una persona spregevole) può causare equivoci. In questo brevissimo video ne avete un esempio emblematico e molto divertente.

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Dimmi che lavoro fai. E ti dirò il tuo insulto https://www.parolacce.org/2018/03/20/spregiativi-professioni-mestieri/ https://www.parolacce.org/2018/03/20/spregiativi-professioni-mestieri/#comments Tue, 20 Mar 2018 08:00:51 +0000 https://www.parolacce.org/?p=13924 «Smettila di comportarti come un bifolco!». «Altro che un dentista, quello è un cavadenti!».  «Siamo stufi di questi politicanti!». Ci avete fatto caso? Quando vogliamo insultare qualcuno, a volte lo offendiamo per il lavoro che fa (o per come lo… Continue Reading

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Alcuni sinonimi spregiativi di necroforo (disegno Shutterstock).

«Smettila di comportarti come un bifolco!». «Altro che un dentista, quello è un cavadenti!».  «Siamo stufi di questi politicanti!». Ci avete fatto caso? Quando vogliamo insultare qualcuno, a volte lo offendiamo per il lavoro che fa (o per come lo fa). Ma perché si può offendere qualcuno prendendo di mira la sua attività lavorativa? Perché esistono professioni così disonorevoli da essere usate come offese? Gli insulti professionali sono una categoria molto interessante. Il lavoro, infatti, esprime e al tempo stesso costruisce la nostra identità: siamo quello che facciamo. La professione esprime quale posto occupiamo nella società, quanto valiamo e quanto contribuiamo al nostro bene e al bene comune. Dunque, sono offese che colpiscono il nostro ruolo pubblico, e dato che siamo “animali sociali”, le offese in questo ambito ci colpiscono al cuore della nostra onorabilità. Chi lavora male o fa un brutto lavoro perde la faccia, viene additato e disprezzato. Viste queste premesse, ho deciso di fare un censimento completo di questi insulti. Mi aspettavo di trovarne una ventina, e invece sono un centinaio: per la precisione sono 131, e prendono di mira 32 figure professionali. Quali sono? E perché sono disprezzate?

Per rispondere a queste domande, guardiamo subito la lista completa di questi insulti:

professione epiteti insultanti motivazione
attrice/attore attricetta/attorucolo
avvocato  avvocaticchio, avvocatucolo, avvocatuncolo, leguleio, paglietta (per l’uso che avevano un tempo gli avvocati napoletani di portare cappelli di paglia neri), parafanghista (avvocato dedito a cause per incidenti stradali), azzeccagarbugli, mozzaorecchi
barista oste (persona pettegola e opportunista)
calzolaio ciabattino
colf, donna delle pulizie sguattera/o, serva/o
commerciante bottegaio, pescivendolo, pellaio (conciatore, venditore di pelli: significa anche persona rozza e ignorante), faccendiere, mercante, maneggione
contadino bifolco, villano (maleducato), cafone, burino, tamarro (venditore di datteri), pecoraio (stereotipo falso: nell’Italia preunitaria, proprio i pecorai, spostandosi nelle transumanze e leggendo nelle soste a compagni ignoranti i “libri de pelliccia” – grandi poemi cavallereschi che portavano con sé nelle tasche delle pellicce – promossero la diffusione dell’italiano), zappaterra
dentista cavadenti
disoccupato fancazzista, perdigiorno, pelandrone, pigrone, poltrone, fannullone, scansafatiche, sfaccendato, scioperato, lavativo, perditempo, bighellone, vagabondo, ozioso, indolente
fotoreporter paparazzo
giornalista giornalaio, pennivendolo, scribacchino, imbrattacarte, imbrattafogli, velinaro, pennaiolo
giudice ammazzasentenze (giudice incline ad annullare giudizi di gradi inferiori)
guidatore carrettiere (persona di modi volgari), camionista
impiegato, funzionario burocrate, burosauro,mandarino (alto funzionario che vorrebbe conservare e far valere a ogni costo i privilegi più esclusivi della sua carica), travet (impiegato mal pagato e di basso livello), ragionierino, mangiacarte, mezzamanica, portaborse
imprenditore edile palazzinaro
informatico, programmatore nerd (sfigato, chi è portato per la tecnologia ma è imbranato in tutto il resto ed è incapace nei rapporti sociali)
manovale manovalanza
medico, chirurgo beccaio, cavasangue,  cerusico, conciaossa, macellaio, norcino, scannagalli, segaossi
necroforo beccamorto, becchino, tombarolo, vespillone
netturbino spazzino
pittore imbrattatele
politico tangentaro/tangentista, bonzo (persona autorevole, che si comporta con eccessiva e ridicola solennità), politicante, corrotto, politicume, politicastro, venduto
poliziotto, militare sbirro (agente con metodi arbitrari, servo del potere, corrotto, violento), caporale (persona prepotente, autoritaria), piedipiatti, sgherro
portiere, custode portinaio (persona pettegola)
professionista, artista mestierante (impreparato, improvvisato), artistoide
prostituta, lavoratrice del sesso puttana, mignotta, zoccola, troia, corpivendola, bagascia, battona, squillo, meretrice, donna di vita/di strada/di malaffare/da marciapiede, malafemmina, escort, passeggiatrice, lucciola, bella di notte, marchettara, sgualdrina
psicologo strizzacervelli
sacerdote, prete corvo, gesuita, pretucolo,  pretignuolo, pretino, pretoccolo, pretoide, pretume
uomo di fatica facchino, scaricatore di porto, camallo
uomo/donna delle pulizie sguattero/a
usuraio strozzino, sanguisuga, mignatta, cravattaro
vigilante sceriffo

legenda: nomignolo attribuito per:

classismo
delusione
paura

Come si può notare, diversi di questi insulti professionali sono costruiti alterando il nome di un lavoro con suffissi diminutivi, accrescitivi o peggiorativi: vedi pretino, pretoccolo, pretoide… (per sapere come offendere usando solo i suffissi, vedi questo altro mio articolo). 

Un vecchio “Topolino”. Inquietante.

Ma questo elenco dà lo spunto anche per altre riflessioni. Un eloquente indizio è vedere quali sono le categorie più bersagliate, ovvero quelle con il maggior numero di sinonimi e varianti: la lingua batte dove il dente duole. Fuori di metafora, le figure professionali che hanno generato più insulti sono quelli che colpiscono di più la nostra immaginazione, che suscitano le emozioni più forti e complesse. Come potete vedere nella tabella, le attività che hanno ispirato il maggior numero di epiteti offensivi sono l’avvocato (leguleio, azzeccagarbugli, avvocaticchio, etc), il commerciante (bottegaio, faccendiere, maneggione), il contadino (bifolco, zotico, burino, cafone…), il giornalista (pennivendolo, scribacchino, velinaro), l’impiegato (travet, burocrate, portaborse), il medico (cavasangue, macellaio), il politico (tangentaro, politicante), il poliziotto (sbirro, piedipiatti), il prete (corvo, pretucolo), la prostituta (zoccola, mignotta), l’usuraio (strozzino, cravattaro).
In sintesi, vengono più bersagliate le persone che esercitano male il loro potere (politici, usurai, commercianti), o che fanno male il loro lavoro, soprattutto se è una professione importante e delicata (giornalisti, medici, avvocati). Per questo ho classificato questi epiteti come l’effetto di una delusione.
Discorso a parte merita il disoccupato, che è – insieme al contadino – il più disprezzato: perché è considerato un parassita che campa alle spalle di tutti gli altri che lavorano. Insomma, un cattivo esempio da mettere al bando: meglio avere un lavoro, anche schifoso, piuttosto che nulla. Ma non sempre – soprattutto oggi, in tempi di crisi economica – essere disoccupati è una colpa. Così alla disgrazia di non avere soldi e lavoro, si aggiungono l’isolamento e il disprezzo sociale.

Libro contro gli stereotipi: racconta la storia di un agente, Elio Carminati.

Ma alcune attività sono disprezzate in quanto tali. Il contadino, ad esempio, da secoli ispira la più ampia categoria di insulti lavorativi: tanto che ormai cafone, villano, bifolco non indicano più gli agricoltori, ma sono sinonimo di persona ignorante, maleducata, rozza. Il motivo? Puro e semplice classismo: quando si sono formate le città, nel Medioevo, i benestanti che vivevano nei primi agglomerati urbani guardavano con disprezzo quanti facevano il duro lavoro di zappare la terra. Li consideravano inferiori. Ma altri mestieri sono disprezzati in quanto tali non solo perché sono umili, ma anche per moralismo e paura. Il caso più emblematico è quello della prostituzione: un lavoro tanto disprezzato ma al tempo stesso molto richiesto. In un certo senso, un male necessario, di cui non si vuole ammettere l’importanza, negandogli ogni dignità. (Anche se poi, nel disprezzo verso le prostitute, entrano in gioco altri fattori, culturali e sessuali, di cui non mi occupo in questo articolo). E lo stesso tipo di disprezzo ansioso e pauroso si registra anche per i necrofori, che si occupano dei morti. Insomma, quando si tratta di cose delicate, degli aspetti più bui della nostra vita, preferiamo offendere. E voltarci da un’altra parte.

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Gli insulti più feroci: quelli fisici https://www.parolacce.org/2017/10/16/emarginazione-difetti-corpo/ https://www.parolacce.org/2017/10/16/emarginazione-difetti-corpo/#respond Mon, 16 Oct 2017 11:11:25 +0000 https://www.parolacce.org/?p=13065 Ciccione, quattrocchi, nasone, ciospo… Le consideriamo – a torto – offese infantili e di poco conto. Ma in realtà gli insulti fisici sono molto più feroci di quanto possa sembrare. Sono una categoria molto nutrita (ne ho raggruppati 137, vedi sotto),… Continue Reading

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Campagna contro l’emarginazione delle persone sovrappeso.

Ciccione, quattrocchi, nasone, ciospo… Le consideriamo – a torto – offese infantili e di poco conto. Ma in realtà gli insulti fisici sono molto più feroci di quanto possa sembrare. Sono una categoria molto nutrita (ne ho raggruppati 137, vedi sotto), e hanno effetti sorprendenti.
Sono infatti fra gli insulti più universali che esistono: con infinite varianti, si ritrovano a ogni latitudine.
Ma perché sono così diffusi? Quali aspetti del corpo prendono più di mira? E in che senso sono potentiIl loro successo è facilmente spiegabile: sono offese immediate, a presa rapida. Sono il modo più diretto per squalificare qualcuno: a differenza degli insulti contro l’intelligenza o il comportamento (imbecille, troia, rompiballe), quando si denigra una persona sul piano fisico (nano, faccia di merda) non c’è bisogno di conoscerla o entrare in rapporto con essa per verificarlo: basta semplicemente guardarla. Sono gli insulti più darwiniani, o se preferite i più nazisti: hai un difetto? Devi essere eliminato.

Hollande, Merkel, Renzi, Tsipras in un’impietosa caricatura uscita su “Libero”.

Proprio questa immediatezza spiega perché gli insulti fisici sono così diffusi in politica. La politica, infatti, smuove grandi e selvagge passioni (come lo sport), e in un’epoca in cui le informazioni viaggiano veloci, e si dedica poco tempo all’analisi, all’argomentazione (come raccontavo qui, a proposito dell’uso degli insulti in politica), ecco che gli insulti fisici diventano il modo più rapido e sbrigativo di sbarazzarsi di un avversario.
Al punto che molti di questi insulti sono diventati i soprannomi, transitori o ufficiali, di tanti politici: Bettino Craxi era soprannominato “cinghialone”, Piero Fassinogrissino”, Silvio Berlusconipsiconano” o “Al Tappone”, Renato Brunettaenergumeno tascabile”, Maria Elena Boschichiappona”, Giulio Andreottiil gobbo”, Lamberto Diniil rospo”, Rosy Bindibrutta”, o “più bella che intelligente”, Cécile Kiengeorango”.
Va detto, tra l’altro, che gli insulti fisici sono sessisti, ma con una par condicio: ci sono alcuni insulti declinati solo al femminile e riguardano tutti la bruttezza estetica. Ma allo stesso tempo, gli insulti contro la debolezza fisica sono indirizzati quasi sempre ai maschi (vedi le liste più sotto).

Salute e igiene, valori universali

Come tutte le altre categorie di insulti, anche quelli fisici sono giudizi negativi: sono un modo di dire “non sei normale”, non vai bene, non ti accetto, sei inferiore, mi fai ribrezzo. E questi giudizi si trasformano in azioni, hanno un effetto sociale: l’esclusione, l’emarginazione (vattene, stai lontano).
Ma gli insulti fisici hanno un “quid” in più. Non sono soltanto immediati: sono anche profondi, perché vanno dritto al cuore della nostra identità. Il corpo, infatti, è la manifestazione tangibile di ciò che siamo: in termini biologici, è il fenotipo del nostro genotipo, ovvero è la manifestazione del nostro patrimonio genetico. E, dato che siamo innanzitutto animali, la presenza di un difetto (vero o sospettato, grande o piccolo, essenziale o trascurabile) è un indicatore importantissimo del nostro stato di salute. Una persona malata rappresenta istintivamente una minaccia: è un peso, potrebbe contagiarmi, e (in caso di accoppiamento) potrebbe farmi generare figli malati.

Il cartello offensivo appeso dal cliente di un ipermercato di Carugate: mette a nudo l’intolleranza verso i disabili.

Gli insulti fisici, infatti, scatenano le nostre paure più ancestrali. Declassano il destinatario a un livello inferiore, oltre che repellente e pericoloso. Insultare qualcuno sul piano fisico (gobbo, pelato, culona) significa attribuire uno stigma, un segno distintivo negativo: si qualificano le persone come difettose e da evitare, da espellere dalla società.
E sono etichette difficili da cancellare. Perché oltre a essere profonde sono universali. L’antropologo Desmond Morris racconta di un’indagine effettuata in quasi 200 culture per cercare di stabilire quale fosse un criterio universale di “bellezza umana”. Questo criterio non c’è: “i soli aspetti del nostro corpo che abbiano valore universale sono la pulizia e la salute” scrive Morris nel libro “L’uomo e i suoi gesti”. “E poiché essere sporchi significa essere brutti, i gesti connessi con la sporcizia sono ovvi candidati al ruolo di segnali insultanti e si possono osservare in ogni parte del mondo”.

Brutti fuori, brutti dentro

Le mie statistiche sui tipi di insulti fisici: clic per ingrandire

Questa considerazione vale non solo per i gesti (di cui ho parlato qui), ma anche per le parole. E non poteva essere altrimenti: igiene e salute sono i requisiti minimi per la nostra sopravvivenza e per consentire la trasmissione dei nostri geni ai figli. Se mancano queste condizioni, la sopravvivenza nostra e dei nostri discendenti è in pericolo. Ecco perché 2 insulti fisici su 3 (il 65%) puntano proprio su questi aspetti: un insulto fisico su 5 (18%) riguarda l’igiene (cesso, chiavica, puzzone), oltre 1 su 6 (il 15%) indica malattie e menomazioni, mentre il 32% (uno su 3) riguarda la bruttezza in tutte le sue forme: cozza, rospo, scimmia. L’uso di metafore tratte dal mondo animale, a proposito, è un modo per rimarcare la mancanza di umanità, la bestialità di una persona.
Dato che anche la bruttezza, come la bellezza è mutevole e sfuggente (“Ciò che un tempo era brutto oggi può essere accettato, e viceversa” scrive Umberto Eco nel libro “Storia della bruttezza”), il brutto in realtà è ciò che provoca disgusto, che evoca morte e malattieE’ lo scherzo di natura (oggi diremmo il difetto genetico). Come la bellezza è l’espressione di buona salute e di un patrimonio genetico armonico, la bruttezza ci appare istintivamente come la manifestazione del contrario. Ovvero di malattia e disarmonia.

Un Obama volutamente mostruoso sulla prima di “Libero”.

Non solo: l’istinto ci porta a pensare che chi è brutto fuori lo sia anche dentro, che la bruttezza esteriore sia una manifestazione di quella interiore. Come ha tentato di fare – in modo pseudoscientifico – la fisiognomica di Cesare Lombroso, che pretendeva di dimostrare che i tratti di personalità criminale fossero sempre associati ad anomalie fisiche. E comunque, prima di lui, gli antichi Greci credevano nella “kalokagathìa“, cioè erano convinti che il bello (kalòs) fosse anche eticamente buono (agathòs).
Questo accade, per esempio, nei confronti delle persone obese, come raccontavo qui: mentre in passato le persone grasse erano accettate, e anzi, la loro pinguedine era uno status symbol della loro opulenza, oggi sono denigrate per motivi culturali (la moda delle indossatrici filiformi) e anche economici (“La tua grassezza è un peso per il sistema sanitario”).

Quando i difetti fanno ridere

Dunque, gli insulti fisici sono come caricature: esagerano un aspetto del corpo per irridere o denunciare, attraverso un difetto fisico, un difetto morale. Imbruttiscono il destinatario, enfatizzandone un tratto fino alla deformità.  Ecco perché le caricature sono molto usate nei giornali politici. Giovanni Spadolini, premier e senatore a vita, è stato disegnato grasso e con un pene piccolissimo, Giulio Andreotti con la gobba e Brunetta e Berlusconi come nani.

Ebreo minaccioso in una cartolina antisemita della propaganda fascista (Gino Bocccasile, 1943)

In questo modo, gli uomini di potere sono abbassati a un livello inferiore e diventano quindi ridicoli. Infatti gli insulti fisici ci fanno sentire superiori: i malriusciti, i malridotti, i deformi sono gli altri. E’ proprio su questa dinamica che si basano le campagne razziste che puntano a suscitare l’odio verso intere categorie sociali (ebrei, immigrati, etc): degradando interi gruppi di persone a schiere di esseri subumani che non meritano compassione né rispetto.
Rendere disumano qualcuno è il modo più facile per odiarlo e ucciderlo: non si prova compassione per qualcuno che non ha nulla di umano ed è inferiore a noi. Con questo meccanismo si creano capri espiatori su cui riversare le tensioni di un’epoca, soprattutto nei momenti di guerra o di crisi economica: e questo spiega perché, negli ultimi tempi, si è acuita l’intolleranza verso gli immigrati e i disabili. Sono un facile parafulmine, debole e indifeso, su cui sfogare le ansie sociali.
D’altra parte è anche vero che diversi comici hanno avuto successo proprio rappresentando, caricandoli, i difetti fisici: in questo modo ci fanno sentire superiori, aiutandoci a esorcizzare le ansie di essere contagiati anche noi da malattie e difetti. Basta pensare agli attori che hanno puntato la loro comicità su una corporatura disarmoniosa (Stanlio e Ollio), sul modo patologico di camminare o sull’abbruttimento della mimica facciale (Marty Feldman, Jerry Lewis, Totò).

Jerry Lewis fa ridere enfatizzando difetti fisici (dal film “Le folli notti del dottor Jerryl”).

E’ un modo consolatorio di scacciare la paura della malattia e del diverso, che è molto profonda. Per secoli, infatti, le persone deformi, deboli e malate erano o uccise, derise oppure semplicemente recluse (in manicomi, nosocomi e carceri) per essere allontanate dalla vista dei “normali”. D’altronde, ancora oggi “handicappato” è percepito come uno degli insulti più offensivi, come ho riscontrato col mio sondaggio del Volgarometro.

La lista degli insulti fisici

Qui sotto trovate la lista dei 137 insulti fisici: gran parte sono parolacce, ovvero hanno un registro volgare, ma ho integrato l’elenco anche con termini neutri o dotti (orripilante, malfatto, tremendo) perché hanno comunque un’innegabile carica offensiva.

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STATURA

Bassa statura: bagonghi, microbo, nano, nanerottolo, pigmeo, puffo, ranocchio, tombolotto, tappo,

Alta statura: stangone

CORPORATURA

Corporatura grande: antropoide, abnorme, balena, budellone,  chiappone, ciccione, culone, gorilla, grassone, orango, panzone,trippone, vacca,
Corporatura piccola: bamberottolo, chiodo, grissino, moscerino, omuncolo, secco, scheletro, segaligno, rachitico

BRUTTEZZA

Ambosessi: aborto, bertuccia, brutto, buco di culo, cefalo, ceffo, cercopiteco, cozza, ciospo, crozza, faccia di cazzo, faccia di merda, faccia da pesce lesso, malfatto, mostro, obbrobbrio, orribile, orrendo, orrido, orripilante, racchio, rafano, roito, rospo, sbrindellato, scalcinato, scarabocchio, scarafaggio, scherzo della natura, scarpantibus, scorfano, sgorbio, sputo, scimmia, smandrappato,spaventapasseri, terribile, tremendo

Femminili: arpia, befana, megera, virago, piatta, piallata (senza seno)

DIFETTI DEL VOLTO

Testa: capoccione,  testone, faccione, zuccone

Naso: nasone, elefante,

Orecchie: dumbo, orecchione,

Capelli: palla da biliardo, pelato

REPELLENZA, SPORCIZIA

cesso, chiavica, cispa, disgustoso, fetido, laido, lercio, nauseabondo, puzzone, piscione, piscialetto, piscioso, pulcioso, ributtante, ripugnante, rivoltante, stomachevole, schifoso, trucio/trucido, unto, vespasiano, vomitoso, water, zozzone

FORZA FISICA

loffio, mezzasega, pappamolla, pippa, sega, scartina,

MALATTIE E MENOMAZIONI FISICHE

Vista: cecato, guercio, orbo, quattrocchi, strabico,

Udito: sordo,

Volto: deforme, sfigurato

Disabilità generali: disabile, handicappato, minorato, mongolo,

Schiena: gibboso, gobbo,  

Andatura: goffo, sciancato, sbilenco, storpio, zoppo

Sessualità: impotente, frigida

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Papa Francesco e gli insulti https://www.parolacce.org/2017/06/12/papa-francesco-e-gli-insulti/ https://www.parolacce.org/2017/06/12/papa-francesco-e-gli-insulti/#respond Mon, 12 Jun 2017 09:29:20 +0000 https://www.parolacce.org/?p=12445 Può un papa, la più alta autorità religiosa, pronunciare una valanga di insulti? Un blogger inglese, Lenny Detroit, ha raccolto oltre un migliaio di espressioni “forti” dette dal pontefice dal 2013 a oggi. Ha pubblicato questa antologia in un sito,… Continue Reading

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Papa Francesco gesticola durante un discorso (Shutterstock).

Può un papa, la più alta autorità religiosa, pronunciare una valanga di insulti? Un blogger inglese, Lenny Detroit, ha raccolto oltre un migliaio di espressioni “forti” dette dal pontefice dal 2013 a oggi. Ha pubblicato questa antologia in un sito, che ha ribattezzato “Il libro degli insulti di papa Francesco”.
Ma davvero Bergoglio ha pronunciato così tanti insulti? Nei confronti di chi, e perché?
La notizia non è una bufala: Detroit, che nella vita fa il giardiniere, ha linkato ciascuna espressione a una fonte (lanci di agenzia, articoli, sito del Vaticano), dunque è tutto documentato e verificabile (per chi vuole, qui). Un lavoro immane. Che cosa abbia spinto Detroit a raccogliere con pazienza così tante testimonianze non si sa: gli ho scritto per chiedergli un’intervista ma non mi ha mai risposto.
In ogni caso – come scoprirete in questo articolo  – non è corretto classificare queste espressioni come “insulti”. Sono critiche anche taglienti, ma non di più.
Ed è giusto metterli sotto i riflettori: le parole (comunque dirompenti) usate da papa Francesco mostrano, più di ogni altro segnale, la novità del suo modo di comunicare, che non ha precedenti negli ultimi papi che abbiamo conosciuto.
Il suo linguaggio, infatti, è rivoluzionario nei contenuti e nello stile. Studiandolo, si capisce la personalità del papa, sincera e appassionata. Un uomo che rifugge l’ipocrisia e l’indifferenza, e ha il coraggio di prendere posizione, cercando di far arrivare il suo messaggio a tutti. Scuotendo, quando è il caso, le coscienze dal torpore.
Qualcuno si è impressionato per questo: ma perché un papa non dovrebbe schierarsi, anche in modo deciso? Credo, anzi, che sia doveroso per un leader spirituale non essere indifferente, vago o cerchiobottista….

Dunque, anche nella polemica, quello di Bergoglio è un linguaggio rivelatore. Ma quali “insulti” ha detto concretamente il papa? Ecco i più notevoli:

  • vecchie comari
  • sgranarosari
  • untuosi e idolatri
  • adoratori del dio Narciso
  • vanitosi e farfalloni
  • banderuole
  • marci nel cuore
  • deboli fino alla putredine
  • dal cuore nero
  • mummie da museo
  • truffatori

Di certo non sono complimenti. Ma possono definirsi insulti? Per rispondere, dobbiamo stabilire cos’è un insulto.

Definire un insulto

Dire a qualcuno che è un imbecille o un  rompiballe significa esprimere un giudizio fortemente negativo su di lui per ferirlo nel profondo ed emarginarlo.
L’insulto è una forma di aggressione verso una persona (deriva dal latino insultare, saltare addosso) per esprimere un’emozione negativa: odio o disprezzo. Gli insulti con la “i” maiuscola sono quelli espressi attraverso un registro basso, volgare, ovvero con parole che in una conversazione educata non si userebbero mai. Dunque, riassumendo, ecco le caratteristiche degli insulti:

contenuto emozione mezzo scopo
giudizio fortemente negativo su una persona, qualificata come “anormale” (= fuori norma) odio, disprezzo lessico volgare, registro basso ferire nel profondo, emarginare, far perdere la faccia

Negli insulti rientrano gli stigmi, ovvero gli stereotipi contro intere categorie di persone: gli insulti etnici (negro, terrone), quelli sull’orientamento sessuale (ricchione) o religioso (infedele), quelli sull’aspetto fisico (ciccione), la malattia (tossico, mongolo). Gli stigmi sono anche chiamati hate speech, discorsi d’odio, o anche fighting words, parole di combattimento, perché spesso sono la miccia che innesca reazioni violente.

Un lessico ricercato

L’immagine di copertina del “libro” degli insulti (“sourpusses” significa musoni).

Dunque, possiamo definire insulti le espressioni usate dal papa? Soddisfano tutti e 4 i requisiti di queste parole offensive?
No. Innanzitutto, il papa non utilizza un lessico volgare: anzi, spesso le sue sono espressioni neutre e con riferimenti intellettuali dotti. Come “pelagiani” (= chi non crede nel peccato originale, ritenendo che l’uomo possa quindi salvarsi dai peccati da solo; dal monaco britannico Pelagio, 5° secolo), “gnostici”  (= chi fa affidamento sulla sola ragione e non sulla fede; da un movimento filosofico del 3° secolo); “prometeici” (= da Prometeo, mitologico eroe greco, simbolo del progresso e della sfida agli dèi). Il papa usa anche riferimenti attuali come  cristiani liquidi” (= con un atteggiamento mutevole nei confronti del mondo; la società “liquida” è un’espressione usata dal sociologo Zygmunt Bauman) e “turisti esistenziali“, ovvero persone che si professano cattoliche senza in realtà crederci e tradurre in pratica la loro fede.
Basta già questo aspetto lessicale per non qualificare le parole del papa come insulti. Ma per capire gli scopi comunicativi di queste espressioni, bisogna vedere in quale contesto sono state dette. Una vera analisi linguistica deve tenere conto delle intenzioni di chi parla e di chi sono i suoi destinatari. Questo ci aiuterà a capire se – per scopi ed emozioni espresse – le frasi del papa siano classificabili come insulti o no. A chi sono indirizzate? E con quali intenzioni?

Quando il nemico è dentro

La prima sorpresa è che non sono rivolte a nemici esterni (miscredenti, islamici o altro) ma sono indirizzate all’interno della Chiesa: ai cattivi cristiani e soprattutto ai cattivi sacerdoti.
Bergoglio se la prende con i preti “vanitosi e farfalloni”, “magnati, “venditori di gomme; “che hanno il cuore amaro come l’aceto, chiusi nella formalità di una preghiera gelida, avari, sterili nel loro formalismo”. Con i seminaristi che stringono i denti aspettando di finire gli studi, che seguono le regole e sorridono, e rivelano l’ipocrisia del clericalismo, uno dei mali peggiori”. E con i “vescovi da aeroporto” (sempre in giro per il mondo e poco attenti al proprio territorio)…
Diversi cattolici hanno storto il naso di fronte a queste prese di posizione: avrebbero preferito che il papa si scagliasse, per esempio, contro i miscredenti.

Papa Bergoglio ammonisce i fedeli (Shutterstock).

E invece Bergoglio si concentra soprattutto all’interno della Chiesa, e non mi sembra una scelta strana: se i cattolici sono sempre meno, non è solo perché viviamo in una società laica, atea, materialista. E’ anche perché ricevono un cattivo esempio proprio da chi non dovrebbe darlo, ossia i preti. E Bergoglio non ama l’incoerenza e l’ipocrisia: in più occasioni ha detto apertamente di detestare gli adulatori (che ha chiamato “leccacalze”) e il formalismo che “maschera aridità dell’animo e disinteresse”. Dunque, per rifondare la Chiesa, papa Francesco considera prioritario lavare i panni sporchi in casa propria.
E lo fa usando espressioni emotivamente cariche (cortigiani lebbrosi, untuosi e idolatri), immagini icastiche e taglienti (cristiani con la faccia da sottaceto, musi lunghi, facce da funerale, che ripetono il Credo pappagallescamente).
Come ha scritto Antonio Spadaro, direttore della “Civiltà cattolica” e gesuita come il papanel libro “Il vocabolario di papa Francesco” (Elledici): “per papa Francesco il predicatore è una madre, usa un linguaggio “materno” cioè semplice, capace di ricorrere a immagini concrete, comprensibile da chiunque. Il discorso di Francesco si tende fino ad avvicinarsi al linguaggio reale, di strada”. Non a caso, mi ero già occupato di due parolacce del papa in quest’altro post.

Una scossa a fin di bene

Bergoglio con sua madre.

Sono tutte immagini che hanno uno scopo più pedagogico che distruttivo o offensivo: prendono una posizione critica, ma non per annientare o emarginare i destinatari, bensì per scuotere le coscienze, far riflettere e indurre a cambiare rotta. Come farebbe una madre severa con un figlio indisciplinato: e non a caso uso questa metafora, dato che più volte il papa ha paragonato l’amore di Dio a quello di una mamma. Anche a proposito delle parolacce: “Quando ero in 4a elementare dissi una brutta parola alla maestra, che convocò mia madre” ha raccontato Bergoglio. “La mamma, davanti alla maestra, mi ha spiegato che era una cosa brutta e mi ha chiesto di chiedere perdono alla mastra. Io l’ho fatto e sono rimasto contento, ma quello era il primo capitolo: tornato a casa incominciò il secondo capitolo… immaginatevi voi”.

Papa Francesco, del resto, è molto attento alle parole come alle parolacce. Più volte ha ricordato che “insultare è fare una ferita nel cuore degli altri” avvertendo che “chi insulta il fratello lo uccide nel cuore”: è un “terrorismo della lingua, come buttare una bomba”. Chi chiacchiera contro un’altra persona è crudele perché ne distrugge la fama”. Di qui il suo appello a moderare il linguaggio: “essere mite non significa essere stupido, significa dire le cose con tranquillità, senza ferire”.
E allora come si spiegano i suoi strali? Semplice: per papa Francesco la moderazione non è sinonimo di silenzio o di indifferenza. “Ognuno ha l’obbligo di dire ciò che pensa per aiutare il bene comune. L’obbligo! Se un deputato, un senatore non dice quella che pensa sia la vera strada, non collabora al bene comune. Abbiamo l’obbligo di parlare apertamente”.

Cattivi esempi e immagini sferzanti

Gesù scaccia i mercanti dal tempio (Heinrich Bloch).

Dunque, alla luce di queste considerazioni, le espressioni del papa sono diverse dagli insulti non solo perché non usano un lessico volgare, ma anche per gli scopi che perseguono e per le emozioni che esprimono: non vogliono annichilire o emarginare i destinatari, ma additarli pedagogicamente come cattivi esempi da non seguire. Non esprimono odio ma una condanna morale: indignazione. Se vi sia anche una venatura di disprezzo, è difficile desumerlo: il Vangelo predica il perdono, ma perdonare non significa cancellare. E comunque, nell’indicare un comportamento sbagliato bisogna pur prenderne le distanze.
Dunque, delle 4 caratteristiche tipiche degli insulti, le frasi di Bergoglio hanno solo un aspetto insultante: sono giudizi negativi. Non esprimono odio bensì un forte dissenso polemico. Sono espressioni critiche. Non usano termini volgari, e mantengono così il rispetto verso i destinatari: sono messi all’indice ma non annientati o sviliti nella loro dignità.
Dunque, più che insulti, le espressioni del papa sono definibili più come metafore sferzanti, epiteti (cioè immagini descrittive), al servizio di un discorso polemico, di acerbo rimprovero: l’invettiva. Un genere letterario che è stato usato da intellettuali animati da grande passione politica, come Dante Alighieri, e da chi ha scosso le coscienze perché animato da ideali religiosi, come i profeti. Basti ricordare che l’evangelista Giovanni, nel libro dell’Apocalisse definì senza mezzi termini Roma una “prostituta”. E non è l’unico esempio biblico: trovate gli altri sul mio libro.

Cacca, coprofili e coprofagi

Giornali scandalistici inglesi.

Dunque, i cosiddetti insulti di papa Francesco sono in realtà immagini graffianti, nella terra di confine fra filosofia e poesia. Bergoglio è un profeta passionale educato dalla disciplina intellettuale dei gesuiti.
Per onestà di cronista, segnalo che una di queste l’ha rivolta alla categoria a cui appartengo, quella dei giornalisti. Commentando le notizie negative sui preti, il papa ha detto che spesso gli articoli sono scritti al solo scopo di fare scandalo. I giornalisti invece devono “essere molto limpidi, molto trasparenti, e non cadere nella malattia della coprofilia, che è voler sempre comunicare lo scandalo, comunicare le cose brutte, anche se siano verità. E siccome la gente ha la tendenza alla malattia della coprofagia, si può fare molto danno”.
La coprofilia è la morbosa attrazione verso gli escrementi, e la coprofagia è il comportamento di chi li mangia. Per rispetto il papa ha usato un termine medico. Ma il contenuto di quelle immagini, tradotto in parole povere, significa che secondo lui i giornalisti che amano gli scandali sono merdofili e il pubblico che li segue è come chi mangia merda.
Giudizio pesante, ma sono d’accordo. Anzi, spero che Bergoglio prenda le stesse posizioni nette anche contro i signori della guerra, la finanza cinica, i politici corrotti, gli inquinatori planetari….
E sempre a proposito di escrementi, va aggiunta l’unica volta in cui Bergoglio ha usato un termine volgare,
“cacca”: lo ha fatto nel 2018 in Irlanda, parlando alle vittime di abusi sessuali, per qualificare i vescovi che hanno insabbiato i casi di pedofilia: un appellativo tratto dal linguaggio infantile, certamente di registro basso ma non greve (è ben peggio “merda”) e comunque indirizzato a persone che hanno compiuto scelte gravi. Un’altra eccezione nel 2024, quando ha detto ai vescovi (a porte chiuse) che gli chiedevano se ammettere in seminario candidati dichiaratamente gay, ha risposto che nei seminari italiani «c’è già troppa frociaggine». Ne ho parlato in questo articolo.

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La scienza studia la “faccia da stronzo” https://www.parolacce.org/2016/03/03/significato-faccia-da-schiaffi/ https://www.parolacce.org/2016/03/03/significato-faccia-da-schiaffi/#respond Thu, 03 Mar 2016 12:10:07 +0000 https://www.parolacce.org/?p=9539 La riconosciamo subito. E altrettanto velocemente la rifiutiamo: “Quella faccia da stronzo!!!”… Ma che cosa significa in realtà questa espressione? E perché ci dà tanto fastidio? Rispondere non è facile: quel tipo di faccia – una specie di broncio, una faccia da schiaffi – sappiamo… Continue Reading

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“Faccia da stronza”: T-shirt ironica di Missguided (Uk).

La riconosciamo subito. E altrettanto velocemente la rifiutiamo: “Quella faccia da stronzo!!!”… Ma che cosa significa in realtà questa espressione? E perché ci dà tanto fastidio? Rispondere non è facile: quel tipo di faccia – una specie di broncio, una faccia da schiaffi – sappiamo individuarla, ma non descriverla a parole. Anche perché, come raccontavo in questo post, “stronzo” è una parola polisemica, cioè con molti significati, su cui di solito non ci fermiamo a riflettere.
E la questione è complicata da un altro fatto: la faccia da stronzo non coincide necessariamente con la stronzaggine: uno stronzo ha sempre, inevitabilmente, una faccia da stronzo; ma non vale il contrario: non tutte le facce da stronzi appartengono a stronzi. Si può avere quell’espressione perché si è momentaneamente imbronciati, assorti, sovrappensiero, di malumore. O semplicemente perché si ha un viso indecifrabile o sgradevole, che viene frainteso in modo negativo: “Quel tipo deve essere incazzoso“.

Oggi, però, c’è un metodo oggettivo per definire, senza ombra di dubbio, che cosa sia una “faccia da stronzo”: merito dell’informatica applicata allo studio delle espressioni facciali. Jason Rogers e Abbe Macbeth, ricercatori della Noldus (una società olandese specializzata in software per lo studio dei comportamenti) hanno esaminato decine di “facce da stronzi”, che in inglese si rendono con l’espressione “resting bitch face”, faccia da cagna a riposo.

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Il viso di Kayne West analizzato dal software “Face reader”.

I ricercatori hanno usato un software di riconoscimento delle espressioni emotive sulla mimica facciale, chiamato “Face Reader”. Il programma è in grado di riconoscere e misurare le emozioni umane fondamentali: felicità, tristezza, rabbia, paura, sorpresa, disgusto, disprezzo. Così i ricercatori hanno registrato con questo programma quanto “pesassero” le varie emozioni nelle espressioni neutre; poi le hanno messe a confronto con i volti di alcune celebrità note nel mondo anglosassone per quella faccia “un po’ così”: dalla regina Elisabetta all’attrice Kristen Stewart, dalla stilista Victoria Beckham al rapper Kayne West.
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Il risultato è stato illuminante: la faccia da stronzo aveva una percentuale quasi doppia di disprezzo (il 5,76%) sul totale delle emozioni espresse, rispetto alle facce “normali” (nelle quali il disprezzo pesava per il 3,2%). Il disprezzo, infatti, è espresso ritirando una parte del labbro, sollevando un po’ gli angoli delle labbra (in un sorriso sforzato), strizzando leggermente gli occhi. E questo spiega la sensazione di disagio che questa espressione suscita: non importa se quella faccia esprima davvero disprezzo o invece sia l’espressione di una persona timida, o assorta nei propri pensieri. Quando la vediamo, ci sentiamo giudicati, paragonati e svalutati. E quindi reagiamo rifiutandola.
Ma a volte capita di essere attratti da una persona con una faccia da stronzo, come ricorda un aforisma di Ennio Flaiano: “I grandi amori si annunciano in un modo preciso, appena la vedi dici: chi è questa stronza?”. Sentirci disprezzati, infatti, può spingerci a reagire per far cambiare idea a quella persona. Per poi magari prendersi la soddisfazione di scaricarla a nostra volta…  Anche perché, spesso, chi disprezza compra.

Di solito si tende ad accusare più le donne degli uomini di avere questa espressione: in realtà, spiegano i ricercatori, quell’espressione la si può trovare in ambo i sessi, ma “la notiamo in più nelle donne perché ci aspettiamo che siano più felici e sorridenti, e che vadano d’accordo con gli altri”. Nelle donne, comunque, i visi sprezzanti sono favoriti anche dal fatto che, con l’età, i lineamenti tendono a cadere, incupendo le espressioni.
Dunque, ecco perché non tutte le facce da stronzo appartengono a stronzi: si può assumere involontariamente un’espressione imbronciata perché si è sovrappensiero, senza accorgersi di dare segnali di disprezzo. Ecco perché è sempre meglio cercare di sorridere in modo aperto, per uscire dall’ambiguità della propria mimica facciale: altrimenti, si rischia di innescare equivoci. Come mostra questo video parodia, che lancia un appello a difesa di quanti hanno una faccia da stronzi senza esserlo…(in inglese, con sottotitoli attivabili).

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La fenomenologia del leccaculo https://www.parolacce.org/2015/11/20/significato-leccaculo/ https://www.parolacce.org/2015/11/20/significato-leccaculo/#comments Fri, 20 Nov 2015 09:00:56 +0000 https://www.parolacce.org/?p=8745 Le parole che indicano gli adulatori sono molto interessanti per un linguista: sono tutti spregiativi, e testimoniano il disprezzo verso chi fa lodi insincere. Ma non solo. Gli appellativi riservati ai lecchini sono un piccolo trattato di antropologia: descrivono come si comportano,… Continue Reading

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Il lecchino: sempre prono ai voleri del capo (Shutterstock).

Le parole che indicano gli adulatori sono molto interessanti per un linguista: sono tutti spregiativi, e testimoniano il disprezzo verso chi fa lodi insincere. Ma non solo. Gli appellativi riservati ai lecchini sono un piccolo trattato di antropologia: descrivono come si comportano, aiutandoci a riconoscerli. Il che è utile, visto che oggi ce n’è una vera epidemia.
Cominciamo dai nomi degli adulatori, tutti carichi di disprezzo. La parola adulazione (“volgere verso”) evoca lo scodinzolare dei cani; lacchè era il domestico che seguiva o precedeva a piedi la carrozza del padrone: equivale a servo del potere. Ruffiano (chi, per denaro, agevola gli amori altrui; ma anche chi adula i potenti, sollecitandone la vanità, per ottenerne i favori) deriva da “rufus“, coi capelli rossi: in passato si pensava che le prostitute romane avessero i capelli rossi; oppure deriva dalla stessa radice di “arraffare”. Solo la parola lusinga fa eccezione in questo panorama di spregiativi, perché è un termine più neutro: deriva da lode. Piaggeria, invece, deriva da piaggiare: navigare vicino alla spiaggia, assecondare.
In spagnolo si dice “hacer la pelota” (fare la palla) per riferirsi a chi passa la palla per compiacere qualcuno (ma pelota significa anche puttana). L’adulatore, insomma, è come una puttana: ti lusinga sperando di incassare qualcosa.

Vederlo in azione è rivoltante: mente al punto da passare sopra la propria dignità pur di ottenere qualche vantaggio (o di non pagare lo scotto della sincerità). Ecco perché quest’estate la Cassazione ha riconosciuto che dare del leccaculo è un’ingiuria perché ha una “intrinseca valenza mortificatoria della persona”. Ed è sempre stato così: già Dante Alighieri collocò gli adulatori nell’8° cerchio dell’Inferno, quello degli ingannatori. L’ottavo cerchio è il penultimo dell’Inferno: per Dante, l’adulazione è più grave di tutte le forme di violenza, omicidio compreso, ed è superato solo dal tradimento. Ecco perché la pena degli adulatori consisteva nello stare immersi nella cacca fino al collo:

Quivi venimmo; e quindi giù nel fosso
vidi gente attuffata in uno sterco
che da li uman privadi [latrine] parea mosso.

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dante

Gli adulatori danteschi di Gustav Dorè.

CONDANNATI ALL'ETERNA DISSENTERIA
Da dove arrivava lo sterco in cui sguazzavano i dannati dell’Inferno? Secondo Leonardo Cappelletti, vicepresidente dell’Unione Fiorentina Museo Casa di Dante, quegli escrementi erano prodotti da loro stessi. “La pena cui sono sottoposti all’inferno le anime degli adulatori non consisterebbe soltanto nell’essere immersi nello sterco quanto dall’essere afflitti da una continua ed eterna dissenteria, secernendo per l’eternità l’ ‘umore’ organico più immondo. Certamente questo è uno dei luoghi infernali più sozzi, vili e scurrili che Dante ci descrive, ma il contrapasso e chiaro: come in vita gli adulatori avevano fatto uscire dalla bocca parole suasive e dolci per ingraziarsi il prossimo, adesso, per contrapposizione faranno uscire merda dal loro deretano”. In questi versi (112-136, Canto XVIII) Dante sfoga tutto il suo disprezzo verso gli adulatori, gli uomini più irrimediabilmente corrotti, scrivendo una delle poche parolacce della “Commedia”: un registro basso per una bassezza morale. Ma anche per dare al lettore un’idea concreta e non addolcita della realtà. Senza giri di parole:
E mentre ch’io là giù con l’occhio cerco,
vidi un col capo sì di merda lordo,
che non parëa s’era laico o cherco.
Era Alessio Interminelli da Lucca. Dante lo cita per nome, cognome e città: per smerdarlo ulteriormente e definitivamente. Che cosa avesse fatto per meritare tanto rancore, non lo sappiamo: sappiamo solo che Alessio Interminelli  era un nobile lucchese vissuto davvero ai tempi di Dante. Il dannato aveva domandato al poeta perché lo fissasse, e Dante gli risponde di averlo riconosciuto, citandolo per nome, cognome e indirizzo. E gli fa notare di averlo conosciuto quando aveva i capelli asciutti, non inzozzati di cacca come ora:
Quei mi sgridò: «Perché se’ tu sì gordo
di riguardar più me che li altri brutti?».
E io a lui: «Perché, se ben ricordo,
già t’ho veduto coi capelli asciutti,
e se’ Alessio Interminei da Lucca:
però [perciò] t’adocchio più che li altri tutti».
Alessio lo riconosce, ma Dante non smette di umiliarlo: chiama la sua testa “zucca” e gli fa dire un autoritratto comico e impietoso:
Ed elli allor, battendosi la zucca: 
«Qua giù m’hanno sommerso le lusinghe
ond’ io non ebbi mai la lingua stucca [stanca]».
In due versi, il ritratto dei lecchini è bell’e fatto. Campioni instancabili di lingua. Una capacità condivisa da un’altra categoria umana: le prostitute. Dopo Alessio, infatti, Dante vede una donna sudicia e scapigliata che si graffia là con le unghie piene di sterco: la prostituta Taide (un personaggio letterario dell’Eunuchus di Terenzio), che aveva fondato il suo mestiere sull’adulazione. Anche la sua descrizione è impietosamente realista:
Appresso ciò lo duca «Fa che pinghe [spingi]», 
mi disse «il viso un poco più avante, 
sì che la faccia ben con l’occhio attinghe
di quella sozza e scapigliata fante 
che là si graffia con l’unghie merdose,
e or s’accoscia e ora è in piedi stante.
Taide è, la puttana che rispuose
al drudo suo quando disse “Ho io grazie 
grandi apo [presso di] te?”: “Anzi maravigliose!”. 
E quinci sien le nostre viste sazie».

L’analisi linguistica dei termini riservati agli adulatori svela altri aspetti della loro antropologia. E cioè che sono anche più pericolosi degli stronzi, di cui parlavo qualche tempo fa; perché a differenza degli stronzi, gli adulatori si mimetizzano. Camuffano la loro cattiveria sotto modi gentili e sinuosi. Arrivano a umiliarsi e a violentare la verità pur di ottenere qualche vantaggio personale. Sono proprio questi modi insinceri a caratterizzarli, anche nel lessico. Un vocabolario che copre tutti i sensi: tatto, gusto, olfatto, udito, come ha acutamente osservato il saggista Richard Stengel ne “Il manuale del leccaculo” (Fazi).
1) Tatto: è evocato dai termini allisciare, che ha un corrispettivo nell’inglese flattery (letteralmente appianare) e nel francese flatter; e da blandire, cioè carezzare. Lisciare denota l’appiattimento di un’asperità, rendendola più facile da trattare. Si accarezza l’ego di una persona con le parole. Si solletica la vanità altrui, si dà una pacca sulla spalla. Oppure, da un altro punto di vista, sono gli adulatori sono persone untuose, che usano parole alla vaselina: non provocano attriti, ma ti lasciano sporco.
2) Vista: pensate al termine moina, parola derivata dal francese che denota l’aspetto del volto, la faccetta amichevole dei ruffiani.

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Il leccapiedi (Shutterstock).

3) Gusto: quelle degli adulatori sono parole caramellose, zuccherate, melliflue, imburrate. E molti termini indicano il succhiare, il leccare: leccaculo, baciaculo, leccastivali, leccca-lecca, slurpatore, succhiabanane, sbavatore. Tutte metafore che derivano dall’antica pratica, nelle corti,  del bacio dell’anello o dei piedi (l’ano nella forma più bieca di servilismo). In inglese, l’espressione brown nose, naso marrone, indica proprio i leccaculo incalliti e senza vergogna: “Chi arriva a sporcarsi il naso lo fa con una specie di entusiasmo ossequioso, di solito senza neanche avere la consapevolezza di apparire odioso”, scrive Stengel. Lo stesso papa Francesco, di recente, ha detto che non sopporta gli adulatori, che in Argentina sono chiamati “lecca calze”.
4) Udito: la voce suadente (anzi: flautata) degli adulatori è evocata dal verbo sviolinare.

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GIORNALISTI? NO, CORTIGIANI
Francia, 1815. Il giornale “Le Moniteur”, fedele al re Luigi XVIII, racconta così la marcia verso Parigi del nemico Napoleone, fuggito dall’isola d’Elba:
 9 marzo: L’antropofago è uscito dalla sua tana.
 10 marzo: L’orco della Corsica è appena sbarcato a Golfe-Juan.
 12 marzo: Il mostro ha dormito a Grenoble.
 18 marzo: L’usurpatore ha osato avvicinarsi alla capitale.
 22 marzo: Ieri sera Sua Maestà Imperiale ha fatto il suo ingresso al palazzo delle Tuileries, in mezzo ai suoi fedeli sudditi. Niente può superare la gioia universale…

Travaglio_SlurpfascettaL’aneddoto è raccontato da Marco Travaglio nel libro “Slurp!” (Chiarelettere). Oggi a 2 secoli di distanza, la situazione non è cambiata. Per raccontare la “zerbinocrazia” dei cronisti italiani negli ultimi 20 anni, Travaglio ha riempito quasi 600 pagine: i giornalisti hanno incensato tutti, da Di Pietro a Bossi, fino a Berlusconi, D’Alema, Monti e Renzi. Ma il problema, diceva Joseph Pulitzer, è che una stampa mercenaria, prima o poi, creerà un pubblico ignobile.
Perché giornalisti e intellettuali sono così asserviti? L’ha spiegato Indro Montanelli nella “Storia d’Italia”: “la cultura italiana è nata nel Palazzo e alla mensa del Principe,visto che il Principe era, in un paese di analfabeti il suo unico committente. E si faceva ripagare con la piaggeria, ma anche con la difesa del sistema su cui si fondavano i suoi privilegi. Così si formò quella cultura parassitaria e servile, che non è mai uscita dai suoi  circuiti accademici per scendere in mezzo al popolo. In Italia il professionista della cultura parla e scrive per i professionisti della cultura, non per la  gente. E istintivamente cerca ancora un Principe di cui mettersi al servizio. Scomparsi quelli di una volta, il loro posto è stato preso dai depositari del potere, cioè dai partiti. E questo spiega la cosiddetta “organicità” dell’intellettuale italiano, sempre schierato  dalla parte verso cui soffia il vento”.
Vero, ma non è tutto. La piaggeria è dovuta anche a due altri fattori tipici dell’Italia: da un lato, la scarsità di editori “puri”, cioè che facciano solo gli editori. La gran parte fa affari anche in altri settori, nei quali l’appoggio politico è determinante. Dall’altra, il percorso poco definito della carriera di giornalista, che lascia aperti molti varchi a chi non ha particolari competenze o meriti. Se non la fedeltà al padrone.

manuale-leccaculo-light-“L’adulazione corrompe chi la compie e chi la riceve”

Gli antichi Greci giudicavano l’adulazione una tecnica illecita perché sfrutta le debolezze umane, portando alla distruzione della convivenza civile. A loro, inventori della democrazia (anche se riservata ai soli ricchi), non garbava l’idea che alcuni si considerassero superiori e che altri si abbassassero davanti ai loro simili. Ecco perché detestavano l’adulazione; la ritenevano una forma di autoumiliazione, qualcosa di radicalmente antidemocratico.
Ma la loro posizione fu un’eccezione nella Storia, scrive Stengel. Dai Romani ai sovrani assoluti del 1600, fino alla vanitosa e insicura società di oggi, la piaggeria ha sempre trionfato. Soprattutto oggi: in una società governata dalla finanza e dai robot, conta più la fedeltà ai superiori che la competenza: le critiche – sul lavoro, ma anche in politica – sono viste con fastidio, perché rischiano di mettere in discussione o di ostacolare uno spettacolo che, invece, “deve continuare”. Ecco perché spesso ci comandano persone incapaci ma totalmente “organiche” al potere. “Lecca” e farai carriera.
Ma secondo molti studiosi, un minimo di adulazione è inevitabile: è la cortesia, spesso ipocrita, della vita quotidiana. Ne ho parlato sul nuovo numero di Focus: i complimenti sono uno dei collanti invisibili della società, perché tutti abbiamo bisogno di un po’ di considerazione e di gentilezza, foss’anche un po’ finta. Insomma, il lecchino si nasconde anche dentro ognuno di noi. Meglio saperlo che far finta di nulla.

Locandina 03-2014

 

 

PS: coincidenza. Anche il “Vernacoliere” in edicola questo mese dedica la copertina ai leccaculo. L’avevo detto che è un tema di scottante attualità!!!

 

 

 

 

 

Di lecchini ho parlato alla Radio Svizzera Italiana (Rsi) come ospite della trasmissione “Tutorial” condotta da Daniele Oldani, Mirko Bordoli ed Enrica Alberti. Una puntata che ha acceso molto interesse fra gli ascoltatori. Potete ascoltare la puntata cliccando sul player qui sotto (è divisa in due parti):

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Il sessismo delle parolacce https://www.parolacce.org/2015/10/23/insulti-sessisti/ https://www.parolacce.org/2015/10/23/insulti-sessisti/#comments Fri, 23 Oct 2015 12:00:57 +0000 https://www.parolacce.org/?p=6238 Sessismo di qua, sessismo di là… Negli ultimi tempi, sono state fatte molte crociate contro il sessismo delle parolacce: peccato, però, che invece di approfondire questi temi (complessi), diversi moralisti accecati dall’isterismo hanno preso delle topiche notevoli. La più clamorosa, è… Continue Reading

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Campagna dello stilista Paolorossi, contestata per il suo sessismo.

Sessismo di qua, sessismo di là… Negli ultimi tempi, sono state fatte molte crociate contro il sessismo delle parolacce: peccato, però, che invece di approfondire questi temi (complessi), diversi moralisti accecati dall’isterismo hanno preso delle topiche notevoli. La più clamorosa, è stato lo scandalo dei gestacci in Senato:  i senatori Lucio Barani e Vincenzo D’Anna sono stati sospesi per 5 giorni da Palazzo Madama per aver mimato un rapporto orale all’indirizzo di alcune colleghe. Politici, giornalisti, commentatori si sono strappati le vesti, puntando il dito contro la deriva sessista del Parlamento…
Eppure, quei gesti erano senz’altro sconvenienti e osceni, ma non sessisti: come già raccontavo in questo post, quei gesti sessuali hanno un senso generale di auto-affermazione. Evocare un atto sessuale non è un modo di disprezzare le donne, ma è solo un modo per dare colore ed energia alla propria posizione. Tant’è vero che quei gesti li usano anche le donne (verso altre donne o verso gli uomini).
Il problema è che si sa poco del sessismo, e ancor meno delle parolacce. Meglio, quindi, chiarirsi le idee. Anche perché le sorprese non mancano: le parolacce sono sessiste non solo in senso misogino (odio verso le donne) ma anche in senso misandrico (odio verso gli uomini).

ALLE RADICI DEL SESSISMO
Il seno (elemento importante dell'identità femminile) equiparato a mozzarelle.

Il seno (elemento importante dell’identità femminile) equiparato a mozzarelle.

Ma prima di guardare da vicino quali sono gli insulti sessisti: cos’è il sessismo? E’ la discriminazione basata sul genere sessuale, ovvero sulle caratteristiche sociali e culturali considerate tipiche dell’identità maschile e femminile. Ovvero, ti disprezzo in quanto donna (o uomo) che non risponde alle attese della società, che non assolve al ruolo che le (gli) è stato assegnato. Queste attese non sono irrilevanti: hanno pesanti effetti sugli spazi di libertà delle persone, come racconto sull’ultimo numero di  Focus, dove ho scritto un reportage sulla discriminazione di genere.
Quando 10mila anni fa fu inventata l’agricoltura, gli uomini hanno istituito gli eserciti per difendere i raccolti dalle incursioni altrui. E vigilando sulle risorse alimentari, gli uomini hanno posto sotto controllo anche le donne, sottomettendole ed esautorandole dall’economia. Da millenni, dunque, è stata istituita una rigida e asimmetrica divisione dei ruoli: agli uomini soldi e potere (la parola patrimonio rimanda al padre-padrone), alle donne le faccende di casa e la famiglia (la parola matrimonio rimanda infatti alla madre). Una divisione che è stata funzionale fino al Dopoguerra, quando la donna è entrata nel mondo del lavoro guadagnando spazi sempre più ampi di autonomia (anche grazie ai contraccettivi, che l’hanno resa indipendente sul piano sessuale). Così l’emancipazione femminile ha messo sempre più in crisi questo scenario. Ma il tema delle disparità di genere è ancora molto sensibile, e spesso suscita reazioni isteriche: spesso si grida al sessismo anche a sproposito.

C’è traccia di questa disparità anche nel nostro lessico? Per rispondere, bisogna identificare gli insulti sessisti, ovvero quelli che usano una caratteristica negativa considerata tipica del sesso maschile/femminile per svilire un’altra persona. Ecco i principali insulti sessisti della nostra lingua, divisi per tipo:

Sessismo
verso la donna

Sessismo
verso l’uomo

Comportamento sessuale puttana (e sinonimi: vacca, troia, etc), pompinara, frigida (e sinonimi: asse da stiro,figa di legno, etc), zitella puttaniere,  frocio (e sinonimi: culattone, ricchione,, finocchio…), sfigato, impotente, travestito
Comportamento strega (e sinonimi: arpia, etc), isterica (e sinonimi: uterina, etc), oca (e sinonimi: gallina,…), fighetta (e sinonimi: sciacquina, etc) bastardo, cazzone (e sinonimi: testa di cazzo, pirla, coglione, etc), sega (e sinonimi: senza palle, etc), cornuto
Aspetto fisico racchia (e sinonimi: cessa, cozza, etc), culona, rifatta cazzo corto, pelato

Dunque, nelle parolacce, il sessismo non è solo misogino: è anche misandrico. Insomma, c’è un’insospettabile “par condicio”: per qualità e quantità, ciascuno dei due sessi è preso di mira senza pietà in tutti gli ambiti della vita.
Ma perché questa abbondanza? Perché gli insulti sessisti sono i più efficaci, ovvero i più offensivi. La dimensione sessuale è la più intima, profonda e delicata, e costruisce uno degli assi portanti della nostra identità. Colpire qualcuno nel sesso è, come nella boxe, dare un colpo basso, sotto la cintura. Un modo sicuro, sbrigativo e diretto di mandare l’avversario al tappeto. E infatti gli insulti funzionano tutti così. Proprio perché la loro funzione è stendere l’avversario con un sol colpo, non si perdono in distinzioni e fini analisi: sono sentenze senza processi, clichè, luoghi comuni, tecnicamente parlando stigmi, cioè etichette sociali negative. Chi si scandalizza per questo fatto è come chi contesta che un coltello tagli o che una pistola spari. Gli insulti sessisti sono prima di tutto insulti: servono a svilire un’altra persona, ad abbassarne l’autostima, a farla sentire anormale, esclusa, emarginata.

Una rara pubblicità a doppio senso con un uomo-oggetto.

Una rara pubblicità a doppio senso con un uomo-oggetto.

Ecco perché non tutti gli insulti sessisti sono utilizzati per sessismo: si usano gli insulti sessisti perché sono il modo più rapido di colpire un’altra persona. Gli insulti servono proprio per ferire, per offendere. Perciò è nella loro natura usare colpi bassi, letteralmente sotto la cintura. Poco importa del significato intrinseco delle parole usate, e ancor meno dei risvolti sociali: quando si dice “puttana” a una donna che ci taglia la strada in auto (o “frocio” a un uomo), non si ha davvero la volontà di affermare che fa la prostituta (o che è omosessuale). Il sessismo è un mezzo e non un fine. E lo stesso dicasi per le pubblicità: quelle meno creative usano il sesso e il sessismo per solleticare gli istinti più bassi, per colpire l’attenzione, più che per la volontà di perpetuare il sessismo – anche se è innegabile che danno un notevole contributo.

Detto questo, però, la par condicio negli insulti sessisti esprime davvero una parità, per quanto perversa? Per rispondere a questa domanda, bisogna verificare quali sono gli insulti sessisti più usati, e se la carica offensiva di questi insulti è uguale per ambo i sessi oppure no.
Partiamo dalla prima domanda: quali sono gli insulti sessisti più usati? L’unica indagine statistica su questo argomento è una ricerca sugli insulti più usati su Twitter, di cui ho parlato tempo fa. L’indagine, svolta da Vox (Osservatorio italiano sui diritti) presenta notevoli limiti: ha studiato tutti gli insulti misogini, ma non tutti quelli misandrici (concentrandosi solo sugli insulti omofobi). Al netto di queste limitazioni, emerge comunque una netta prevalenza di insulti misogini (59%)  rispetto a quelli omofobi (6%). Se si insulta una donna, insomma, si usano più spesso gli insulti misogini rispetto ad altri insulti non connotati in senso sessista.

volgarometroMa fra gli insulti sessisti, quali sono considerati i più offensivi? Quelli contro le donne o quelli contro gli uomini? Grazie al volgarometro, l’indagine che ho svolto anni fa, è possibile rispondere in modo puntuale.
Guardando i risultati, emerge che, nonostante le radici maschiliste della nostra cultura, c’è una consapevolezza diffusa sulla gravità degli insulti sessisti verso le donne: infatti, gli insulti sessisti nei confronti delle donne sono stati valutati come più offensivi (in particolare pompinara, con un punteggio di 2,5 su 3 e puttana, con 2,4). E questo nonostante il campione di rispondenti al sondaggio avesse una leggera prevalenza maschile (57,4%).
Lo psicoanalista argentino Ariel Arango offre una spiegazione di questo fatto: non sarebbe tanto un maggior riguardo verso la donna in quanto tale, bensì verso la figura materna. Il sesso orale e la prostituta sono tabù perché mostrano esplicitamente la donna che fa sesso senza limiti, accendendo le fobie verso la sessualità di nostra madre, che abbiamo bisogno di rimuovere dalla mente: per non violare il tabù dell’incesto, la mamma deve restare una figura casta e pura (per altri dettagli rimando alla lettura del suo libro).
Va detto, però, che anche diversi insulti sessisti verso gli uomini sono percepiti come altamente offensivi: è il caso di cazzone (2,2) e culattone (2,1). (clicca sull’immagine per ingrandire)

LA DOPPIA MORALE
Oltre che di maschilismo, il nostro vocabolario ha notevoli tracce anche della “doppia morale” segnalata dal “rapporto Kinsey” italiano, lo studio di Marzio Barbagli “La sessualità degli italiani” (Il Mulino): nella nostra cultura, ciò che è concesso agli uomini (una sessualità libera, per esempio) alle donne è vietato.
E lo si vede anche nel linguaggio: esistono nomi che acquisiscono una connotazione spregiativa solo se riferiti alle donne. La sociologa Graziella Priulla, autrice di “C’è differenza” (Franco Angeli) li ha elencati in questa tabella, che ho integrato con 6 voci:

Un cortigiano: un uomo che vive a corte Una cortigiana: una mignotta
Un uomo allegro: una persona di buonumore Una donna allegra: una mignotta
Un accompagnatore: una guida Un’accompagnatrice: una mignotta
Un intrattenitore: un uomo socievole, affabulatore Un’intrattenitrice: una mignotta
Un massaggiatore: un kinesiterapista Una massaggiatrice: una mignotta
Un professionista: uno che conosce bene il proprio lavoro Una professionista: una mignotta
Un uomo di strada: un uomo duro, temprato dalla vita Una donna di strada: una mignotta
Un uomo senza morale: un ladro, un delinquente, un corrotto Una donna senza morale: una mignotta
Un uomo molto disponibile: una persona gentile Una donna molto disponibile: una mignotta
Un uomo pubblico: un uomo famoso, in vista Una donna pubblica: una mignotta
Un uomo facile: una persona con cui è facile vivere Una donna facile: una mignotta
Un libertino: un uomo senza freni morali Una libertina: una mignotta
Un passeggiatore: un uomo che cammina Una passeggiatrice: una mignotta
Un uomo con un passato: un uomo di esperienza Una donna con un passato: una mignotta
Un uomo di mondo: un uomo di esperienza Una donna di mondo: una mignotta

Insomma, l’unico valore o disvalore della donna si misura dalla sua moralità a letto. La donna non è valutata come persona, ma solo rispetto alla sua etica sessuale. Un criterio decisamente restrittivo. Tanto più se si pensa che molti termini spregiativi rivolti alle donne (puttana, zitella) non hanno il corrispettivo maschile (puttano esiste ma è scherzoso, e puttaniere può avere persino una connotazione positiva; e scapolo è un termine neutro o positivo).

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Pubblicità dei Senators, squadra di baseball: sessismo ironico.

Questo scenario vi indigna? Ovvio. Ma non è certo eliminando gli insulti sessisti che si potrà sconfiggere il sessismo. E’ poco realistico pensare che l’uomo rinunci facilmente ad armi così pratiche, profonde ed efficaci per offendere qualcuno, tant’è vero che esistono in tutte le lingue; anche perché il rapporto uomo-donna è spesso conflittuale.
Del resto, è innegabile che i presunti estremi della sessualità maschile e femminile (l’omosessualità, l’asessualità e la lussuria) sono etichette che rivelano aspetti profondi dell’identità – per quanto in chiave solo negativa.
Più che pretendere di cancellare il sintomo (gli insulti sessisti) sarebbe più efficace curare la malattia: ovvero, tentare di modificare la nostra visione del mondo, garantire più diritti alle donne, ai gay e alle prostitute, per esempio, e punire – davvero – gli abusi verbali quando è il caso. E, comunque, essere un po’ più consapevoli di quello che diciamo e del perché lo diciamo. Sarebbe già un bel progresso.

 

Dedico questo post alla memoria del caro amico Mario Tacci, spirito libero, scomparso all’improvviso lo scorso 13 ottobre. RIP

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Se “filippino” diventa un insulto https://www.parolacce.org/2014/10/29/filippino-insulto/ https://www.parolacce.org/2014/10/29/filippino-insulto/#comments Wed, 29 Oct 2014 12:35:25 +0000 https://www.parolacce.org/?p=6635 Essere definiti “filippini” è un insulto? Massimo Ferrero (presidente della Sampdoria), in un’intervista alla Rai ha definito “filippino” il presidente dell’Inter, l’indonesiano Erick Thohir. La sua è stata molto più che una gaffe: la Figc ha aperto un fascicolo sulla… Continue Reading

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Filippini Essere definiti “filippini” è un insulto? Massimo Ferrero (presidente della Sampdoria), in un’intervista alla Rai ha definito “filippino” il presidente dell’Inter, l’indonesiano Erick Thohir. La sua è stata molto più che una gaffe: la Figc ha aperto un fascicolo sulla vicenda. E Thohir sta valutando se denunciare Ferrero per razzismo o per diffamazione:se lo facesse, l’aggettivo “filippino” diventerebbe ufficialmente un insulto. Se qualcuno vi definisse greci o turchi vi offendereste?

L’episodio mi ha colpito. Dopo il caso di Tavecchio e delle banane, mette a nudo non solo il nostro razzismo strisciante, ma anche il nostro complesso di inferiorità: come spesso accade nellle discriminazioni, il bue dà del cornuto all’asino. Vedremo in che senso.

Ma prima ricordiamo cos’è successo. L’episodio risale a domenica scorsa. In quei giorni, Massimo Moratti – dopo 19 anni alla guida dell’Inter – si era dimesso dalla carica di presidente onorario: un anno fa aveva venduto il pacchetto azionario dell’Inter all’imprenditore indonesiano Thohir.

Così Enrico Varriale, conduttore di Stadio Sprint (Rai2) ha chiesto a Ferrero un commento sull’addio di Moratti. Ferrero si è detto dispiaciuto, aggiungendo: “Io gliel’ho detto a Moratti, caccia via quel filippino…!”. Varriale gli ha fatto notare che è indonesiano: “Viene dall’Indonesia a insultà un emblema del calcio italiano?”,  ha ribadito Ferrero.

https://www.youtube.com/watch?v=kCSKcLjeVdI

“Caccia via quel filippino”: come dire, licenzia quel domestico. In Italia, spesso i filippini trovano lavoro come badanti o domestici. L’insulto c’è tutto: un modo classista e razzista di equiparare un popolo a una condizione sociale considerata inferiore. Come avviene con negro, terrone, villano, cafone

bbc

La frase di Ferrero sul sito della Bbc.

La notizia è rimbalzata sui giornali, non solo in Italia ma anche all’estero. Tanto che Rachel Ruiz, direttrice dell’associazione calcistica filippina, ha confermato che la battuta di Ferrero è stata considerata offensiva. Così, sul sito Web della Sampdoria, alla fine Ferrero ha dovuto correggere il tiro, precisando che “non voleva mancare di rispetto a Thohir e alle Filippine”, aggiungendo che coi filippini “da sempre mi legano rapporti bellissimi”. Sarà, ma la frittata è fatta. Ora vediamo con quali ingredienti.

Innanzitutto, con 165 mila persone, i filippini sono il 2,9% degli stranieri residenti in Italia: sono il 6° gruppo più numeroso. Difficile verificare se facciano tutti i domestici, ma poco importa: secondo un recentissimo sondaggio Istat su 21 mila stranieri, filippini e moldavi sono fra i più soddisfatti del proprio lavoro (con un voto di 8/10), e solo il 17,5% di loro denuncia un trattamento discriminatorio (stanno peggio, ovvero sopra il 30%, tunisini, marocchini, polacchi e rumeni). E’ probabile, quindi, che la soddisfazione sia reciproca: ovvero che anche gli italiani siano contenti del modo di lavorare dei filippini.

MigrantiMa allora come spiegare il disprezzo nei loro confronti?

In due modi: da un lato, ci accorgiamo, in qualche modo, di dipendere da loro: ben pochi italiani sono disposti a fare i domestici o i badanti, quindi in realtà siamo noi a dipendere dai filippini per questi importanti servizi.

Ma in realtà quello che brucia di più è la nostra inferiorità rispetto alle economie asiatiche: Cina, India, Giappone e Russia sono nei primi 6 posti dell’economia mondiale (e noi arranchiamo al 10°), ma la Banca mondiale, da qui al 2050, prevede che saliranno ancora (clicca sulla tabella per ingrandire). Pil2Quanto all’Indonesia, supererà l’Italia entrando nella “top 10” mentre noi scenderemo al 14° posto. Il gigante asiatico fa paura: ha comprato l’Inter (e non solo), e magari un domani potremmo essere noi a fare da domestici agli indonesiani. O ai filippini.

 

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