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Facciamo una scommessa. Secondo voi, qual è la percentuale di tweet che contengono insulti in Italia? In altre parole: quanto è diffuso l’hate speech, l’odio, sui social network nel nostro Paese?
Vi do 4 possibilità:
A) 28,7%.
B) 21,6%.
C) 13,2%.
D) 3,7%.
Quale risposta avete scelto? Se è una delle prime 3, beh: siete fuori strada. Perché la risposta corretta è l’ultima: i tweet a contenuto offensivo sono meno del 4% del totale. L’ha accertato una recente ricerca sull’hate speech fatta da DataMediaHub e KPI6: le due società hanno analizzato i tweet scritti fra il 25 aprile e il 17 giugno scorso. Su un totale stimato di oltre 18 milioni di conversazioni, solo 679mila contenevano insulti. Il 3,7% per l’appunto. E hanno generato un coinvolgimento, un seguito trascurabile: il tasso di engagement (cioè le interazioni: like, retweet, etc) è solo dello 0,26%.
Al netto di alcune imprecisioni linguistiche, di cui parlerò più avanti, la ricerca è preziosa perché smonta un pregiudizio diffuso: che l’hate speech sia un’emergenza, un fenomeno diffuso. In realtà, è e resta un’eccezione, per quanto inquietante. Come del resto ho scritto in più occasioni, ad esempio quando ho presentato la mia ricerca sulle parolacce più pronunciate in italiano: sono soltanto lo 0,21% di tutte le parole. Dunque, su Twitter (e sui social in generale) si dicono oltre 17 volte più insulti: ma è un dato del tutto atteso, visto che con il paravento di uno schermo ci si sente meno inibiti a offendere rispetto a quanto si fa di persona. La sindrome dei “leoni da tastiera” che tutti conosciamo.
Una sindrome che colpisce soprattutto i giovani maschi, e si manifesta con un sintomo inequivocabile: la mancanza di fantasia. Gli odiatori usano infatti per lo più solo 5 insulti generici (li dico più sotto), prova che non hanno valide argomentazioni per motivare la loro rabbia. O, quanto meno, non le esprimono. Alla fine, i leoni da tastiera si comportano come gli ultras da stadio: tifano in modo acritico per la propria squadra (sia essa un partito, un personaggio, una posizione politica) e insultano quelle avversarie.
IL CAMPIONE. I tweet esaminati, come detto, sono stati circa 18,3 milioni. Quelli offensivi risultano 679mila, pari al 3,7% del totale. Li hanno digitati 148mila utenti, pari all’1,4% degli iscritti su Twitter in Italia (10,5 milioni). Come era facile immaginare, gran parte degli “odiatori” sono uomini: il 68%, più di 2 su 3. E la gran parte, il 35,9% sono giovani adulti fra i 25 e i 34 anni d’età. Se si aggiungono anche gli utenti fra i 35 e i 44 anni, emerge che il 64,5% degli insultatori ha fra 25 e 44 anni d’età.
I TERMINI CENSITI. In questa parte linguistica si annidano le uniche imprecisioni dello studio. Gli insulti sono classificati in 7 categorie: generici, sessisti, omofobici, razzisti, antisemiti, di discriminazione territoriale, ideologici, per un totale di una novantina di termini.
Il vocabolario degli odiatori: insulti al posto delle argomentazioni.
L’elenco di quelli generici è però incompleto: mancano (solo per fare i principali esempi) carogna, cornuto, infame, rompicazzo, marchettaro, cazzone; e in questa categoria figura “rotto in culo” che invece, di per sè, sarebbe dovuto rientrare in quelli omofobici. Fra gli insulti sessisti mancano gli insulti rivolti ai maschi (puttaniere, mezzasega, sfigato), come avevo argomentato in questo articolo; e in quelli omofobi mancano quelli rivolti ai transgender (travestito).
Discorso a parte l’elenco di quelli razzisti, che non comprende termini come crucco e muso giallo; e in questa categoria più generale sarebbe stato più corretto inserire anche quelli antisemiti (giudeo) e di discriminazione territoriale (terrone e polentone) che sono solo varianti sul tema.
D’altronde, va ricordato che gli autori della ricerca non sono linguisti e qualche errore era da mettere in conto (per evitarli bastava leggere il mio libro , dove c’è l’elenco completo degli insulti e in generale delle parolacce in italiano). Ma l’indagine resta comunque valida perché dà un polso concreto, un ordine di grandezza definito della situazione.
I TERMINI PIU’ USATI. Il rapporto sull’hate speech in Italia è interessante anche per un altro aspetto: mostra che la maggior parte degli insulti, il 62,2%, sono offese del tutto generiche (coglione, stronzo…). Seguono, a distanza, le offese politiche (fascista, comunista, etc) col 25,4%, mentre gli appellativi sessisti (troia, zoccola) si fermano al 7,7%. Marginali gli insulti razzisti (negro, terrone, ebreo) , che in tutto raggiungono il 2,77% e ancor meno quelli omofobi (culattone) all’1,9%.
Non si può dire che gli “odiatori” brillino per fantasia lessicale: i 5 termini più usati (presenti nel 70,38% dei tweet, più di 2 su 3) sono:
coglione: 28,06% (è anche la 12° parolaccia più pronunciata in italiano)
fascista: 16,4%
comunista: 11,20%
stronzo: 8,27% (8° parolaccia più pronunciata in italiano)
imbecille: 6,45% (26° più pronunciata).
Accorpando questi termini per aree semantiche, gli insulti generici pesano per circa il 42,78%, mentre quelli ideologici per il 27,6%. E anch’essi, in fin dei conti, sono etichette prive di contenuto specifico. Sono giudizi sommari, un modo di liquidare gli avversari gettando addosso secchiate di fango. Senza motivare il perché. E’ vero che il format di Twitter non aiuta: ogni tweet può contenere al massimo 280 caratteri, nei quali non si possono condensare ragionamenti complessi. Ma le ricerche su altri social network (Facebook, chat, etc) danno risultati simili. Quindi, in realtà, la responsabilità dell’hate speech non è del “medium”: è dell’uomo.
PICCHI STAGIONALI. Gli insulti, rileva la ricerca, hanno avuto due picchi in occasione del 25 aprile (festa della liberazione dal fascismo) e del 2 giugno (festa della Repubblica), due date in cui si scatenano le rivalità fra destra e sinistra. L’Italia, insomma, non ha ancora fatto i conti fino in fondo con il proprio passato.
ARGOMENTI SCOTTANTI. Quali sono gli argomenti che scatenano l’aggressività su Twitter? Sono 4, dice il report.
Gli insulti più usati verso i 3 politici più citati: Matteo Salvini, Giorgia Meloni, Giuseppe Conte (clic per ingrandire).
politica: è l’argomento del 26% dei tweet. I personaggi che hanno attirato la maggior parte dei commenti astiosi sono Matteo Salvini, Giorgia Meloni e Giuseppe Conte. I primi due per le posizioni sull’immigrazione, il terzo in quanto premier (e quindi incolpabile in via di principio per tutte le decisioni politiche). Sia Salvini che Conte ricevono più spesso l’insulto generico “coglione”; la Meloni quello ideologico “fascista”. Dunque, gli scontri politici si giocano a suon di insulti privi di contenuto, usati per squalificare le persone nella loro interezza più che per criticare posizioni precise con argomentazioni razionali.
Oggi diciamo più parolacce rispetto a 30 anni fa (montaggio foto Shutterstock)
La più usata è ancora “cazzo”, seguito dalle imprecazioni religiose (Dio, Madonna), e da “merda” e “minchia”, che hanno scalato la classifica. Rispetto agli anni ‘90, diciamo 2/3 in più di volgarità e 3 volte più spesso. E le bestemmie sono più che quadruplicate. E’ questa la fotografia delle parolacce più pronunciate in italiano oggi. Una fotografia resa possibile da una nuova indagine linguistica, il corpus “KiParla”, elaborata dalle università di Bologna e di Torino. Grazie a questo database, appena pubblicato online, ho potuto aggiornare la classifica del parolacce più usate nella lingua italiana parlata: gli ultimi dati risalivano a 27 anni fa. Trovate più sotto la classifica aggiornata delle 75 parolacce più pronunciate dagli italiani. Dunque, un’occasione due volte preziosa: ci permette non solo di capire quali sono le espressioni volgari più usate oggi, ma anche di vedere come sono cambiate le nostre abitudini linguistiche negli ultimi 5 lustri.
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Vediamo subito la classifica dettagliata delle parolacce più pronunciate in italiano, in ordine decrescente di frequenza. I colori indicano la tipologia delle espressioni: in giallo quelle di tipo sessuale, azzurro quelle religiose, arancione quelle escrementizie, verde quelle enfatiche, e rosa gli insulti. L’asterisco evidenzia i nuovi ingressi in classifica. L’asterisco (*) indica una nuova parola in classifica, le frecce (↑↓) indicano se la posizione attuale è in crescita o in calo rispetto al Badip del 1992.
Parolaccia | Posizione rispetto al 1992 | Quantità | % sul totale (e rispetto al 1992) | |
1 | cazzo | (=) | 314 | 23,2 (+6%) |
2 | Dio | (+2) ↑ | 115 | 8,5 (+ 2,2%) |
3 | Madonna | (=) | 92 | 6,8 (- 6,6%) |
merda | (+6) ↑ | 92 | 6,8 (+ 4,5%) | |
4 | minchia | (-) * | 82 | 6,1 |
5 | fregare | (+7) ↑ | 60 | 4,4 (+ 2,9%) |
6 | casino | (-3) ↓ | 58 | 4,3 (- 6,6%) |
7 | culo | (=) | 40 | 3,0 (-0,3%) |
8 | stronzo | (-2) ↓ | 36 | 2,7 (-1,4%) |
porco | (+4) ↑ | 36 | 2,7 (+ 1,2%) | |
9 | balla / palla | (-3) ↓ | 34 | 2,5 (+1,3%) |
10 | vaffanculo/fanculo | (+2) ↑ | 32 | 2,4 (+ 0,9%) |
11 | cagare/cacare | (+2) ↑ | 31 | 2,3 (+ 1%) |
12 | coglione | (-5) ↓ | 28 | 2,1 (-1,2%) |
13 | incazzare | (-5) ↓ | 23 | 1,7 (-0,8%) |
14 | figa | (+3) ↑ | 22 | 1,6 (+ 1,1%) |
troia | (+3) ↑ | 22 | 1,6 (+1,3%) | |
15 | bastardo | (+1) ↑ | 19 | 1,4 (+0,9%) |
16 | fottere | (+2) ↑ | 18 | 1,3 (+ 1%) |
sfiga | (+1) ↓ | 18 | 1,3 (+ 1%) | |
17 | cazzata | (+1) ↑ | 14 | 1 (+ 0,5%) |
18 | stronzata | (-12) ↓ | 13 | 1,0 (-2,8%) |
19 | cesso | (-1) ↓ | 11 | 0,8 (+ 0,5%) |
figata | (-)* | 11 | 0,8 | |
tette | (-)* | 11 | 0,8 | |
20 | puttana | (-7) ↓ | 8 | 0,6 (-0,7%) |
21 | cacca | (-)* | 7 | 0,5 |
fesso/fesseria | (-)* | 6 | 0,4 | |
22 | cretino | (-10) ↓ | 6 | 0,4 (-1,4%) |
Cristo | (-)* | 6 | 0,4 | |
23 | soccmel/socci | (-)* | 5 | 0,4 |
scopare | (-14) ↓ | 5 | 0,4 (-2,1%) | |
deficiente | (11) ↓ | 5 | 0,4 (-1,1%) | |
24 | negro | (-15) ↓ | 4 | 0,3 (-2,2%) |
bordello | (-9) ↓ | 4 | 0,3 (-0,7%) | |
scazzi/are | (-6) ↓ | 4 | 0,3 | |
scoreggia | (-)* | 4 | 0,3 | |
rompicazzo | (-)* | 4 | 0,3 | |
Gesù | (-)* | 4 | 0,3 | |
25 | vacca | (-8) ↓ | 3 | 0,2 (-0,3%) |
smerdare | (-)* | 3 | 0,2 | |
sputtanare | (-)* | 3 | 0,2 | |
rompicoglioni | (-7) ↓ | 3 | 0,2 (-0,1%) | |
figo/fico | (-)* | 3 | 0,2 | |
26 | imbecille | (-15) ↓ | 2 | 0,1 (-1,9%) |
pirla | (-12) ↓ | 2 | 0,1 (-1,2%) | |
sega | (-11) ↓ | 2 | 0,1 (-1,2%) | |
frocio | (-10) ↓ | 2 | 0,1 (-0,7%) | |
trombata | (-9) ↓ | 2 | 0,1 (-0,4%) | |
baldracca | (-)* | 2 | 0,1 | |
stocazzo | (-)* | 2 | 0,1 | |
piscia | (-)* | 2 | 0,1 | |
inculare | (-)* | 2 | 0,1 | |
vucumprà | (-)* | 2 | 0,1 | |
27 | puttanata | (-10) ↓ | 1 | 0,1 (-0,4%) |
culona | (-9) ↓ | 1 | 0,1 (-0,2%) | |
pippa | (-9) ↓ | 1 | 0,1 (-0,2%) | |
belin | (-)* | 1 | 0,1 | |
rompimaroni | (-)* | 1 | 0,1 | |
terrone | (-)* | 1 | 0,1 | |
mignotta | (-)* | 1 | 0,1 | |
scoglionato | (-)* | 1 | 0,1 | |
fregna | (-)* | 1 | 0,1 | |
pugnetta | (-)* | 1 | 0,1 | |
terrone | (-)* | 1 | 0,1 | |
infame | (-)* | 1 | 0,1 | |
suca | (-)* | 1 | 0,1 | |
cornuto | (-)* | 1 | 0,1 | |
0 | mortacci | (-15) ↓ | 0 | 0,0 (-0,8%) |
bernarda | (-16) ↓ | 0 | 0,0 (-0,5%) | |
pompino | (-16) ↓ | 0 | 0,0 (-0,5%) | |
bischero | (-17) ↓ | 0 | 0,0 (-0,3%) | |
culattone | (-17) ↓ | 0 | 0,0 (-0,3%) | |
rompiballe | (-17) ↓ | 0 | 0,0 (-0,3%) | |
TOTALE | 1353 |
Ma vediamo più da vicino la nuova classifica. Al top non ci sono cambi: “cazzo” resta l’espressione più usata. E’ la 215° parola più pronunciata in assoluto, a pari merito – segno del destino – con la parola “italiano”. Rispetto a 27 anni fa, comunque, la usiamo ancora più spesso: un tempo, costituiva il 17,2% delle parolacce; oggi è salita al 23,2%. Vuol dire che una parolaccia su 4 è “cazzo” (volete sapere l’origine di questa espressione? Ne avevo parlato in questo articolo). Se a questo si aggiunge che “minchia” è la quarta parolaccia più pronunciata, possiamo dire che il nostro turpiloquio è molto fallocentrico. Sempre in termini di frequenza, le parolacce nei primi 4 posti della classifica (cazzo, Dio, Madonna, merda, minchia) rappresentano da sole più della metà (51,4%) delle espressioni che usiamo comunemente. E quasi tutte sono usate come imprecazioni (“è bello un sacco, cazzo!”) o in senso enfatico: il primo insulto, stronzo, appare solo al 7° posto e rappresenta solo il 2,7% delle parolacce. Per quanto riguarda le espressioni religiose: ho censito l’uso delle parole “Dio”, “Madonna”, “Cristo” solo quando sono state usate come imprecazioni (“Oh, Gesù Cristo!”), al di fuori dei contesti religiosi. Anche l’uso di queste espressioni è salito, e il fatto non stupisce viste le radici religiose della cultura italiana. Pure le bestemmie sono in notevole crescita: mentre nel corpus Badip ne avevo censite solo 2 (una contro Dio, una contro la Madonna), nel nuovo corpus KiParla sono più che quadruplicate, salendo a 9 (8 contro Dio). Dunque, abbiamo un rapporto ambivalente con la religione: oggi atei e laici sono più numerosi di un tempo, ma non abbiamo cancellato le nostre radici culturali cristiane. Anzi, le usiamo in modo profano: per sfogare la nostra rabbia e sorpresa, con un atteggiamento anti-religioso che non si cura di “nominare il nome di Dio invano“. Fra le parolacce censite in questo nuovo corpus, quali sono aumentate e diminuite maggiormente rispetto al passato? Ho riassunto la situazione in questo riquadro:
A proposito di insulti, quelli di tipo razzista o etnico sono pochi e in calo dell’80%: sono passati dal 2,5% complessivo allo 0,5%. Infatti, “negro” scende di ben 15 posizioni con un calo del 2,2%, anche se per la prima volta entrano in classifica le parole “terrone” e “vucumprà”, per quanto in coda. Stesso destino per gli insulti omofobici, scesi del 90% (sono passati dall’1,1% allo 0,1% del totale): “culattone” è uscito dalla classifica, e “frocio” cala dello 0,7%, scendendo di 10 posizioni.
Dunque, siamo diventati un po’ più “civili” in questi ambiti? Non possiamo dirlo perché il campione, cioè le persone studiate da questa indagine non è molto rappresentativo di tutta la popolazione italiana. Il minor tasso di razzismo e omofobia potrebbero essere l’effetto del più alto livello di istruzione o di ceto delle persone che frequentano le università. Occorrerà allargare l’analisi al resto della popolazione per vedere se siamo davvero meno razzisti e omofobi (e ho seri dubbi al riguardo). Lieve aumento, invece, per gli insulti sessisti contro le donne, saliti del 10% (sono passati dal 2,1% al 2,3% del totale): cresce di 4,5 volte l’uso di “troia” (+ 1,3%), entrano in classifica “baldracca” (+0,2%) e “mignotta” (+ 0,1%), mentre le altre espressioni sono in calo: puttana (- 0,7%), vacca (-0,3%).
Un’ultima considerazione riguarda l’uso di espressioni dialettali. Anche se l’indagine è stata fatta in due città del Nord (Torino e Bologna), ho trovato una sola espressione in bolognese (socci, soccmel, al 23° posto) e nessuna in piemontese (come balengu o piciu). In compenso, appaiono invece altre espressioni originarie di altre zone d’Italia: la siciliana “minchia” (4°), il lombardo “pirla” (26°, in calo), il genovese “belin” (27°), le romanesche “mignotta” e “fregna” (27°) e il siciliano “suca” (27°). Il dato non sorprende, sia perché Torino e Bologna sono città con un alto tasso di immigrati da altre zone d’Italia, sia perché queste espressioni dialettali si sono oramai diffuse in tutto il Paese. Escono invece dalla classifica di oggi il romanesco “mortacci” e il toscano “bischero”.
Alla luce di questi dati, com’è cambiato l’uso delle parolacce nella nostra lingua parlata? E’ cresciuto molto: usiamo più parolacce e più spesso. Negli anni ‘90 sono state censite 45 espressioni volgari; oggi sono diventate 75, con una crescita del 67%. Dunque, il nostro arsenale di volgarità oggi è più fornito e vario rispetto al passato. E le diciamo più spesso: 27 anni fa le parolacce rappresentavano lo 0,08% delle parole pronunciate. Oggi sono triplicate, salendo allo 0,21%: rimangono un’eccezione, ma un’eccezione più abituale rispetto al passato. Ma cosa significano queste percentuali? Facciamo un esempio pratico. Si calcola che pronunciamo in media 16mila parole al giorno: suddivise in 16 ore di veglia, vuol dire che diciamo 1.000 parole all’ora. E quante di queste sono volgari? Lo 0,21% significa 2,1 parolacce all’ora. Nel 1992 lo 0,08% significava poco meno di 1 all’ora. Moltiplicando questi dati per le 16 ore di veglia, siamo passati da 12,8 a 33,6 parolacce al giorno. Dunque, per quanto siano cresciute molto, le parolacce restano poche, almeno nel linguaggio parlato: sui social network, invece, il discorso cambia e molto. Su Twitter, Facebook e chat le parolacce sono da 5 a 14 volte più diffuse (rappresentano dall’1% al 3%). A cosa è dovuto l’aumento di parolacce nel linguaggio parlato? A un fatto sotto gli occhi di tutti: il turpiloquio è stato “sdoganato” da cinema, tv, libri, radio, giornali e Web. E, soprattutto negli ultimi 25 anni, dai politici: ha iniziato Umberto Bossi, seguito da Silvio Berlusconi, Beppe Grillo e poi a cascata tutti gli altri (lo raccontavo più diffusamente in questo articolo). Quindi, a differenza di 30 anni fa, siamo più abituati a leggerlo e ascoltarlo, e quindi anche a dirlo. Rispetto al passato abbiamo meno tabù: diamo meno peso alle espressioni volgari, e le diciamo più spesso e in qualunque ambiente. E a questa minor sensibilità si affianca però un’inflazione del loro potere: come la moneta si svaluta se ne circola molta, lo stesso avviene anche con le parolacce. Questa crescita, comunque, è significativa anche da un altro punto di vista: dato che il corpus KiParla ha censito le abitudini linguistiche di persone con alto livello di istruzione e di reddito, questo dimostra che il turpiloquio non è un’abitudine solo delle classi “basse”, ma è un fenomeno trasversale. E’ anche vero che lo “zoccolo duro” del campione era rappresentato da giovani fra i 19 e i 35 anni, che sono le fasce d’età che dicono più parolacce. Sarebbe interessante allargare l’analisi a tutti gli strati della popolazione, per verificare se la frequenza e la quantità di parolacce aumenta oppure no.
La più pronunciata laicità della cultura di oggi emerge anche da un altro aspetto: il maggior uso di metafore sessuali. Ho classificato infatti le 75 espressioni per tipo: parolacce sessuali, escrementizie, religiose, enfatiche e insulti. Una classificazione inevitabilmente approssimativa: la parola “stronzo”, ad esempio, pur nascendo con un significato escrementizio è più usata come insulto, e come tale infatti l’ho catalogata. Dunque, questa categorizzazione va letta come un’approssimazione: le espressioni scurrili sono usate con molte sfumature a seconda dei contesti, quindi è sempre una forzatura inserire una parolaccia in una sola categoria. Ciò detto, rispetto al 1992 non si registrano grandi cambiamenti. Le espressioni di tipo sessuale sono le più pronunciate, nella metà dei casi, seguite da quelle di origine religiosa. Le parolacce di origine sessuale sono le uniche in crescita (+9,8%). Tutti gli altri tipi di espressioni risultano invece in calo: diminuisce del 3,7% l’uso di espressioni religiose, del 2,9% l’uso di quelle enfatiche, del 2,4% gli insulti e dello 0,6% le parole escrementizie.
Hanno parlato di questo articolo: AdnKronos, Quotidiano nazionale (Giorno, Carlino, Nazione), Corriere Adriatico (bellissimo articolo), PortobelloPlace, Cina News, MeteoWeek, MeteoWeb, Yahoo notizie , World News, Ultim’ora news, Costa Paradiso News, San Marino tv, Voce di strada, Tweet imprese, Firenze Post, Vvox, Glonaabot, Curiosauro, Zazoom .
Bell’articolo de Il Corriere Di Bologna (clic per ingrandire)
Il 16 dicembre la trasmissione “Bonjour bonjour” di Radio Monte Carlo con Monica Sala, Massimo Valli e Stefano Andreoli. Potete ascoltare il momento cliccando sul player qui sotto:
La ricerca è stata citata in un servizio del Tg5 (edizione del 17 dicembre alle ore 20). Potete vedere il video cliccando sul player qui sotto.