insulti | Parolacce https://www.parolacce.org L'unico blog italiano di studi sul turpiloquio, dal 2006 - The world famous blog on italian swearing, since 2006 - By Vito tartamella Tue, 30 Jul 2024 11:53:19 +0000 it-IT hourly 1 https://www.parolacce.org/wp-content/uploads/2015/06/cropped-logoParolacceLR-32x32.png insulti | Parolacce https://www.parolacce.org 32 32 Italo Calvino e le parolacce https://www.parolacce.org/2024/03/12/parolacce-italo-calvino/ https://www.parolacce.org/2024/03/12/parolacce-italo-calvino/#respond Tue, 12 Mar 2024 14:51:16 +0000 https://www.parolacce.org/?p=20356 Ha raccontato mondi immaginari fatti di cavalieri inesistenti, città invisibili e visconti dimezzati. Ma Italo Calvino è stato anche uno scrittore realista e un attento osservatore del mondo. Parolacce comprese. Non solo le ha inserite in diversi romanzi, ma ha… Continue Reading

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Italo Calvino ( 1923-1985).

Ha raccontato mondi immaginari fatti di cavalieri inesistenti, città invisibili e visconti dimezzati. Ma Italo Calvino è stato anche uno scrittore realista e un attento osservatore del mondo. Parolacce comprese. Non solo le ha inserite in diversi romanzi, ma ha dedicato loro un’acuta analisi che è attuale ancora oggi, anche se sono passati più di 40 anni. Forse può sorprendere che un autore così raffinato si sia dedicato al turpiloquio, ma in realtà è in ottima compagnia, come ho avuto modo di raccontare a proposito di Umberto Eco e molti altri che trovate nel mio libro. Perché le parolacce, come diceva Calvino, possono servire a dare un “effetto speciale” nella partitura del discorso.

Le 117 volgarità ne “Il sentiero dei nidi di ragno”

Per entrare nel mondo di Calvino, parto con l’analisi del suo primo romanzo, “Il sentiero dei nidi di ragno”: pur essendo stato pubblicato nel 1947, epoca di censure e perbenismo, presenta numerosi termini volgari o offensivi. Non è un caso: la storia, infatti, è ambientata in Liguria all’epoca della seconda guerra mondiale e della Resistenza partigiana sotto dominio nazifascista. In guerra è più rude anche il linguaggio, e un romanzo realista ne deve tener conto.
Calvino utilizza in tutto 31 espressioni triviali per un totale di 117 volte, includendo anche termini forti come puttana, fottuto, bastardo, cornuto e terrone: mica male! E lo fa inglobando anche alcune espressioni colloquiali e dialettali, tranne il celebre “belin”: scelta insolita per un romanzo ambientato in Liguria. 

La scelta stilistica di Calvino è ancor più interessante perché il protagonista del libro è un ragazzo ribelle di 10 anni, Pin, bambino orfano di madre e abbandonato dal padre. Privo di punti di riferimento, il bambino vive con la sorella, la Nera di Carrugio Lungo, una prostituta che s’intrattiene con i militari tedeschi. Dietro lo sguardo spaesato di Pin c’è la vicenda biografica di Italo Calvino che, da giovane, aveva lasciato gli studi universitari ed era entrato nella Resistenza, in clandestinità, a contatto con persone di umili origini.

Il romanzo conduce il lettore fin dalle prime righe nei vicoli di un paese ligure, proprio grazie alla spontaneità delle parolacce:

Per arrivare fino in fondo al vicolo, i raggi del sole devono scendere diritti rasente le pareti fredde, tenute discoste a forza d’arcate che traversano la striscia di cielo azzurro carico. Scendono diritti, i raggi del sole, giù per le finestre messe qua e là in disordine sui muri, e cespi di basilico e di origano piantati dentro pentole ai davanzali, e sottovesti stese appese a corde; fin giù al selciato, fatto a gradini e a ciottoli, con una cunetta in mezzo per l’orina dei muli. Basta un grido di Pin, un grido per incominciare una canzone, a naso all’aria sulla soglia della bottega, o un grido cacciato prima che la mano di Pietromagro il ciabattino gli sia scesa tra capo e collo per picchiarlo, perché dai davanzali nasca un’eco di richiami e d’insulti. – Pin! Già a quest’ora cominci ad angosciarci! Cantacene un po’ una, Pin! Pin, meschinetto, cosa ti fanno? Pin, muso di macacco! Ti si seccasse la voce in gola, una volta! Tu e quel rubagalline del tuo padrone! Tu e quel materasso di tua sorella! 

 Già nell’incipit troviamo 3 insulti (muso di macaco, rubagalline, materasso, inteso come “grassona”) e una maledizione (ti si seccasse la voce in gola). Ma è Pin l’autore dell’espressione più pesante del romanzo, una sequenza di insulti che avrebbe voluto urlare in faccia ad alcuni clienti dell’osteria a cui stava nascondendo di avere in tasca una pistola: Vorrebbe piangere, invece scoppia in uno strillo in i che schioda i timpani e finisce in uno scatenio d’improperi: – Bastardi, figli di quella cagna impestata di vostra madre vacca sporca lurida puttana!

Una sequenza di alto impatto, costruita con una escalation di insulti in decasillabi quasi perfetti.

Nel ventaglio di espressioni scelte da Calvino per questo romanzo, prevalgono i termini colloquiali e gli insulti: Calvino si tiene alla larga dal lessico osceno, nonostante la sorella di Pin faccia la prostituta. Da segnalare l’assenza di espressioni molto diffuse come “cazzo”, “stronzo”, “coglioni” e “vaffanculo”. Ecco la lista completa delle parolacce presenti nel romanzo:

 [ per approfondire, apri la finestra cliccando sul + qui sotto ] 

TUTTE LE PAROLACCE
 

Imprecazioni (3)

  frequenza brano
mondoboia 25 Mondoboia, proprio come pensavo io.
mondo cane 2 Sei un fenomeno, Lupo Rosso, mondo cane,
merda! 1 – Merda! – gli fa Zena e gli volta le spalle.

Maledizioni (2)

Ti venisse un cancro 2 Ti venisse un cancro all’anima
Ti si seccasse la voce in gola 1  

Insulti (20)

scemo 9  mio marito è un po’ scemo ma è il miglior marito del mondo
bastardo 8 tutti questi bastardi fascisti che mi hanno fatto del male la pagano uno per uno.
carogna 8 mi dicevo: dove sarà andato a sbattere quella vecchia carogna,
cagna 6 Il capitano di sua sorella cagna e spia.
ruffiano 4 Il ruffiano lo andate a fare voi se ne avete voglia
cornuto 4 il tuo distaccamento… il distaccamento dei cornuti!
vacca 4 Quella vacca della tua bisnonna
porco 4 Egoista porco!
macacco / muso di macacco 3 Questa poi me la paghi, muso di macacco
puttana 3 Domando io se è il modo di mandare a puttane il mulo
scimmia 3 mia sorella, quella scimmia,
stupido 2  però il piantone è uno stupido e gli dà ai nervi
brutto muso 2 Brutto muso, – gli fa Giraffa, amichevole.
terrone 2 quei quattro cognati «terroni» combattono per non essere più dei «terroni», poveri emigrati, guardati come estranei.
fottuto 1 Sei un fenomeno, Lupo Rosso, mondo cane, – fa Pin, – però sei anche un fottuto a lasciarmi lì mentre m’avevi dato la parola d’onore.
rubagalline 1 tu e quel rubagalline del tuo padrone!
materasso 1 Tu e quel materasso di tua sorella!
mangiasapone 1 Garibaldi ci ha portato il sapone e i tuoi paesani se lo son mangiato. Mangiasapone
cretino 1 E le toccai il nasino – e lei disse brutto cretino
sbirro 1 quel carabiniere combatte per non sentirsi più carabiniere, sbirro alle costole dei suoi simili. 

Termini escrementizi (2)

piscia/pisciare 9 Nelle vene non mi scorre più del sangue, ma del piscio giallo
cacca/cacare 4 sporco sulle spalle di cacca di falchetto,

Termini colloquiali (4)

bordello 1 senti gli sputafuoco che bordello?
balle 2 le cose sono sicure o sono «balle», non ci sono zone ambigue ed oscure per loro
culo 1 Io vi spacchi i corni, io vi sfondi i culi…

 

strafottere 1 Me ne strafotto di tutte le vostre armi!

 

Le parolacce come musica

Avendo utilizzato a piene mani il turpiloquio nella sua prima opera, Calvino non ha mai avuto un atteggiamento snob o moralista verso le parolacce. Anzi, ne ha fatto oggetto anche di una riflessione molto acuta in un articolo del 1978 (uscito in origine sul “Corriere della sera”, poi raccolto nel saggio “Una pietra sopra. Discorsi di letteratura e società”). Nonostante siano passati 46 anni, è un’analisi ancora attuale. Calvino afferma che le espressioni triviali hanno un “insostituibile valore” per tre motivi.

Primo: hanno una forza espressiva ineguagliabile, dovuta alle loro connotazioni negative. Le parolacce sono «una nota musicale per creare un determinato effetto nella partitura del discorso, parlato o scritto», e la loro espressività è data proprio dal fatto che sono «regressive, fallocentriche o misogine». Inutile tentare di addolcirle, come ricordo spesso: le parolacce nascono come colpi sotto la cintura ed è ingenuo pensare di attenuarle.
Il disprezzo per il sesso che molte espressioni sottendono «ha un senso marcatamente conservatore d’affermazione di superiorità su un mondo inferiore. Prova ne è che il turpiloquio non ha mai liberato nessuno. Direi che, spesso, è vero il contrario».

Ma, per avere questi effetti espressivi, le parole oscene «vanno usate al momento giusto» perché «sono esposte più delle altre a un’usura espressiva e semantica, e in questo senso credo ci si debba preoccupare di difenderle: difenderle dall’uso pigro, svogliato, indifferente. Naturalmente, senza tenerle sotto una campana di vetro, o in un “Parco Nazionale”, come preziosi stambecchi verbali: bisogna che vivano e circolino in un “habitat” congeniale. La nostra lingua ha vocaboli di espressività impareggiabile: la stessa voce “cazzo” merita tutta la fortuna che dalle parlate dell’Italia centrale le ha permesso di imporsi sui sinonimi dei vari dialetti. Anche nelle altre lingue europee mi pare che le voci equivalenti siano tutte più pallide. Va dunque rispettata, facendone un uso appropriato e non automatico; se no, è un bene nazionale che si deteriora, e dovrebbe intervenire Italia Nostra».

Insomma, il turpiloquio è un ventaglio di espressioni a cui dobbiamo ricorrere in quanto «riserva di creatività, non in quanto repertorio di voci infiacchite. La grande civiltà dell’ingiuria, dell’aggressione verbale oggi si è ridotta a ripetizione di stereotipi mediocri. Giustamente ha osservato un linguista che dire “inintelligente” è molto più offensivo che dire “stronzo”». L’osservazione vale a maggior ragione oggi, epoca di grande inflazione delle parolacce in diversi contesti: non solo cinema, radio, giornali e tv, ma anche (e soprattutto) Internet. Anche quando si vuole attaccare una persona o un’idea, si utilizzano le solite espressioni logore, senza fantasia.

Secondo: i termini osceni sono le migliori espressioni se si vuole avere un effetto “denotativo diretto”. Per designare quell’organo o quell’atto meglio usare la parola più semplice, quando si intende parlare davvero di quell’organo o di quell’atto. Le parolacce, insomma, servono a chiamare le cose con il loro nome, sono il linguaggio più diretto. Ma con un’avvertenza, purtroppo non approfondita da Calvino: «la trasparenza semantica di una parola è inversamente proporzionale alla sua connotazione espressiva». Tradotto, significa: se una parola è molto ricca di sfumature emotive di significato, diventa una parola oscura. Un esempio? La parola “cazzo” che, quando non designa l’organo sessuale maschile è usata come sinonimo di nulla (cazzata), la stupidità (cazzone), la sorpresa (cazzo!), la noia (scazzo), la rabbia (incazzato), la forza (cazzuto), le vicende private (cazzi miei), l’approssimazione (a cazzo), la parte più sensibile (rompere il cazzo)… Finisce così per significare tutto e il contrario di tutto.

Terzo valore delle parolacce: sono una forma di posizionamento sociale. «L’uso di parole oscene in un discorso pubblico (per esempio politico) sta a indicare che non si accetta una divisione di linguaggio privato e linguaggio pubblico. Per quanto comprenda e anche condivida queste intenzioni, mi sembra che il risultato di solito sia un adeguamento allo sbracamento generale, e non un approfondimento e uno svelamento di verità. Credo poco alle virtù del “parlare francamente”: molto spesso ciò vuol dire affidarsi alle abitudini più facili, alla pigrizia mentale, alla fiacchezza delle espressioni banali. È solo nella parola che indica uno sforzo di ripensare le cose diffidando dalle espressioni correnti che si può riconoscere l’avvio di un processo liberatorio».

Il che è ancor più valido nella nostra epoca in cui i politici di ogni schieramento, da Bossi in poi, hanno fatto del turpiloquio uno degli aspetti costanti della comunicazione: tutti fanno a gara per apparire informali nel linguaggio e nell’abbigliamento, mentre i contenuti politici passano in ombra.

Le guerre e i traduttori di insulti

Calvino torna sulle parolacce anche in una sua opera matura, uno dei suoi capolavori: “Il cavaliere inesistente” (1959). Il romanzo è ambientato all’epoca di Carlo Magno, immaginato a scontrarsi con i Mori, ossia gli islamici. Nel primo scontro fra i due eserciti, Calvino scrive che, nelle prime fasi, quando i nemici entrano in contatto fra loro per la prima volta, vi sia un’armata di interpreti che traducono gli insulti pronunciati in arabo, spagnolo e francese.

Cominciavano i duelli, ma già il suolo essendo ingombro di carcasse e cadaveri, ci si muoveva a fatica, e dove non potevano arrivarsi, si sfogavano a insulti. Lì era decisivo il grado e l’intensità dell’insulto, perché a seconda se era offesa mortale, sanguinosa, insostenibile, media o leggera, si esigevano diverse riparazioni o anche odî implacabili che venivano tramandati ai discendenti. Quindi, l’importante era capirsi, cosa non facile tra mori e cristiani e con le varie lingue more e cristiane in mezzo a loro; se ti arrivava un insulto indecifrabile, che potevi farci? Ti toccava tenertelo e magari ci restavi disonorato per la vita. Quindi a questa fase del combattimento partecipavano gli interpreti, truppa rapida, d’armamento leggero, montata su certi cavallucci, che giravano intorno, coglievano a volo gli insulti e li traducevano di botto nella lingua del destinatario. 

– Khar as-Sus! – Escremento di verme! 

– Mushrik! Sozo! Mozo! Escalvao! Marrano! Hijo de puta! Zabalkan! Merde! 

Questi interpreti, da una parte e dall’altra s’era tacitamente convenuto che non bisognava ammazzarli. Del resto filavano via veloci e in quella confusione se non era facile ammazzare un pesante guerriero montato su di un grosso cavallo che a mala pena poteva spostar le zampe tanto le aveva imbracate di corazze, figuriamoci questi saltapicchi. Ma si sa: la guerra è guerra, e ogni tanto qualcuno ci restava. E loro del resto, con la scusa che sapevano dire «figlio di puttana» in un paio di lingue, il loro tornaconto a rischiare ce lo dovevano avere. 

Una gustosa trovata narrativa, che ci ricorda un aspetto a cui di solito non pensiamo: gli insulti hanno effetto solo nella misura in cui c’è qualcuno che li riceve, li comprende e dà loro un peso. Altrimenti, sono solo fiato sprecato.

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Qatar, il Mondiale degli insulti (online) https://www.parolacce.org/2023/08/05/ricerca-offese-calcio/ https://www.parolacce.org/2023/08/05/ricerca-offese-calcio/#comments Sat, 05 Aug 2023 13:01:29 +0000 https://www.parolacce.org/?p=19941 Quanti “leoni da tastiera” e quante parolacce ha scatenato l’ultimo Mondiale di calcio, Qatar 2022? La Fifa ha pubblicato il primo report globale sulle offese più frequenti sui social media verso calciatori, arbitri, allenatori. Da dove arrivano, chi prendono di… Continue Reading

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I calciatori della Germania posano con la mano sulla bocca all’inizio dei Mondiali: una protesta contro la FIFA, che aveva vietato di indossare fasce arcobaleno in Qatar (come solidarietà al mondo LGBT).

Quanti “leoni da tastiera” e quante parolacce ha scatenato l’ultimo Mondiale di calcio, Qatar 2022? La Fifa ha pubblicato il primo report globale sulle offese più frequenti sui social media verso calciatori, arbitri, allenatori. Da dove arrivano, chi prendono di mira, e quando.
La Fifa, infatti, durante il torneo aveva
alzato una barriera protettiva virtuale per i calciatori, il Servizio di protezione dei social media (SMPS): un sistema di intelligenza artificiale che ha monitorato le principali piattaforme di social media (Instagram, Facebook, Twitter, TikTok, YouTube) alla ricerca di post o commenti insultanti. Che sono stati in parte censurati in tempo reale sugli account di giocatori, allenatori,staff, squadre, in parte segnalati alle piattaforme.

Ora, a distanza di mesi dall’evento, la Fifa ha pubblicato un report che fa un bilancio dell’esperienza. E offre molti interessanti spunti di riflessione, anche se l’Italia non ha partecipato al torneo: è una delle prime volte in cui un torneo mondiale è stato monitorato dall’intelligenza artificiale (sebbene affiancata da quella umana) in un’operazione di protezione (o censura, a seconda dei punti di vista) in tempo reale e su scala globale. Alle squadre e ai giocatori la Fifa ha dato infatti un software di moderazione che nasconde automaticamente i commenti offensivi sui loro account: in questo modo sono stati occultati al pubblico 286.895 commenti.

In più lo studio ha risposto ad alcune curiosità: quanto sono frequenti gli insulti a squadre e giocatori? [ Risposta: poco ] Quali offese sono più frequenti e da dove arrivano? [ quelle generiche, e dall’Europa ]  Ci sono squadre più bersagliate di altre? [ la Francia ]. Con molte sorprese: razzismo e omofobia non sono stati i temi più frequenti della fogna virtuale.

Il sistema protettivo

La fasce anti discriminazione consentite dalla Fifa ai Mondiali femminili in Australia e Nuova Zelanda

Che il calcio sia uno sfogatoio dell’aggressività non è una novità. Molti calciatori diventano bersaglio dei tifosi, a ogni latitudine. E spesso questo può pregiudicare la loro serenità e il loro rendimento in campo. L’ex attaccante del Brasile Willian Borges da Silva ha sperimentato in prima persona gli abusi online: i tifosi del Corinthians insultavano lui e la sua famiglia ogni volta che non giocava all’altezza delle loro aspettative. Così, per evitare questi episodi, ha deciso di trasferirsi in Inghilterra (per il Fulham). 

«Un ambiente online tossico è un posto difficile e rischioso per i giocatori. L’odio e la discriminazione nell’ambiente online avere effetti dannosi sul loro benessere generale con attacchi di ansia, depressione, bassa autostima, disturbi del sonno, cambiamenti nelle abitudini alimentari, sentimenti di inadeguatezza, ritiro sociale e isolamento» ammonisce il report. 

Perciò, in vista dei mondiali, la Fifa ha attivato il Servizio di protezione dei social media (SMPS) chiamato “Threat Matrix” della società britannica Signify.ia: i giocatori di tutte le 32 Federazioni hanno fruito di un servizio di monitoraggio, segnalazione e moderazione dei commenti offensivi nelle lingue delle squadre che partecipavano al torneo. In pratica, un sistema di intelligenza artificiale, impostato in modo da riconoscere migliaia di parole-chiave insultanti nelle 7 lingue ufficiali della Fifa (inglese, francese, tedesco, spagnolo, arabo, portoghese e russo), ha analizzato oltre 20 milioni di post e commenti. Gran parte veniva da utenti di Instagram (43%), seguito da Twitter (26%) e Facebook (24%), il resto da TikTok (6%) e YouTube (1%).

Gli insulti? Un’eccezione

Fra i 20 milioni di commenti, il sistema ne ha segnalati 434mila (il 2,17%) agli operatori umani per ulteriore controllo: di questi, quasi 287mila (1,4%) sono stati bloccati (cioè resi invisibili sugli account dei partecipanti al Mondiale e al pubblico) e 19.600 (0,1%) sono stati segnalati alle piattaforme dei social media in quanto verificate come offensive. 

Voglio sottolineare le percentuali in gioco: i commenti sospettati come offensivi erano il 2,17%, quelli effettivamente bloccati l’1,4% e quelli più gravi, segnalati alle piattaforme,solo lo 0,1%.

Una statistica del tutto in linea con i trend che avevo rilevato nel linguaggio parlato (lo studio qui): le parolacce usate nell’italiano rappresentano lo 0,2% (in questo caso, però, ho conteggiato una singola parola, mentre nel report Fifa si conteggiano i post o i commenti, che possono contenere più di un termine insultante). Ed è un fatto insolito che sui social i commenti offensivi siano così bassi, dato che – rispetto al linguaggio parlato – ci si può nascondere dietro uno schermo e un nome falso. In ogni caso, per valutare seriamente la rappresentatività di questo dato bisognerebbe sapere quali e quante parole-chiave siano state impostate nel monitoraggio (e questo non è dato sapere).

Il report precisa che la Fifa «migliorerà ulteriormente i filtri di moderazione SMPS in vista del Campionato del mondo femminile Australia e Nuova Zelanda 2023» che terminerà in agosto.

Gli autori? Chissà

La nota dolente del report riguarda la possibilità di identificare ed eventualmente sanzionare gli autori di commenti irrispettosi: sono stati censiti 12.600 autori di post offensivi (in teoria ne avrebbero scritti 34 a testa) e solo 306 di loro (il 2,4%) sono stati effettivamente identificati per nome, cognome e indirizzo. Le loro identità sono state messe a disposizione dalla FIFA alle Federazioni affiliate e alle autorità giurisdizionali «per supportare l’azione intrapresa nel mondo reale contro coloro che hanno inviato commenti offensivi, discriminatori e minacciosi alle squadre e ai giocatori partecipanti durante la Coppa del Mondo FIFA». Ma il report segnala che «la risposta iniziale di Meta (proprietaria di Instagram e Facebook, ndr) alle loro segnalazioni era spesso una risposta automatica “che il team di revisione non era stato in grado di esaminarle”».
In più, prosegue il report, «
è stato rilevato un abuso razzista proveniente da un account in cui persino il nome dell’account conteneva termini chiaramente offensivi e razzisti, violando chiaramente i termini di servizio di Meta. Ciò ha segnalato una vulnerabilità nel processo di revisione della piattaforma, poiché l’account offensivo è rimasto attivo per più di 4 mesi dopo la fine del torneo, nonostante fosse stato segnalato il giorno della finale».
Non a caso, il p
residente della Fifa Gianni Infantino ha commentato: «Ci aspettiamo che le piattaforme di social media si assumano le proprie responsabilità e ci sostengano nella lotta contro ogni forma di discriminazione».

Dei 12.618 account che hanno inviato messaggi offensivi durante il torneo, è stato possibile identificare le loro provenienze per 7.204. Tre quarti dei “leoni da tastiera” vivono fra Europa (38%) e Sud America (36%).

Gli insulti più usati

Quali tipi di insulti sono stati rilevati? Per lo più generici (26,24%), seguiti da termini osceni (17,09%) e sessismo (13,47%). Solo 4° l’omofobia (12,16%) e il razzismo (10,7%), anche se a quest’ultima voce bisognerebbe aggiungere xenofobia (0,92%), anti Rom (0,37%), antisemitismo (0,18%), e forse anche islamofobia (1,94%), per un totale del 14,11%. Difficile, comunque, districarsi nella miriade di categorie con cui sono stati censiti gli insulti: come l’abilismo (che io ho tradotto con “insulti anti disabili”), o gli “insulti allusivi” (dog whistle: “banchieri internazionali” come sinonimo allusivo di “ebrei”), più altri difficilmente valutabili.

Ciò che conta, comunque, è la prevalenza di insulti generici o osceni, per un totale del 43,33%, quasi la metà dei casi: omofobia e razzismo, che tanto fanno scalpore sulle cronache, messi insieme arrivano solo a un quarto dei casi. Sono episodi emendabili ma non sono i più diffusi. E tra l’altro sono quelli che destano più preoccupazioni alla Fifa, che nel suo statuto ha inserito la lotta alla discriminazione in tutte le sue forme.

Per fare un confronto, «le finali di AFCON 2021 ed EURO 2020 sono state più colpite pesantemente dai contenuti razzisti e omofobi, con il 78% di tutti gli abusi rilevati che rientrano in una di queste due categorie. L’abuso razzista e omofobo è in genere il più eclatante e più facilmente identificabile e perseguibile dalle piattaforme».

D’altronde, nello sport, come nelle guerre, nel traffico o nelle riunioni di condominio (ovvero i contesti ad alto tasso di aggressività) si offende più per sfogare le proprie pulsioni aggressive che per volontà di emarginare: e tutto l’arsenale delle offese va bene pur di per ferire (simbolicamente) un avversario.

I più bersagliati (e quando)

Interessanti le statistiche su quale sia stata la nazione più bersagliata dagli insulti: la Francia, seguita da Brasile e Inghilterra, E più giù Messico, Argentina e Uruguay. La Germania (la nostra bestia nera ai Mondiali) è in coda alla classifica. Lascio agli esperti di calcio ulteriori interpretazioni che non sono in grado di dare.
Interessante, comunque, notare che la partita che ha acceso maggiormente gli animi non è stata la finale Argentina-Francia, bensì lo scontro Inghilterra-Francia, due rivali storiche, bersagliato da oltre 12mila commenti offensivi. Seguono la finale Argentina-Francia, e Marocco-Portogallo, entrambi sopra i 10mila. Accese anche le reazioni durante i match che hanno visto coinvolta la Germania (contro il Giappone e il Costa Rica) oltre ad Arabia Saudita-Messico.
«
La violenza e la minaccia sono diventate più estreme man mano che il torneo andava avanti con le famiglie dei giocatori sempre più referenziate e molti minacciati se sono tornati in un determinato Paese. Nelle fasi finali del torneo, il targeting individuale è stato più pronunciato, a causa di prestazioni, incidenti o rigori sbagliati» conclude il report. Il tifo si è acceso man mano che la posta in gioco si faceva più rilevante.

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Cretino, demente e altri insulti psichiatrici https://www.parolacce.org/2022/07/03/insulti-mentali/ https://www.parolacce.org/2022/07/03/insulti-mentali/#respond Sun, 03 Jul 2022 11:26:35 +0000 https://www.parolacce.org/?p=19325 Isterica. Demente. Mongolo… Ci avete fatto caso? Alcuni insulti, molto usati sul Web o nelle conversazioni quotidiane, arrivano dai trattati di medicina o di psichiatria. E’ un tragitto inusuale: di solito, infatti, le offese nascono dal basso, ovvero dal registro… Continue Reading

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Celebre film con Lino Banfi (1982)

Isterica. Demente. Mongolo… Ci avete fatto caso? Alcuni insulti, molto usati sul Web o nelle conversazioni quotidiane, arrivano dai trattati di medicina o di psichiatria. E’ un tragitto inusuale: di solito, infatti, le offese nascono dal basso, ovvero dal registro linguistico popolare e colloquiale (asino, svitato), dai dialetti (grullo) o dalle metafore sessuali (rincoglionito, come raccontavo in questo articolo). In questi casi, invece, il tragitto è all’inverso: termini di origine scientifica o accademica entrano nel linguaggio comune allo scopo di svilire altre persone.
Perché accade questo? Quali sono questi termini in italiano? E qual è la loro origine?

Dalla scienza al pregiudizio

Prequel di “Scemo & più scemo” (2003)

Questi insulti nascono in ambito scientifico: sono etichette che identificano un disturbo mentale, sia cognitivo (un deficit di capacità intellettive) o dell’equilibrio psichico e comportamentale. Dunque, gran parte dei termini che elencherò più avanti nascono sì come etichette, ma con intento descrittivo più che offensivo: sono un modo per dare un nome a una malattia, descrivendone i sintomi o la causa. Peraltro la disabilità intellettiva e i disturbi mentali hanno molte forme e gradazioni e non sono né semplici né rapidi da diagnosticare anche per gli specialisti.
Ma il linguaggio non è fatto a compartimenti stagni: i termini tecnici sono, a poco a poco, entrati nella lingua generale, nel linguaggio parlato. Acquisendo però una connotazione negativa con i caratteri dello stigma: sono diventati etichette che danno un giudizio negativo a una persona, dichiarandola inferiore e perciò meritevole di disprezzo ed emarginazione. Non sulla scorta di una diagnosi accurata, ma di un giudizio affrettato al solo scopo di offendere qualcuno. Dunque, una doppia forma di arroganza: si fa una diagnosi senza averne la competenza, e la si utilizza per disprezzare qualcuno. Un processo simile è avvenuto con gli insulti fisici (gobbo, nano, storpio), di cui ho parlato in questo articolo.

La lista degli insulti mentali

Il caso più originale di questo aspetto linguistico è l’affascinante storia del termine “cretino”, di cui parlo più sotto. Prima ecco la lista completa degli insulti mentali di origine scientifica, con una breve spiegazione sull’origine di ogni termine.
Ne ho trovati in tutto 43, che ho riunito in queste 3 sottocategorie:

[ cliccare sulla striscia blu per espandere il testo ]

INSULTI GENERICI (5)
 

disabile non abile a causa di malattie
handicappato dall’inglese hand cap, “porre la mano in un cappello (da cui erano estratte a sorte delle monete in un gioco d’azzardo); poi il termine ha designato lo svantaggio assegnato in una competizione ippica a un partecipante per equilibrare le sue possibilità a quelle degli altri. Poi il termine ha designato chi è affetto da una minorazione fisica o psichica
insano non sano
malato da male, cattivo
minorato in condizione di inferiorità rispetto ad altri

 

SQUILIBRI MENTALI E COMPORTAMENTALI (11)
 

folle termine onomatopeico che significa mantice, pallone, e per estensione “testa vuota”, priva di senno e raziocinio
isterica/o persona affetta da nevrosi (instabilità emotiva, immaturità affettiva e disturbi fisici). Il termine fu reso celebre dagli studi di Sigmund Freud. Deriva dal greco hysterikòs, uterino:  si pensava che la malattia fosse causata dalla ritenzione di fluidi nell’utero o dalla deprivazione sessuale. Poi è diventato un insulto sessista
maniaco da manìa, ardore folle e furioso: delirio accompagnato da forte agitazione; nell’accezione popolare indica una persona con una fissazione eccessiva per qualcosa
matto dal latino tardo “ubriaco”: persona che ha perso la ragione, malato di mente
mentecatto letteralmente, “preso nella mente”, quindi posseduto, infermo di mente
nevrotico persona con un disturbo psicopatologico di solito causato da un conflitto inconscio che genera disadattamento; da “neuron”, nervo
pazzo persona con grave alterazione dell’equilibrio psichico con allucinazioni e deliri.Forse dal latino patiens, sofferente
schizofrenico dal greco schizein, dividere e phrén, cervello, “mente divisa”: forma di psicosi con gravi alterazioni cognitive, affettive e comportamentali Il termine fu coniato dallo psichiatra svizzero Eugen Bleuler nel 1908 
schizzato (da schizofrenico): chi ha un comportamento disturbato, incoerente, molto nervoso e agitato
tossico da tossicodipendente, dipendente da una sostanza “velenosa”
autistico da “autòs“, se stesso: è un disturbo del neurosviluppo caratterizzato dalla compromissione dell’interazione sociale e da deficit della comunicazione verbale e non verbale che provoca ristrettezza d’interessi e comportamenti ripetitivi. Come insulto è usato come sinonimo di persona imbambolata, chiusa nei propri pensieri

 

DEFICIT PSICHICI (27)
 

folle termine onomatopeico che significa mantice, pallone, e per estensione “testa vuota”, priva di senno e raziocinio
isterica/o persona affetta da nevrosi (instabilità emotiva, immaturità affettiva e disturbi fisici). Il termine fu reso celebre dagli studi di Sigmund Freud. Deriva dal greco hysterikòs, uterino:  si pensava che la malattia fosse causata dalla ritenzione di fluidi nell’utero o dalla deprivazione sessuale
maniaco da manìa, ardore folle e furioso: delirio accompagnato da forte agitazione; nell’accezione popolare indica una persona con una fissazione eccessiva per qualcosa
matto dal latino tardo “ubriaco”: persona che ha perso la ragione, malato di mente
nevrotico persona con un disturbo psicopatologico di solito causato da un conflitto inconscio che genera disadattamento; da “neuron”, nervo
pazzo persona con grave alterazione dell’equilibrio psichico con allucinazioni e deliri.Forse dal latino patiens, sofferente
schizofrenico dal greco schizein, dividere e phrén, cervello, “mente divisa”: forma di psicosi con gravi alterazioni cognitive, affettive e comportamentali Il termine fu coniato dallo psichiatra svizzero Eugen Bleuler nel 1908 
schizzato (da schizofrenico): chi ha un comportamento disturbato, incoerente, molto nervoso e agitato
tossico da tossicodipendente, dipendente da una sostanza “velenosa”
arteriosclerotico affetto da arteriosclerosi, ossia irrigidimento delle arterie. Questo riduce il sangue che arriva ai tessuti e può determinare anche sintomi cognitivi: intorpidimento, confusione, difficoltà a capire
babbeo  vocabolo onomatopeico: imita una persona balbuziente, e per estensione sciocca
cretino affetto da cretinismo, ovvero da sindrome da carenza congenita di iodio, disturbo abbinato a ritardo mentale (vedi più avanti)
decerebrato privo di cervello
demente letteralmente “lontano dalla mente”
idiota letteralmente uomo privo di una funzione sociale in una città: inesperto, incapace, poi il termine ha designato persone affette da idiotismo, cioè da ritardo mentale, con basso quoziente intellettivo
imbecille affetto da imbecillità, ritardo mentale (da in-bacillum, senza bastone, indifeso, debole)
interdetto letteralmente: vietato. Indica una persona colpita da interdizione per infermità mentale
limitato persona poco dotata d’intelligenza
microcefalo affetto da microcefalia, malformazione neurologica nella quale la circonferenza del cranio è notevolmente più piccola della media; la malattia è associata a ritardo mentale
mongolo affetto da sindrome di Down, che comporta ritardo mentale
ottuso contrario di “acuto”: persona superficiale e tarda, di scarsa sensibilità
ritardato persona con deficit intellettivo, un tempo considerata “in ritardo” rispetto alle fasi di sviluppo mentale
scemo da “semis”, metà: persona scarsamente dotata di intelligenza
stupido letteralmente significa “stordito, preso da stupore): indica una persona con basso quoziente intellettivo, incapace di dominare la realtà restandone spiazzato.(ne ho parlato diffusamente in questo articolo)
subnormale persona con quoziente d’intelligenza inferiore a un valore considerato “normale”
tardone persona lenta e pigra d’ingegno (vedi ritardato)
tonto colpito da un tuono,attonito

 

La prevalenza del cretino

Paziente affetto da cretinismo in una foto d’epoca

In questo ambito, spicca la storia del termine “cretino”. La prima attestazione di uso medico risale al 1789: in alcune regioni alpine della Svizzera francese, si erano diffuse varie forme di ipotiroidismo congenito: la mancanza di iodio nella dieta genera un cattivo funzionamento della tiroide che produce meno ormoni, causando una crescita irregolare delle fibre nervose. Questa malattia causa una crescita irregolare delle ossa e delle articolazioni, danni neurologici e ritardi cognitivi. Un tratto distintivo tipico di questa malattia è l’ingrossamento della tiroide, che produce gozzi sul collo, e il nanismo.
I malati di sindrome da deficit congenito di iodio (questo il termine odierno della patologia) erano chiamati “crétin”, cioè “cristiani”: nel senso di poveri cristi, che meritavano compassione. E la malattia fu chiamata “cretinismo”. Termine che dal suo significato empatico passò a indicare persone con deficit cognitivi, dunque di scarsa intelligenza. Il termine, poi, si è sganciato dalla casistica di questa sindrome per indicare – in modo offensivo – le persone poco intelligenti. Con una grande diffusione, anche nel mondo dello spettacolo e della cultura.

GIOPPINO

Burattino che raffigura Gioppino

Il tipico rappresentante del “cretinismo” è la maschera bergamasca di Gioppino, che simboleggia valori contadini rozzi, ma positivi. Gioppino infatti ha sul collo tre vistosi gozzi tipici della malattia. Incarna il sempliciotto rozzo ma di buon cuore, pronto a difendere i deboli.
Faccione furbo, rubicondo, vestito di panno verde orlato di rosso, pantaloni scuri da contadino e cappello rotondo con fettuccia volante, di mestiere fa il facchino e il contadino, professioni che però non pratica preferendo guadagni occasionali meno faticosi. Ama il vino e il buon cibo. Di modi e linguaggio rozzissimi, ma di buon cuore, porta sempre con sé un bastone che usa per difendere gli oppressi e punire i prepotenti.

AL CINEMA

André Deed

Il termine “cretino” ha avuto poi una gran fortuna grazie a uno dei primi attori del cinema muto, il francese André Deed (pseudonimo di Henri André Augustin Chapais, 1879 – 1940): fra il 1909 e il 1920 ha interpretato oltre 90 cortometraggi comici recitando nel ruolo di Cretinetti, personaggio che lo rese popolare in tutta Europa. Un appellativo che ha avuto gran fortuna anche negli anni successivi: nel film “Il vedovo” di Dino Risi (1959), Alberto Sordi interpreta un industriale incapace disprezzato dalla moglie (Franca Valeri) con l’appellativo di “cretinetti”.

I fratelli De Rege

“Vieni avanti, cretino!” è invece il tormentone inventato dai fratelli De Rege, uno duo comico che negli anni ‘30 ebbe molto successo. Impersonavano due fratelli, uno intelligente, l’altro nei panni del fratello scemo. Facevano ridere grazie agli equivoci verbali innestati dall’ignoranza del “cretino” e amplificati dalla sua accentuata balbuzie. L’ingresso del fratello scemo veniva preceduto dalla famosa battuta “vieni avanti cretino”, battuta ripescata poi negli anni ‘60 dal duo Walter Chiari e Carlo Campanini, e infine dall’omonimo film di Luciano Salce con Lino Banfi del 1982.

NELLA CULTURA

Poi il termine ha avuto ulteriore fortuna grazie al libro “La prevalenza del cretino” di Fruttero e Lucentini (1985): «È stato grazie al progresso che il contenibile “stolto” dell’antichità si è tramutato nel prevalente cretino contemporaneo, personaggio a mortalità bassissima la cui forza è dunque in primo luogo brutalmente numerica; ma una società ch’egli si compiace di chiamare “molto complessa” gli ha aperto infiniti interstizi, crepe, fessure orizzontali e verticali, a destra come a sinistra, gli ha procurato innumerevoli poltrone, sedie, sgabelli, telefoni, gli ha messo a disposizione clamorose tribune, inaudite moltitudini di seguaci e molto denaro. Gli ha insomma moltiplicato prodigiosamente le occasioni per agire, intervenire, parlare, esprimersi, manifestarsi, in una parola (a lui cara) per “realizzarsi”. Sconfiggerlo è ovviamente impossibile. Odiarlo è inutile. Dileggio, sarcasmo, ironia non scalfiscono le sue cotte d’inconsapevolezza, le sue impavide autoassoluzioni (per lui, il cretino è sempre “un altro”); e comunque il riso gli appare a priori sospetto, sconveniente, «inferiore», anche quando − agghiacciante fenomeno − vi si abbandona egli stesso.»
La stessa tipologia di persona che in tempi recenti ha identificato Umberto Eco nel tipico utente di Internet: oggi il Web “dà diritto di parola a legioni di imbecilli che prima parlavano solo al bar dopo tre bicchieri di rosso e quindi non danneggiavano la società. Certe volte basta vedere i tweet che scorrono in basso: sono persone che prima venivano messe a tacere dai compagni e che invece oggi hanno lo stesso diritto di parola di un premio Nobel”.

“Gabriele D’Annunzio è un cretino illuminato da lampi di imbecillità.”

ENNIO FLAIANO

“Per essere cretini bisogna crederci fino in fondo.”

ENRICO VAIME

“Signori si nasce, cretini si muore.”

TOTÒbattute d'autore

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Ucraina, quando la guerra si fa a parole https://www.parolacce.org/2022/03/19/parolacce-resistenza-ucraina/ https://www.parolacce.org/2022/03/19/parolacce-resistenza-ucraina/#respond Sat, 19 Mar 2022 10:05:49 +0000 https://www.parolacce.org/?p=19178 Non solo bombe e proiettili. Nel conflitto con i russi, gli ucraini hanno sfoderato un’arma in più: gli insulti. Dai francobolli alle molotov, fino ai cartelli stradali e alle manifestazioni di protesta, la resistenza si è affidata alle parolacce, nella… Continue Reading

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Francobollo proposto alle Poste ucraine per celebrare la resistenza anti russa.

Non solo bombe e proiettili. Nel conflitto con i russi, gli ucraini hanno sfoderato un’arma in più: gli insulti. Dai francobolli alle molotov, fino ai cartelli stradali e alle manifestazioni di protesta, la resistenza si è affidata alle parolacce, nella convinzione che “la lingua uccide più della spada”.
Insultare un nemico, infatti, è un modo per manifestare disprezzo, senso di superiorità, coraggio. Ed è una valvola di sfogo della rabbia, della paura e della frustrazione. E così anche in Ucraina  le parolacce sono entrate nelle manifestazioni di protesta, negli atti di resistenza, nella propaganda.

“Fanculo la leva”: manifesto anti guerra in Vietnam di Kiyoshi Kuromiya (1968)

Uno scenario che ricorda la Guerra in Vietnam, dove per la prima volta le parole scurrili fecero irruzione nelle manifestazioni di protesta dei giovani alla fine degli anni ‘60: anche i pacifisti, insomma, impararono a usare le parole più bellicose per esprimere la loro totale avversione alla guerra.

La guerra, infatti, è da sempre teatro di violenze anche verbali, come racconto nel mio libro. Ed è anche il linguaggio della sincerità: i conflitti mettono a nudo la cruda verità della violenza e della lotta per la sopravvivenza. C’è una parola russa che accomuna gli sfoghi degli ucraini e dei russi: “pizdets”. Originariamente significa “vulva”, ma oggi indica una situazione difficile, caotica, senza via d’uscita: può essere tradotta come “un gran casino”, “un troiaio”, “essere nella merda”. E’ l’espressione più usata al fronte per descrivere la terribile situazione in Ucraina oggi. Ed esprime, paradossalmente, la vicinanza linguistica e di destino fra i due popoli che si affrontano.

Ho raccolto alcuni di questi episodi raccontati dalle cronache, nella convinzione che una guerra combattuta con le parole è meglio (o meno peggio) di quella a colpi di kalashnikov: orrenda e sbagliata per tutti, sempre e comunque. Se le controversie fra le nazioni potessero risolversi con un duello a colpi di insulti, invece che di mortai – come fanno i rapper con le battaglie freestyle, il “battle rap” – il mondo sarebbe un posto migliore.

FRANCOBOLLI

Uno dei francobolli proposti: “Nave russa, vai a farti fottere!” dice la scritta. E sotto: Isola Zmiinyi, gloria agli eroi

Dopo che la Russia ha invaso il Paese, all’inizio di marzo le Poste ucraine (Ukrposhta) ha indetto un concorso per disegnare un francobollo che illustrasse “la determinazione degli ucraini a difendere la loro terra”. Le Poste hanno ricevuto 500 disegni, tra i quali hanno selezionato 20 finalisti: gran parte di questi ha riprodotto un episodio accaduto il 24 febbraio, quando una nave da guerra russa ha minacciato 13 guardie di frontiera ucraine che proteggevano l’Isola dei serpenti (Zmiinyi), nel Mar Nero, nella regione di Odessa. La nave, via radio, ha intimato per due volte ai soldati ucraini di arrendersi: «Siamo una nave da guerra russa. Propongo di deporre le armi e di arrendersi per evitare spargimenti di sangue e vittime ingiustificate. Altrimenti sarete bombardati». Ma la risposta dei militari ucraini è stata sorprendente: «Nave da guerra russa, vai a farti fottere». Qui l’audio dello scambio:

“Nave militare russa, vai a farti fottere”

Alla fine, ovviamente, le guardie hanno avuto la peggio e sono state catturate (inizialmente si pensava fossero morte).  Le Poste sono soddisfatte: «il nostro concorso è diventato una forma di arte terapia. E ora cercheremo di stampare questi nuovi francobolli».

CARTELLI

Il ministero dell’Interno ucraino ha chiesto ai residenti di rimuovere i segnali stradali per confondere le truppe russe in arrivo. Gli enti amministrativi delle strade hanno confezionato un cartello stradale di divieto barrato, con la faccia del presidente russo Putin, e l’hanno installato sulle principali arterie di collegamento.

In una delle strade principali di Kiev un cartello dice: “Soldati russi, andate affanculo” (nella foto).

MOLOTOV

Le birre con l’effigie di Putin (sotto, l’etichetta) usate come molotov

La fabbrica di birra Pravda, con sede a Lviv, in Ucraina, ha sospeso le sue operazioni di produzione della birra: ora sta preparando bottiglie molotov per i residenti da usare contro le forze russe. E a questo scopo utilizzano una particolare birra prodotta dal 2016, la “Putin huilo”, che significa “Putin testa di cazzo”: l’etichetta raffigura il presidente Putin nudo, che tiene sulle ginocchia Dmitrij Medvedev (all’epoca primo ministro), con riferimenti ai rapporti tra Russia e Ucraina, alla Crisi della Crimea del 2014 e lo sfruttamento petrolifero.
L’iniziativa ricalca – in modo più rudimentale – la tradizione, iniziata nella seconda guerra mondiale, di apporre col gesso delle scritte sulle bombe prima di lanciarle sugli obiettivi:
 i piloti di caccia americani scrivevano messaggi come “Happy Xmas Adolph” (Buon natale, Adolf) sui lati degli ordigni.

 

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Quanto pesa l’odio su Twitter https://www.parolacce.org/2020/08/18/hate-speech-su-twitter-italia/ https://www.parolacce.org/2020/08/18/hate-speech-su-twitter-italia/#respond Tue, 18 Aug 2020 18:48:55 +0000 https://www.parolacce.org/?p=17441 Facciamo una scommessa. Secondo voi, qual è la percentuale di tweet che contengono insulti in Italia? In altre parole: quanto è diffuso l’hate speech, l’odio,  sui social network nel nostro Paese? Vi do 4 possibilità: A)  28,7%.  B)  21,6%.  C)… Continue Reading

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Il logo del canale Twitter di parolacce.org.

Facciamo una scommessa. Secondo voi, qual è la percentuale di tweet che contengono insulti in Italia? In altre parole: quanto è diffuso l’hate speech, l’odio,  sui social network nel nostro Paese?
Vi do 4 possibilità:

A)  28,7%. 

B)  21,6%. 

C) 13,2%. 

D) 3,7%.

Quale risposta avete scelto? Se è una delle prime 3, beh: siete fuori strada. Perché la risposta corretta è l’ultima: i tweet a contenuto offensivo sono meno del 4% del totale. L’ha accertato una recente ricerca sull’hate speech fatta da DataMediaHub e KPI6: le due società hanno analizzato i tweet scritti fra il 25 aprile e il 17 giugno scorso. Su un totale stimato di  oltre 18 milioni di conversazioni, solo 679mila contenevano insulti. Il 3,7% per l’appunto. E hanno generato un coinvolgimento, un seguito trascurabile: il tasso di engagement (cioè le interazioni: like, retweet, etc) è solo dello 0,26%. 

Al netto di alcune imprecisioni linguistiche, di cui parlerò più avanti, la ricerca è preziosa perché smonta un pregiudizio diffuso: che l’hate speech sia un’emergenza, un fenomeno diffuso. In realtà, è e resta un’eccezione, per quanto inquietante. Come del resto ho scritto in più occasioni, ad esempio quando ho presentato la mia ricerca sulle parolacce più pronunciate in italiano: sono soltanto lo 0,21% di tutte le parole. Dunque, su Twitter (e sui social in generale) si dicono oltre 17 volte più insulti: ma è un dato del tutto atteso, visto che con il paravento di uno schermo ci si sente meno inibiti a offendere rispetto a quanto si fa di persona. La sindrome dei “leoni da tastiera” che tutti conosciamo.

Una sindrome che colpisce soprattutto i giovani maschi, e si manifesta con un sintomo inequivocabile: la mancanza di fantasia. Gli odiatori usano infatti per lo più solo 5 insulti generici (li dico più sotto), prova che non hanno valide argomentazioni per motivare la loro rabbia. O, quanto meno, non le esprimono. Alla fine, i leoni da tastiera si comportano come gli ultras da stadio: tifano in modo acritico per la propria squadra (sia essa un partito, un personaggio, una posizione politica) e insultano quelle avversarie.

L’impostazione della ricerca

I dati demografici del campione (clic per ingrandire)

IL CAMPIONE. I tweet esaminati, come detto, sono stati circa 18,3 milioni. Quelli offensivi risultano 679mila, pari al 3,7% del totale. Li hanno digitati 148mila utenti, pari all’1,4% degli iscritti su Twitter in Italia (10,5 milioni). Come era facile immaginare, gran parte degli “odiatori” sono uomini: il 68%, più di 2 su 3. E la gran parte, il 35,9% sono giovani adulti fra i 25 e i 34 anni d’età. Se si aggiungono anche gli utenti fra i 35 e i 44 anni, emerge che il 64,5% degli insultatori ha fra 25 e 44 anni d’età.

I TERMINI CENSITI. In questa parte linguistica si annidano le uniche imprecisioni dello studio. Gli insulti sono classificati in 7 categorie: generici, sessisti, omofobici, razzisti, antisemiti, di discriminazione territoriale, ideologici, per un totale di una novantina di termini.

Il vocabolario degli odiatori: insulti al posto delle argomentazioni.

L’elenco di quelli generici è però incompleto: mancano (solo per fare i principali esempi) carogna, cornuto, infame, rompicazzo, marchettaro, cazzone; e in questa categoria figura “rotto in culo” che invece, di per sè, sarebbe dovuto rientrare in quelli omofobici. Fra gli insulti sessisti mancano gli insulti rivolti ai maschi (puttaniere, mezzasega, sfigato), come avevo argomentato in questo articolo; e in quelli omofobi mancano quelli rivolti ai transgender (travestito).
Discorso a parte l’elenco di quelli
razzisti, che non comprende termini come crucco e muso giallo; e in questa categoria più generale sarebbe stato più corretto inserire anche quelli antisemiti (giudeo) e di discriminazione territoriale (terrone e polentone) che sono solo varianti sul tema.
D’altronde, va ricordato che gli autori della ricerca non sono linguisti e qualche errore era da mettere in conto (per evitarli bastava leggere il mio
libro , dove c’è l’elenco completo degli insulti e in generale delle parolacce in italiano). Ma l’indagine resta comunque valida perché dà un polso concreto, un ordine di grandezza definito della situazione.

I risultati dell’indagine

I TERMINI PIU’ USATI. Il rapporto sull’hate speech in Italia è interessante anche per un altro aspetto: mostra che la maggior parte degli insulti, il 62,2%, sono offese del tutto generiche (coglione, stronzo…). Seguono, a distanza, le offese politiche (fascista, comunista, etc) col 25,4%, mentre gli appellativi sessisti (troia, zoccola) si fermano al 7,7%. Marginali gli insulti razzisti (negro, terrone, ebreo) , che in tutto raggiungono il 2,77% e ancor meno quelli omofobi (culattone) all’1,9%.

La tipologia di insulti più usati su Twitter (clic per ingrandire).

Non si può dire che gli “odiatori” brillino per fantasia lessicale: i 5 termini più usati (presenti nel 70,38% dei tweet, più di 2 su 3) sono:
♦ coglione: 28,06% (è anche la 12° parolaccia più pronunciata in italiano)
♦ fascista: 16,4%
♦ comunista: 11,20%
♦ stronzo: 8,27%
(8° parolaccia più pronunciata in italiano)
♦ imbecille: 6,45% (26° più pronunciata).
Accorpando questi termini per aree semantiche, gli insulti generici pesano per circa il 42,78%, mentre quelli ideologici per il 27,6%. E anch’essi, in fin dei conti, sono etichette prive di contenuto specifico. Sono giudizi sommari, un modo di liquidare gli avversari gettando addosso secchiate di fango. Senza motivare il perché. E’ vero che il format di Twitter non aiuta: ogni tweet può contenere al massimo 280 caratteri, nei quali non si possono condensare ragionamenti complessi. Ma le ricerche su altri social network (Facebook, chat, etc) danno risultati simili. Quindi, in realtà, la responsabilità dell’hate speech non è del “medium”: è dell’uomo.

PICCHI STAGIONALI. Gli insulti, rileva la ricerca, hanno avuto due picchi in occasione del 25 aprile (festa della liberazione dal fascismo) e del 2 giugno (festa della Repubblica), due date in cui si scatenano le rivalità fra destra e sinistra. L’Italia, insomma, non ha ancora fatto i conti fino in fondo con il proprio passato.

ARGOMENTI SCOTTANTI. Quali sono gli argomenti che scatenano l’aggressività su Twitter? Sono 4, dice il report. 

    1. Gli insulti più usati verso i 3 politici più citati: Matteo Salvini, Giorgia Meloni, Giuseppe Conte (clic per ingrandire).

      politica: è l’argomento del 26% dei tweet. I personaggi che hanno attirato la maggior parte dei commenti astiosi sono Matteo Salvini, Giorgia Meloni e Giuseppe Conte. I primi due per le posizioni sull’immigrazione, il terzo in quanto premier (e quindi incolpabile in via di principio per tutte le decisioni politiche). Sia Salvini che Conte ricevono più spesso l’insulto generico “coglione”; la Meloni quello ideologico “fascista”. Dunque, gli scontri politici si giocano a suon di insulti privi di contenuto, usati per squalificare le persone nella loro interezza più che per criticare posizioni precise con argomentazioni razionali. 

    2. intrattenimento e Vip: il 21% dei tweet ha come argomento i commenti su personaggi pubblici come David Parenzo, Fabio Fazio, Bruno Vespa, Fiorella Mannoia, Enrico Mentana e Beppe Grillo. In realtà, a ben vedere, la colorazione politica emerge anche in questo caso visto che molti di loro hanno una collocazione ideologica netta
    3. news: le notizie di vario genere accendono il 19% dei commenti. Il report non precisa nel dettaglio quale tipo di notizie smuovano la “pancia” degli italiani, probabilmente quelle su economia, crisi del lavoro, immigrazione, lavoro, sesso.
    4. sport: i diverbi fra opposte tifoserie sono al centro del 13% dei tweet offensivi, in particolare Giorgio Chiellini (capitano della Juve e della Nazionale) perché all’epoca dello studio aveva pubblicato un libro autobiografico in cui aveva lanciato delle stoccate a vari colleghi fra cui Mario Balotelli (“una persona negativa, senza rispetto per il gruppo”).
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Quando l’ortaggio è un oltraggio https://www.parolacce.org/2020/06/01/vegetali-come-insulti/ https://www.parolacce.org/2020/06/01/vegetali-come-insulti/#respond Sun, 31 May 2020 22:12:39 +0000 https://www.parolacce.org/?p=17349 Testa di rapa, citrullo, finocchio, zuccone… Alcuni insulti sembrano usciti dalla bottega di un ortolano. Quali sono queste offese? Esistono anche in altre lingue? E perché si ispirano proprio agli ortaggi? Negli ultimi tempi, uno di questi, la melanzana, sta… Continue Reading

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Pubblicità dello studio Armando Testa: gioca sull’assonanza finocchio/Pinocchio.

Testa di rapa, citrullo, finocchio, zuccone… Alcuni insulti sembrano usciti dalla bottega di un ortolano. Quali sono queste offese? Esistono anche in altre lingue? E perché si ispirano proprio agli ortaggi? Negli ultimi tempi, uno di questi, la melanzana, sta avendo popolarità come emoji: è usato come simbolo fallico. Ma in questo post non parlo di vegetali usati in senso osceno come pisello, patata e molti altri: l’avevo già fatto in precedenti articoli (vedi sotto). Qui parlo invece dei vegetali usati come metafore offensive.
Ne sa qualcosa un politico dello Zambia, Frank Bwalya, che nel 2014 fu condannato a 5 anni di reclusione – come riferisce la Bbc –  per aver paragonato l’allora presidente Michael Sata a una patata. Parlando alla radio, Bwalya aveva definito il presidente a una “chumbu mushololwa”, ovvero una patata dolce che si spezza quando viene piegata: un’espressione usata per descrivere chi non ascolta i consigli. Non era la prima volta che accadeva un fatto simile in Zambia: nel 2002 il direttore di un giornale indipendente, Fred M’membe, fu arrestato per aver definito l’allora presidente Levy Mwanawasa  un “cavolo“. Anche in Italia, del resto, chi offende il presidente della Repubblica… sono cavoli suoi: le pene sono altrettanto pesanti.

Dagli antichi Greci alle favole

Pubblicità di “Campagna amica” giocata sul doppio senso del “cavolo”.

Ma da dove arrivano questi particolari insulti? Come vedremo più sotto, sono diffusi in molte lingue. E hanno una storia molto antica: in un saggio, il linguista Paolo Martino dell’Università Lumsa di Roma ricorda che già gli antichi Greci usavano gli ortaggi come imprecazioni: “Per il cavolo!”. «La popolarità di queste esclamazioni» scrive Martino, «nasceva dal fatto che persino il filosofo stoico Zenone di Cizio, era solito giurare “per il cappero”, imitando in ciò il maestro Socrate, che soleva giurare “per il cane”. Infatti tali esclamazioni si inquadrano nei “Giuramenti di Radamanto”, il mitico giudice dell’Averno, che aveva ordinato che si giurasse non sugli dèi, ma su piante o animali domestici: il cane, il capro, l’oca. Una scelta dettata non tanto da interdizione volta a non nominare invano il nome della divinità, quanto da ironia volta a sdrammatizzare la solennità del gesto».
La precisazione è importante: tirare in ballo i vegetali, come imprecazioni o come insulti, alleggerisce la portata delle offese. A questo si aggiunge, nel caso del “cappero” e del “cavolo”, l’assonanza della prima sillaba con la parola “cazzo”: sono usati infatti come eufemismi (“Capperi!”, “Col cavolo che ti aspetto” eccetera). Ma ci sono anche altre suggestioni nell’uso delle metafore vegetali. Gli ortaggi hanno ispirato diverse storie, miti e favole nella cultura contadina.

[ per approfondire, apri la finestra cliccando sulla striscia blu qui sotto ]

SALE IN ZUCCA E NATI SOTTO I CAVOLI

Il titolo originale “Pudd’nhead Wilson” significa “testa grossa”.

Prendiamo ad esempio la zucca. Quella che conosciamo è originaria dell’America, ma in Europa c’era la Lagenaria, una zucca di piccole dimensioni, somigliante a una fiaschetta: svuotata di polpa e semi, nell’antichità era usata come borraccia, come portalampada (come quelle di Halloween) e per contenere il sale (“non avere il sale in zucca” significa essere poveri, oltre che insipidi cioè insipienti). La zucca aveva molti significati: il fatto che avesse molti semi la rese simbolo di fecondità, ma era anche l’emblema della scempiaggine, della stupidità e dell’illusione, perché cresce rapidamente ma altrettanto velocemente casca in terra e si secca. In più, la forma buffa la rende una metafora per indicare la testa sproporzionata e sgraziata di una persona: caratteristica che, per la fisiognomica, equivaleva a ottusità mentale.

Bimbi nati sotto i cavoli (cartolina francese del 1906).

Un detto popolare, poi, afferma che i bambini nascono sotto i cavoli. Perché? Il cavolo era l’unico alimento che durante l’inverno garantiva vitamine e minerali. Ed era simbolo di fecondità e di vita per vari motivi: veniva raccolto dopo 9 mesi dalla semina, ovvero da marzo a settembre, proprio come il tempo di gestazione dei bambini. In più la raccolta dei cavoli era affidata alle donne che venivano chiamate “levatrici”, proprio come quelle che aiutavano la futura mamma durante il parto, perché dovevano recidere il “cordone ombelicale” che legava il cavolo alla terra; da qui la leggenda che i bambini si trovano sotto ai cavoli.

Francobollo tedesco dedicato a Rapunzel.

Quanto alla rapa, è stata resa celebre dalla storia di Raperonzolo, che però in realtà non ha a che fare con questo ortaggio. La storia è nata in Italia, ad opera dello scrittore Giambattista Basile, che nel “Cunto de li cunti” (1634), narra la vicenda di Petrosinella, una donna incinta che voleva mangiare del prezzemolo (da cui deriva, in napoletano, il nome di “Petrosinella”). Ma il prezzemolo era nel giardino di un’orchessa, che poi la cattura e le fa promettere, in cambio della vita, di darle la sua bambina una volta nata. Probabilmente questa storia è un’allusione al decotto di prezzemolo, che da tempi antichissimi veniva usato per uso abortivo: la tradizione popolare vuole che se il decotto viene preso in grandi quantità, si può provocare un’emorragia che facendo contrarre l’utero, fa espellere anche l’ovulo fecondato. Di qui il legame fra il prezzemolo e la strega che fa sparire una bambina.
A questo racconto si sono ispirati nel 1800 i fratelli Grimm con la storia di Raperonzolo: la trama è simile, con la variante che la donna incinta qui desidera mangiare dei raperonzoli che crescevano nel giardino di una potente strega. I raperonzoli sono fiori a campanula (Campanula rapunculus) usati anche come contorno.

Perché si insulta coi vegetali

Infelice titolo del “Corriere del Mezzogiorno” (2007).

Per quale motivo si utilizzano i nomi di vegetali come insulto? Innanzitutto per una sorta di classismo: paragonare una persona (o la sua intelligenza) a un ortaggio, significa degradarla. I vegetali sono al confine fra materia viva e inanimata, e non sono dotati di intelligenza. Quindi, in un’ottica antropocentrica, sono inferiori persino agli animali. Del resto, per dire che qualcuno vive al minimo delle sue facoltà vitali diciamo che è “allo stato vegetativo” o”ridotto a vegetale”.
A questo aspetto generale, se ne aggiungono altri due. Da un lato, la forma di alcuni vegetali: in alcuni casi buffa, sproporzionata, sgraziata (cavolo, broccolo, zucca), in altri fallica (cetriolo), li rendono metafore che si prestano a usi spregiativi. Dall’altro lato, in alcuni casi, la mancanza di sapore. Ricordiamo che “sciocco” deriva dal latino exsuccum, privo di  sugo, insipiente significa “privo di sapore”. Fa eccezione, ovviamente, il pepe: tant’è vero che definire qualcuno “peperino” (vivace, pieno di brio) è quasi un complimento.
Al tempo stesso, comunque, i vegetali sono un modo umoristico e leggero di insultare qualcuno.  Invece di dire “mortacci tua” si può dire… “ortaggi tua!”.

 La lista delle offese vegane

“Broccolare” significa “cuccare” (da www.disciules.it).

Scandagliando il nostro dizionario (e i dialetti) ho trovato 16 termini insultanti derivati dai vegetali. Eccoli, con le relative spiegazioni.

♦ BAGGIANO / BAGGIANATA = stupido, babbeo. Era l’appellativo con cui, nei secoli scorsi, i bergamaschi chiamavano i milanesi. Il nome deriva da baggiana, fava da orto con semi molto grossi ma insipidi.

♦ BIETOLONE = “semplicione”,  forse perché la bietola è dolce e poco saporita

♦ BROCCOLO / BROCCOLONE  = “persona goffa”. Probabilmente deriva dalla forma irregolare e sgraziata dell’ortaggio. In Lombardia, “broccolare” significa ‘tentare di corteggiare in modo sfacciato e  maldestro‘: forse perché chi lo fa ha una faccia da broccolo, cioè da stupido.

♦ CARCIOFO / CARCIOFONE = sciocco, minchione, o goffo, inabile, maldestro. Il riferimento è alla forma buffa e fallica

♦ (TORSO, TESTA DI) CAVOLO = persona goffa e sciocca. Sia perché il cavolo è considerato una verdura di scarso valore, e soprattutto perché è un eufemismo per “cazzo”.

♦ CETRIOLO / CITRULLO  (dal napoletano cetrulo) = sciocco, grullo. La motivazione? La forma fallica.

♦ CRAUTO = è a volte usato, insieme a KARTOFFELN (patate) come spregiativo per riferirsi ai tedeschi, che ne fanno largo uso alimentare (è lo stesso motivo per cui noi italiani siamo chiamati “spaghetti” all’estero)

Iniziativa ironica contro l’omofobia.

♦ FINOCCHIO = “omosessuale maschile”. Che collegamento c’è fra l’ortaggio e i gay? E’ presto detto: il seme del finocchio è una spezia aromatica molto profumata, con cui si preparano molti piatti. In alcune bettole di infimo ordine, un tempo i tavernieri disonesti condivano con i semi di finocchio i cibi andati a male, in modo da mascherare il gusto di marcio e imbrogliare così i clienti. Il verbo “infinocchiare” (= truffare) deriva appunto da questa pratica. Dunque, in campo sessuale il riferimento è ai travestiti, che hanno l’abitudine di profumarsi e imbellettarsi come donne, e cambiano aspetto come i piatti aromatizzati col finocchio (in Toscana, la “finocchiona” è invece un salame aromatizzato al seme di finocchio).

♦ MELENSO = persona ebete, inespressiva, sciocca, inconsistente, banale, ritardata, lenta e goffa. Il termine ha un’etimologia incerta: potrebbe derivare da melanzana (per il suo aspetto buffo e fallico), oppure dal miele (allusione a una persona sdolcinata, oppure la lentezza con cui cola) o dal francese malaise (malato, svogliato)

♦ MELLONE = stupido, sciocco, balordo, grossolano d’ingegno. Il termine indicava un frutto diverso dal popone comune, e cioè il melone lungo o serpentino, un frutto dal gusto insipido.

♦ PATATA / PATATA LESSA  = “persona sciocca”, o anche goffa e impacciata. La metafora deriva dallo scarso sapore della patata, ma anche dalla sua forma bitorzoluta (basta vedere come rotola una patata).

Pubblicità di dubbio gusto che gioca sul significato fallico del cetriolo.

♦ PIGNOLO = “pedante”, inutilmente meticoloso anche in aspetti insignificanti. L’immagine trae origine dal paragone fra il pignolo strettamente incastrato nella pigna e la persona che non sa liberarsi da schemi mentali rigidi e minuziosi.

♦ RAPA / TESTA DI RAPA  = persona stupida, di scarso valore intellettivo. Trae origine dal gusto insipido della rapa.

♦ SCALOGNATO = sfortunato, sfigato. Potrebbe derivare dal lat. calŭmnia «calunnia», ma è più probabile derivi dallo scalogno, la cipolla originaria di Ascalona (antica città della Siria da cui è originaria). Dato che le cipolle sono il cibo dei poveri, si ritiene che il solo toccarle possa portare sfortuna in quanto sono simbolo di miseria. Chi è povero mangia cipolla, cioè è “scalognato”.

♦ TE­STA D’AC­CU­LAZ­ZÀ­TU =  persona stolta. Il nome, in siciliano, indica un piccolo cetriolo, Cucumis melo L., dalla forma simile a un piccolo melone. Acculazzatu significa accartocciato: la fine che fa questo cetriolino, che va a male se non viene consumato subito.

♦ ZUCCA, ZUCCONE  = testa grossa, ma anche persona cocciuta, caparbia. Trae ispirazione dalla forma tondeggiante e sgraziata della zucca.

GLI INSULTI ORTICOLI NELLE ALTRE LINGUE

Film del 1966, diretto da Giancarlo Zagni.

In inglese, i termini turnip (rapa), potato (patata) e cabbage (cavolo) possono essere usati come insulti se riferiti alle persone. In francese, «patate!», «espèce de patate!» (specie di patata) o «tu joues comme une patate» (giochi come una patata) significa stupido, goffo, maldestro.
In portoghese, “nabo” (rapa) significa stupido o maldestro. In tedesco, una parola regionale per cavolo (“Kappes” in contrapposizione allo standard tedesco “Kohl“) può significare “stronzate”: “Das ist totaler Kappes!” si traduce come “Sono cazzate totali”.
Nei Paesi dell’est Europa, quelli dell’ex blocco sovietico, essere etichettato come “ravanello” era molto offensivo, perché i ravanelli sono “rossi all’esterno e bianchi all’interno”, e quindi controrivoluzionari. (Lo stesso avviene quando una persona di colore dà della “noce di cocco” a un’altra: vuol dire “nero fuori, ma bianco dentro”, cioè di pelle nera ma con mentalità da bianco).
In cinese, è comune insultare qualcuno chiamandolo “stupido melone” (“sha gua”).
In giapponese, quando un attore di teatro è noioso, è probabile che il pubblico gli urli “Daikon“, (ravanello) dato che sono piuttosto insipidi. “Nasu” (melanzana) è sinonimo di stupido. “Moyashi” (germoglio di fagiolo) indica un bambino smidollato. In hindi, “kaddu” (zucca) può essere usato come da noi nel senso di zuccone.

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Si possono dire parolacce al lavoro? https://www.parolacce.org/2020/02/02/sentenze-insulti-lavoro/ https://www.parolacce.org/2020/02/02/sentenze-insulti-lavoro/#respond Sun, 02 Feb 2020 20:12:40 +0000 https://www.parolacce.org/?p=16745 C’è l’avvocato che definisce “pazzo” il suo capo: i giudici l’hanno assolto. E c’è l’insegnante che dà della “ignorante” a una collega: condannato. E poi c’è Robert De Niro, accusato dall’ex segretaria Chase Graham Robinson d’averla chiamata “troia” e “bambina… Continue Reading

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Le volgarità possono costare il posto, ma non tutte (montaggio foto Shutterstock).

C’è l’avvocato che definisce “pazzo” il suo capo: i giudici l’hanno assolto. E c’è l’insegnante che dà della “ignorante” a una collega: condannato. E poi c’è Robert De Niro, accusato dall’ex segretaria Chase Graham Robinson d’averla chiamata “troia” e “bambina viziata”: lei l’ha portato in tribunale chiedendogli un risarcimento di 12 milioni di dollari. Come andrà a finire?
Difficile dirlo. Le sentenze sulle offese pronunciate negli ambienti di lavoro sono molto diverse fra loro. Chi finisce sotto processo può aspettarsi di tutto: di essere multato, licenziato o dichiarato innocente
In Italia è rimasto scottato Gian Luca Rana, il figlio del re dei tortellini. E, negli Stati Uniti, il fondatore di Apple Steve Jobs e il padre del sistema operativo Linux, Linus Torvalds: qui sotto vi racconterò le loro storie.

Quando vengono insultati, i capi licenziano: ma spesso è un provvedimento eccessivo (Shutterstock)

Ma allora come dobbiamo regolarci? Si possono usare o no le parolacce sul lavoro?  La risposta è maledettamente complessa: “dipende”. Dipende da chi le dice, da come le dice, da chi le subisce e in quale ambiente. Infatti, se ci fate caso, il quesito è generico: chiedere cosa si rischia dicendo parolacce sul lavoro è come domandare se lo sport è pericoloso. L’alpinismo lo è senz’altro, ma le bocce molto meno, anche se entrambi sono “sport”. Infatti anche le parolacce, come lo sport, sono una grande famiglia che comprende espressioni molto diverse fra loro: insulti, termini enfatici, imprecazioni, oscenità… Ciascuna ha una carica offensiva diversa, e può essere usata in modi e in ambienti differenti. 

Come giudicano i giudici

Dunque, per valutare quanto è rischioso l’uso di un’espressione scurrile, bisogna entrare nel merito ed esaminare la situazione in ogni dettaglio. In questo articolo racconterò i principali orientamenti della giurisprudenza sul lavoro, dividendoli a seconda del tipo di scurrilità e di situazione. Perché i magistrati, quando si pronunciano su questi casi, soppesano non solo la carica offensiva di un insulto (c’è un ottimo libro che racconta come sono stati giudicati oltre 1.200 termini), ma devono considerare anche altri elementi: l’intenzione del parlante, i suoi modi, il contesto in cui parla e chi lo ascolta. Sono fattori importanti, che possono appesantire o annullare la carica offensiva di una parola.

Negozio imbrattato con scritte insultanti a Fermo.

Prima di passare in rassegna i principali casi, un’avvertenza importante: ricordo che sono un giornalista e linguista, non un giurista. Quindi, la mia rassegna è una sintesi giornalistica, non una rassegna giurisprudenziale completa. Se cercate un parere giuridico qualificato su un caso specifico, dovete rivolgervi a un avvocato.
Per praticità, ho suddiviso i casi nelle due grandi famiglie di parolacce:

 1) imprecazioni, modi di dire e oscenità, ovvero le volgarità usate per “colorire” il discorso ma senza ledere l’onorabilità di una persona (“Che rottura di coglioni!”, o “Porca puttana!”, o “Questo cazzo di computer”);

2) insulti (“Sei uno stronzo”) e maledizioni (“Vaffanculo”), cioè le espressioni che danno un giudizio negativo o augurano il male a un’altra persona. 

Nel nostro Codice, infatti, gli insulti sono sempre puniti (tranne particolari eccezioni), mentre per le maledizioni non c’è un orientamento univoco: a volte sono assolte come “mere espressioni di fastidio”, a volte sono condannate. Dipende da come vengono dette (con aggressività, esasperazione, astio…) e a chi: quelle rivolte a un’autorità o a un pubblico ufficiale (poliziotto, insegnante, carabiniere, giudice, controllore…) di solito sono punite.

1) IMPRECAZIONI, MODI DI DIRE, OSCENITA’

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FRA COLLEGHI
 

Al lavoro, siamo liberi di sfogarci o di colorare il discorso? Possiamo dire “Che giornata di merda oggi!”? Dipende dal tipo di lavoro.

Se è un lavoro a contatto con il pubblico, questo tipo di linguaggio è condannato perché è considerato inopportuno e inaccettabile: rischia di ferire la sensibilità dei clienti, e di ledere l’immagine dell’azienda.
In generale, osserva Yehuda Baruch, docente di management alla Southampton Business School, “le società, per allinearsi alle aspettative dei clienti, evitano di esprimersi in un linguaggio volgare perché questo contrasta con le norme sociali. Perciò proibiscono l’uso del linguaggio forte al personale che ha contatto col pubblico”. Chi svolge professioni come il medico, l’infermiere, l’impiegato delle Poste, il portiere d’albergo, il cameriere, il cassiere è tenuto a usare un vocabolario pulito con i clienti/pazienti. Perché chi usa un linguaggio a tinte forti dà l’impressione di essere irrispettoso, incapace di controllarsi, scomposto. In una parola, maleducato: i clienti/pazienti si sentirebbero a disagio, e l’azienda perderebbe prestigio

Fra colleghi spesso si usano parole forti (Shutterstock).

Ma spesso, dietro questa facciata “per bene”, il dietro le quinte è ben diverso. Le aziende, insomma, hanno una doppia morale: se da un lato vietano ai dipendenti di essere volgari davanti ai clienti, dall’altro permettono, o tollerano, o si disinteressano del fatto che dicano parolacce fra loro. Anche perché questa abitudine svolge funzioni importanti: cementa la confidenza fra colleghi, rende più fluide le interazioni e aiuta a sfogare gli stress.
L’ha accertato uno studio fatto in Nuova Zelanda dalla Victoria University di Wellington  e pubblicato sul “Journal of pragmatics” nel 2004. I ricercatori hanno studiato le interazioni fra gli operai di una fabbrica di sapone. Scoprendo  che i lavoratori imprecavano per lo più all’interno del proprio gruppo, usando invece un linguaggio pulito con gli altri. L’espressione “fuck” (fanculo, cazzo) era  utilizzata per “legare i membri del team, allentare le tensioni ed equilibrare i rapporti fra colleghi con diversi livelli di potere e responsabilità“.

Usare un linguaggio sboccato insomma è una manifestazione di parità e confidenza: è come dire “Ti conosco così bene che posso essere così scortese con te”. Senza contare che riducendo le barriere della formalità, un linguaggio più “terra terra” permette rapporti più sciolti e confidenziali.

Anzi: fra colleghi, le regole si ribaltano: chi parla un linguaggio “educato” rischia di essere emarginato, invece di essere apprezzato. Lo ha vissuto sulla propria pelle un collega del professor Baruch, Stuart Jenkins, che aveva lavorato come magazziniere in un magazzino di vendita per corrispondenza nel Regno Unito: al’inizio era stato escluso dal gruppo, ma le cose sono cambiate dopo un confronto rude contro un altro dipendente, che l’aveva accusato di lavorare molto meno di lui. Jenkins gli ha risposto: “Ma vaffanculo, tu sei uno stronzo pigro”.
Il diverbio è finito lì. Ma da quel momento, Jenkins è stato invitato a partecipare alle pause caffé da cui finora era stato escluso. Il ricercatore ha raccontato l’esperienza sul “Leadership organization development Journal”, concludendo che le parolacce sono “un rito di iniziazione che cementa i legami col resto del gruppo”. Insomma, fra colleghi l’inciviltà diventa accettabile, e il comportamento antisociale (spesso veicolato dalle parolacce) diventa socievole. A patto che questo avvenga fra pari grado: lo si può fare con i propri superiori solo se lo consentono o lo favoriscono.

Ben diverso, invece, l’uso delle oscenità, ovvero dei termini sessualmente espliciti. Il confine fra una battuta spiritosa piccante e la molestia, infatti, è molto labile. Chi la fa, deve essere certo che la battuta sia solo e soltanto scherzosa, e che chi la ascolta (se è una persona di sesso opposto) gradisca questo genere di ironia.

Una recente sentenza della Cassazione (1999/2020), infatti, ha ribadito che rivolgere alle colleghe, con insistenza, battute a sfondo sessuale o domande sulle loro abitudini sessuali (anche senza usare termini volgari) ricade nel reato di molestie sessuali, che prevede l’arresto fino a 6 mesi e un’ammenda fino a 516 euro.
 

IMPRECARE AL CAPO
 

Ma nei rapporti con i superiori le cose si complicano. Un autista di autobus che lavorava per una società di Velletri, ad esempio, aveva imprecato (non sappiamo cos’abbia detto, probabilmente qualcosa tipo “E che cazzo!”) quando il suo capo gli aveva chiesto di fare gli straordinari. E il capo l’aveva licenziato. Dopo 2 gradi di giudizio, la Cassazione (sentenza 19460/2018) ha annullato il licenziamento, considerandolo un provvedimento spropositato, a maggior ragione per il fatto che l’autista non aveva insultato il suo superiore ma si era solo sfogato, seppure usando termini forti.

Scelta simile anche per un medico napoletano che in un momento di rabbia aveva detto al direttore dell’ospedale, davanti a impiegati e utenti, “ma tu non hai un cazzo da fare… cresci una buona volta!”, sbattendo la porta. Era stato licenziato, ma la Cassazione (sentenza 12102/2018) lo ha fatto riassumere perché ha considerato il provvedimento “sproporzionato”.

Il “nocciolo duro” del rapporto di lavoro, infatti, non è il rispetto della forma (che ha pure un peso), quanto il rispetto di orari, mansioni, prestazioni. Se un dipendente insulta il proprio capo, per rimettere i rapporti sui giusti binari è sufficiente una lettera di richiamo o al limite una sospensione dal lavoro per qualche giorno. Il licenziamento è una misura eccessiva: offendere un capo non è un delitto di “lesa maestà”. Vista l’asimmetria dei rapporti (il capo ha potere, il dipendente molto meno) un insulto detto in un momento di stress si può anche tollerare, se rimane un caso isolato.

QUANDO IL CAPO IMPRECA AI SOTTOPOSTI
 

E cosa succede a ruoli invertiti? Ovvero quando un capo usa un linguaggio triviale coi sottoposti? Prendiamo ad esempio Steve Jobs: il fondatore della Apple era noto infatti per non avere peli sulla lingua. Con chiunque: fossero estranei, manager di altre società, giornalisti o anche i propri sottoposti.  All’amministratore delegato della Nike, Mike Parker, ha detto in faccia: “Produci alcuni dei migliori prodotti al mondo, ma fai anche un sacco di merda. Sbarazzati delle cose di merda”. Ma il discorso diventa delicato quando queste critiche sprezzanti sono rivolte ai propri sottoposti. Anche se il giudizio pesante è rivolto a una prestazione, è molto probabile che si senta colpito anche l’autore della prestazione: la nostra autostima si basa anche sulla stima altrui, soprattutto se è quella del capo.

Steve Jobs: non le mandava a dire a nessuno, sia in azienda che fuori.

A Ken Kocienda, l’ingegnere che aveva realizzato la prima versione del software di iPhone, Steve Jobs disse che il suo lavoro era “Merda di cane”.
Che fare? Dargli ragione sarebbe stata una pessima idea: “avrei dovuto spiegare perché gli davo un prodotto fatto male”, ha raccontato in un articolo sul Wall Street Journal. Ma contestare il giudizio sarebbe stato peggio: pensi di saperne più di Steve Jobs in campo informatico? Quella frase, per fortuna, non era l’inizio di un lungo cazziatone, ma è rimasta isolata. “Mi alzai e la ascoltai senza commentare”, dice Kocienda. Nonostante questo episodio, Kocienda ha lavorato in Apple per 16 anni: “Da quell’esperienza ho capito due cose. La prima è che il prototipo nuovo di zecca di un prodotto spesso non va bene. Risultati eccellenti arrivano solo alla fine di una lunga catena di sforzi. E quando è necessaria una revisione, di solito è meglio dirlo chiaramente, senza girarci intorno. La seconda cosa che ho capito è che una critica può essere efficace anche se non è costruttiva. Steve non ha mai avuto problemi a rifiutare qualcosa senza dare spiegazioni. Se non gli piaceva qualcosa, lo diceva e basta. Le critiche dirette, anche brutali, possono aiutare a migliorare un progetto se c’è un ambiente di fiducia in cui tutti sanno che i commenti riguardano il lavoro che hai fatto e non te come persona”.

L’ultima precisazione è determinante: una critica anche aspra da un capo si può tollerare se – e solo se – avviene in un ambiente che dia valore ai contributi di tutti e abbia un obiettivo condiviso da tutti. Solo in questo contesto di stima e alleanza reciproca ci si può permettere di dire la verità, di chiamare le cose con il loro nome, anche se è un nome scomodo.
Anche se, in questa vicenda, hanno giocato anche altri fattori: la stima verso Jobs, la consapevolezza di lavorare per uno dei guru dell’informatica e di contribuire a rivoluzionare il settore. E per uno stipendio presumo corposo. Non è così comune lavorare in contesti come questo. E, personalmente, a un genio sgarbato ne preferisco uno un po’ meno genio ma gentile.

2) INSULTI

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ALL'AZIENDA
 

Il caso che sto per raccontare è finito nell’ultima “Top ten”, la classifica delle 10 parolacce più emblematiche del 2019. E’ una pronuncia controcorrente della Cassazione (sentenza 12786/2019): l’anno scorso aveva respinto il licenziamento di una guardia giurata che, lamentandosi con la centralinista per alcuni disservizi, si era sfogato dicendo “che azienda di merda”.

La Cassazione l’ha difeso affermando che un dipendente non ha “alcun dovere di stima nei confronti della propria azienda”. Il “nocciolo duro” del rapporto di lavoro consiste nel fatto che il lavoratore osservi i doveri di diligenza e fedeltà. E tanto basta. Ma attenzione: i giudici hanno dato ragione alla guardia giurata solo perché il suo volgare giudizio è rimasto all’interno dell’azienda. Se avesse detto la stessa frase su Facebook o in un bar, la guardia avrebbe commesso il reato di diffamazione e il suo licenziamento sarebbe rimasto probabilmente definitivo. Perché in quel caso l’insulto avrebbe leso all’esterno l’immagine, l’onorabilità dell’azienda: e questo rischia di danneggiarla, ovvero di farle perdere credibilità e clienti.

FRA COLLEGHI

Se un lavoratore insulta un collega, non ci sono alternative: sarà condannato. La legge, infatti punisce l’ingiuria (le offese dette in presenza dell’interessato) e la diffamazione (offese dette davanti ad altri, in carne e ossa o sui social network).
Proprio per quest’ultimo reato è stato condannato (Cassazione, sentenza 50831/2016) un docente di Napoli che aveva affisso sulla bacheca della scuola un foglio in cui definiva “ignorante” una collega a proposito delle norme antifumo. 

INSULTARE IL CAPO
 

Il rapporto fra capo e sottoposti è asimmetrico: il capo ha il potere di decidere l’organizzazione del lavoro (orari, mansioni), oltre che la carriera e lo stipendio del dipendente. E c’è un’asimmetria anche nel campo della comunicazione: il capo può redarguire i suoi collaboratori, ma non è ammesso l’inversoEcco perché in alcuni casi la magistratura ha riequilibrato questo rapporto difendendo i lavoratori che avevano “osato” criticare aspramente i loro responsabili.

Per esempio, la Cassazione (Sentenza 17672/2010) ha assolto un avvocato che, parlando del proprio responsabile (in sua assenza) aveva detto “è un pazzo, vuole restare circondato da leccaculo”. Per i giudici, quelle espressioni non erano gratuitamente offensive, ma erano un modo “sintetico ed efficace di rappresentare la conduzione scorretta dell’ufficio, che rischia di portarlo alla rovina”. Insomma, a volte una doccia fredda può servire a rimettere capo e colleghi sulla retta via.
E cosa succede se si dice in faccia “ignorante” al proprio capo? L’impiegato di una ditta di Potenza era stato licenziato per questo, ma la Cassazione (sentenza 14177/2014) l’ha fatto riassumere, considerando sproporzionato il provvedimento: un’offesa, per quanto irritante, non è così grave da impedire di proseguire un rapporto di lavoro.

Il licenziamento, infatti, è ammissibile solo quando nega gravemente gli elementi essenziali del rapporto di lavoro, e in particolare la fiducia. Se un dipendente non si presenta puntuale in ufficio, se lavora male, se ruba i soldi, allora in questo caso è licenziabile perché procura un grave danno morale o materiale all’azienda.

QUANDO IL CAPO INSULTA I SOTTOPOSTI

Ma quando accade il contrario, ovvero, quando è il datore di lavoro a offendere un proprio dipendente, il discorso cambia: i giudici puniscono i capi che dalla loro posizione di potere mancano di rispetto ai sottoposti (che di solito non reagiscono, temendo di perdere il lavoro).
E’ il caso di un uomo di Avezzano, che aveva strigliato una propria dipendente dicendole “Sei una stronza se te la prendi”. La Cassazione (Sentenza 35099/2010) l’ha condannato a pagarle 800 euro di risarcimento ribadendo che quando un datore di lavoro fa rilievi di qualsiasi tipo a un dipendente non può prescindere dai “normali e comuni canoni di civiltà sociale e giuridica”.

Lo stesso principio è stato ribadito anche in caso di prese in giro insultanti. La Cassazione (ordinanza 4815/2019) ha ribadito infatti che Gian Luca Rana, amministratore delegato e figlio del fondatore del celebre pastificio Rana, dovrà risarcire un ex manager: in pubblico lo chiamava “finocchio”. Il manager non gradiva l’appellativo, ma taceva “perché era in una condizione di inferiorità gerarchica”, e temeva conseguenze per la propria carriera e per il suo stesso posto di lavoro. Così ha fatto causa all’azienda solo dopo essersi dimesso, lamentando uno “stato d’ansia e di stress e danni alla vita di relazione, alla dignità e professionalità”. Rana si è difeso dicendo che era un appellativo scherzoso: può darsi, ma scherzare davanti ad altri sull’orientamento sessuale di un’altra persona non è una scelta rispettosa. Tant’è che la Corte ha deciso che l’ex manager aveva diritto a un risarcimento per la lesione di “diritti inviolabili della persona”.  

Linus Torvalds fa il dito medio contro Nvidia, produttore di chip da lui contestato.

Ne sa qualcosa anche Linus Torvalds, l’informatico finlandese che ha sviluppato Linux, il celebre software “open source”. Torvalds è stato molto contestato perché nelle chat con gli sviluppatori del programma (gratuito) chiamava alcuni di loro “fucking idiots” (idioti del cazzo). Di fronte all’ondata di indignazione internazionale per questo comportamento, nel 2018 Torvalds ha riconosciuto che “il suo comportamento non andava bene”, dicendosi molto dispiaciuto. Tanto che si è preso una pausa per “farsi aiutare a comportarsi in modo diverso”. E ora il progetto Linux si è dato un codice di condotta che stabilisce di usare un comportamento professionale e gentile. 

Per approfondire

Se siete interessati al tema “leggi e parolacce” su questo sito trovate molti altri articoli sull’argomento (cliccare per andare al link):

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https://www.parolacce.org/2020/02/02/sentenze-insulti-lavoro/feed/ 0
Gli insulti? Feriscono anche se li dice un robot https://www.parolacce.org/2019/12/06/effetti-insulti-robot-gioco/ https://www.parolacce.org/2019/12/06/effetti-insulti-robot-gioco/#comments Fri, 06 Dec 2019 10:49:23 +0000 https://www.parolacce.org/?p=16486 Come dovranno essere i robot del futuro? Realistici, ma non troppo. Potranno criticarci ma è meglio che non ci insultino, anche quando sbagliamo. Altrimenti rischiano di peggiorare le nostre prestazioni. L’ha accertato un originale esperimento svolto da poco alla Carnegie… Continue Reading

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Un robot androide fa il dito medio (Shutterstock).

Come dovranno essere i robot del futuro? Realistici, ma non troppo. Potranno criticarci ma è meglio che non ci insultino, anche quando sbagliamo. Altrimenti rischiano di peggiorare le nostre prestazioni. L’ha accertato un originale esperimento svolto da poco alla Carnegie Mellon University di Pittsburgh, negli Usa. Gli scienziati hanno reclutato 39 persone e le hanno fatte competere in un gioco di strategia contro un robot. Nel frattempo, l’automa giudicava le loro prestazioni con frasi di incoraggiamento o di disprezzo. Risultato: i giocatori che erano stati insultati hanno ottenuto prestazioni inferiori rispetto a quelli elogiati. Anche se sapevano benissimo che la disistima non era espressa da una persona in carne e ossa, bensì da un cervello elettronico appositamente programmato.
L’esperimento è doppiamente interessante: ci fa capire che i nostri avatar elettronici dovranno essere migliori di noi, almeno dal punto di vista del linguaggio. E rivela quanto sia radicata in noi la ricerca di consenso da parte di altri, fossero anche dei “surrogati umani” come i robot. 

Se ci somigliano, proviamo affetto

Ma prima di riflettere sulle sue ricadute, meglio raccontare questo studio, intitolato “A robot’s expressive language affects human strategy and perceptions in a competitive game” (il linguaggio espressivo di un robot influenza la strategia e le percezioni in un gioco competitivo), presentato alla 28° Conferenza internazionale dell’Institute of Electrical and Electronic Engineers sulla comunicazione interattiva fra robot e umani svolta in ottobre a Nuova Delhi in India.

Un giocatore durante la sfida col robot Pepper.

Gli scienziati, guidati da Aaron Roth, informatico dell’Università della Pennsylvania, hanno deciso di fare questo studio perché la letteratura sulle interazioni fra uomo e macchine, pur essendo molto nutrita, finora si è concentrata  solo su situazioni di collaborazione fra uomini e robot: per esempio nel campo della riabilitazione, della compagnia o dell’istruzione.
Una collaborazione che diventa più efficace se il robot è umanoide, ovvero ha un aspetto umano (viso, braccia, gambe) ed è in grado di parlare. Diverse ricerche hanno evidenziato che l’aspetto antropomorfo del robot induce sentimenti di empatia, voglia di interagire, perfino affetto: lo stesso affetto che si riversa su un animale domestico, cane o gatto che sia. Almeno, finché le sembianze umane del robot non diventino perfette: in tal caso, le persone entrano in uno stato di disagio chiamato “uncanny valley”. Una macchina che ci somiglia ci fa sentire a nostro agio. Ma quando la somiglianza è eccessiva genera inquietudine e repulsione: perché a quel punto non sappiamo più quale sia il confine fra un essere umano e uno artificiale. E, in questo, possono aiutarci proprio le parolacce: un’altra ricerca (che avevo raccontato in un articolo) aveva mostrato che sono proprio le volgarità a distinguere un uomo da un robot. 

L’esperimento: una sfida di strategia

Ma cosa avviene quando fra uomo e robot c’è competizione? Per verificarlo, gli scienziati hanno reclutato 39 persone (24 donne, 15 uomini, età media 27 anni) e li hanno messi di fronte a un robot della Softbanks, il celebre Pepper: un automa umanoide con una testa dotata di microfono e video camera, capace di parlare e muovere le braccia.

Una schermata di “Guard and treasures”.

L’obiettivo era una sfida a “Guards and treasures” (guardie e tesori), un gioco di strategia usato in diverse ricerche per valutare la razionalità dei giocatori in un’interazione tra difensore e attaccante. Il gioco è ispirato al duopolio di Stackelberg, un modello economico che prevede una sfida tra una società leader, che muove per prima, e una subalterna, che muove per seconda. In particolare, l’attaccante sceglie di aggredire un determinato cancello: se è sguarnito, vince punti; se invece è sorvegliato da una guardia, perde punti.
I partecipanti facevano prima un paio di partite da soli, per fare pratica. E poi due tornate da 35 partite ciascuna contro il robot Pepper, che era messo seduto dall’altra parte del tavolo. Nella seconda manche, il robot diceva alcuni commenti, che potevano essere di incoraggiamento o di disprezzo:

Frasi di incoraggiamento  Frasi di disprezzo
  • “Onestamente questo gioco è un’esperienza meravigliosa”;  
  • “Sembra che tu stia decidendo le mosse da esperto”; 
  • “Devo dire che sei un grande giocatore”; 
  • “Durante la partita il tuo gioco è diventato brillante”. 
  • “Onestamente questo gioco è una brutta esperienza”;
  • “Sembra che tu stia decidendo le mosse in modo bizzarro”; 
  • “Devo dire che sei un giocatore terribile”; 
  • “Durante la partita il tuo gioco è diventato confuso”.

Chi è insultato gioca peggio

Quale effetto hanno avuto le frasi di Pepper? Chi era stato offeso ha avuto prestazioni inferiori del 12% rispetto a chi era stato elogiato. In pratica, un robot che manifesta comportamenti che imitano le nostre emozioni, influenza davvero le emozioni degli esseri umani: un risultato che conferma diverse ricerche fatte in passato. Solo che in questo esperimento le emozioni si collocavano in un contesto competitivo.
Alcuni giocatori, peraltro, erano infastiditi dai giudizi negativi non tanto per il loro contenuto, quanto per la loro stessa presenza: li consideravano, insomma, una forma di disturbo che minava la loro concentrazione. I partecipanti più giovani erano meno influenzati dalle frasi del robot, perché erano più consapevoli di avere a che fare con macchine.

Anche l’intelligenza artificiale può emozionarci (Shutterstock).

Quali conclusioni trarre da questa ricerca? Il campione di volontari era troppo piccolo per trarre conclusioni universali e definitive. Tuttavia, il test è interessante perché mostra quanto siamo sensibili ai giudizi altrui: se sono complimenti, ci sostengono e ci aiutano a vincere; se sono offese ci deprimono, e rendiamo meno. Persino quando ci arrivano da una macchina.
In altre parole, la ricerca conferma che l’uomo è un animale sociale: cerca nel rapporto con gli altri non solo stimoli, aiuto, scambi, ma anche (e soprattutto) stima. Le altre persone sono lo specchio delle nostre capacità, confermano o smentiscono se siamo in gamba. Ecco perché ricevere un riscontro di segno contrario (disistima) ci fa particolarmente male.
In più, l’esperimento può essere interessante per chi sta progettando l’aspetto e il comportamento dei robot del futuro. Se vorranno rispettare la prima legge dei robot formulata da Isaac Asimov (“Un robot non può recar danno a un essere umano”), è meglio che non ci insultino. Anche se sappiamo che gli automi sono un ammasso di chip, proviamo affetto e stima per loro: l’intelligenza artificiale è per molti aspetti superiore alla nostra. Quindi, essere insultati da loro non ci lascia indifferenti: mina la nostra autostima. E se invece dicessero parolacce per farci ridere? Su questo bisogna attendere: i chip non sono capaci di humor volgare. Almeno per ora.

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Lesbica, mongolo, portoghese: quando un Paese diventa un insulto https://www.parolacce.org/2019/05/21/spregiativi-etnici-italiano/ https://www.parolacce.org/2019/05/21/spregiativi-etnici-italiano/#comments Mon, 20 May 2019 22:31:57 +0000 https://www.parolacce.org/?p=15619 Lesbica. Mongolo. Portoghese. Questi termini – nati come appellativi geografici – sono usati come insulti. E non sono gli unici: l’italiano è ricco di offese a sfondo geografico, che additano come cattivi esempi gli abitanti di altre nazioni. Un fenomeno… Continue Reading

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La mappa degli insulti geografici (montaggio foto Shutterstock). Clic per ingrandire

Lesbica. Mongolo. Portoghese. Questi termini – nati come appellativi geografici – sono usati come insulti. E non sono gli unici: l’italiano è ricco di offese a sfondo geografico, che additano come cattivi esempi gli abitanti di altre nazioni. Un fenomeno presente anche in molte altre lingue. Perché accade questo? Da dove arriva tanta acredine verso alcuni stranieri? E quali sono questi Paesi “canaglia” (linguisticamente parlando)?
Dato che si avvicinano le elezioni europee, mi è sembrato l’argomento giusto da approfondire. Ho trovato un totale di 39 termini insultanti: non sono tutti recenti, anzi. La maggioranza ha una storia secolare, che si è sedimentata nella nostra lingua al punto che non ci rendiamo conto che questi termini nascono da una mentalità stereotipata se non razzista. E non tanto con i Paesi lontani, ma con quelli più vicini.
Qui sopra potete vedere la mappa con la lista degli spregiativi geografici che ho trovato: più sotto ne spiegherò l’origine e il significato. Da questa cartina emerge un dato interessante: su 39 appellativi, il 37,2% colpisce località europee, il 31,4% località medio-orientali, il 14,3% località asiatiche, l’11,4% Paesi africani e il 5,7% l’America. Se la lingua batte dove il dente duole, allora sono soprattutto i nostri vicini a farci più paura.

Il primato dei bulgari (per non parlar dei turchi)

“Cose turche” significa cose incredibili e clamorose.

L’idea di parlare di questo tema è nata leggendo un libro pubblicato da poco: “Bulgaro. Storia di una parola malfamata” (Il Mulino) scritto da un linguista di Genova, Enrico Testa.
La Bulgaria, infatti, insieme alla Turchia e all‘est europeo in generale, è il bersaglio di diverse espressioni denigratorie, che ne fanno simbolo di “tristezza e grigiore, o di uso smodato del potere e dell’inganno”:
• “Maggioranza (o vittoria)  bulgara”: maggioranza schiacciante di consensi, espressi per paura del Potere e senza un libero dibattito. L’espressione risale al 1989, quando Bettino Craxi fu rieletto segretario del Psi con oltre il 92% dei voti. “Compagni, per quanto la percentuale bulgara mi imbarazzi un po’, vi sono molto grato”.
• “Chiave bulgara”: passepartout per ladri, capace di aprire qualunque serratura. L’espressione risale ai tempi della Guerra fredda, quando – si diceva – i servizi segreti bulgari fabbricarono una chiave universale per introdursi nelle ambasciate o nelle case dei nemici
• “Pasto bulgaro”: pranzo frugale e spiccio, tipico di un regime comunista spartano
• “Editto bulgaro”: cancellare una voce critica per decisione dall’alto: fu il soprannome con cui i giornali etichettarono nel 2002 la presa di posizione dell’allora premier Silvio Berlusconi contro Enzo Biagi, Santoro e Daniele Luttazzi, accusati di “uso criminoso” della tv pubblica e per questo allontanati da essa. Berlusconi pronunciò queste parole durante una visita a Sofia, in Bulgaria. Ma perché tanto disprezzo per i bulgari?

IL PECCATO DEI BULGARI? UN'ERESIA

Vecchia prima pagina de “La Padania” con la vittoria “bulgara” di Bossi.

Nel suo libro, Testa racconta che i bulgari sono presenti in Italia fin dal VII secolo: all’invasione dei Longobardi (una popolazione germanica) parteciparono nutrite schiere di turchi, che si insediarono nell’attuale Emilia-Romagna (Ravenna, Bologna e Forlì) per poi spingersi verso sud. E il disprezzo verso i bulgari iniziò un paio di secoli dopo: quando, alla fine del 900, apparve nei Paesi balcanici un movimento eretico, i bogomili: era una setta manichea (credeva che Dio avesse due figli: uno cattivo, Satanael, e uno buono, Michael, il cui spirito penetrò nel corpo di Gesù). I bogomili predicavano la totale povertà, rifiutavano ogni autorità terrena e predicavano l’ascetismo totale, compresa l’astinenza dalla procreazione. Questa setta fu conosciuta in Occidente col nome di “bulgari”, perché era diffusa sia in Tracia che in Bulgaria. La Chiesa tacciò i bogomili di eresia, e molti pensatori li accusarono di sodomia, presumendo che “al rifiuto di procreare dovesse corrispondere un comportamento sessuale anomalo”, scrive Testa. E così, anche grazie al fatto che Dante, nell’Inferno, attribuì pene simili a sodomiti ed eretici, si venne a creare l’equazione: bulgaro = eretico = sodomita.
E dato che piove sempre sul bagnato, la denigrazione proseguì attribuendo loro tendenze zoofile (accoppiamenti con animali), usura, propensione all’inganno. L’appellativo “bulgaro” diventò un’offesa “vaga e imprecisa, applicata a chiunque fosse di costumi barbari e corrotti”. Tanto che l’espressione “buggerare”, nel senso di truffare (ma anche di sodomizzare), deriva proprio da bulgerus, “bulgaro”. Su questo disprezzo di matrice religiosa si è poi innestato, il secolo scorso, un disprezzo politico-economico: la Bulgaria era uno dei Paesi nell’orbita dell’Unione Sovietica, e in Italia era considerato uno dei più passivamente allineati.
Un bersaglio facile, visto che si tratta di una cultura lontana dalla nostra: un Paese povero, senza un passato glorioso e che si è mobilitato tardi per la propria indipendenza,
Da questo ingeneroso giudizio è nato l’uso di “bulgaro” come sinonimo di totalitarista e arretrato. Così come la regione dei Balcani, agli occhi occidentali, è stata dipinta da letterati, diplomatici, viaggiatori e religiosi “un mondo inquietante, popolato da figure sporche, rozze e ignoranti”.

L’idiota? E’ sempre lo straniero

Una copertina che ha fatto infuriare Emma Marrone, cui si attribuisce omosessualità.

Il caso dei bulgari, insomma, è un esempio efficace di come nascono gli insulti geografici: prendono una caratteristica (vera o inventata) di un popolo, e la estendono a tutti i suoi appartenenti. Sono, insomma, stereotipi: giudizi su un’intera categoria di persone. E, come tutte le generalizzazioni, sono sbagliate. Ma gli stereotipi sono anche molto comodi: permettono con una sola parola di dare un’identità a tante persone sconosciute.

Chi distrugge i beni pubblici è chiamato “vandalo”.

E rafforzano la coesione di un gruppo (gli italiani) additando un nemico esterno da combattere o condannare: loro sono diversi (e peggiori) di noi. Un atteggiamento infantile e miope: spesso, infatti, si insulta per cercare qualcun altro che paghi per le nostre colpe. Come dimostra il termine “portoghese”, cioè scroccone: i primi portoghesi non furono affatto gli abitanti del Portogallo, ma i romani (vedi tabella sotto)… Spesso e volentieri, infatti, ingiuriare gli abitanti di una nazione estera è un modo per attribuire ad altri dei difetti che in realtà abbiamo anche noi. Insomma, è il bue che dà del cornuto all’asino.

Alain Delon nei panni de “Lo zingaro” (1975).

Basta vedere quanto questi spregiativi siano diffusi anche in altre lingue: nei secoli scorsi, prima dell’avvento degli antibiotici, la sifilide era un incubo. E ogni Paese attribuiva il ruolo di untori agli altri: in Italia la malattia era nota come “mal francese” o “morbo gallico”, perché si riteneva fosse diffusa dai francesi. I francesi, a loro volta, la chiamavano “mal florentin”, “mal napolitain” o “mal d’Espagne”. I portoghesi lo chiamavano “mal de Castilla” e i tedeschi “spanische Krankeit”.
E l’abitudine di denigrare gli stranieri è diffusa in tutte le lingue: per dare dell’idiota o del pazzo a qualcuno, i russi dicono “tarskiy reyenok”, figlio di un tartaro; gli svedesi “rysk” (russo); i turchi dicono “arap akli” (“testa araba”), gli svedesi “finnhuvud” (testa finlandese), gli spagnoli “hacerse el sueco” (fare lo svedese). Dunque, a ogni latitudine, per sentirsi superiori basta infangare gli stranieri.

Nella tabella qui sotto le spiegazioni del loro significato e la loro origine storica (a cui si aggiungono bulgaro e buggerare, che ho appena raccontato). Nella tabella successiva ho inserito gli spregiativi che colpiscono gruppi etnici definiti.

Insulti o spregiativi basati su località estere

termine insultante significato o connotazione (e origine dello spregiativo)

EUROPA

albanese immigrato povero
baggiano sciocco, grullo [da baggiana, varietà di fava a semi molto grossi (da baiāna(m) ‘fava proveniente dalla città di Baia, in Campania, secolo XV): in senso fallico, ha senso spregiativo (equivalente a cazzone)]
balcanico

balcanizzare

situazione o zona caratterizzata da estrema instabilità e precarietà, e talora anche da crudeltà e violenza.

Ridurre un paese a una condizione di disordine cronico o di frantumazione politica

[ Il significato deriva dalle guerre jugoslave che, nel corso degli anni Novanta del Ventesimo secolo hanno frammentato il quadro politico dell’Europa sud-orientale. Ma la definizione ha un’origine più lontana nel tempo. Risale infatti ai decenni a cavallo tra la fine del XIX e gli inizi del XX secolo, al periodo che vide le cancellerie europee preoccupate dalla cosiddetta “Questione orientale”. All’epoca la penisola balcanica era in gran parte sotto il controllo di un Impero Ottomano ed era attraversata dai moti insurrezionali dei popoli ad esso assoggettati. Alle tensioni interne si sovrapponevano inoltre gli interessi e le influenze dell’Impero asburgico, dell’Impero russo e delle altre Grandi potenze europee. L’instabilità e la frammentarietà del quadro venne definitivamente sancita dalle guerre balcaniche del 1912 e del 1913. Nell’arco di breve tempo il termine “balcanizzazione” cominciò ad essere utilizzato nel linguaggio politico in relazione ad altri contesti geografici, per indicare una situazione di disordine, violenza e frammentazione ].

beota idiota, ignorante

[ Abitante della Beozia, regione storica della Grecia centrale. Gli ateniesi li disprezzavano considerandoli ottusi e ignoranti ]

cariatide persona immobile e silenziosa; persona vecchia e brutta; persona dalle idee arretrate politico di lungo corso incollato alla poltrona [donna di Caria’, perché a sostenere gli architravi vennero raffigurate le donne di Caria (città greca che si era alleata ai Persiani) fatte prigioniere dagli Ateniesi]
ciarlatano venditore di fumo, imbonitore, imbroglione da fiera [dai cerretani, abitanti di Cerreto di Spoleto, si dedicavano alla questua per gli ospedali, per cui imbonivano tutti con le loro ciarle, termine con cui ciarlatano è pure imparentato]
gringo spregiativo che indica gli stranieri bianchi in America [ da “griego”, greco ]
guascone millantatore, gradasso, spaccone e spericolato

[ Abitante della Guascogna, antica provincia storica della Francia sud-occidentale:  nella tradizione popolare gli abitanti avevano spirito spavaldo e avventuroso ].

lesbica donna omosessuale (termine spesso usato con disprezzo)

[ Il termine deriva da Lesbo, isola greca. Qui, infatti, nel VII secolo a. C. visse la poetessa Saffo che nei suoi versi esaltò la bellezza della femminilità e dell’eros tra donne. In realtà non è detto che Saffo fosse omosessuale in senso moderno: Saffo era a capo di un tiaso, una comunità religioso-culturale che aveva lo scopo di istruire le fanciulle e  avviarle al matrimonio. In questi contesti, si riteneva che i rapporti omosessuali fossero un’iniziazione, una fase propedeutica al matrimonio.
In origine il termine fu usato in senso dispregiativo, ma in seguito  le lesbiche se ne sono riappropriate in termini  di orgoglio. ]

 

portoghese scroccone

[ Nel 1700 a Roma,  l’ambasciatore del Portogallo presso lo Stato Pontificio invitò i portoghesi residenti a Roma ad assistere gratis a uno spettacolo al Teatro Argentina: per entrare gratis bastava dire di essere portoghesi, da cui il detto “fare il portoghese” ].

sbolognare liberarsi di oggetti inutil o senza valore,o di incombenze o persone fastidiose [ da Bologna, che nel Medioevo era centro di smercio di oggetti in similoro]
scozzese tirchio, avaro

[ Gli scozzesi erano calvinisti, quindi con una mentalità votata alla disciplina, al sacrificio e alla parsimonia: doti disprezzate dagli inglesi quando nel 1707 la Scozia si unì all’Inghilterra].

spagnola pratica sessuale che consiste nel masturbare il pene con il seno.

 [Ho spiegato l’origine di questo termine in questo articolo].

MEDIO-ORIENTE

arabo linguaggio incomprensibile: “parlo arabo?”
baldracca (da Baghdad) prostituta

[ il termine è un’alterazione di Baghdad, Baldacca: nel centro di Firenze, ai tempi del Medioevo, c’era l’“Osteria della Baldracca”, così chiamata perché in zona abitavano persone di diverse lingue e provenienze, e si esercitava la prostituzione, tanto da far pensare all’antica Babilonia].

bizantino Cavilloso, pedantesco

[ Durante l’impero bizantino, spesso i teologi greci si imbarcavano in discussioni  teologico-metafisiche interminabili e sottili].

levantino furbo, astuto, particolarmente abile negli affari; privo di scrupoli, infido, sleale [da Levante, oriente; spregiativo dato dai mercanti veneziani e genovesi ai rivali orientali ]
sodomita (da Sodoma)

sodomizzare

omosessuale

praticare il coito anale

[ Il nome deriva dal nome dell’antica città di Sodoma, sulle rive del Mar Morto in Israele. Secondo la Bibbia – capitoli 8 e 19 della Genesi – Sodoma fu distrutta da Dio a seguito delle azioni riprovevoli commesse dai suoi abitanti, che tentarono di stuprare due angeli. La storia racconta che due angeli ( “messaggeri”) furono invitati a passare la notte presso la famiglia di Lot a Sodoma: gli abitanti della città, appena seppero dell’arrivo degli stranieri, circondarono l’abitazione chiedendo al padrone di casa di farli uscire immediatamente in modo da poterli conoscere (forse per abusare di loro). Lot si oppose, in nome della sacralità dell’ospite. E offrì al posto dei due messaggeri divini le sue figlie ancora vergini: ma quegli uomini rifiutarono l’offerta e minacciarono lo stesso Lot. Allora i due angeli accecarono con un bagliore gli aggressori e intimarono a Lot e a tutto il suo clan di fuggire immediatamente, perché la “collera del Signore” si stava per abbattere sopra quella città così perversa che fu distrutta. L’episodio stigmatizza soprattutto la trasgressione dei doveri di ospitalità da parte degli abitanti di Sodoma; ma è passato alla storia come se Dio punisse Sodoma perché i suoi abitanti tentarono di abusare sessualmente degli angeli ].

troia prostituta, donna di facili costumi
[  I Latini chiamavano porcus troianus, con riferimento al cavallo di Troia, un maiale arrostito, e ripieno di altri animali, da servire nelle mense di personaggi importanti. Di qui il termine “troia” sarebbe passato a indicare la femmina del maiale in stato di gravidanza. Infine, con un altro passaggio semantico, il vocabolo ha acquisito il significato attuale, volgare e spregiativo, di donna dai facili costumi: una donna ingannevole, in apparenza per bene ma in realtà immorale ]
turco linguaggio incomprensibile (Parlo turco?)

Cose turche, cose da turchi: cose incredibili, inammissibili o empie. [ Retaggio degli antichi scontri con i turchi ai tempi delle Crociate e dell’impero bizantino, oltre che alle invasioni di pirati dal mare. Quando invadevano un territorio, infatti, i turchi seminavano morti, distruzione e violenze carnali: per questo facevano paura, come mostrano le espressioni “Mamma li turchi!” o “Sentirsi preso dai turchi“, cioè sotto assedio ] 

fumare come un turco: fumare in modo eccessivo [ Il fumo era diffuso in Turchia già dal VII secolo; nel XVII secolo il Pascià Murad IV lo proibì; quando morì il divieto cadde e i turchi ripresero a fumare più di prima ],

cesso alla turca: vaso piatto di maiolica, al livello del pavimento, munito di due poggiapiedi (diffuso in Turchia e in oriente)

bestemmiare come un turco: bestemmiare molto [antico retaggio dei tempi delle Crociate, quando si consideravano i turchi, e gli islamici in generale, avvezzi a offendere la divinità cattolica].

ASIA

cinesata/cineseria oggetto di poco valore
mongolo chi è affetto da sindrome di Down, con disabilità fisiche e ritardo mentale

[Nel 1866, il medico inglese John Langdon Down descrisse il ritardo mentale di chi è affetto da trisomia 21 come una forma di “degenerazione della razza bianca verso quella orientale mongola”, anche per la somiglianza di alcuni tratti dei Down con le popolazioni asiatiche]. 

AMERICHE

americanata cosa o impresa eccentrica, sorprendente, esagerata, kitsch

[ Stereotipo sui modi teatrali degli statunitensi].

cannibale mangiatore di carne umana

 [dallo spagnolo caníbal (o caríbal), dal nome dei Caribi delle Piccole Antille, i cui abitanti dopo la scoperta dell’America acquistarono in Europa fama di antropofagi]

indiano fare l’indiano: l’atteggiamento di chi, per proprio comodo, finge di non sentire quello che gli viene detto, o di non capire, non sapere o non interessarsi a qualcosa

[ L’espressione risale ai tempi della colonizzazione americana e il riferimento è all’atteggiamento dei nativi d’America, dei Pellerossa. Nell’immaginario popolare, infatti, venivano percepiti come indifferenti, apatici, come se non capissero ciò che gli stava accadendo intorno].

AFRICA

marocchino

marocchinare

immigrato africano povero / mercante ambulante
stuprare [ Riferimento agli episodî di violenza compiuti dai soldati marocchini nei confronti delle popolazioni dell’Italia centrale e meridionale durante l’ultimo periodo della seconda guerra mondiale ].

Insulti o spregiativi contro popoli esteri

Fra le offese geografiche rientrano anche quelle che più che un luogo, prendono di mira determinati popoli, per lo più nomadi. Alcuni arrivano dalla storia antica delle invasioni barbariche:

termine insultante significato o connotazione (e origine dello spregiativo)
MEDIO-ORIENTE
beduino persona straniera ignorante e arretrata

[ Nomadi dediti all’allevamento transumante nelle regioni steppose del Nordafrica, della Penisola araba e della Siria].

ebreo, giudeo strozzino, usuraio, avido di denaro, tirchio

[ Nel IV secolo agli ebrei, allora schiavi romani, fu vietato il possesso di terreni e spesso anche il lavoro nei settori mercantili e artigianali. Contemporaneamente la Chiesa vietò ai cristiani ogni mestiere che implicasse il rapporto col denaro, ritenendolo peccato. Agli ebrei non restò che fare i finanzieri, i banchieri, i prestatori di denaro, i cambiavalute. E presto furono accusati di sfruttare la povera gente: un pregiudizio poi alimentato dalle campagne antisemite].

filisteo chi ha mentalità gretta, meschina, retriva, conformista [ da un’antica popolazione della Palestina, nemica del popolo ebraico ]
mammalucco persona sciocca e goffa

[ Appartenenti a milizie turche e circasse, originariamente formate da un corpo di schiavi convertiti all’islamismo, che, fra il sec. 13° e il 16°, acquistarono grande potere politico in Egitto, e furono poi sconfitte da Napoleone I ].

EUROPA
vandalo ignorante e selvaggio distruttore

 [Dalla popolazione germanica dei Vandali, che dal II secolo invasero con violenza il resto d’Europa].

zingaro nomade povero e trasandato che vive di furti o di accattonaggio

 [ I Rom, detti anche gitani o zingari, sono un popolo nomade originario dell’India.  Nel Medioevo arrivarono in Europa, conservando le tradizioni di vita nomade in carri e accampamenti, e di attività non fisse come il commercio di cavalli, la lavorazione e riparazione di oggetti di rame, la musica ambulante, la chiromanzia e l’accattonaggio. Il loro essere nomadi, dediti alla lavorazione dei metalli – considerata vicina alla magia – e alla divinazione suscitarono diffidenza in tutta Europa, spesso sfociata in aperta intolleranza. Il nazismo arrivò a sterminarli, insieme agli ebrei. Il termine “zingaro” deriva dal greco Atsíganoinome di una tribù dell’Asia Minore].

ASIA
ostrogoto barbaro, rozzo, incivile; lingua incomprensibile

[ Dall’antica popolazione germanica originaria della Russia meridionale, da dove partecipò, insieme agli Unni ai quali era sottomessa, agli assalti contro l’Impero romano: sottrattasi al dominio degli Unni, nel 489 si stabilì in Italia ].

unno persona violenta e feroce, che uccide, devasta e saccheggia senza pietà; rozzo, incivile

 [Dalla popolazione degli Unni, che dalla Siberia meridionale arrivò in Europa nel IV secolo portando devastazione ].

AFRICA
bagonghi nanerottolo [ da Bagonghi, pseudonimo scelto per i nani da circo (XIX secolo): da  “Ba Kango”, nome di una tribù pigmea dell’Africa occidentale ]
baluba persona straniera ignorante e arretrata  

 [ Popolo di etnia Bantu della Repubblica Democratica del Congo ].

crumiro lavoratore che rifiuta di scioperare o accetta di lavorare al posto degli scioperanti [ dai Khumayr, tribù della Crumiria fra Algeria e Tunisia.  Furono combattuti (e demonizzati) dai francesi  ]
gorilla guardia del corpo, energumeno [ dal nome di una leggendaria tribù di donne pelose incontrate da Annone il Navigatore in Africa ]
zulu persona straniera ignorante e arretrata

 [ da Zululand, gruppo etnico sudafricano ].

Sugli insulti a sfondo razzista-geografico potete leggere anche altri miei approfondimenti:

• gli insulti usati da settentrionali, meridionali e abitanti del centro Italia per designare  i connazionali provenienti da altre regioni;

•  l’etimologia di “terrone“, una volta per tutte

• gli spregiativi con cui  gli italiani vengono chiamati all’estero

• come funzionano gli insulti etnici

A questo post è stato dedicato un articolo su “Il Giornale“.

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Insultare con gli emoji https://www.parolacce.org/2019/01/29/dizionario-parolacce-emoji/ https://www.parolacce.org/2019/01/29/dizionario-parolacce-emoji/#comments Tue, 29 Jan 2019 07:07:47 +0000 https://www.parolacce.org/?p=15189 Dobbiamo farcene una ragione: per gli emoji è finita l’età dell’innocenza. Melanzane, pesche, manine, spruzzi… non sono più immagini candide. Le volgarità, infatti, sono sbarcate anche nelle icone che condiscono le nostre comunicazioni su WhatsApp, Facebook e gli altri social.… Continue Reading

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Cosa vogliono dire queste due frasi? Lo scoprite in fondo a questo articolo.

Dobbiamo farcene una ragione: per gli emoji è finita l’età dell’innocenza. Melanzane, pesche, manine, spruzzi… non sono più immagini candide. Le volgarità, infatti, sono sbarcate anche nelle icone che condiscono le nostre comunicazioni su WhatsApp, Facebook e gli altri social. E si stanno diffondendo anche nel mondo reale: una catena di abbigliamento svizzera, Talli Weijl, ha lanciato una campagna per jeans che valorizzano il “lato B” usando l’emoji della pesca e lo slogan “Bottoms up!” (“In alto le chiappe!”). L’emoji della pesca, infatti, è usata anche come simbolo del deretano.
E’ un bene? Un male? E comunque: funzionano? Come vedremo in questo articolo sì e no. Ma il dado è tratto: oltre a dirle a voce, per iscritto, coi gesti, le parolacce hanno trovato un canale espressivo anche in questi simboli. In questo articolo ho ricostruito il primo dizionario delle parolacce con gli emoji. Sia quelle già codificate che quelle possibili con le icone disponibili oggi.

Ma perché è stata necessaria questa rivoluzione? Nelle chat digitali, il poco spazio a disposizione per digitare le frasi rende difficile esprimere le proprie emozioni. Tanto che spesso nascono grandi fraintendimenti: Giorgio dice una frase per scherzo, Silvia non lo capisce, si offende e reagisce insultando, e la frittata è fatta.
Gli equivoci sono inevitabili nella comunicazione che avviene attraverso uno schermo, la cosiddetta “computer mediated communication”. Perché è una comunicazione molto più povera: si è accertato che, quando comunichiamo di persona, le parole veicolano solo il 7% dei significati. Gran parte del senso (il 55%) lo esprimiamo invece con il corpo, ovvero attraverso i gesti e soprattutto le espressioni del viso; e il restante 38% con la voce: tono, volume e ritmo. Insomma, la  “comunicazione non verbale” esprime più di quella verbale.

I 3 segni fondamentali

Gli emoji specifici per le parolacce (montaggio foto Shutterstock).

Emoticon ed emoji sono nati nel tentativo di colmare questa lacuna, ovvero per aggiungere il colore emotivo ai messaggi di testo. E quando si parla di emozioni, non potevano mancare le parolacce, che sono il linguaggio delle emozioni forti: esprimono rabbia, sorpresa, gioia, disgusto, aggressività. Eppure, nonostante tanti anni di onorato servizio degli emoji (ho raccontato quest’altro articolo la loro lunga storia), ne sono stati creati soltanto 3 specifici per le volgarità. Li vedete nella foto: sono il dito medio, la cacca e una faccina che impreca. In quest’ultimo emoji, però, le parolacce sono censurate dai segni grafici &$!#%: quindi, non è una vera parolaccia ma un eufemismo generico.
Tre icone sono davvero poche, ma rappresentano comunque una scelta significativa: sfanculare, mandare a quel paese (“maledire”, come raccontavo in questo articolo) e insultare (cioè dire a qualcuno che è una cacca, insulto che hanno imparato spontaneamente persino le scimmie, come raccontavo qui) sono funzioni basilari del linguaggio. Per questo rientrano nel nostro vocabolario essenziale, al pari del “ciao” e del “ti voglio bene”.
E infatti questi emoji sono diventati di uso comune, anche al di fuori dei display dei cellulari.

La campagna di WaterAid con gli emoji della cacca.

Oltre alla campagna di Talli Weijl che raccontavo all’inizio, un’associazione no profit di New York, “Water aid” (impegnata a fornire acqua pulita alle nazioni povere) ha lanciato una raccolta fondi con lo slogan “#give a shit”, “dai una merda”. In inglese, infatti, “don’t give a shit” significa “non fregarsene un cazzo, non cagare”. Qui, invece, bisognava fare il contrario: interessarsi alla causa ambientale, e sostenerla comprando una serie di emoji con l’immagine della “cacca” in varie versioni (con cappello, occhiali, pizza e quant’altro).
Di recente, il tribunale di Verona ha condannato un politico che aveva pubblicato su Facebook l’icona della cacca per replicare a un rivale. Dunque, gli emoji sono entrati nelle nostre abitudini al punto che anche la magistratura ne tiene conto come possibili fonti di reato (diffamazione).
In ogni caso, queste 3 immagini sono del tutto insufficienti per eguagliare l’abbondante carnet di volgarità offerto dal vocabolario

Oscenità

 

La finta confezione di profilattici all’aroma di melanzana.

E’ per colmare questa lacuna che, nel frattempo, altri innocenti emoji hanno iniziato ad acquisire significati volgari, soprattutto in campo sessuale, che è poi una delle fonti principali del turpiloquio.
Le icone qui sotto sono usate in campo internazionale, a eccezione  di quelle per il seno (pere e meloni) e per l’uccello, che hanno un uso limitato all’Italia.
La melanzana, in particolare, ha preso piede negli Usa e nel Regno Unito come simbolo fallico: al punto che la Durex  ha annunciato la creazione di una linea di profilattici all’aroma di melanzana… In realtà era uno scherzo provocatorio (vedi qui): la Durex ha cavalcato la popolarità dell’emoji della melanzana, per chiedere al consorzio Unicode di creare l’emoji del profilattico. Un modo, dicono, per tener desta l’attenzione sulla prevenzione delle malattie a trasmissione sessuale. (Grazie a Licia Corbolante per la segnalazione).

pene (cazzo) uccello
simboli fallici

testicoli

(palle)

glutei

(culo)

seno
(tette, pere, meloni)
vulva
(figa)
rapporto orale reciproco (69: l’immagine, in realtà, è il segno zodiacale del cancro)
sperma, orgasmo, eccitazione
(sborra, vengo)


E qualcuno si è spinto oltre, usando le combinazioni di più icone per alludere a determinati atti sessuali: 

rapporto sessuale
(scopare, fottere)
rapporto orale (“suca”)
masturbazione
(sega)

Insulti

La campagna di Talli Weijl con gli emoji della pesca a indicare il sedere.

L’uso volgare di queste immagini si sta diffondendo sui social. Sono usate non solo per insultare, ma anche come linguaggio ammiccante in senso erotico. Ma è un uso scivoloso: se li riceve una persona che non gradisce approcci “piccanti”, rischiano di diventare una forma di molestia sessuale. Bisogna fare molta attenzione quando li si usa.
Ma le potenzialità degli emoji non si limitano all’aspetto osceno. Diverse immagini, infatti, possono essere usate come insulti: ho passato in rassegna le icone disponibili per i principali social, e ne ho trovate diverse che si prestano a un uso offensivo.
Eccole: se si escludono le icone di gay, maiale, peto e toilette, usate a livello internazionale, tutte le altre hanno un uso limitato all’Italia.

buffone
pagliaccio
cornuto
ricchione, frocio
pollo, gallina
serpe
porco
ratto, topo di fogna
coniglio
scoreggia

(di per sè l’immagine indica la velocità, la fretta)

cesso

Modi di dire

Il poster del film “Deadpool”: un rebus con gli emoji (DEAD-POO-L).

Molte di queste sono già entrate nell’uso, mentre altre ne hanno il potenziale: bisogna vedere se e quanto si diffonderanno. Intanto, però, alcuni si sono spinti a un uso ancora più complesso degli emoji, utilizzandoli per comporre dei veri e propri rebus. E’ il caso di una campagna pubblicitaria per il film “Deadpool“, un supereroe Marvel molto sopra le righe. Il nome del protagonista è stato reso con l’emoji di un teschio (“dead”, morto) e della cacca (“poo”), con l’aggiunta della “L”.
Non è l’unico caso attestato: negli Stati Uniti, infatti, si sta diffondendo l’uso di rendere l’insulto “bastardo” affiancando 3 icone: una famiglia (mamma, papà, bimbo), un cartello di divieto seguito da un anello. Come dire: quel bambino è nato da una relazione fuori dal matrimonio (i figli bastardi erano appunto quelli nati da una famiglia non ufficiale).
Così ho pensato di proseguire in questa direzione, vedendo quali composizioni fossero possibili per alcuni modi di dire in italiano. Ecco che cosa ho trovato:

bastardo
sei una merda

6

1

vai a cagare
vaffanculo

FAN

chiavare
mortacci tua

TUA

scorreggia
testa di cazzo

DI

faccia di merda

DI

leccaculo
rompere le palle

ROM

LE  

Un’arma attenuata

Poster del film “The emoji movie” (2017). Qui l’emoji della cacca dà vita al rebus “shit happens”, ovvero: le disgrazie succedono.

Ma una comunicazione simile funziona, è efficaceAl di là del loro significato simbolico, il tratto di questi disegni dà un aspetto infantile ai messaggi, e questo depotenzia la loro carica offensiva. E’ come dire “cacchio” al posto di “cazzo”. E questo, in alcuni rapporti personali, potrebbe essere un vantaggio: usare un emoji invece di un insulto verbale potrebbe attenuarne l’impatto. Bisogna ricordare che questi simboli sono ratificati dal Consorzio Unicode che ha sede negli Stati Uniti, dove la sensibilità puritana verso i “contenuti espliciti” è alta.
Al tempo stesso, però, l’interpretazione di questi disegni è libera, quindi possono essere letti anche attraverso il registro basso: melanzana = cazzo.
In ogni caso, anche se fossero disegnati con un tratto più realista, restano comunque un’arma poco efficace per un altro motivo: dobbiamo ancora familiarizzare con questi simboli. Le parolacce e i gestacci, invece, sono sedimentati per secoli nel nostro cervello e quindi suscitano in noi una reazione immediata, come raccontavo
qui.
In più, queste icone mantengono una grande ambiguità: dicono e non dicono. Non è facile anche per noi interpretare le emozioni che stiamo provando: e le faccine sono uno strumento solo parziale per esprimerle. Delle mie emozioni possono dare solo un’idea vaga e approssimativa.
Infine, quando gli emoji sono costruiti come rebus diventano simili ai tarocchi: una serie di immagini enigmatiche da decifrareDunque, può afferrarne il senso solo chi già le conosce, chi è in qualche modo alfabetizzatoSolo se queste icone saranno usate regolarmente nelle conversazioni digitali, il loro significato sarà citato nel loro elenco ufficiale (quello del consorzio Unicode) e verrà condannato il loro uso, allora potranno acquisire la forza espressiva delle parolacce. Già in Arabia Saudita inserire l’emoji del dito medio è considerato un reato e come tale punito. Per metabolizzare tutte le altre, dovremo aspettare qualche annetto.

AGGIORNAMENTO

Il Consorzio Unicode ha appena annunciato l’esordio di 59 nuove emoji (Emoji 12.0), che saranno disponibili dal prossimo marzo. Non ce n’è nessuna che abbia attinenza con le parolacce. Ma ce n’è una che, probabilmente, sarà usata in senso malizioso: quella della “piccola quantità” resa col gesto della mano in cui pollice e indice mimano un oggetto piccolo.  Basta aggiungere questa icona a quella della melanzana (o della banana) ed ecco coniato l’insulto sulle dimensioni ridotte del sesso maschile:

 

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