La pubblicità dei “Kagottini”.
Lo confesso: quando ho visto in tv lo spot dei “Kagottini”, da genitore mi è scattato un moto di indignazione. I “Kagottini” sono l’ultimo gadget per bambini: sono animaletti di plastica che… fanno uscire dal sedere una bolla di gomma slime quando gli schiacci la pancia. Insomma, sono come dice lo spot “animali schifosetti” che fanno la cacca, seppur di plastica.
“Ma come si permettono?” ho pensato. “Sfruttare le parolacce come marketing per vendere un prodotto per bambini… Sono degli irresponsabili: rischiano di insegnare che le parolacce, sotto sotto, si possono dire senza problemi”.
Superato questo momento, ho smesso i panni del genitore apprensivo e indossato quelli del linguista, e ho affrontato la questione a mente fredda. E ho cambiato idea. Confortato anche dal parere di un pedagogo e scrittore al di sopra di ogni sospetto: Gianni Rodari. Secondo il genio della letteratura per bambini, infatti, non solo è lecito scherzare coi nomi della cacca, ma è anche utile, se non addirittura necessario. E tra l’altro Rodari aveva previsto che proprio quest’anno, il 2017, avrebbe segnato una rivoluzione in questo campo…
Prima di parlarne, torniamo per un attimo ai Kagottini. Innanzitutto, ho voluto guardare più da vicino questi pupazzetti, venduti nelle edicole come portachiavi. Li distribuisce una società padovana, la Gameshop, che non produce solo giochini scurrili: vende anche gadget della Disney e della Marvel, da Frozen ai Minion.
I “Kagottini” sono una linea di 12 animali: cagnolini, mucche, ippopotami, pesci, con i nomi riveduti e corretti per alludere ai loro prodotti intestinali: E.S. cremento, Ele pupubomba, Bau Miscappa, Bè Fattagrossa, Clara Tortamolla, Ippo Caccainacqua, e Arturo Siluro. Bisogna ammetterlo: sono spiritosi.
Solo a quel punto, quando mi si è formato il sorriso sulle labbra, mi sono ricordato che io stesso avevo in casa un libro che a mio figlio era piaciuto molto: “La famiglia Caccapuzza”, un racconto divertente su una famiglia di zozzoni. E anche “La cacca, storia naturale dell’innominabile”, un manualetto divulgativo che racconta l’evoluzione e l’importanza degli escrementi.
Allora mi sono messo a cercare su Google e ho scoperto che non erano affatto casi isolati o di contrabbando: c’era anche il libro “Iacopo Po’ genio della cacca”, geniale nome inventato dall’autore, l’amico Federico Taddia; “L’isola delle cacche” della piscoterapeuta Maria Rita Parsi. E “La canzone della cacca”, di Roberto Piumini, cantata – senza alcuno scandalo – in tantissimi asili d’Italia.
Poi, tornando ai giocattoli, lo “Spray cacca”, che spruzza una schiuma marrone, per fare scherzi realistici. E, sempre in questo campo, il celeberrimo “Cuscino scorreggione” che imita il rumore di un peto (se ci si siede sopra quando è gonfiato).
Insomma, un vero marketing delle deiezioni, se si eccettuano i personaggi Fighetto e Fichetto: il primo è uno dei protagonisti di “Turbo”, un cartoon della Dreamworks, e il secondo è (con Grattachecca) il cartone animato preferito da Bart e Lisa Simpson. Ma in questo caso interviene un altro fenomeno: la trasformazione dell’aggettivo “figo”, in origine volgare, in una parola familiare: ne avevo parlato in questo post.
In tutti questi casi, va subito notato, si tratta di parolacce che hanno meno peso specifico: sono più leggere perché sono usate in modo ironico e affettivo.
Ma qual è il motivo di tanta ossessione per la pupù? La risposta più bella l’ho ritrovata in un libro, “Grammatica della fantasia”, scritto dal più grande autore di storie per bambini, Gianni Rodari.
«Sappiamo quanta importanza abbia nella crescita del bambino la conquista del controllo delle funzioni corporali» scriveva Rodari. «Il passaggio dal pannolino al vasino genera ansia in figli e genitori. E sono minacce se non la fa, premi e trionfi se l’ha fatta. E poi attente ispezioni, discorsi fra adulti sul significato di determinati indizi, consultazioni col medico, telefonate alla zia che sa tutto... Non c’è davvero da stupirsi se nella vita del bambino, per anni, il vasino e ciò che lo riguarda acquistano un rilievo quasi drammatico. E gli adulti, per dire che una cosa non è buona, dicono che “è cacca”.
Gianni Rodari.
Tutte queste ansie l’adulto le stempera nelle barzellette. Ma questo riso al bambino è vietato. E invece è proprio lui ad averne bisogno più dell’adulto. Le storie tabù, che trovo utile raccontare ai bambini. Rappresentano un tentativo di discorrere col bambino di argomenti che lo interessano intimamente… Le sue funzioni corporali e le sue curiosità sessuali. Credo che non solo in famiglia, ma anche nelle scuole si dovrebbe poter parlare di queste cose in piena libertà.
Quanti insegnanti riconosceranno ai loro scolari la libertà di scrivere, se occorre, la parola merda? Le fiabe popolari, in proposito, sono olimpicamente aliene da ogni ipocrisia. E non esitano a far uso del gergo escrementizio. Possiamo far nostro quel riso, non indecente ma liberatorio? Penso onestamente di sì. Niente come il riso può aiutare a sdrammatizzare. C’è un periodo in cui è quasi indispensabile inventare per lui storie di cacca. Io l’ho fatto».
Ecco come inizia la storia di Rodari sulla cacca: una perla, come tutte le sue altre più celebri.
A Tarquinia si verificano incidenti d’ogni genere: un giorno cade un vaso da un balcone e accoppa mezzo un passante, un altro giorno si stacca la gronda dal tetto e sfonda un’automobile… Sempre nei paraggi di una certa casa… Sempre a una certa ora… Stregoneria? Malocchio?
Una maestra in pensione, dopo attente indagini, riesce a stabilire che i disastri sono in relazione diretta con il vasino di un certo Maurizio, di anni 3 e mesi 5. Alla cui influenza, però, sono da attribuire anche molti lieti eventi, vincite al lotto, ritrovamenti di tesori etruschi, eccetera. In breve: i vari accadimenti – fausti o funesti – dipendono dalla forma, quantità, consistenza e colore della cacca di Maurizio….
(Il seguito lo trovate nel suo libro, un best seller edito da Einaudi).
Ed ecco la conclusione (profetica!!!!) di Rodari: «Se un giorno scriverò questa storia, consegnerò il manoscritto al notaio, con l’ordine di pubblicarlo intorno al 2017, quando il concetto di “cattivo gusto” avrà subìto la necessaria ed inevitabile evoluzione. A quel tempo, sembrerà di cattivo gusto sfruttare il lavoro altrui e mettere in prigione gli innocenti. E i bambini, invece, saranno padroni di inventarsi storie veramente educative anche sulla cacca».
Il libro “Grammatica della fantasia” fu scritto nel 1973: sono passati 44 anni. Siamo davvero pronti a un passo del genere?
Innanzitutto, smentisco subito un pregiudizio diffuso: il fenomeno non è affatto nuovo. Come potrete leggere in fondo a questo articolo, in realtà i primi titoli scandalosi risalgono già al 1500.
Ma torniamo per ora ai giorni nostri. Per fare una statistica attendibile ho consultato il database più completo di cui disponiamo: il catalogo del Servizio bibliotecario nazionale, ovvero tutti i libri posseduti dalla rete delle biblioteche italiane.
Nella maschera di ricerca, ho digitato le 10 parolacce più usate (al maschile e al femminile, al singolare e al plurale), circoscrivendo la ricerca dal 1960 a oggi, sui testi a stampa in italiano. La ricerca avanzata restituisce i risultati ordinando i libri per anno di pubblicazione.
Ho scartato dal conteggio le edizioni successive del medesimo titolo, ma non posso garantire una precisione assoluta (che, come vedremo, per i numeri in gioco non avrebbe senso).
Ecco il – prevedibile – risultato: l’uso di parolacce nei titoli è stato un crescendo esponenziale. Negli anni ’70 e ’80 si è quadruplicata, per poi esplodere negli anni ’90 e 2000, come emerge dal grafico qui sotto (clicca per ingrandire):
Rispetto agli anni ’60, i libri con un titolo volgare sono aumentati di 13 volte negli anni ’90 e di 29 volte negli anni 2000. Se la tendenza resterà costante, entro la fine di questo decennio saranno aumentati di 36 volte. C’è di che inquietarsi? Direi di no: perché i numeri in gioco sono davvero piccoli rispetto al totale dei libri pubblicati.
Prendiamo il decennio record 2000-2009, per il quale abbiamo dati definitivi dell’Aie (Associazione italiana editori) e dell’Istat. In quegli anni, in media, sono stati pubblicati in Italia 56mila libri all’anno, per un totale di 560mila dal 2000 al 2009: i 231 volumi con un titolo volgare usciti in quel decennio rappresentano un misero 0,04% del totale. Vuol dire 4 ogni 10mila libri, una ventina l’anno: una piccola minoranza, anche se fa rumore. Piccola curiosità: l’editore che ha pubblicato il maggior numero di titoli osè risulta Mondadori (65), seguito da Piemme (sempre del gruppo Mondadori, 24) e Zelig (16).
Perché questa diffusione crescente? Innanzitutto perché, dagli anni ’70 il linguaggio è cambiato: il vento della rivoluzione giovanile del 1968 ha portato il linguaggio informale e colloquiale anche sui media (radio, film, tv, giornali e, ovviamente, libri), come raccontavo in questo articolo. Ma per i titoli dei libri vanno considerati anche altri aspetti. Primo, il peso sempre più crescente della satira, della comicità e della letteratura popolare. Non a caso, una delle apparizioni più osè è un titolo del 1970: “Le poesie d’amore: dar core ar cazzo er passo è breve“. Il libro è la traduzione, in dialetto romanesco, delle poesie di Catullo da parte di Massimo Catalucci. Insomma, la stessa operazione di “Il culo non esiste solo per andar di corpo” di Alvaro Rissa (2015), che è un’antologia di classici greci e latini.
Ma la vera svolta, come rivelano i numeri qui sopra, è maturata negli anni ’90, quando è iniziata un’esplosione di titoli che dura ancora. Se volessimo identificare un punto di inizio in un libro di successo, forse potremmo trovarlo nel 1997 con “Che stronzo! Il libro-verità sul fidanzato italiano” di Silvio Lenares. Un libro umoristico, nel quale il sedicente Ettore Bengavis, emerito dottore in Stronzologia, descrive le tipologie del fidanzato italiano, consigliando come sfuggire al maschio italiano.
Nel 2002 Luciana Littizzetto pubblica un altro titolo dirompente: “Ti amo bastardo“. Seguito da un best seller che ha rotto gli schemi della saggistica, per il tono colloquiale dei titoli: “Come smettere di farsi le seghe mentali e godersi la vita” di Giulio Cesare Giacobbe (2003), poi replicato con “Come diventare bella, ricca e stronza: istruzioni per l’uso degli uomini” (2006) e “Il fascino discreto degli stronzi” (2009). La via era tracciata: l’uso di parolacce nei titoli è passato dalla letteratura satirica e umoristica alla saggistica.
Un approccio che ha avuto un successo notevole: non solo perché la parolaccia attira l’attenzione e quindi è un potente strumento di marketing (l’abbiamo visto a proposito di vini con etichetta sboccata), ma anche perché la parolaccia è il linguaggio della schiettezza, della sincerità, del “pane al pane vino al vino”. Dunque, chi scrive un saggio (che sia di auto-aiuto, di psicologia o di denuncia politica e sociale) se ricorre al linguaggio colloquiale dà subito l’idea di essere alla portata di tutti. Come dimostrano i saggi, serissimi, “Stronzate: un saggio filosofico” (2005) di Harry Frankfurt, “Il culo e lo stivale: i peggiori anni della nostra vita” di Oliviero Beha (2012) o “Siamo tutti puttane: contro la dittatura del politicamente corretto” di Annalisa Chirico (2014). E infatti, fra i titoli che ho esaminato in questa indagine, gran parte rientra nel genere humor, seguito proprio da psicologia (ed erotismo, ma meno di quanto ci si aspetterebbe).
Insomma, l’uso della parolaccia nei titoli dei libri è il sintomo di un’epoca che gioca a contaminare gli stili e i registri, che sono diventati permeabili fra loro: formale e colloquiale, serio e comico si mischiano fra loro. Fino agli anni ’80, se qualcuno avesse pubblicato un saggio (serio) con un titolo volgare, avrebbe perso in prestigio e credibilità. Oggi, invece risulta simpatico e schietto.
Da un altro punto di vista, poi, significa che la cultura “ufficiale” ha legittimato, oltre al linguaggio, anche la cultura comica e quella popolare in generale. Gli ha dato dignità letteraria. E questo è senz’altro un bene.
Ma quali sono le parolacce più usate nei titoli dei libri italiani? In classifica svetta “bastardo” (257 titoli), seguito da “puttana” (109) e “culo” (60). In questo decennio si assiste a un’impennata di “stronzo“, che ha già superato “culo” e tallona “puttana“. Trovate i dati in dettaglio nella tabella qui a destra.
Se i libri sono lo specchio di un’epoca, allora viviamo in un tempo di bastardi e di puttane? L’ipotesi è suggestiva e ha un fondo di verità; ma in realtà, bastardi e puttane sono presenze costanti in tutta la storia, perché sono le due facce della medesima miseria umana…
A parte questo: è una strategia vincente pubblicare libri con titoli volgari? Dipende. Un titolo con una parolaccia senz’altro attira l’attenzione dei lettori fra i numerosi volumi pubblicati ogni anno in Italia (oggi ci avviciniamo ai 60mila). Ma la medaglia ha il suo rovescio: i libri con un titolo spudorato hanno meno possibilità di essere recensiti da tv, radio, giornali. Dove, almeno in alcuni casi, si sta attenti al linguaggio, e certi titoli sarebbero impronunciabili. Insomma, un libro come “Il metodo antistronzi“, più che una recensione su un giornale prestigioso dovrà la sua fama al passaparola, ai social network o anche come regalo goliardico. D’altronde, se le parolacce sono il registro colloquiale e popolare per eccellenza, è giusto che si diffondano in quello stesso canale comunicativo.
E comunque, ovviamente, una parola forte non basta a decretarne il successo: sui 594 libri con titoli volgari che ho preso in esame per questa statistica, i best seller non mi sono sembrati più di una ventina. Insomma, alla fine vince pur sempre il contenuto (com’è giusto che sia).
Resta un’ultima curiosità: a quali anni risale l’esordio di queste parolacce nei titoli librari? Ecco quanto sono riuscito a ricostruire nella tabella qui sotto. Come potete vedere, non è affatto una tendenza moderna, visto che 7 termini su 10 sono precedenti a prima del 1900; e 4 risalgono al 1500, dopo poco più di un secolo dall’invenzione della stampa a caratteri mobili (1455). Solo vaffanculo, tette e fica sono stati “sdoganati” negli ultimi 40 anni. Anche in questo caso, contrariamente a quanto ci si potrebbe aspettare, i libri erotici sono una minoranza (20%); la maggioranza (70%) sono scritti a sfondo umoristico o satirico. Già nell’antichità, le parolacce si usavano soprattutto per far ridere. E se vi capitasse di leggere qualcuno di questi libri, vi accorgerete che non sono affatto libri commerciali: hanno uno spessore culturale che oggi non ci sogniamo lontanamente. Perché sono stati scritti dai (pochi, veri) intellettuali dell’epoca. Le parolacce, scritte da uomini di cultura, acquistano un altro sapore.
Parolaccia | Anno | Titolo | Autore | Genere |
Cazzo | 1531 | La cazzaria | Antonio Vignali | Satirico |
Puttana | 1532 | La puttana errante | Lorenzo Venier | Umoristico |
Coglione | 1569 | Historia della vita, et fatti dell’eccellentissimo capitano di guerra Bartolomeo Coglione | Pietro Spino | Satirico |
Bastardo | 1594 | Trattato delle ragioni sopra il regno di Cipro, appartenti alla serenissima casa di Sauoia. Con narratione d’historia del violento spoglio, commesso dal bastardo Giacomo Lusignano. | – | Storico. (Il termine, pur con sfumatura spregiativa, non significa “cattivo, spregevole, spietato” bensì “figlio illegittimo”). |
Merda Stronzo |
1629 | La merdeide, stanze in lode delli stronzi della gran villa di Madrid, del sign. D. Nicolò Bobadillo. | Tommaso Stigliani | Satirico |
Culo | 1842 | La culeide in antitesi al moderno costume dei culi finti | Gabriele Rossetti Cantone | Umoristico |
Vaffanculo | 1977 | La Traviata Norma, ovvero: vaffanculo… ebbene sì. | Collettivo teatrale “Nostra signora dei fiori” | Umoristico |
Tette | 1979 | Lord tette | M.H. Englen. | Erotico |
Fica | 1994 | La fica di Irene | Louis Aragon | Erotico |
Questo articolo è stato ripreso da AdnKronos, Il Giornale, Prima Comunicazione, Il Messaggero, BooksBlog, Agora Magazine, Donna Charme, Reportage online, Italy journal.
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E questo si sapeva. Ma davvero è impossibile identificare una data di inizio per questo movimento? Forse sì: tempo fa Google ha lanciato una nuova applicazione, Ngram viewer, che consente di calcolare, in un periodo prescelto, quante volte è presente una data parola in oltre 5,2 milioni di libri digitalizzati.
Come ho raccontato nel mio libro, uno dei sintomi della rivoluzione sessuale è la maggior frequenza d’uso dei termini sessuali osceni, che vengono – per usare una parola brutta ma espressiva – sdoganati nella letteratura. La censura si allenta, le parole del sesso diventano meno tabù, e allora anche gli scrittori fanno un uso più libero e frequente di parolacce per parlare di erotismo in modo diretto, colloquiale, naturale.
Dunque, in teoria basta inserire in Ngram i termini sessuali volgari più usati nelle varie lingue, per verificare in quali anni si registrano i picchi di maggior uso. Vogliamo fare questo esperimento?
Innanzitutto, alcune precisazioni sul metodo. Ngram consente di scandagliare la letteratura di varie lingue: inglese (sia americano che britannico), cinese, tedesco, ebraico, spagnolo, russo, francese. L’italiano manca, perché non c’è ancora una sufficiente massa critica di libri digitalizzati nella nostra lingua. Escludendo gli idiomi che non conosco (russo, ebraico, cinese e tedesco), mi sono concentrato su inglese (distinto fra americano e britannico), francese e spagnolo. Ho selezionato per ciascuna di queste lingue le parolacce più usate per denotare l’atto sessuale (gli equivalenti di “scopare”) e i genitali (“cazzo” e “fica”), e ho avviato il motore di ricerca nelle varie lingue, tra il 1940 e il 2008, senza smoothing, cioè aggiustamenti statistici fra un anno e l’altro. Ecco che cosa è venuto fuori.
Letteratura inglese
NGram: la percentuale di termini osceni nella letteratura inglese (1940-2008).
Nel grafico, si possono identificare tre anni cruciali: 1961, 1964/66 e 1970. Il che coincide con alcuni eventi cruciali, come la pubblicazione – assai contestata – di Lady Chatterley’s Lover, il romanzo erotico di D.H.Lawrence che fece scandalo. Dal 1984 al 1998 si registra un crescendo quasi costante, con un calo non facilmente spiegabile nel 2000: bisognerebbe capire che tipo di libri sono stati digitalizzati in quel periodo.
Ma a un’analisi più attenta delle fonti librarie, emergono alcuni clamorosi errori (bias) nel campione: nell’elenco sono conteggiati anche i dick intesi come cognomi (Moby Dick), e diversi libri della letteratura statunitense, come “Tropico del cancro” di Henry Miller.
Letteratura statunitense
NGram: la percentuale di termini osceni nella letteratura statunitense (1940-2008).
Negli States i periodi di esplosione erotica risultano il 1966 e il 1971/73. Anche negli Usa l’esplosione oscena risulta in costante aumento dal 1987 in poi. Ma con gli stessi errori statistici riscontrati nella letteratura britannica.
Letteratura francese
NGram: la percentuale di termini osceni nella letteratura francese (1940-2008).
NGram: la percentuale di termini osceni nella letteratura francese (1940-2008).
In francese risultati sono ancora più controversi: per i termini che denotano l’atto sessuale, ho dovuto scartare baiser e coucher perché hanno come significato principale dei termini neutri (rispettivamente, “baciare” e “coricare”). Ecco perché ho inserito niquer. Per quanto riguarda l’organo maschile, bite, Ngram censisce anche i libri inglesi, nei quali il termine significa “morso”, il che falsa un po’ i risultati. In più ho dovuto separare i risultati relativi a con, l’organo femminile, perché ha una frequenza d’uso di gran lunga maggiore: sia perché in francese è anche un insulto, sinonimo di “stupido”, “idiota”; sia perché, ancora una volta, Ngram censisce anche i risultati italiani, nei quali “con” è una preposizione.
Fatte queste premesse, per niquer e bite i periodi d’oro sono il 1965 e 1968, e il 1974-1975. Per con, a parte i picchi del 1944, 1954 e 1961, risultano più credibili quelli del 1973 e del 1978.
Letteratura spagnola
NGram: la percentuale di termini osceni nella letteratura spagnola (1940-2008).
In Spagna, per il probabile effetto delle censure del periodo franchista (1939-1975), la rivoluzione sessuale risulta più tarda: il 1973 e il 1979, ma solo nella seconda metà degli anni ’90 i termini osceni si diffondono a macchia d’olio. Ma nel catalogo entrano anche altri sensi di polla, che può significare anche gallina, pollastra e posta, scommessa.
Conclusioni
Anche NGram sembra confermare un dato già noto: ovvero che la rivoluzione sessuale è iniziata prima nei Paesi angloamericani (intorno al 1966), e poi si è diffusa in quelli latini (1973/75).
Tra i termini volgari osceni, nella letteratura angloamericana è più frequente il termine che designa l’atto sessuale (fuck) anche perché è usato anche come imprecazione o come maledizione (fuck off). In francese e in spagnolo, invece, è più frequente il termine che designa l’organo sessuale femminile (con e coño) perché in ambo le lingue è usato anche come insulto o come imprecazione.
A parte queste considerazioni, sulle parolacce oscene Ngram mostra i suoi punti deboli:
Dunque, per stabilire l’epoca d’inizio della rivoluzione sessuale continueremo a fare come in passato: a spanne. In attesa che l’informatica faccia altri progressi…
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