lipofobia | Parolacce https://www.parolacce.org L'unico blog italiano di studi sul turpiloquio, dal 2006 - The world famous blog on italian swearing, since 2006 Thu, 05 Apr 2018 10:00:23 +0000 it-IT hourly 1 https://www.parolacce.org/wp-content/uploads/2015/06/cropped-logoParolacceLR-32x32.png lipofobia | Parolacce https://www.parolacce.org 32 32 Quel fascismo strisciante contro i grassi https://www.parolacce.org/2015/03/19/pregiudizi-verso-gli-obesi/ https://www.parolacce.org/2015/03/19/pregiudizi-verso-gli-obesi/#comments Thu, 19 Mar 2015 11:09:58 +0000 https://www.parolacce.org/?p=7132 Se insulti un nero, sei razzista. Se insulti un gay, sei omofobo. Se insulti un ciccione, invece, sei simpatico. Parliamo tanto di combattere lo “hate speech“, cioè l’intolleranza. Ma usiamo due pesi e due misure: perché consideriamo normale il disprezzo… Continue Reading

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FatPride

Il “Fat pride”, contro-manifestazione per i diritti dei grassi.

Se insulti un nero, sei razzista. Se insulti un gay, sei omofobo. Se insulti un ciccione, invece, sei simpatico.
Parliamo tanto di combattere lo “hate speech“, cioè l’intolleranza. Ma usiamo due pesi e due misure: perché consideriamo normale il disprezzo verso chi ha qualche chilo di troppo. Tanto da dedicargli un ricco vocabolario offensivo con almeno una dozzina di insulti mirati: grassone, barile, porco, trippone, elefante, balena, palla di lardo, lardoso, pancione, obeso, falsomagro e ciccione.
Insulti bonari? Tutt’altro. Queste parole producono un’emarginazione irreversibile, che dall’infanzia dura fino all’età adulta. Chi è grasso “sviluppa l’idea di essere sbagliato, impotente, inferiore” osserva il pedagogista Francesco Baggiani, autore di “P(r)eso di mira” (Clichy), il primo libro italiano contro i pregiudizi ponderali. Le persone grasse sono discriminate a scuola (dall’asilo all’università), nell’assistenza sanitaria e sul lavoro: non sono assunti, e se lo sono hanno stipendi più bassi e non fanno carriera. Secondo l’osservatorio del Comitato Cido (che tutela i diritti delle persone affette da obesità), gli insulti agli obesi hanno superato l’omofobia e la xenofobia. E spesso si registrano aggressioni, anche fisiche, ai danni di chi ha l’unica colpa di avere più adipe degli altri. “Il salutismo imperante rischia di diventare il razzismo del terzo millennio. Un’obesofobia che sta assumendo i toni integralisti e intolleranti di una vera e propria persecuzione. Quasi che il sovrappeso sia una macchia morale” avverte l’antropologo Marino Niola  nel libro “Homo dieteticus“. E gli insulti contro le persone grasse rientrano nella categoria degli insulti fisici, di cui parlo in questo articolo: sono, in generale, gli insulti più pesanti per squalificare una persona.

grassone

Locandina di un circo: un obeso esposto come fenomeno da baraccone.

In un’epoca di “political correctness”, salta all’occhio che l’Europa non abbia leggi che vietino la discriminazione in base al peso del corpo: un baby sitter danese che era stato licenziato ha fatto ricorso in Tribunale, e il caso è approdato alla Corte Europea di giustizia. La quale ha replicato che non esistono leggi che vietino la discriminazione per obesità: l’unica tutela possibile sarebbe quella di dimostrare che l’obesità è un handicap, cioè impedisce di lavorare alla pari con i non-obesi. A oggi, l’unico Paese europeo che ha varato una legge in difesa della dignità delle persone sovrappeso è la Spagna, nel 2011: la legge 17/2011 (su sicurezza alimentare e nutrizione) dice all’articolo 37 che “è vietata ogni discriminazione diretta o indiretta basata su sovrappeso e obesità”.
Ma da dove salta fuori questa grassofobia, tanto crudele da annullare ogni umana empatia? E se l’obesità è un eccesso alimentare al pari dell’anoressia, perché verso le anoressiche proviamo solidarietà e compassione, mentre per i grassi solo dileggio e colpevolizzazione? Perché abbiamo molti pregiudizi sui grassi. Baggiani li ha raccolti qui:

  • Sono ingordi e non riescono a controllare la fame
  • non hanno autocontrollo e umore instabile
  • non hanno forza di volontà
  • sono pigri
  • non curano l’igiene
  • sono meno intelligenti

BaggianiPer quanto meno diffusi, ci sono anche pregiudizi positivi: le persone grasse sono considerate oneste, generose, socievoli, simpatiche, calorose, spiritose. Basti pensare a Oliver Hardy, Bud Spencer, Luciano Pavarotti, Barry White, Sancho Panza.
Ma da dove saltano fuori questi pregiudizi? Innanzitutto, dall’ignoranza medica nei confronti di questa condizione. L
‘obesità di per sè non è una malattia, ma un fattore di rischio per altre malattie (cardiovascolari e tumori). E non esiste una sola obesità, ma due grandi famiglie: le obesità primarie, causate da una dieta ipercalorica e una vita sedentaria; e le obesità secondarie, causate da malattie genetiche, endocrine, neurologiche. La distinzione è fondamentale, perché mette in chiaro un punto fondamentale: non tutte le obesità dipendono dalla volontà di chi ne soffre. Dunque, non sempre un obeso è tale per “mancanza di autocontrollo” o per “ingordigia”.
Restando in campo medico, c’è anche un’altra riflessione da fare, e piuttosto inquietante. Se l’obesità aumenta il rischio di contrarre malattie gravi, noi stigmatizziamo i grassi non tanto perché siamo preoccupati della loro salute, quanto perché potrebbero diventare una zavorra economica del Sistema sanitario. Chi è obeso rischia di pesare, in avvenire, sulle finanze pubbliche perché avrà bisogno di assistenza. Come i disabili, i malati di mente, gli alcolisti e i tossicodipendenti, guardacaso anch’essi emarginati e disprezzati. In tempo di crisi del Welfare e di risorse scarse, è responsabile porsi anche questo problema.
Ma è una prospettiva scivolosa: basta poco, e si potrebbe scivolare nella tentazione di negare un aiuto a tutti gli obesi, in nome dei risparmi economici. Il che sarebbe disumano: nella Germania nazista, ricorda la filosofa Nunzia Bonifati in “Homo immortalis“, i programmi di eugenetica miravano a “rinforzare la razza” eliminando i deboli, i malriusciti e chi grava sulla collettività, pesando sui bilanci pubblici. In fondo, il consumismo moderno è sottilmente nazista: chi non produce, chi non rende, chi intralcia il fluire del mercato va emarginato. Ma la mentalità dominante è contraddittoria: viviamo in una società obesogena, che ci mette a disposizione una grande quantità di cibo e una vita sedentaria. E quella stessa società ci impone di essere snelli, efficienti, giovani: dunque stigmatizzare i grassi serve a rimuovere le nostre contraddizioni (non sono io che sono sedentario, sei tu che sei obeso!) e a esorcizzare le nostre paure di insuccesso. Senza contare – altro fattore economico – che colpevolizzare il grasso alimenta il business planetario delle diete “light”, dei dimagranti e degli interventi chirurghi estetici.

Bruegel-Cucina-grassa

Incisione di Pieter Bruegel il Vecchio: la cucina grassa (1563).

Ma il disprezzo verso i grassi ha radici molto più profonde, e non ha sempre caratterizzato il pensiero occidentale. Nelle civiltà più antiche, per esempio, la grassezza era l’archetipo della femminilità procreatrice e nutrice: basta guardare le statue delle abbondanti Veneri paleolitiche (come anche delle donne di Rubens, Botero, Fellini). I primi nemici dei grassi furono gli antichi Greci, che detestavano ogni forma di eccesso. Con i Romani e i Barbari, i valori si sono capovolti: il corpo grasso era una manifestazione di potere, di ricchezza e benessere, in un’epoca in cui il cibo non era alla portata di tutti. “Nelle regioni agrarie del Mediterraneo i contadini, dopo avere speso una vita nel tentativo vano di accumulare calorie, al momento della morte venivano vestiti per il funerale con un cuscino sulla pancia, ben nascosto sotto l’abito della festa. Perché si presentassero nell’altra vita belli grassi come dei veri signori. Essere pasciuti, ancor meglio se panciuti, era allora il segno tangibile dell’opulenza. E dunque del benessere e della bellezza“, racconta Niola.
Col Medioevo, tutto si è capovolto: il peccato di gola diventa un vizio capitale. “A essere sotto accusa non era la grassezza in sé e per sé, ma gli appetiti smodati di cui la taglia era la prova tangibile. Non ragioni estetiche ma etiche. Perché a essere in questione non è la salute del corpo ma la salvezza dell’anima”, aggiunge Niola.”Un tempo l’obesità era peccato, oggi è malattia”.
Dal Rinascimento, e fino alla rivoluzione industriale, il grasso è tornato a essere uno status symbol di ricchezza e benessere.

PerfectBody

Sopra, la campagna di “Victoria’s secret” con modelle super magre; sotto, la contro-campagna di Dear Kate.

I canoni sono cambiati anche per influsso della moda: nel 1924 lo stilista francese Jean Patou fu il primo a proporre le modelle “alte, snelle, senza fianchi e con caviglie fini”. Per esaltare un abito, infatti, un corpo snello è più adatto perché non ne modifica le forme. E questi “manichini umani” hanno ribaltato i canoni della bellezza femminile, avvicinandola pericolosamente all’anoressia. Per fortuna, questo modello estremo inizia a essere contestato. Quando l’anno scorso Victoria’s secret (produttore americano di lingerie) ha lanciato la campagna pubblicitaria “The perfect body”, con 10 modelle super magre, le reazioni non si sono fatte attendere: prima alcuni produttori di abbigliamento femminile per tutte le taglie (come Dear Kate e JD Williams) hanno proposto una contro-campagna con modelle più formose. Poi un gruppo di donne britanniche ha lanciato una petizione, accusando quella campagna di “promuovere uno standard di bellezza insalubre e irrealistico”, minando l’autostima delle donne, facendole sentire inadeguate e non attraenti. La campagna ha ricevuto 33mila adesioni e alla fine Victoria’s secret ha dovuto cambiare slogan: non più “Perfect body” ma “A body for every body”, cioè un corpo per tutti. E negli Usa è nato il movimento “Fat pride”, orgoglio grasso, impegnato nella lotta alla discriminazione basata sul peso. Sperando che alla questione sia dato… il giusto peso.

 

ULTIM’ORA

Oggi, a distanza di 5 giorni da questo post, l’università britannica UCL (University College London) ha pubblicato una ricerca scientifica sull’impatto della discriminazione nella vita delle persone grasse.
Ecco i risultati: su oltre 5 mila adulti studiati, quanti erano stati discriminati in base al loro peso hanno registrato un aumento del 70% nei sintomi di depressione, un calo del 14% nella qualità di vita e il 12% in meno di soddisfazione della vita rispetto a quanti non erano stati emarginati per il loro peso.
Ed ecco le conclusioni dello studio, guidato dall’epidemiologa Sarah Jackson. “La discriminazione può essere una causa importante di scarso benessere per le persone obese. Non ci sono leggi che vietino la discriminazione in base al peso, e questo potrebbe veicolare alla gente il messaggio che questo tipo di discriminazione sia accettabile. La discriminazione è parte del problema-obesità, e non la soluzione. Tutti, compresi i medici, dovrebbero smetterla di incolpare e far provare vergogna alle persone per il loro peso, e offrire invece un supporto o, quando necessario, un trattamento”.

uomo_grasso_copertinaUna lettrice di questo blog segnala un’ulteriore (e sottile) forma di discriminazione verso gli over size: il dilemma dell’uomo grasso. E’ un esercizio di filosofia morale che consiste nell’affrontare questo caso: “Un carrello ferroviario fuori controllo corre verso 5 uomini che sono legati sui binari: se non sarà fermato li ucciderà tutti e 5. Vi trovate su un cavalcavia e osservate la tragedia imminente. Tuttavia, un uomo molto grasso, un estraneo, è in piedi accanto a voi: se lo spingete facendolo cadere sui binari, la notevole stazza del suo corpo fermerà il carrello, salvando 5 vite, anche se lui morirà. Voi uccidereste l’uomo grasso?”. Insomma, uccidere un uomo grasso può essere “il minore dei mali”. E nessuno, a quanto mi risulta, ha protestato.

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