Ecco la mia “Top ten” con i 10 episodi volgari più emblematici e divertenti riportati dalle cronache nazionali e internazionali. Per sorridere e per riflettere. Come per le precedenti edizioni, ho selezionato gli episodi con 3 criteri: il loro valore simbolico, le loro conseguenze e la loro carica di originalità. Buona lettura. E buon anno!
Se volete leggere le classifiche degli ultimi 13 anni, potete cliccare sui link qui di seguito: 2020, 2019, 2018, 2017, 2016, 2015, 2014, 2013, 2012, 2011, 2010, 2009 e 2008.
Ha parlato di questo articolo la AdnKronos, NewsRimini, Italia sera, SbirciaLaNotizia, Spettakolo.
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Facciamo una scommessa. Secondo voi, qual è la percentuale di tweet che contengono insulti in Italia? In altre parole: quanto è diffuso l’hate speech, l’odio, sui social network nel nostro Paese?
Vi do 4 possibilità:
A) 28,7%.
B) 21,6%.
C) 13,2%.
D) 3,7%.
Quale risposta avete scelto? Se è una delle prime 3, beh: siete fuori strada. Perché la risposta corretta è l’ultima: i tweet a contenuto offensivo sono meno del 4% del totale. L’ha accertato una recente ricerca sull’hate speech fatta da DataMediaHub e KPI6: le due società hanno analizzato i tweet scritti fra il 25 aprile e il 17 giugno scorso. Su un totale stimato di oltre 18 milioni di conversazioni, solo 679mila contenevano insulti. Il 3,7% per l’appunto. E hanno generato un coinvolgimento, un seguito trascurabile: il tasso di engagement (cioè le interazioni: like, retweet, etc) è solo dello 0,26%.
Al netto di alcune imprecisioni linguistiche, di cui parlerò più avanti, la ricerca è preziosa perché smonta un pregiudizio diffuso: che l’hate speech sia un’emergenza, un fenomeno diffuso. In realtà, è e resta un’eccezione, per quanto inquietante. Come del resto ho scritto in più occasioni, ad esempio quando ho presentato la mia ricerca sulle parolacce più pronunciate in italiano: sono soltanto lo 0,21% di tutte le parole. Dunque, su Twitter (e sui social in generale) si dicono oltre 17 volte più insulti: ma è un dato del tutto atteso, visto che con il paravento di uno schermo ci si sente meno inibiti a offendere rispetto a quanto si fa di persona. La sindrome dei “leoni da tastiera” che tutti conosciamo.
Una sindrome che colpisce soprattutto i giovani maschi, e si manifesta con un sintomo inequivocabile: la mancanza di fantasia. Gli odiatori usano infatti per lo più solo 5 insulti generici (li dico più sotto), prova che non hanno valide argomentazioni per motivare la loro rabbia. O, quanto meno, non le esprimono. Alla fine, i leoni da tastiera si comportano come gli ultras da stadio: tifano in modo acritico per la propria squadra (sia essa un partito, un personaggio, una posizione politica) e insultano quelle avversarie.
IL CAMPIONE. I tweet esaminati, come detto, sono stati circa 18,3 milioni. Quelli offensivi risultano 679mila, pari al 3,7% del totale. Li hanno digitati 148mila utenti, pari all’1,4% degli iscritti su Twitter in Italia (10,5 milioni). Come era facile immaginare, gran parte degli “odiatori” sono uomini: il 68%, più di 2 su 3. E la gran parte, il 35,9% sono giovani adulti fra i 25 e i 34 anni d’età. Se si aggiungono anche gli utenti fra i 35 e i 44 anni, emerge che il 64,5% degli insultatori ha fra 25 e 44 anni d’età.
I TERMINI CENSITI. In questa parte linguistica si annidano le uniche imprecisioni dello studio. Gli insulti sono classificati in 7 categorie: generici, sessisti, omofobici, razzisti, antisemiti, di discriminazione territoriale, ideologici, per un totale di una novantina di termini.
Il vocabolario degli odiatori: insulti al posto delle argomentazioni.
L’elenco di quelli generici è però incompleto: mancano (solo per fare i principali esempi) carogna, cornuto, infame, rompicazzo, marchettaro, cazzone; e in questa categoria figura “rotto in culo” che invece, di per sè, sarebbe dovuto rientrare in quelli omofobici. Fra gli insulti sessisti mancano gli insulti rivolti ai maschi (puttaniere, mezzasega, sfigato), come avevo argomentato in questo articolo; e in quelli omofobi mancano quelli rivolti ai transgender (travestito).
Discorso a parte l’elenco di quelli razzisti, che non comprende termini come crucco e muso giallo; e in questa categoria più generale sarebbe stato più corretto inserire anche quelli antisemiti (giudeo) e di discriminazione territoriale (terrone e polentone) che sono solo varianti sul tema.
D’altronde, va ricordato che gli autori della ricerca non sono linguisti e qualche errore era da mettere in conto (per evitarli bastava leggere il mio libro , dove c’è l’elenco completo degli insulti e in generale delle parolacce in italiano). Ma l’indagine resta comunque valida perché dà un polso concreto, un ordine di grandezza definito della situazione.
I TERMINI PIU’ USATI. Il rapporto sull’hate speech in Italia è interessante anche per un altro aspetto: mostra che la maggior parte degli insulti, il 62,2%, sono offese del tutto generiche (coglione, stronzo…). Seguono, a distanza, le offese politiche (fascista, comunista, etc) col 25,4%, mentre gli appellativi sessisti (troia, zoccola) si fermano al 7,7%. Marginali gli insulti razzisti (negro, terrone, ebreo) , che in tutto raggiungono il 2,77% e ancor meno quelli omofobi (culattone) all’1,9%.
Non si può dire che gli “odiatori” brillino per fantasia lessicale: i 5 termini più usati (presenti nel 70,38% dei tweet, più di 2 su 3) sono:
coglione: 28,06% (è anche la 12° parolaccia più pronunciata in italiano)
fascista: 16,4%
comunista: 11,20%
stronzo: 8,27% (8° parolaccia più pronunciata in italiano)
imbecille: 6,45% (26° più pronunciata).
Accorpando questi termini per aree semantiche, gli insulti generici pesano per circa il 42,78%, mentre quelli ideologici per il 27,6%. E anch’essi, in fin dei conti, sono etichette prive di contenuto specifico. Sono giudizi sommari, un modo di liquidare gli avversari gettando addosso secchiate di fango. Senza motivare il perché. E’ vero che il format di Twitter non aiuta: ogni tweet può contenere al massimo 280 caratteri, nei quali non si possono condensare ragionamenti complessi. Ma le ricerche su altri social network (Facebook, chat, etc) danno risultati simili. Quindi, in realtà, la responsabilità dell’hate speech non è del “medium”: è dell’uomo.
PICCHI STAGIONALI. Gli insulti, rileva la ricerca, hanno avuto due picchi in occasione del 25 aprile (festa della liberazione dal fascismo) e del 2 giugno (festa della Repubblica), due date in cui si scatenano le rivalità fra destra e sinistra. L’Italia, insomma, non ha ancora fatto i conti fino in fondo con il proprio passato.
ARGOMENTI SCOTTANTI. Quali sono gli argomenti che scatenano l’aggressività su Twitter? Sono 4, dice il report.
Gli insulti più usati verso i 3 politici più citati: Matteo Salvini, Giorgia Meloni, Giuseppe Conte (clic per ingrandire).
politica: è l’argomento del 26% dei tweet. I personaggi che hanno attirato la maggior parte dei commenti astiosi sono Matteo Salvini, Giorgia Meloni e Giuseppe Conte. I primi due per le posizioni sull’immigrazione, il terzo in quanto premier (e quindi incolpabile in via di principio per tutte le decisioni politiche). Sia Salvini che Conte ricevono più spesso l’insulto generico “coglione”; la Meloni quello ideologico “fascista”. Dunque, gli scontri politici si giocano a suon di insulti privi di contenuto, usati per squalificare le persone nella loro interezza più che per criticare posizioni precise con argomentazioni razionali.
La classifica delle parolacce dell’anno: siamo alla 11ma edizione (montaggio disegno Shutterstock).
Quali sono state le parolacce più notevoli del 2018, in Italia e nel mondo? In questo articolo trovate la “Top ten” dell’anno: i 10 insulti più emblematici e divertenti fra quelli riportati dalle cronache nazionali e internazionali.
Come per le precedenti edizioni, ho selezionato gli episodi con 3 criteri: il loro valore simbolico, le loro conseguenze e la loro carica di originalità. Sono episodi rivelatori: fanno sorridere ma anche riflettere.
Molti casi arrivano dalla politica, che è diventata un ring con insulti da stadio (e non solo in Italia). Diversi casi anche dallo sport, dall’economia e dallo spettacolo. E’ straordinario vedere come una parola scurrile possa stupire, ferire, generare reazioni a catena, e quasi sempre mettere in difficoltà chi la dice. Tornando indietro come un boomerang.
E quest’anno chi è il vincitore assoluto? Personalmente sono indeciso fra Trump, Dolce&Gabbana e la stagista della Nasa… E per voi qual è l’insulto più notevole del 2018?
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Di questo articolo hanno parlato AdnKronos, Yahoo notizie, Il Secolo d’Italia.
Se volete leggere le classifiche dei 10 anni precedenti, potete cliccare sui link di seguito: 2017, 2016, 2015, 2014, 2013, 2012, 2011, 2010, 2009 e 2008. Buon anno!
The post Parolacce: la “Top ten” del 2018 first appeared on Parolacce.]]>Dopo 3 anni, divorziano due uomini d’affari: l’indonesiano Aga Bakrie (socio del presidente dell’Inter Erick Thohir) e Nat Rothschild (erede della storica dinastia bancaria britannica). Si erano uniti nella società Bumi per il business del carbone in Asia, ma gli affari erano andati male. Così Barkrie, per 500 milioni di dollari, ha comprato le quote della Bumi di Rotschild. A transazione finita, Rotschild ha subito twittato: «Grazie d’aver ricomprato un inutile mucchio di merda. Non vedo l’ora di vedere la Bumi a quota zero».
Bakrie ha replicato con più aplomb, scrivendo: «Abbiamo riportato in Indonesia le nostre miniere strappandole agli imperialisti». Ma Rotschild ha ribattuto: «mentre tuo padre è un genio, corre voce che tu sia un grosso stupido!». E Bakrie: «Ah ah… “Stupido” credo sia la parola che viene associata a te dalla maggior parte delle persone che ho incontrato».
Raramente si può assistere a uno scontro così crudo nel mondo degli affari: in questo caso l’economia ha svelato davanti a tutti il suo volto più spietato, fatto di sopraffazioni fatte e subìte, sberleffi, offese.
E’ la vigilia del Gran Premio di F1 a Hockenheim (Germania). Niki Lauda, ex pilota e oggi presidente non esecutivo della Mercedes, viene intervistato dal quotidiano spagnolo El Paìs. E conferma la sua fama di uno che parla senza peli sulla lingua. Commentando la stagione dice: «La McLaren ha il nostro stesso motore e l’auto è una merda. Dove sono? Da nessuna parte. Guarda la Ferrari: altra auto di merda. L’anno prossimo sarà diverso perché potranno cambiare metà motore».
A 65 anni d’età, Lauda è rimasto uguale a se stesso: ha sempre detto ciò che pensa, senza guardare in faccia a nessuno. Aveva detto che “La Ferrari è un’auto di merda” già nel lontano 1974: non a un giornale, ma a Piero Ferrari, figlio del Drake, quando correva nella scuderia del cavallino rampante.
Dopo l’intervista al Paìs e il clamore che ha suscitato, Lauda si è scusato: «sono stato troppo pesante nel termine, perdonatemi. E’ come se fossi arrivato lungo in una frenata, può succedere».
E’ il 1987. Sul “Journal of Statistical Physics” esce una ricerca firmata da Bill Moran, William G. Hoover e… Stronzo Bestiale, improbabile ricercatore dell’università di Palermo.
Per 27 anni questa ricerca è stata una leggenda tra i fisici: nessuno ne aveva scoperto la vera storia. Lo scorso autunno, quando l’ho saputa, ho deciso di indagare: ho chiesto spiegazioni al prof. Hoover, fisico statunitense oggi in pensione. E per la prima volta Hoover ha svelato il retroscena di quella storia.
Aveva sentito l’espressione «Stronzo bestiale» da due italiane incontrate in un viaggio aereo: «Quella frase mi era rimasta impressa. E ho deciso che Stronzo Bestiale sarebbe stato il coautore perfetto per una ricerca rifiutata». Così ha cambiato titolo alla ricerca, ha aggiunto come autore Stronzo Bestiale e… la ricerca è stata pubblicata.
Quando ho raccontato questa storia, il sito parolacce.org ha ricevuto 152 mila visitatori da tutto il mondo (Usa, Regno Unito, Russia, Germania, Spagna, Francia, Cina, Sud Africa….), e il caso è stato segnalato da giornali, siti e radio di tutto il mondo: fra gli altri, dal sito della rivista statunitense Science.
E’ una delle beffe più riuscite e più lunghe nella storia della scienza. E svela che anche gli scienziati possono avere forti passioni e senso dell’humor.
La conduzione di Paolo Ruffini alla cerimonia dei David – uno dei premi cinematografici più prestigiosi – ha sollevato diverse polemiche. Era stato reclutato per alleggerire l’atmosfera del premio, ma si è lasciato un po’ prendere la mano. Soprattutto quando, in apertura, ha consegnato a Sophia Loren un premio speciale. Accogliendo l’attrice, in splendida forma a 80 anni d’età, il 36enne Ruffini, toscano, le ha detto: «Signora Loren, è sempre una topa meravigliosa, se lo lasci dire».
Imbarazzo in sala, la Loren impassibile. Dopo qualche secondo, la celebre attrice gli ha detto: “E’ proprio una bischerata. Non so neanche cosa significa, lei parla un dialetto che io non conosco”. La frittata, comunque, era fatta: Ruffini è stato bersagliato sui social network e sui giornali (anche per il resto della serata, tanto che il suo concittadino Paolo Virzì l’ha invitato a usare toni più consoni). «Se la Loren si è offesa, mi scuso», ha replicato Ruffini, «ma solo per un fatto di forma, non per la sostanza: topa è un complimento che a Livorno è considerato colloquiale». Vero, ma solo in parte, dato che topa denota i genitali femminili: un’espressione inadatta per rivolgersi a una donna di 80 anni, e per di più una gloria del cinema mondiale.
Alessandra Moretti, eurodeputata Pd e candidata alle primarie per le Regionali in un’intervista al Corriere della sera parla di stile “ladylike” (signorile), difendendo la bellezza in politica «che non è incompatibile con l’intelligenza». Dopo averla vista e ascoltata, Marco Zurru, professore associato di sociologia dei processi economici e del lavoro all’università di Cagliari, scrive un post politicamente scorretto su sardegnablogger.it. Il titolo è tutto un programma: «Figa al potere, disastro sociale». Nell’articolo, definisce la Moretti una «starnazzante bonazza», poi dice: «cosa ci sia di rappresentativo nel modello del far politica al femminile proposto da questa signorina “bravissima e bonissima, proprio non lo capisco … che cazzo c’entra la figa con la buona politica?».
Quando ha pubblicato l’articolo è scoppiato il putiferio: il rettore dell’università di Cagliari ha avviato una procedura per la contestazione dello scritto. E Zurru alla fine si è scusato: «ho esagerato, nella forma, nel lessico e nelle citazioni volgari. E di questo mi scuso, prima di tutto con l’onorevole Moretti, e con tutte le donne».
L’articolo è stato rimosso dal Web (è ancora visibile qui). Raro leggere un attacco al tempo stesso così intellettuale e così volgare da parte di un docente universitario. Sarebbe stata un’invettiva condivisibile, perché contestava il primato della civetteria sui programmi politici (considerazione che vale anche per gli uomini); ma si è ritorta come un boomerang contro lo stesso autore, per evidente incontinenza espressiva: Zurru è arrivato a scrivere «a questa signorina “bravissima” e bonissima – due colpi (anche quattro, a dire il vero) glieli darebbe chiunque».
Il critico d’arte Vittorio Sgarbi è ospite di Giuseppe Cruciani a “La zanzara” su Radio 24. Cruciani, provocatoriamente, lancia Sgarbi come candidato per la presidenza della Repubblica. Un ascoltatore, Paolo da Udine, chiama in trasmissione e dice di «aver le palle piene di ascoltare Sgarbi», dicendogli «sei finito». Sgarbi reagisce dicendo: «Tu sei una merda secca». Poi sbrocca senza freni, con una sequela quasi ininterrotta di 3 minuti e mezzo. Un’antologia da record. Ecco i contenuti: «Finito lo dici a tua madre. Io sono vivissimo. Tu sei finito. Inesistente. Morto. Imbecille. Cornuto. Sei uno scassaminchia. Non rompere il cazzo. Non sei niente. Tu sei morto prima di nascere. Tu non parli, scorreggi! Dalla bocca ti escono scorregge. Sei un cretino, cretino mistico. Ti copro di merda come meriti. Scorreggia fritta. Inutile. Povero cretino. Ladro. Imbecille. Non capisci un cazzo, ignorante, capra! Morto. Fuori dai coglioni. Imbecille».
Una sequela di insulti da antologia, che supera l’ormai mitico «Capra! Capra! Capra!» rivolto ad Aldo Busi in tv (Rai1, “Chiambretti c’è”) nel 2011. In questo caso, però, Sgarbi ha sfoderato una certa creatività linguistica, con un lessico vario e originale.
Milano, in un hotel lo stilista Alessandro Martorana festeggia i 40 anni. Fra le invitate, le showgirl brasiliana Ana Laura Ribas (46 anni) e l’argentina Belén Rodrìguez (30).
Fra le due starlette non corre buon sangue: l’anno scorso la Ribas aveva detto che Belen aveva trasformato il suo matrimonio «in un circo». Così quando si sono incontrate alla festa, Belen ha attaccato la Ribas dicendole: «Sei vecchia Ribas, non lavori più, sei vecchia!». La Ribas ha reagito dicendole: «Se io sono vecchia tu sei una sfigata!».
La polemica, per la felicità dei giornali di gossip, si è trascinata su Twitter, sui siti Internet e le riviste. Un litigio da soubrette d’altri tempi, ambientato in un lussuoso albergo durante il party di uno stilista: mancavano solo le borsate in testa, le tirate di capelli e i flash dei paparazzi.
Strasburgo, Europarlamento, Si discute della direttiva sugli appalti pubblici. Matteo Salvini definisce il provvedimento «tanta aria, l’ennesimo documento che giustifica lo stipendio di qualche centinaio di burocrati europei che vanno a complicare la vita a imprese, lavoratori e sindaci».
L’eurodeputato socialista belga Marc Tarabella non ci vede più e replica: «Collega Salvini. E’ una vergogna sentirvi in aula, perché per un anno e mezzo abbiamo lavorato, e bene, con i colleghi… Sei l’unico che non abbiamo mai visto in riunione. E facile dire che abbiamo fatto aria. Come va a spiegare ai suoi elettori che è un fannullone in questo Parlamento, è solo in tv e mai in aula, mai in riunione per lavorare, E’ una vergogna».
E la risposta finale di Salvini, alla fine conferma le accuse: «Io non me la prendo. Ci sta, ci sta il dissenso. Non me la prendo. (…) So che il documento finale non porta a casa neanche un terzo di quello che io e il presidente avremmo voluto. Non me la prendo. Gli lascio le mie opinioni. Io alle piccole imprese lombarde e italiane gli porto in dote il nulla. Lo ringrazio per lo stimolo a essere più presente. L’avrei fatto molto volentieri se non avessi avuto la certezza fin da subito che non saremmo arrivati a niente, o quasi, in nome del mercato. Non mi offendo. E gli mando un abbraccio».
Il video è diventato un cult per la schiettezza indignata di Tarabella, che ha trattato Salvini come uno scolaretto indisciplinato (tanto che poi Salvini ha poi ricevuto il “Tapiro d’oro” di “Striscia la notizia”). Lì per lì Salvini ha incassato. Poi però ha voluto ribadire, su Facebook, di avere un’alta produttività in Parlamento. Ma non ha potuto smentire l’assenza che aveva ammesso in aula.
Mondiali di Calcio: l’Italia batte il Regno Unito per 2 a 1. Maurizio Gasparri, vicepresidente del Senato (Pdl), twitta: “Fa piacere mandare a fare… gli inglesi, boriosi e coglioni”.
Un attacco a gamba tesa: Gasparri, del resto, è noto per uno stile tutt’altro che sobrio su Twitter, dove non esita a insultare altri politici, personaggi dello spettacolo e comuni cittadini. Stavolta il suo Tweet, oltre a scatenare valanghe di commenti negativi in Rete, varca la Manica diventando un caso internazionale: ne ha parlato con dovizia di particolari perfino il quotidiano britannico Guardian, che ha definito Gasparri «uno dei politici italiani più abituali alle gaffe».
Ma Gasparri non se n’è dato per inteso: «è una tempesta in un bicchier d’acqua», ha commentato. «Mi diverte questa polemica un po’ ridicola che hanno montato su una cosa avvenuta nell’euforia per la vittoria. Il fatto è che l’Italia batte abitualmente l’Inghilterra nelle partite importanti. Noi siamo 4 volte Campioni del Mondo mentre loro hanno vinto la Coppa solo una volta nel ’66». Insomma, nessun pentimento: si attende il prossimo incidente internazionale.
Partita inaugurale dei Mondiali (Brasile-Croazia, finita 3-1). Tra i 62 mila spettatori presenti all’arena Corinthians, in migliaia hanno intonato più volte in coro: «Ehi, Dilma, vai tomar no cú» («Ehi, Dilma, vaffanculo»). Un “vaffa” clamoroso, avvenuto davanti alle telecamere di tutto il mondo e ad altri 12 capi di Stato presenti in tribuna.
Mai, nella storia del Brasile, si era assistito a una contestazione così clamorosa verso un presidente, e per di più donna. Il motivo? Innanzitutto, il diffuso malcontento per i miliardi spesi per il Mondiale a fronte dei gravi problemi in cui versa il Paese, come raccontavo qui.
Il malcontento, nell’occasione, è stato cavalcato dalle opposizioni in vista delle elezioni presidenziali di ottobre, che però la “presidenta” ha vinto, ribaltando tutti i pronostici che la vedevano sfavorita. La Rousseff, ex guerrigliera, non ha smentito la propria fama di donna tenace: «Non sono criticata perché sono dura, ma perché sono donna». Per tutti questi motivi, il “vaffa” brasiliano è la parolaccia dell’anno 2014.
Volete leggere le top ten degli ultimi 6 anni? Ecco quelle del 2013, del 2012, del 2011, del 2010, del 2009 e del 2008.
La “Top ten” delle parolacce 2014 è stata segnalata da: AdnKronos, “Il Mattino“, “Leggo“, “Il Tempo“, SardegnaOggi, Focus.it, Oggi.it, NotizieTiscali, The horsemoonpost, ArezzoWeb, Giornale dell’Umbria.
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