mentula | Parolacce https://www.parolacce.org L'unico blog italiano di studi sul turpiloquio, dal 2006 - The world famous blog on italian swearing, since 2006 Fri, 27 Oct 2023 21:15:59 +0000 it-IT hourly 1 https://www.parolacce.org/wp-content/uploads/2015/06/cropped-logoParolacceLR-32x32.png mentula | Parolacce https://www.parolacce.org 32 32 Etimologia del cazzo https://www.parolacce.org/2016/04/26/origine-parola-cazzo/ https://www.parolacce.org/2016/04/26/origine-parola-cazzo/#comments Tue, 26 Apr 2016 15:03:38 +0000 https://www.parolacce.org/?p=9925   E’ la parolaccia che diciamo più spesso. Ha così tanti significati, derivati e varianti, che può esprimere qualsiasi cosa: non solo il sesso ma anche il nulla (cazzata), la stupidità (cazzone), la sorpresa (cazzo!), la noia (scazzo), la rabbia (incazzato),… Continue Reading

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Pene volante in un manoscritto del 1340 il “Decretum Gratiani”, testo di diritto canonico commentato da Bartolomeo da Brescia

E’ la parolaccia che diciamo più spesso. Ha così tanti significati, derivati e varianti, che può esprimere qualsiasi cosa: non solo il sesso ma anche il nulla (cazzata), la stupidità (cazzone), la sorpresa (cazzo!), la noia (scazzo), la rabbia (incazzato), la forza (cazzuto), le vicende private (cazzi miei), l’approssimazione (a cazzo), la parte più sensibile (rompere il cazzo)… Ed è anche un rafforzativo privo di significato, ma efficace per esprimere la propria rabbia e indignazione: “Che cazzo vuoi?”.
Ecco perché uno dei narratori più importanti del Novecento, Italo Calvino, aveva elogiato la sua “espressività impareggiabile“, che fa impallidire i suoi sinonimi nelle altre lingue europee: tanto che arrivò a suggerire di “farne un uso appropriato e non automatico; se no, è un bene nazionale che si deteriora, e dovrebbe intervenire Italia Nostra”.
(NB: Se volete approfondire tutti i modi di dire… del cazzo, trovate un approfondimento in quest’altro articolo).
Eppure, nonostante tutta questa popolarità la parola “cazzo” è un mistero, almeno per quanto riguarda la sua etimologia: da dove arriva? Schiere di linguisti hanno lanciato ipotesi più o meno plausibili: il problema è che, essendo stato per secoli un termine colloquiale e tabù, le sue tracce nella letteratura scritta sono molto scarse. In questo post cercherò di fare un po’ di chiarezza.

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“Qui abita la felicità”: iscrizione scaramantica in un panificio di Pompei.

Parto da una fonte autorevole: il Deli (Dizionario etimologico della lingua italiana) della Zanichelli, curato da Manlio e Michele Cortelazzo (e la rima è in tema). Il dizionario considera “più persuasiva” l’ipotesi del linguista triestino Franco Crevatin, secondo il quale la parola deriva da “oco“, maschio dell’oca, con l’aggiunta del suffisso -azzo. Insomma, deriva da ocazzo, con caduta della “o” iniziale: l’ipotesi è confermata dal fatto che, in alcuni dialetti, oco e oca significano “membro virile”. Un’ipotesi plausibile, non solo per la forma lessicale ma anche per il contenuto: come raccontavo  in questo post, infatti, molte metafore paragonano gli organi sessuali ad animali (uccello, sorca…).
Ma l’ipotesi non regge, osserva il linguista Ottavio Lurati: questo uso, infatti, appare in Lombardia diverso tempo dopo le prime citazioni letterarie  del termine cazzo, attestate per lo più in Italia centrale.

Qual è, allora, il documento in cui appare per la prima volta il termine “cazzo”? E’ un sonetto comico scritto da Rustico Filippi (1235-1295), poeta realista fiorentino.  Ecco il brano, dedicato probabilmente a Fastello dei Tosinghi, podestà guelfo di San Gimignano nel 1259:
Fastel, messer fastidio de le cazza,
dibassa [denigra] i ghebellini a dismisura,
e tutto il giorno arringa in su la piazza
e dice ch’e’ gli tiene ’n aventura [li giudica in pericolo].
Dunque, Fastello è chiamato “fastidio de le cazza”: ovvero, fastidio del cazzo. Oggi diremmo: rompicazzo. Da notare che qui “cazza” è al plurale: come molte parole latine neutre, che al plurale terminavano in -a. Dunque, la parola cazzo era usata a Firenze già nel Medioevo, nel 1200. Ma con quale significato? Per il linguista Angelico Prati  deriva dal tardo latino “cattia” (tazza) nel significato di mestola. Dunque, l’assonanza fra la parola cazzo e cazzeruolacasseruola, cazzuola deriva dalla loro comune parentela etimologica come attrezzi da cucina .

Albero dei peni nel "Roman de la rose", manoscritto francese del 1300.

Albero dei peni nel “Roman de la rose”, manoscritto francese (1300).

Ma questa interpretazione ha un problema, nota il linguista Antonio Lupis: e cioè che cattia e cazza significano tazza, contenitore, e non “manico“, come sarebbe logico supporre per evocare la forma fallica: tanto che nel sonetto di Filippi cazza è in realtà un sinonimo di scodelle, contenitori, “scatole”. Quindi, a rigore, “fastidio de le cazza” è un sinonimo di “rompicoglioni“.
In più, aggiunge Lupis, il femminile cazza è presente solo in un altro documento, il “Pataffio”, un componimento anonimo del 1521: “pur di cazza [mestola]  ‘l catino [vaso] imbratterò / ed il battaglio per lo corpo diemmi”. Ma, osserva Lupis, è una forma del 1521 “e occorrono forme antiche per giustificare l’equazione cazza=cazzo”.

In realtà, aggiunge Lupis, esistono molte più prove dell’uso del termine cazzo al maschile come “membro virile”:
1) in un documento del 1266 trovato ad Arco (Trento) in cui il termine è usato come soprannome;
2) in un documento fiorentino del 1295 che parla di “Neri caççuto” (cazzuto);
3) in un testo di Meo dei Tolomei del 1310: “tu porti ‘l gonfalon degli sciaurati/ figliuol di quella c’ha il cul sì rodente / che tuti i cazzi del mondo ha stancati“;
4) in un testo del 1360 di Dolcibene de’ Tori, buffone fiorentino: “I’ ho il cazzo mio, ch’è tanto vano, / che dorme in su’ coglioni e non si desta, / ed è cinqu’anni o più che non fu sano“;
5) nel glossario latino-eugubino della metà del 1300: “mentula, id est lo caçço“: documento notevole, perché equipara caçço (cazzo) a mentula, termine latino da cui deriva il termine minchia.

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Zucchina fallica trafigge un fico(a): decorazione a Villa Farnesina (Raffaello e Giovanni da Udine, 1516).

Dunque, conclude Lupis, il termine cazzo non deriva da cazza (= mestolo) perché cazzo è un termine originale dell’area umbro-toscana fin dal 1300. Da dove arriva, allora? Dal verbo captiare, cacciare, nel senso di “infilare, mettere dentro con forza”: cazzo, quindi, è “la cosa che si infila, si mette dentro“. Tanto che anche il verbo marinaresco cazzare (= tirare a sè una fune) ne condivide l’etimo, come anche la parola cazzotto, pugno forte, “cacciare via con forza”.
Stanno davvero così le cose? In mancanza di nuovi documenti, finora mi pare l’ipotesi più convincente.
In ogni caso, già dal 1400 il termine cazzo era diventato di uso comune: tanto che Leonardo da Vinci lo usò in una raccolta di facezie (oggi diremmo barzellette). In una racconta di un tale, Tommaso, che, arrivato a Modena, dovette pagare cinque soldi di gabella alle porte della città. Egli iniziò a protestare, e quando gli fu chiesta la ragione rispose: “O non mi debbo io maravigliare con ciò sia che tutto un omo paghi altro che cinque soldi, e a Firenze io, solo a metter dentro el cazzo, ebbi a pagare dieci ducati d’ oro, e qui metto el cazzo, e coglioni, e tutto il resto per sì piccol dazio? Dio salvi e mantenga tal città e chi la governa!”.
Oppure Nicolò Machiavelli, che in una lettera del 1514 a Francesco Vettori scrisse “Qui non ci sono femmine; che casa di cazzo è questa?”.
Per arrivare al massimo esponente della poesia licenziosa, Pietro Aretino, che nei “Sonetti lussuriosi” (1526) declamava:
Fottiamci, anima mia, fottiamci presto
perché tutti per fotter nati siamo;
e se tu il cazzo adori, io la potta amo,
e saria il mondo un cazzo senza questo”.

I sinonimi di “cazzo” nelle diverse lingue europee (https://ukdataexplorer.com/european-translator/).

Insomma, al di là delle sue oscure origini, già 500 anni fa l’uso della parola era assimilabile a quello di oggi. E proprio in quegli stessi anni emerse anche un uso “personificato” del termine: nel 1525, infatti, l’intellettuale umanista Antonio Vignali scrisse un’opera satirica, “La cazzaria“, nel quale i politici senesi del tempo erano rappresentati da “cazzoni, cazzi, culi e potte”. Un racconto grottesco, che si conclude con una fallocrazia “temperata” dalla rappresentatività delle altre tre fazioni (Cazzi, Potte, Culi) con l’esclusione dei testicoli: plebe manovrabile dalla demagogia e incline all’anarchia…
Quattro secoli dopo, Alberto Moravia usò un’idea simile in “Io e lui“, un romanzo nel quale il protagonista dialoga col proprio sesso. A riprova che non c’è nulla di più moderno dell’antico. O che il potere immaginifico del sesso non tramonta mai.

 

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