T-shirt goliardica di Fermento Italia (Lecce).
Ho fatto un giro di giostra. Me la sono fatta. L’ho battezzata. Ho inzuppato il biscotto. L’ho aperta come una cozza….
Quando si parla di un rapporto sessuale, si usano espressioni colorite. Molte, però, non sono il massimo della gentilezza: sono verbi nel migliore dei casi goliardici, ma spesso crudi e a volte offensivi per le donne.
Perché è così? Quanti modi abbiamo per descrivere l’atto sessuale? Ci sono metafore più efficaci di altre? E cosa svelano sul significato dell’erotismo?
Tempo fa, avevo fatto un censimento degli appellativi dei genitali: ne era emerso un quadro ricchissimo (avevo trovato 744 nomi per il pene, 595 per la vulva), e quel post è diventato uno dei più letti di questo sito.
Ora ho esaminato le parole sugli atti sessuali: a quanto ne so, è il primo censimento (meglio: analisi semantico-statistica) di questo genere in Italia. E anche in questo caso il risultato è stato sorprendente: in italiano – escludendo le espressioni dedicate a masturbazione, rapporto orale e anale – abbiamo 987 termini per designare l’amplesso, da “annaffiare” a “zappare” (in quel senso lì).
Sono circa 1/3 di tutto il lessico erotico. E rivelano due modi fondamentali con cui intendiamo il sesso: come piacere condiviso, o come atto di sopraffazione. Uno scenario che si registra non solo nella cultura italiana, ma anche in altre lingue: inglese, francese, portoghese, spagnolo, tedesco, russo, greco (vedi box più sotto)… Ora scopriremo perché.
Doppio senso provocatorio uscito su “Libero”.
Ma prima di approfondire questo punto, val la pena raccontare come sono arrivato a questo risultato. Per censire tutte le parole del sesso ho consultato il monumentale “Dizionario storico del lessico erotico” di Valter Boggione e Giovanni Casalegno (Tea/Utet, 1999). Un’opera che tiene conto di tutti, ma proprio tutti i termini sessuali usati in 8 secoli di letteratura italiana: dalle metafore alle allusioni, dai termini arcaici a quelli moderni, dagli eufemismi infantili ai termini scientifici, fino alle espressioni più volgari.
Gli autori, con pazienza certosina, hanno catalogato le espressioni a seconda del tipo di metafora usata: “Da quando ha raggiunto la civiltà, l’uomo si è scontrato con la necessità di nominare l’innominabile” scrive Boggione. “Per far questo, ha fatto innanzitutto ricorso ai termini che gli erano messi a disposizione delle altre funzioni corporali: il mangiare e il bere, il dormire, il muoversi e il camminare; poi dalle attività quotidiane, il lavoro, la guerra, il divertimento”.
Per descrivere l’amplesso – clicca sulla torta qui a lato – si usano soprattutto le metafore ricavate da atti e movimenti (chiavare, ficcare:, 21,4%), dai lavori (scopare, seminare: 14,7%), e dalla guerra (dare un colpo, fare un giro di giostra: 9,6%). Questi tre tipi di metafore, insieme, rappresentano quasi la metà (45,7%) di tutte le metafore sul sesso. Ed è logico, dato che il sesso è un’attività dinamica.
Fra queste espressioni, possiamo approfondire quella più usata in italiano: “scopare” (che è l’8a parolaccia più pronunciata, come scrivevo in questo altro articolo).
In questa espressione, il pene è paragonato a una scopa, e l’organo femminile come locale da ripulire. Questa immagine era già stata usata nell’antica poesia greca (Saffo, Anacreonte) e nella commedia classica di Aristofane. Ed è riapparsa in italiano fra fine ‘400 e inizio ’500, nella tradizione dei canti carnevaleschi toscani. All’epoca si usavano anche altre metafore: nettare, ripulire, spazzare, rimonare. Inizialmente il complemento oggetto di questi verbi era l’organo femminile (designato con immagini tipo “cameretta”); solo negli ultimi due secoli poi avrà come complemento oggetto la donna (“Ho scopato quella tipa”).
Come nel canto rinascimentale “Scope, scope, o bone gente”: “Queste scope allo spazzare non faran polvere niente; se sapete pur menare con la scopa destramente (…) Se la donna con destrezza nostra scopa adopra piano, averà tal contentezza che restar mai vorrà invano”.
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I modi linguistici di descrivere l’amplesso hanno ispirato una giovane brianzola, Laura Mangone, 28 anni. Si è laureata all’Accademia di Design di Eindhoven (Paesi Bassi) con una tesi su questo argomento: ha raccolto una serie di espressioni crude sull’atto sessuale in varie lingue, e le ha rappresentate in disegni (sono visibili sul suo sito sexpressions), per mostrarne la carica offensiva . Alcuni esempi?
«Con questi modi di esprimerti ti abbassi come persona» dice Laura. «La donna è trattata come oggetto e non come soggetto, in una prospettiva maschilista. C’è un io che fa qualcosa ma mai un noi». La posizione, come vedremo qui sotto, non è nuova. Ma va inquadrata in un’ottica più ampia: lo scontro fra natura e cultura. Per capirlo, dobbiamo analizzare i verbi dell’amplesso.
L’antropologo Ashley Montagu definisce “fottere” un verbo transitivo per il più “transitivo” degli atti umani: i verbi transitivi sono quelli in cui il verbo non esaurisce l’azione in sé ma la estende su un “oggetto” (“Ho scopato Maria”).
Così ho voluto verificare quanto siano diffusi i verbi nel vocabolario italiano dell’erotismo: ne ho trovati 593, pari al 60,1% del totale dei lemmi. Quando si tratta di descrivere l’atto sessuale, insomma, i verbi sono i più usati rispetto ai sostantivi (botta, colpo, coito, amplesso).
Pubblicità contro corrente: è la donna che “si fa” l’uomo.
Ma sono tutti transitivi questi verbi? In realtà, quelli usati nelle espressioni meno volgari sono proprio i verbi intransitivi: fare sesso, fare l’amore, andare a letto insieme, avere un rapporto, accoppiarsi, copulare. Non sono nemmeno verbi a sè stanti, ma espressioni idiomatiche costruite associando un sostantivo o un aggettivo a un ausiliare. Non descrivono un cambiamento (fatto o subìto) ma sono azioni simmetriche: Mario ha fatto l’amore con Lucia o Lucia ha fatto l’amore con Mario (per quanto anche i verbi transitivi volgari ammettono questa simmetria: una donna può dire “Ho scopato con Mario”). Nei verbi intransitivi si descrive un’azione volontaria comune, come in ballare, parlare, lavorare. Nei modi di dire accettabili, quindi, il sesso è un’attività, dalla modalità non specificata, a cui due persone si dedicano insieme.
Vista questa importante distinzione, ho cercato di calcolare quanti fossero transitivi e quanti intransitivi, ma i confini fra le due categorie sono labili. E i verbi transitivi (scopare) possono essere usati sia con un complemento oggetto (ho scopato qualcuno) ma anche in senso assoluto (ho scopato). Come criterio, ho classificato come transitivi anche i verbi che ammettono costruzioni intransitive.
Detto questo, comunque, i verbi transitivi sono la grande maggioranza: sono il 76,5% dei verbi, e il 46% del totale dei lemmi, contro il 14,1% dei verbi intransitivi (vedi box qui sotto).
Le metafore sui piaceri, il sonno e l’alimentazione hanno percentuali simili di verbi sia transitivi che intransitivi. Insomma, quando si pensa al sesso in questi termini, c’è una “par condicio” uomo-donna: è un’attività in condivisione, alla pari.
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Nelle espressioni volgari, i verbi sessuali hanno quasi sempre un soggetto maschile. E il soggetto è la parte attiva. E se la donna è l’oggetto, come viene modificata dall’azione? Per rispondere, osserva Steven Pinker, psicolinguista ad Harvard, basta ricordare alcuni modi di dire: “l’ho fottuta”, “l’ho presa in culo”. «Queste espressioni» scrive nel libro “Fatti di parole” «rivelano che fare sesso significa sfruttare o danneggiare qualcuno».
Copertina di Internazionale: è la traduzione letterale di una dell’Economist.
La scrittrice femminista Andrea Dworkin, famosa per il suo attivismo contro la pornografia e la tesi secondo cui ogni rapporto sessuale è uno stupro, ha collegato il linguaggio scurrile all’oppressione delle donne. Nel 1979 scriveva (in “Pornography: men possessing women”): «Scopare implica che il maschio agisca su qualcuno dotato di minore potere, e tale giudizio di valore è così radicato, fino in fondo implicito nell’atto, che chi è scopato è bollato… Nel sistema maschile il sesso è il pene, il pene è potere sessuale, usarlo per scopare è virilità».
Non tutte le donne, però, la pensano così. Nel libro “Dimmi le parolacce: l’immaginario erotico femminile”, la scrittrice statunitense Sallie Tisdale dice: «“Scopare”: ormai ho sentito usare questa parola così tante volte in accezioni semplicemente descrittive, che mi sembra la possibilità più neutra, ben spesso più precisa e meno impegnativa dell’espressione “fare l’amore” che riempie la bocca, o dell’assurdo “andare a letto”. Una mia amica, l’altro giorno, mi ha lasciato allibita dicendomi che lei e il marito, quella mattina, avevano “avuto un rapporto carnale”. Mi ero quasi dimenticata di quell’espressione».
Che fare dunque? In realtà, sottolinea Pinker, verbi transitivi e intransitivi sono due facce della stessa medaglia. «Esprimono due modelli di sessualità ben diversi. Il primo, quello dei verbi intransitivi, ricorda i manuali di educazione sessuale: il sesso è un’attività, non meglio specificata, cui si dedicano insieme due partner su un piano di uguaglianza. Il secondo, quello dei verbi transitivi, riflette una visione più fosca, a cavallo fra la sociobiologia dei mammiferi e il femminismo stile Dworkin: il sesso è un atto di forza promosso da un maschio attivo che ricade su una femmina passiva, sfruttandola o danneggiandola. Entrambi i modelli esprimono la sessualità umana in tutta la sua gamma di manifestazioni, e se il linguaggio è la nostra guida, il primo è approvato per il discorso pubblico, mentre il secondo è tabù, anche se è ampiamente riconosciuto in privato».
Campagna osè di un candidato alle comunali di Torino 2011: alla fine fu “spazzato” lui, prendendo solo lo 0,37% dei voti.
Insomma, in questi due modi di descrivere il sesso si cela l’eterno dissidio fra natura e cultura. I verbi transitivi sono tabù perché descrivono in modo concreto, nudo e crudo, l’atto sessuale, mostrandone il lato animalesco (da cui vorremmo prendere le distanze); i verbi intransitivi, invece, sono considerati più accettabili perché nascondono l’atto sessuale offrendone una descrizione vaga, paritaria e disinfettata.
Un dissidio inevitabile, tanto più che le prospettive maschile e femminile sono opposte anche biologicamente: una ricerca recente ha scoperto che i centri cerebrali che controllano il sesso e l’aggressività sono separati nelle femmine ma sovrapposti nei maschi. Questo è stato riscontrato nei topi, ma è plausibile che sia così anche per gli uomini. Ma anche trascurando questo aspetto, nella sessualità maschile e femminile c’è una differenza di fondo: la donna può rimanere incinta, e questo rende il suo approccio verso il sesso meno goliardico e superficiale rispetto a quello degli uomini.
Come uscirne? Una possibile soluzione arriva dalla Francia, dove amoreggiare si dice, in modo onomatopeico, fare “tactac boumboum”: si salva la concretezza dell’atto, ma al tempo stesso la si descrive solo nel suo aspetto acustico. Proprio come avviene nella nostra espressione “fare zum zum”. A questo punto, si potrebbe rivalutare anche il berlusconiano “bunga bunga”.
The post I mille modi di dire “bunga bunga” first appeared on Parolacce.]]>Maria Teresa Ruta nella pubblicità maliziosa delle patate.
L’argomento merita di essere approfondito anche per altre ragioni. I vegetali, pur essendo “nature morte”, hanno avuto un importante ruolo simbolico nella letteratura e nell’arte perché sono carichi di significati nel nostro immaginario: persino un genio come Caravaggio ha nascosto messaggi erotici sotto le spoglie di zucche, fichi, melograni e pesche, come racconto più sotto.
E questo avviene non solo in Italia (che è stata antesignana in questo campo), ma in quasi tutte le culture.
E oggi i vegetali sexy tornano in auge negli emoji, dove pesca e melanzana svolgono i ruoli di sesso femminile e maschile nelle chat e nei social network (Whatsapp, Twitter, Facebook, etc). Anche su questo tornerò più avanti.
Per raccontare la loro lunga storia, conviene innanzitutto partire dall’elenco completo di queste metafore, sia in italiano (la mia fonte è il “Dizionario storico del lessico erotico” di Valter Boggione e Giovanni Casalegno) che in altre lingue (se me ne sono sfuggite, vi chiedo aiuto: potete segnalarle nei commenti). Ho escluso da questi elenchi i nomi di alberi, piante e fiori, perché pur appartenendo al regno vegetale non sono in genere commestibili.
Per ogni zona erogena ho inserito un link un articolo dedicato, per chi vuole approfondire.
italiano | altre lingue |
agresto, baccello, banana, brugnolo, cappella, cappero, cardo, cardone, carciofo, carota, cece, cetriolo, cicerchia, civaia, cucuzzola, ciliegia, cipolla, corniola,fagiolo, fava, favagello, fungo, fico, ghianda, glande, grano, grappolo, lupino, macerone, mandorla, martignone, melone, oliva, nespola, pannocchia, pastinaca, pesca, pigna, pisello, porro, pinocchio, popone, picio, pinca, pinco, radicchio, radice, ramolaccio, rapano, ravano, rapa, ravanello, scaffo, sorbo, tartufo, torsolo, tubero, veccia | Portoghese: banana, mandioca (manioca), nabo (rapa) |
italiano | altre lingue |
fagioli, ghiande, granelli, granelli, limoni, mandorle, marroni, prugne, pannocchie, verones (castagne cotte), zucche | Inglese: cherries (ciliegie), grapes (uva), kiwi, nuts (nocciole) |
italiano | altre lingue |
baccello, castagna, fica, fragola, frutto, mandorla, noce, oliva, pomo, prugna, primizia, riccio, zucca | Francese: abricot (albicocca) prune (prugna), figue (fico)
Per il clitoride: cerise (ciliegia), framboise (fragola) |
italiano | altre lingue |
cocomero, fragola, frutto,mele, meloni, meloncini, more, pere, pomi, rapuccio | – |
italiano | altre lingue |
anguria, cocomero, finocchio, grisomele, mela, melone, melangola, melarancio, meleto, melone, pesca, pomo | – |
Campagna svedese per promuovere il consumo quotidiano di vegetali.
Molte di queste metafore, dicevo, hanno avuto una notevole fortuna non solo nella lingua parlata ma anche in letteratura. In particolare 4 frutti:
1) il fico: è simbolo di abbondanza, e di fecondità perché contiene un latte. Oltre ad aver ispirato il termine fica, ha dato origine a un gestaccio “fare le fiche”: mimare l’atto sessuale infilando il pollice (fallo) fra indice e medio (la fica). Un gesto di disprezzo e di sopraffazione.
2) le pesche: per molto tempo, soprattutto fra 1500 e 1600, sono state una metafora molto usata per alludere al sedere. E proprio in questa prospettiva va interpretata un’ode satirica dello scrittore toscano, Francesco Berni, che nel 1521 scrisse “In lode delle pesche”, dove la pesca è metafora dei glutei. “O frutto sopra gli altri benedetto, buono inanzi, nel mezzo e dietro pasto; ma inanzi buono e di dietro perfetto!”. Avete capito bene: Berni allude proprio alla sodomia attiva e passiva, tanto che scrive pure: “io ho sempre avuto fantasia (…) che sopra gli altri avventurato [fortunato] sia, colui che può le pèsche dare [farsi sodomizzare] e tòrre [sodomizzare].
E Berni non manca di sottolineare quanto i preti dell’epoca fossero ghiotti di… quel frutto: “Le pesche eran già cibo da prelati, ma, perché ad ogniun piace i buon bocconi, voglion oggi le pesche insino a i frati, che fanno l’astinenzie e l’orazioni;
Il doppio senso dei meloni nella campagna del canale Fx.
3) la mela: è simbolo di frutto desiderato, di premio, e anche del peccato. Anche se, bisogna ricordarlo, l’episodio biblico di Adamo ed Eva nella Bibbia non parla di mela, bensì genericamente di “frutto”; il melo è stato inserito nei commenti sacri secoli dopo, per la sua assonanza col male (malum).
4) il melograno: avendo molti semi è simbolo di fecondità, di discendenza numerosa; e ha un succo ricco e gustoso.
In generale, infatti, frutta e verdura hanno un’intima attinenza col sesso innanzitutto per la loro forma, che in molti casi ricorda quella degli organi sessuali. In realtà è una pareidolia, ovvero una sorta di illusione ottica: siamo noi a vedere forme sessuali in oggetti che di sessuale non hanno nulla. La malizia sta nell’occhio di chi guarda.
Pisello, fica, cetriolo, banana, patata evocano proprio le fattezze anatomiche dei genitali. Tanto che un proverbio non troppo allusivo dice: “Gira e rigira, il cetriolo va in culo all’ortolano” (chi vuol fare del bene finisce per essere danneggiato).
La pubblicità sexy del ketchup piccante Heinz.
Ed è per questo che i vegetali sono simboli universali di erotismo: non hanno bisogno di essere codificati (tradotti) in altre lingue, perché evocano direttamente il sesso, sotto le innocenti spoglie di vegetali. Ma non è solo questo il loro legame con l’erotismo: frutta e verdura sono simbolo di abbondanza, di fecondità, e anche simbolo di progenitura perché contengono i semi.
In più sono cibi, e il cibo è intimamente legato al sesso e all’oralità (il piacere di succhiare)… tanto che scopare in spagnolo si dice anche comer e in portoghese papar. Non a caso, diversi cibi hanno nomi ispirati al sesso, come raccontavo in questo post. In più, frutta e verdura erano i cibi dei poveri (nell’antichità la carne era lo status symbol di ricchezza) e anche questo spiega la loro diffusione nel linguaggio popolare.
Con tutta questa ricchezza, era inevitabile che i vegetali entrassero nell’arte: nelle immagini, così come nel discorso parlato, possono contrabbandare temi scabrosi sotto le innocenti fattezze della natura. Prima ancora che Giuseppe Arcimboldo facesse le “teste composte”, ovvero i ritratti umani ottenuti combinando cibi, nel 1517 Giovanni Da Udine, aveva inserito – in una cornice degli affreschi di Raffaello su Cupido e Psiche – una zucca fallica, con due melanzane come testicoli, che penetra un fico (v. gallery qui sotto).
Un gioco che nel 1585 Niccolò Frangipane continuò in modo ben più diretto nella “Allegoria dell’autunno”: qui un satiro infila il dito della mano sinistra in un melone, mentre con la destra stringe una fallica salsiccia vicino ad alcune ciliegie. In pratica, il satiro rivela allo spettatore che cosa sta sognando il giovanetto al suo fianco. (v. gallery qui sotto).
Il terzo esempio è un quadro di Caravaggio (1601): “Natura morta con frutta”. Fichi, zucche e melograni aperti sono un’allusione a una femminilità abbondante e disponibile, su cui campeggia una zucca che sembra un pene eretto. E non mancano le pesche, che alludono invece ai glutei (v. gallery qui sotto).
Insomma, la natura morta a sfondo erotico è un’invenzione del Rinascimento italiano, come ha scritto in un interessante saggio lo storico dell’arte statunitense John Varriano.
Non stupisce, con questi precedenti, che anche la pubblicità abbia usato questi stratagemmi per alludere al sesso in diverse campagne pubblicitarie, come potete vedere nelle foto di questo articolo.
Ma oggi c’è un nuovo modo di usare i vegetali per alludere al sesso: la “computer mediated communication”, ovvero lo stile di comunicazione che usiamo nell’informatica. In parole povere, gli emoji, le icone che usiamo sulle chat e i social network (ne ho parlato anche qui).
Quando sono state introdotte nel 2010, anche se c’era l’icona della banana, ha preso piede come simbolo sexy la melanzana. Perché? Perché negli Usa, Paese puritano, era un’icona ancora neutra, che poteva contrabbandare intenzioni maliziose senza destare sospetti, insieme alla pesca (per alludere alla vulva o al sedere: vedi immagine). Insomma, siamo ancora alla frutta…
Dedico questo post a Dario Fo, il primo giullare-Nobel ad aver pubblicato un libro sulle parolacce.
The post Pisello, patata, marroni e meloni: il lato vegano del sesso first appeared on Parolacce.]]>Prima di svelare la mappa semantica degli insulti derivati dai genitali, affrontiamo subito la questione di fondo: cosa c’entrano gli organi sessuali con i difetti morali? Perché i nomi del sesso sono usati per esprimere offesa, disistima, disprezzo?
Innanzitutto perché i nomi osceni, evocando il sesso, sono emotivamente carichi, sono parole impregnate di passioni. Ma questa carica non è solo positiva (eros, piacere, seduzione, forza vitale, eccitazione, fecondità…). Il sesso ha anche un risvolto negativo: ci ricorda la nostra natura animalesca, da cui cerchiamo sempre di prendere le distanze. Ecco perché il sesso è usato per “abbassare” il valore di una persona: se dico a qualcuno che è una “testa di cazzo”, metto la sua intelligenza sullo stesso piano della pulsione sessuale, irrazionale e incontrollata. Quella persona, invece di ragionare col cervello, si lascia guidare dal pube. La “torre di controllo” si è spostata dall’alto al basso…
Iniziativa di un gruppo di creativi free lance: non vogliono essere sotto pagati, cioè trattati da coglioni.
Questa visione svilente della sessualità è stata rafforzata, nella cultura occidentale, dall’orfismo, un movimento religioso nato in Grecia nel VI secolo a.C.: gli orfici disprezzavano il corpo, mortale e limitato, perché lo consideravano inferiore all’anima, pura e immortale. Nei secoli successivi questo contrasto fra mente e corpo è stato rafforzato anche dal cristianesimo, per il quale la vita terrena vale solo in funzione di quella ultraterrena.
Ecco perché, in moltissime lingue, i nomi che designano i genitali sono usati come insulti, anche se con molte variazioni da un Paese all’altro: alcuni Paesi utilizzano più le metafore derivate da pene e testicoli, altri quelle dalla vulva, altri ancora quelle che rimandano ai glutei.
Per esempio, tornando al film “Deadpool”, la tripletta inglese che lo descrive, significa letteralmente: tosto, saccente, grandioso, ed è giocata sulle varianti di “ass”, culo. In Italia, anche se culo è una parola dai molti significati (ne avevo parlato qui), preferiamo usare come metafora i genitali maschili: il “lato A” invece del “lato B”. Ecco perché nella versione italiana i traduttori hanno puntato sugli aggettivi derivati dal pene: cazzone, cazzuto, incazzato. Infatti, cazzuto è la traduzione corretta di bad ass,; smart ass è reso con cazzone, mentre sarebbe stato più corretto definirlo cazzaro (fanfarone, spaccone). Per il terzo aggettivo, great ass, non esiste un corrispettivo derivato dai genitali maschili: sarebbe stato corretto tradurlo come figone. E infatti in italiano le metafore derivate dal sesso femminile esprimono per lo più concetti positivi: figa (bella donna), figo (bell’uomo, alla moda, attraente, elegante), figata (cosa bella, piacevole, ben riuscita)… L’unica eccezione è fighetto, inteso come elegante, vanesio, affettato. Ma d’altronde non bisogna dimenticare che fesso (= sciocco, scemo) deriva da fessa (fessura, vulva), e fregnone (= sciocco, stupido) da fregna (vulva).
Qualcuno ha ipotizzato che forse la nostra cultura è fissata alla fase fallica (la fase dello sviluppo infantile che concentra la libido sul pene) mentre quella anglosassone a quella anale, ma è una lettura troppo semplicista: anche in italiano abbiamo molti riferimenti al deretano (faccia da culo) e agli escrementi (faccia di merda) nei nostri insulti. Forse, il contrasto fra pene-spregiativo e vulva-elogiativa è uno dei tanti sintomi del maschilismo della nostra cultura: i maschi disprezzano il proprio sesso, apprezzando quello opposto. C’è del vero, ma come spiegare, allora, gli spregiativi derivati dal sesso femminile?
E’ più probabile che questa opposizione nasca da un altro aspetto: mentre la vulva è nascosta e misteriosa, il pene è un organo evidente, appeso e penzolante, quindi in balìa dei movimenti del corpo: come tale si presta a diventare il simbolo di un essere passivo e inanimato.
In ogni caso, è impossibile generalizzare: in francese, per esempio, il termine che designa la vulva, con, è usato come insulto: equivale al nostro coglione. Lo stesso avviene anche in inglese, dove il termine twat (vulva) è un’offesa pesante che significa coglione, stronzo, pezzo di merda. I nomi del sesso, insomma, sono veri jolly linguistici che possono esprimere tutto e il contrario di tutto, come già raccontavo in questo post.
Ed è proprio questa ricchezza espressiva a rendere difficile studiare questi appellativi, e tradurli da una lingua a un’altra: che cosa vogliamo dire quando affermiamo che una persona è “un coglione“? E’ questa la prima difficoltà con cui ci si scontra se si vuole fare una mappa semantica degli insulti tratti dal lessico sessuale, traducendo le parolacce in termini neutri o almeno non volgari. Così facendo, ho potuto distinguere gli insulti genitali in due grandi famiglie: quelli contro l’intelligenza e quelli contro il comportamento. E mentre compilavo questo elenco (nel quale ho inserito, in blu, alcuni corrispettivi in inglese) mi sono venuti in mente diversi personaggi cinematografici che incarnassero quei difetti. Tipi umani presenti a ogni epoca e latitudine.
Gli insulti contro l’intelligenza si possono dividere in 2 sottocategorie: quelli che condannano l’incapacità di intendere, ovvero il ritardo mentale in varie forme; e quelli che puntano l’indice contro l’ottusità, l’ostinazione, ovvero la demenza e i deficit di attenzione. Mentre i primi sono difetti permanenti, i secondi possono essere transitori: perché si è presa una botta in testa, perché si è invecchiati, perché si è stanchi. Questi insulti, insomma, evidenziano – per contrasto – l‘importanza dell’intelligenza, della prontezza di riflessi, della capacità di discernere e agire di conseguenza.
Chi è privo di queste doti, è emarginato e disprezzato. Ma al tempo stesso fa ridere: se guardate i personaggi che incarnano questi difetti, sono tutti personaggi comici: da Checco Zalone a Mr Bean, fino al tontolone Leo, portato in scena da Carlo Verdone in “Un sacco bello”.
Discorso altrettanto interessante si può fare per gli insulti che stigmatizzano determinati comportamenti. Mettendoli tutti insieme, mi sono accorto che coincidono in modo impressionante con i disturbi di personalità, cioè le malattie mentali che compromettono l’equilibrio psicologico e relazionale di una persona. Sono tutte forme di disadattamento: chi ne è affetto risponde in modo inadeguato ai problemi della vita, compromettendo i rapporti con gli altri. Sono persone aggressive, false, esibizioniste, moleste, vittimiste, incapaci di empatia con gli altri, insensibili, cattive. E proprio per questo sono il bersaglio di molti e pesanti insulti, come potete vedere dal grafico qui a lato. Nei loro confronti, è difficile usare una chiave comica: soprattutto verso i sociopatici, che non a caso hanno ispirato schiere di “cattivi” nei film.
Dunque, riunendo tutti gli insulti derivati dai genitali, emerge un quadro sorprendente: additano le peggiori caratteristiche di una persona, che diventa così meritevole di disprezzo e di dileggio. Ma queste parolacce non sono soltanto offese. Indirettamente indicano (per contrasto) i valori più importanti che ognuno di noi dovrebbe perseguire se vuole ottenere la stima e la benevolenza altrui: l’intelligenza, l’acume, la ragionevolezza, l’altruismo, l’empatia, la dolcezza, il rispetto… Insomma, a ben guardare, gli insulti genitali non sono cazzate.
The post Perché i genitali sono diventati insulti? first appeared on Parolacce.]]>Prima di rispondere, è doveroso raccontare con quale metodo ho fatto questo censimento. La fonte è stato il “Dizionario storico del lessico erotico” di Valter Boggione e Giovanni Casalegno (Tea/Utet). Un’opera che tiene conto di tutti, ma proprio tutti i termini sessuali usati in 8 secoli di letteratura italiana: dalle metafore alle allusioni, dai termini arcaici a quelli moderni, dagli eufemismi infantili ai termini scientifici, fino alle espressioni più volgari.
Una raccolta ricchissima: comprende anche gli appellativi usati verso gli omosessuali (finocchio, etc), che nella presente analisi non ho inserito perché incompleti: andrebbero uniti a quelli sulla morale sessuale (puttana) che però nel Dizionario non sono censiti. Così come i termini strettamente dialettali, cioè usati in una sola area geografica italiana (da bigolo a baggiuggiu fino a barbisa e spaccazza), e i nomi gergali del sesso (ancora non entrati nell’uso comune, come pipilone o ciuffo: a loro ho dedicato un post). Dunque, se aggiungessimo anche tutte queste categorie, il lessico sessuale italiano potrebbe arrivare a quota 4mila espressioni, forse anche di più: difficile dirlo con certezza, perché manca una raccolta così completa.
Stando sui dati certi, che non sono pochi, facciamo qualche approfondimento. Quale ambito ha stimolato maggiormente la fantasia linguistica? Gli atti sessuali (1.147 termini), come emerge da questi grafici che ho elaborato (clic per ingrandire):
Tornando alla prima domanda: perché tutta questa abbondanza? Per tre motivi, che ho trattato più analiticamente nel mio libro:
1) il sesso è fonte di piacere, ed è una delle pulsioni fondamentali dell’uomo. E’ una spinta verso la sopravvivenza, come per i Sami è fondamentale sapere che tipo di neve ci sia nell’ambiente, per potersi adattare… Inevitabile, quindi, che il sesso animi gran parte dei nostri pensieri e delle nostre emozioni.
2) Il sesso implica una serie di ansie. E’ un campo tanto intimo e delicato da essere un argomento tabù: bisogna parlarne con cautela. Infatti il sesso può comportare figli illegittimi, incesto, gelosia, adulterio, abbandono, faide, abusi su minori, stupro, sfruttamento, malattie… Ecco perché va “maneggiato con cura”, anche dal punto di vista linguistico. E questa censura genera, per contrasto, un accanimento verbale per tentare di nominare l’innominabile, alludere, parlare in codice.
3) il sesso è anche mistero, il mistero della vita, dell’energia vitale. E’ la spinta verso il futuro e l’eternità attraverso la riproduzione. Ecco perché in molte religioni il sesso è sacro: è considerato un modo per ricongiungersi al divino, e le rappresentazioni degli organi sessuali sono usati in riti propiziatori sulla fecondità (ancora oggi, le processioni con i ceri sostituiscono antichi simboli fallici). I nomi del sesso sono anche un tentativo di descriverlo, di dargli un’identità altrimenti sfuggente, attingendo ad altri campi della vita quotidiana (cibo, animali, oggetti….).
E veniamo ai nomi dei genitali. La loro abbondanza è diventata il tema di un esilarante monologo di Roberto Benigni:
E dire che l’antologia di Benigni è solo una piccola parte di questo vocabolario… Ma che cosa ci raccontano tutti questi termini? E quanti sono esattamente? Comprendendo tutti i termini della sfera genitale, abbiamo il quadro che potete vedere nei grafici qui sotto: 984 termini complessivi per la sfera sessuale maschile, 766 per quella femminile. Ho classificato a parte i 266 termini relativi ai glutei, perché possono essere una zona erogena sia maschile che femminile.
Limitandoci ai termini che designano il pene e la vagina, sono per 744 per il primo e 595 per la seconda. Qual è il motivo di questo primato linguistico? Un sintomo del maschilismo della nostra cultura, o semplicemente del fatto che i genitali maschili sono più evidenti e quindi più facili da descrivere? La questione resta aperta. Ma quali immagini usa la nostra lingua per descrivere i genitali? Vediamo…
In italiano, il sesso maschile ha 2 record: è designato dal più alto numero di termini (se ne contano 744, escludendo i testicoli), ed è la parolaccia pronunciata più spesso, secondo la Banca dati dell’italiano parlato. Del resto, notava lo scrittore Italo Calvino, il termine cazzo ha un’espressività impareggiabile, non solo rispetto a tutti gli altri sinonimi, ma anche alle altre lingue europee. Tanto che, in italiano, è un vero jolly linguistico: può indicare stupidità, nullità e disvalore (cazzone, cazzata, cazzeggiare, minchione, minchiata, cappellata) ma anche il contrario, cioè potenza, abilità e valore (cazzuto). Serve a indicare ira e malumore (incazzarsi), noia e sconforto (scazzato); affari personali e problemi (cazzi miei), parte sensibile (rompere il c a z z o), approssimazione (a c a z z o).
Una ricchezza del genere si spiega non solo con la sua evidenza esterna. Ma soprattutto con il suo significato simbolico: tra le scimmie, nota l’etologo Irenäus Eibl-Eibesfeldt, la monta è un segno di dominanza, così l’erezione è usata come minaccia simbolica.
Ma com’è descritto il sesso maschile?
E’ visto per lo più come un oggetto (44%: per lo più di uso domestico, come bastone o manico, ma sono numerose le espressioni che attingono alla guerra, vista l’aggressività dell’atto sessuale: clava, mazza). Numerose anche le metafore tratte dal mondo animale (15%: anguilla, uccello, proboscide) e dalle personificazioni (7%: amico, bambino fino a Walter, il termine inventato da Luciana Littizzetto) a indicare il fatto che è un membro “vivo”, che muta forma e consistenza.
Rilevante la quantità di nomi ironici, grotteschi o iperbolici sulla potenza o la dimensione del sesso, ossessione di tutti i maschi: sberla, calippo, pitone, missile, obelisco, sei quinti, torre di Pisa, maritozzo, pendolino delle 9:07, sardeon, sciupavedove, sventrapapere, vermicione e … tronchetto della felicità.
Ecco il dettaglio:
CATEGORIE | Lemmi | Esempi |
Oggetti generici | 31 | Affare, arnese, malloppo, pacco |
Oggetti di uso domestico | 82 | Bastone, candelotto, cazzo, manico |
Agricoltura | 31 | Cavicchio, falce, pertica |
Tessitura, abbigliamento | 18 | Fuso, manganello |
Attrezzi da lavoro | 34 | Ferro, manovella, randello, mazza |
Armi e guerra | 45 | Asta, archibugio, clava, mazza |
Navigazione e pesca | 13 | Arpione, timone |
Strumenti musicali | 29 | Batacchio, bischero, piffero |
Religione | 6 | Cero, reliquia |
Monete e preziosi | 16 | Fiorino, quattrino |
Altri oggetti | 22 | Cric, menhir, pirla, scettro |
327 (44%) | ||
Luoghi | 10 (1%) | Lì, posto, San cresci |
Architettura, edilizia | 8 (1%) | Campanile, colonna |
Animali | 3 | Bestia |
Uccelli | 39 | Canarino, fringuello, pipistrello, uccello |
Pesci | 13 | Anguilla, pesce, cefalo |
Rettili | 11 | Aspide, biscia |
Equini | 12 | Asino, cavallo |
Animali da caccia | 4 | Bracco, cane |
Altri animali | 22 | Gatto, lepre, toro |
Parti di animali | 11 | Becco, pene, proboscide |
115 (15%) | ||
Piante | 23 | Banano, pino, ramo |
Frutti | 21 | Banana, melone, pannocchia |
verdure | 37 | Carota, cetriolo, fava, pisello |
Erbe e fiori | 12 | Bocciolo, giglio, papavero |
93 (13%) | ||
Parti del corpo umano | 28 (4%) | Braccio, gamba, naso, vena |
Cibi | 32 (4%) | Biscotto, maritozzo, salsiccia, babà |
Personificazioni | 53 (7%) | Amico, bambino, fra mazza |
Termini astratti | 42 (6%) | Natura, pudende, sesso |
Altre voci | 36 (5%) | Asso di bastoni, crescimmano, fallo, minchia |
TOTALE | 744 |
In molte lingue, è una delle parole più tabù: guai a nominarla. Come dimostra lo scandalo suscitato dallo spettacolo “I monologhi della vagina” della scrittrice Eve Ensler. E un sondaggio del 2004: il 73% delle donne Usa lo ritiene un argomento scioccante.
Ma perché il sesso femminile è più tabù di quello maschile? Stephen Pinker, psicologo della Harvard University (Usa) fa un’ipotesi: prima dell’avvento di assorbenti, carta igienica, bagni regolari e antimicotici, il sesso femminile evocava il rischio di contrarre malattie.
Le parole che designano il sesso femminile – in italiano sono 595, tra metafore e volgarità – manifestano anche lo sgomento e l’ammirazione di fronte a un sesso nascosto, misterioso, che racchiude il segreto della vita. Non a caso alcuni dei termini per designarla (grotta, scrigno, bosco) evocano questo aspetto.
Ma anche una visione maschilista, ha notato il premio Nobel Dario Fo in un saggio recente che ho presentato tempo fa: i termini spregiativi come fesso (da fessa, vulva), sorca (ratto), patacca (moneta di scarso valore) testimoniano la misoginia della Chiesa cattolica.
E come è descritto il sesso femminile?
I nomi mettono in rilievo la recettività e passività dell’organo femminile (designato nel 33% dei casi con oggetti, per lo più domestici), e lo qualificano come un elemento fisso: sostanzialmente, un luogo (23%). Poche, rispetto al sesso maschile, le personificazioni (bernarda, lei, sorella, Filippa, siora Luigia o Jolanda, creato sempre dalla Littizzetto) vista la sua “fissità”. Non mancano appellativi ironici, che manifestano il timore di malattie o di “rimanere invischiati” in un rapporto (trappola, tagliola), ma sono più numerosi quelli poetici (rosa) o affettuosi (paradiso, tesoro), con una venatura di mistero (grotta, scrigno).
Ecco il dettaglio:
CATEGORIE | Lemmi | Esempi |
Oggetti generici | 16 | Cosa, mercanzia, essa |
Oggetti domestici | 49 | Borsa, padella, pentola, potta, scodella |
Agricoltura | 11 | Botte, sacco |
Tessitura, abbigliamento | 24 | Ciabatta, pelliccia, tasca |
Altri attrezzi | 15 | Gabbia, sfiatatoio, ventosa |
Armi e guerra | 14 | Guaina, vagina, vulva |
Caccia e pesca | 10 | Rete, tagliola, trappola |
Barche | 5 | Barca, vela, gondola |
Strumenti musicali | 17 | Chitarra, piva, zampogna |
Religione | 6 | Altare, reliquie |
Monete | 5 | Patacca |
Altri oggetti | 24 | Gioia, tesoro |
196 (33%) | ||
Luoghi | 148 (23%) | Posto, varco, abisso, buco, fessa, bosco, caverna, valle, palude, giardino, tana |
Architettura | 63 (11%) | Casa, capanna, solaio, porta, canale |
Animali | 25 (4%) | Lumaca, passera, vongola |
Vegetali | 13 | Lattuga, pucchiacca, |
Fiori | 6 | Fiore, rosa, giglio |
Alberi | 13 | Fico, pero, noce |
Frutta e verdura | 13 | Fica, fragola, oliva, prugna |
45 (8%) | ||
Parti anatomiche | 28 | Bocca, coscia, grembo |
ferite | 3 | Piaga |
31 (6%) | ||
Cibi | 23 (4%) | Brodosa, frittella, lasagna, gnocca |
Personificazioni | 13 (2%) | Bernarda, filippa |
Termini astratti | 60 (10%) | Centro, natura, pelosa |
TOTALE | 595 |
Diversi di questi termini sessuali, sia maschili che femminili, sono molto antichi: ecco perché già quasi 2 secoli fa aveva già celebrato questa ricchezza linguistica il poeta romano Gioacchino Belli (1791-1863) con 2 sonetti straordinari che qui meritano di essere ricordati:
Er padre de li Santi Er cazzo se pò ddí rradica, uscello, ciscio, nerbo, tortore, pennarolo, pezzo-de-carne, manico, scetrolo, asperge, cucuzzola e stennarello.Cavicchio, canaletto e cchiavistello, er gionco, er guercio, er mio, nerchia, pirolo, attaccapanni, moccolo, bbruggnolo, inguilla, torciorecchio, e mmanganello. Zeppa e bbatocco, cavola e tturaccio, e mmaritozzo, e ccannella, e ppipino, e ssalame, e ssarciccia, e ssanguinaccio.Poi scafa, canocchiale, arma, bbambino: poi torzo, crescimmano, catenaccio, mànnola, e mmi’-fratello-piccinino.E tte lascio perzino ch’er mi’ dottore lo chiama cotale, fallo, asta, verga, e mmembro naturale.Cuer vecchio de spezziale disce Priàpo; e la su’ mojje pene, seggno per dio che nun je torna bbene. |
La madre de le Sante Chi vvò cchiede la monna a Ccaterina, pe ffasse intenne da la ggente dotta je toccherebbe a ddí vvurva, vaccina, e ddà ggiú co la cunna e cco la pottaMa nnoantri fijjacci de miggnotta Dìmo scella, patacca, passerina, fessa, spacco, fissura, bbuscia, grotta, fregna, fica, sciavatta, chitarrina, sorca, vaschetta, fodero, frittella, ciscia, sporta, perucca, varpelosa, chiavica, gattarola, finestrella,fischiarola, quer-fatto, quela-cosa, urinale, fracoscio, ciumachella, la-gabbia-der-pipino, e la-bbrodosa.E ssi vvòi la scimosa, chi la chiama vergogna, e cchi nnatura, chi cciufèca, tajjola, e ssepportura. |
In conclusione, resta solo un quesito aperto: tutta questa ricchezza linguistica è tipica solo dell’italiano? Certamente no. Anche in inglese, in francese, in spagnolo c’è una grande quantità di termini e metafore sessuali. Ma che io sappia manca ancora un censimento rigoroso: quando ci sarà, vedremo chi ce l’ha più lungo (l’elenco!).
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