motherfucker | Parolacce https://www.parolacce.org L'unico blog italiano di studi sul turpiloquio, dal 2006 - The world famous blog on italian swearing, since 2006 - By Vito tartamella Wed, 22 May 2024 10:22:40 +0000 it-IT hourly 1 https://www.parolacce.org/wp-content/uploads/2015/06/cropped-logoParolacceLR-32x32.png motherfucker | Parolacce https://www.parolacce.org 32 32 La mamma è sempre la mamma (anche negli insulti) https://www.parolacce.org/2024/05/09/lista-insulti-alla-madre/ https://www.parolacce.org/2024/05/09/lista-insulti-alla-madre/#comments Thu, 09 May 2024 18:00:25 +0000 https://www.parolacce.org/?p=20478 E’ una delle offese più potenti che esistano. Perché colpisce la persona più importante del nostro mondo affettivo: la mamma. E non solo in Italia, nota per essere una cultura di mammoni: questo genere d’offesa è diffusa nelle altre lingue… Continue Reading

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Striscione offensivo dei tifosi del Pescara contro quelli dell’Ascoli

E’ una delle offese più potenti che esistano. Perché colpisce la persona più importante del nostro mondo affettivo: la mamma. E non solo in Italia, nota per essere una cultura di mammoni: questo genere d’offesa è diffusa nelle altre lingue romanze (francese, spagnolo, portoghese, rumeno), in inglese e nelle lingue dell’est, dal russo al cinese, oltre all’arabo e diverse altre.
In italiano gli insulti alla madre sono una quarantina ed esprimono una fantasia molto malevola. Perché sviliscono, con immagini ripugnanti o sessuali, la figura più sacra: la persona che ci ha trasmesso la vita. Un colpo dinanzi al quale nessuno può restare indifferente: come ha ricordato papa Francesco (paragonando il sentimento religioso con l’attaccamento alla madre), «Se il dottor Gasbarri, un grande amico, dice una parolaccia contro la mia mamma, lo aspetta un pugno. E’ normale». Come diceva il comico toscano Francesco Nuti «Te la mi’ mamma tu la lasci stare, va bene?».

Questo genere di insulti ha influenzato non soltanto i modi di dire, ma anche le culture: le battaglie rap consistono spesso nell’improvvisare rime offensive sulla madre di un’altra persona (“yo mama…“, “tua madre…“), in una sfida che rappresenta non solo un duello linguistico e simbolico, ma è anche un rito di affiliazione fra giovani, come racconterò più avanti. Pensate che in russo il gergo volgare si chiama proprio “Mat”, termine che deriva dalla stessa radice di “madre” (dall’espressione “yob tvoyu mat”, «fotti tua madre»).

Battaglia rap a suon di insulti alla madre: è uno show in Australia

Nella nostra lingua gli insulti alla madre sono più numerosi nei dialetti, per lo più del Sud: in italiano ci sono 5 espressioni, contro le 36 fra: napoletano (11), veneto e friulano (8), sardo (6), toscano (3),  pugliese (3),  siciliano e calabrese (2) e lombardo (1). Un’ulteriore prova che si tratta di offese molto antiche: infatti le dicevano anche Cicerone e Shakespeare. Degno di nota il fatto che prevalgono le espressioni di tipo incestuoso: rappresentano metà delle locuzioni censite.

Gli insulti alla madre sono uno dei 4 temi universali (cioè diffusi in ogni cultura) delle parolacce insieme agli insulti fisici, alle espressioni oscene e ai termini escrementizi. E sono offese del tutto particolari perché colpiscono una persona non direttamente, ma offendendone un’altra: una sorta di vendetta trasversale. Una strategia molto efficace, visto il rapporto così intimo e profondo con la figura materna. Insomma, la mamma è anche…. la madre degli insulti.
Come nasce questa usanza? E come si manifesta, in italiano e in altre lingue?

Figlio di… 

Locandina di Eleazaro Rossi, comico.

L’espressione “figlio di puttana”, con le sue diverse varianti, è presente in tutte le lingue: inglese (son of a bitch), francese (fils de pute, Ta mère la pute), tedesco (hurensohn), spagnolo (hijo de puta), portoghese (filho da puta), rumeno (Fiu de curvă) arabo (Ibin Sharmootah: la puttana di tua madre), russo (Сукин сын). In cinese si usa l’espressione 王八蛋wáng bā dàn) che significa letteralmente “uovo di tartaruga”: dato che la tartaruga abbandona le uova dopo averle covate, l’espressione denota un figlio di madre ignota (mignotta per l’appunto: vedi sotto), nato da una relazione extraconiugale. Ma ci sono anche due altre spiegazioni: un tempo si pensava che le tartarughe concepissero solo con il pensiero, rendendo impossibile ricostruire la paternità della prole (dunque, in questo caso, “figlio di padre ignoto”). Oppure, secondo un’altra interpretazione ancora, all’origine dell’espressione c’è la somiglianza fra la testa della tartaruga che esce dal guscio e il glande  che emerge dal prepuzio: l’espressione indica quindi una donna che ha perso la virtù.

In spagnolo esistono anche altri modi pittoreschi per dirlo: “anda la puta que te pari” (Torna dalla prostituta che ti ha partorito) e “tu puta madre en bicicleta”, ovvero “tua madre puttana in bicicletta”.

In Italiano è una delle espressioni considerate più offensive dopo le bestemmie (e a pari merito con “succhiacazzi”), secondo la mia ricerca sul volgarometro. Ed è l’offesa che raccoglie più denunce e processi, secondo uno studio.

Perché? Per motivi giuridici, sociali e psicologici.

[ per approfondire, apri la finestra cliccando sulla striscia blu qui sotto ] 

BASTARDI E ILLEGITTIMI
 

Film del 2003. L’espressione significa “avere una natura cattiva”

In passato, i figli delle prostitute (e in generale quelli nati fuori dal matrimonio) erano disprezzati: la struttura sociale si basava sulle coppie matrimoniali ufficiali, nelle quali – fino all’avvento dei test genetici – era più immediato stabilire l’appartenenza sociale e i diritti ereditari, dato che “Mater semper certa est, pater numquam” (“L'[identità della] madre è sempre certa”, quella del padre no). E proprio dall’impossibilità di accertare in modo oggettivo la paternità è nata l’ossessione per il controllo sul sesso femminile: la moralità della donna era l’unica condizione per assicurare stabilità sociale e ordine. I figli nati fuori dal matrimonio erano visti come una minaccia a questo ordine, poiché potevano complicare le questioni di eredità e le alleanze familiari.

Nel mondo antico erano considerati “bastardi” (altro termine offensivo legato alle figure genitoriali) i figli di coppie conviventi, quelli nati da una prostituta o frutto di una relazione adulterina o incestuosa. Questi figli, denominati “illegittimi”, erano penalizzati nell’ambito del diritto successorio (non potevano ereditare il patrimonio dei genitori), erano esclusi dalle cariche pubbliche, non potevano svolgere alcune professionisposare persone appartenenti ai cosiddetti mestieri onorabili. In più, per la religione, il sesso al di fuori del matrimonio era considerato immorale, e di conseguenza, i figli nati da queste unioni erano  stigmatizzati come prova visibile di un comportamento peccaminoso.

E questa prospettiva è arrivata fino ai tempi moderni: in Italia solo dal 1975 con la riforma del diritto di famiglia i figli nati fuori dal matrimonio acquisirono gli stessi diritti dei figli “ufficiali”. E solo dal 2012 è sparita, con la riforma della filiazione, la legge 219, la distinzione fra “figli legittimi” e “figli naturali”.

Questo genere di insulti sono un retaggio della cultura patriarcale? Secondo Francine Descarries, femminista e docente di sociologia all’Université du Québec à Montréal, la risposta è sì: «Le donne sono sempre state considerate proprietà degli uomini, siano esse figlie, mogli o madri. Attaccare la madre significa contaminare la proprietà dell’uomo. Quindi, quando insultiamo la madre di un uomo, attacchiamo i suoi beni, proprio come i suoi vestiti o la sua casa».

La testata di Zidane a Materazzi: l’artista algerino Adel Abdessemed ne ha fatto una statua.

In effetti, ricordate perché Zinedine Zidane diede una testata a Marco Materazzi, giocandosi così la finale dei Mondiali di calcio 2006? Perché Materazzi gli aveva detto: “Non voglio la tua maglia, preferisco quella puttana di tua sorella.
L’ipotesi ha del vero: nessuno nega il peso del maschilismo nella nostra cultura. Tuttavia, in questo caso, c’è una ragione molto più immediata, come evidenzia la psicologia: la madre è l’affetto più profondo che abbiamo, la fonte delle nostre sicurezze, le nostre radici. Non solo gli uomini, ma anche le donne si sentirebbero offese se qualcuno denigrasse la loro madre. E, in ogni caso,
insultare i familiari di qualcuno è, in generale, un’offesa pesante: tant’è vero che in napoletano si offende non solo la madre (“mamm’t”), ma anche la sorella (“soreta”), il padre (“patete”), o il fratello (“frateto”).  Toccare i rapporti di sangue, quelli più stretti, fa sempre male. Del resto, non condividiamo con loro parte del nostro patrimonio genetico?

Gli insulti alla madre sono molto antichi: già Plutarco, nella “Biografia di Cicerone” ricorda la battuta di quest’ultimo a Metello Nepote che gli chiedeva “Chi è tuo padre?”. Cicerone gli rispose: “Nel tuo caso,” disse Cicerone, “tua madre ha reso la risposta a questa domanda piuttosto difficile.”

E nel “Timone d’Atene” William Shakespeare inserisce questo dialogo:

PITTORE – Sei un cane!

APEMANTO – Della mia stessa razza è tua madre: che altro potrebbe essere quella che ha fatto te, s’io sono un cane?

 

MODI DI DIRE

In questa categoria ho censito 11 espressioni:

“5 figli di cane”, film di gangster del 1969

♦ figlio della colpa: figlio nato al di fuori del matrimonio, fra conviventi o adulteri 

♦ figlio della serva: persona considerata inferiore per nascita e trattata di conseguenza, anche in modo sgarbato e villano. Usato soprattutto in senso figurato per chi viene emarginato da un gruppo, o trattato con minor considerazione rispetto agli altri.

♦ figlio di nessuno: trovatello, o figlio naturale. Era usato anche come insulto o con valore spregiativo. In senso figurato, anche bambino molto trascurato dai genitori.

♦ figlio di puttana (dal latino puta, fanciulla) / di troia (femmina del maiale, sozza fisicamente e moralmente) / di zoccola (femmina del topo di fogna, notoriamente prolifica. Ma può derivare dal fatto che nel 1700 le prostitute dei quartieri spagnoli indossavano le stesse scarpe vistose, con alti zoccoli, delle nobildonne, che li usavano per non sporcare di fango le loro vesti) / di baldracca (da Baldacco, antico nome di Baghdad. Era anche il nome di un’osteria di Firenze frequentata dalle meretrici) / di mignotta (un tempo molte madri naturali non intendevano riconoscere legalmente i propri figli, e non davano il loro nome all’anagrafe; questi bambini erano pertanto registrati come “figli di madre ignota”, che abbreviato in “M.Ignota” ha dato luogo al termine “mignotta” con valore d’insulto) / di bagascia (dal francese bagasse,  “serva” o “fanciulla”) 

♦ figlio d’un cane: l’espressione è equivalente a “figlio di puttana”, ma aggiunge una valenza spregiativa il riferimento all’animale (considerato inferiore all’uomo) considerato vile, crudele e comunque inferiore all’uomo. In inglese “son of a bitch” significa letteralmente “figlio di una cagna”: i cani sono disprezzati per il fatto di avere rapporti sessuali davanti a tutti e con partner diversi

In napoletano:

♦ figlio’ e’ ntrocchia: figlio di puttana. La parola ntrocchia deriva dal latino “antorchia”, torcia: nell’antichità le prostitute giravano di notte in strada con una torcia accesa per attirare clienti. L’equivalente di “lucciola”, insomma. L’espressione può essere usata anche in senso ammirativo (vedi prossimo riquadro)

♦ chella puttan ‘e mamm’t: quella puttana di tua madre

In veneto, friulano:

♦ tu mare putana: tua madre puttana

♦ tu mare grega: “grega” significa “greca”, donna straniera: spesso le prostitute dei bordelli erano di origine straniera, e in friulano “grego” designa anche una persona infida, doppia 

In siciliano:

♦ ‘dra pulla i to matri: quella puttana di tua madre

♦ figghiu d’arrusa / buttanazza: figlio di puttana

DA INSULTI A COMPLIMENTI

L’attore Samuel L. Jackson fa spesso il motherfucker, un tipo tosto.

L’espressione “figlio di puttana”, oltre a indicare i figli delle prostitute, designa anche una persona spregevole e priva di scrupoli che compie azioni disoneste: i figli delle prostitute, del resto, crescevano per strada, o senza un’educazione, e spesso vivevano di espedienti per riuscire a cavarsela.
Al punto che l’espressione “figlio di puttana” (e in napoletano “figl ‘e ndrocchia” e “figl ‘e bucchino”) può essere usata, in modo scherzoso, anche come complimento: indica chi riesce a cavarsela nelle situazioni difficili grazie a un’abilità spregiudicata. E questo vale anche per l’espressione spagnola de puta madre”, di madre puttana, che però è usata come rafforzativo enfatico: equivale al nostro “della Madonna”, “cazzuto”, “molto figo”, “da paura”: come dire, figlio di una madre spregiudicata e tosta. Anche l’espressione inglese “motherfucker” (letteralmente: uno che si fotte la madre, ovvero “uno capace di fottere sua madre”) significa
“persona meschina, spregevole o malvagia” o si può riferire a una situazione particolarmente difficile o frustrante. Ma può essere usato anche in senso positivo, come termine di ammirazione, come nell’espressione badass motherfucker (acronimo: BAMF), che significa ”persona tosta, impavida e sicura di sé”.

Arma letale: le espressioni incestuose

In spagnolo la “concha” è la conchiglia, ma qui significa vulva.

Gli insulti alla figura materna possono utilizzare una variante se possibile ancora più offensiva: quella che evoca la sessualità della madre. Giocano, cioè, sul tabù dell’incesto, il più forte e antico: evocando la sessualità della propria madre costringono il destinatario dell’insulto a un pensiero altamente sgradevole, ripugnante e imbarazzante. Un “incantesimo” verbale pesantissimo, innescato evocando i suoi genitali, gli atti sessuali o una vita sessuale dissoluta. Il sesso evoca sempre la nostra natura animalesca, dalla quale cerchiamo sempre di prendere le distanze: a maggior ragione nei rapporti affettivi che non hanno (e non devono avere) risvolti erotici.
Dunque, abbinare pensieri osceni alla figura materna è un’arma linguistica micidiale, ed è presente in molte lingue:
oltre al già ricordato russo  “Ёб твою мать” (“yob tvoyu mat”, scopa tua madre, all’origine del “mat”, il gergo volgare), c’è l’albaneseqifsha nënën” (mi fotto tua madre) o “Mamaderr” (Tua mamma è una maiala) e l’araboKos immak” (La figa di tua madre) e Nikomak (scopa tua madre). E anche il rumenoDute-n pizda matii“, torna nella figa di tua madre, e il cinese ha due espressioni per “scopa tua madre”屌你老母 (diu ni lao mu, cantonese) e  操你妈 (cao ni ma, mandarino). E il persiano: Kiram tu kose nanat, ovvero “il mio cazzo nella figa di tua madre”, Madar kooni “tua madre è lesbica”, Kos é nanat khaly khoob hast “La figa di tua madre è buona”, Sag nanato kard “Un cane ha scopato tua madre”, Pedarbozorget nanato kard “Tuo nonno ha scopato tua madre”, Nanat sag suk mizaneh “Tua madre fa pompini ai cani”, Molla nanato kard “Un mullah (teologo) ha scopato tua madre”, Madareto kardam “Mi sono scopato tua madre”, Kiram to koone nanat “il mio cazzo nel culo di tua madre”.

In francese c’è “nique ta mère” (scopa tua madre) e “Ta salope de mère” (quella maiala di tua madre), in spagnolo(vete a) la concha de tu madre” (vai nella figa di tua madre), “Chinga tu madre” (“Scopa tua madre”), “Tu madre culo” (“Il culo di tua madre”). E in finlandese c’è l’espressione  “Äitisi nai poroja” che significa “Tua madre scopa con una renna”: ogni cultura adatta gli insulti al proprio contesto.

 

MODI DI DIRE

E’ la categoria più numerosa, con 20 espressioni:

In veneto:

“A fess d mamt”, un brano disco degli Impazzination (2012).

♦ quea stracciafiletti de to mare: quella strappa frenuli (del prepuzio) di tua madre

♦ va in figa de to mare / va in mona: vai nella figa di tua madre, ovvero: torna da dove sei venuto. E’ usato anche in modo bonario, come sinonimo di “Ma và a quel paese”

♦ quea sfondrada de to mare: quella sfondata di tua madre

♦ chea rotinboca de to mare: quella rottinbocca di tua madre 

♦ va in cùeo da to mare: và nel culo a tua madre.

In mantovano:

♦ cla vaca at ta fàt: quella vacca che ti ha fatto

In toscano:

♦ la tu mamma maiala / la maiala di tu mà: tua madre maiala

In napoletano:

♦ a fess d mam’t: la figa di tua madre (usato anche come esclamazione di disappunto, o per mandare qualcuno a quel paese)

♦ bucchin e mamt: la bocchinara di tua madre

♦ mocc a mamm’t / vafammocc a mamm’t: in bocca a tua madre / vai a farti fare un rapporto orale da tua madre

♦ ‘ncul a mamm’t: in culo a tua madre

♦ figl’e bucchino (figlio di un rapporto orale): persona scaltra e senza scrupoli capace di cavarsela in ogni situazione

In pugliese:

La birra “De puta madre”, una Ipa tosta.

♦ lu piccioni spunnatu di mammata: la figa sfondata di tua madre

♦ a fissa i mammeta : la figa di tua madre

In calabrese:

♦ Fiss’i mammata: la figa di tua madre

♦ In culu a memmata e a tutta a razza da tua: In culo a tua madre e a tutta la tua famiglia

In sardo:

♦ mi coddu cussa brutta bagass’e mamma: Mi fotto quella brutta puttana di tua madre

♦ t’inci fazzu torrai in su cunnu: Ti faccio tornare nell’apparato riproduttivo di tua madre

♦ su cunnu e mamma rua: La figa di tua madre

♦ su cunnu chi ta cuddau a sorri tua baggassa impestara luride e’merda: La figa che ti ha partorito a te e a tua sorella impestata lurida di merda 

♦ su cunnu chi ti ndà cagau: La figa che ti ha cagato

♦ sugunnemamarua bagassa, babbu ruu curruru e caghineri coddau in culu e in paneri de su figllu de su panettieri: La figa di tua mamma bagascia e tuo padre finocchio inculato dal figlio del panettiere

 Offese generiche (e da rapper)

“Yo mama”, film del 2023 su un gruppo di mamme che si mettono a rappare.

Le offese alla madre non sono soltanto di tipo sessuale. Esistono anche insulti generici usati per ferire la persona infangando l’immagine della madre. Un atteggiamento piuttosto comune nell’infanzia e nell’adolescenza, con frasi del tipo “tua madre è brutta”, “tua madre è cicciona”. E questa abitudine sta anche alle origini del rap: la battaglia rap, in particolare, è un duello verbale in rima nei quali gli avversari si fronteggiano improvvisando insulti sempre più spinti sulla madre dell’avversario con la formula “Yo mama” (“your mama”, tua madre). Questa tradizione deriva dalle “dozzine”, duelli d’insulti di origine africana, ma diffusi anche in diverse altre culture. Ma le “dozzine” non sono soltanto un duello verbale nel quale i partecipanti devono mostrare la propria abilità linguistica cercando di sconfiggere l’avversario con insulti sempre più creativi e pesanti. Secondo gli antropologi Millicent R. Ayoub e Stephen A. Barnett, le dozzine erano anche un rituale per rafforzare i legami fra i coetanei. Una sorta di rito di affiliazione: partecipando, il giovane è disposto a lasciare che altri insultino sua madre senza ritorsioni, in cambio di una più stretta integrazione nel suo gruppo di amici. Solo un rapporto molto intimo fra i partecipanti rende possibile gli insulti reciproci alle madri senza passare alle mani. Secondo il sociologo Harry Lefever, questo gioco potrebbe essere anche uno strumento per preparare i giovani afroamericani ad affrontare gli abusi verbali senza arrabbiarsi. Una sorta di allenamento a sopportare le provocazioni: un possibile effetto secondario rispetto alla sfida di sfidarsi con offese che fanno girare la testa.


Di battaglie rap sulla madre abbiamo anche un celebre esempio italiano: il “Mortal kombat” tra Fabri Fibra e Kiffa nel 2001. Dopo una sequela di insulti di vario genere, Fibra (dal minuto 2:08) inizia a insultare Kiffa dicendo “Tua madre non avvisa / Quando si fa calare a gambe larghe sopra la torre di Pisa”, a cui Kiffa risponde con: “Invece tua madre è troppo brava / L’ho vista conficcarsi la Mole Antonelliana”, e così via in un crescendo sempre più osceno e crudo (siete avvisati):

Oltre che nel rap, gli insulti alla figura materna sono diffusi a ogni latitudine. In spagnolo ci sono espressioni fantasiose come Tu madre tiene  bigote” (Tua madre ha i baffi) , o “Me cago en la leche que mamaste” (cago nel latte che hai succhiato dal seno di tua madre). In giapponese c’è l’espressione Anata no okaasan wa kuso desu (Tua madre è un pezzo di merda). In persianoMadar suchte“, Tua madre è bruciata all’inferno, e Nane khar “Tua madre è un’asina”.

Lo scrittore Lu Xun.

Gli insulti sulla madre sono molto diffusi anche in Cina. Già nel 1925 lo scrittore Lu Xun (1881-1936) osservava: «Chiunque abiti in Cina sente spesso dire “tāmāde” (他妈的 = tua madre) o altre espressioni abituali del genere. Credo che questa parolaccia si è diffusa in tutte le terre dove i cinesi hanno messo piede; la sua frequenza d’utilizzo non è inferiore al più cortese nǐ hǎo (ciao). Se, come alcuni sostengono, la peonia è il “fiore nazionale” della Cina, possiamo dire, allo stesso modo, che “tāmāde” ne è il “turpiloquio nazionale”».Secondo Xun, attaccare la madre era un modo per mettere in discussione non solo la reputazione, ma anche il prestigio sociale delle classi altolocate, che basavano il loro potere e prestigio sugli antenati: annientando questi ultimi, con espressioni come “discendente di madre schiava”(而母婢也), “sporco figlio dell’eunuco” (赘阉遗丑), scompare anche il prestigio dei presenti. «Se vuoi attaccare il vecchio sistema feudale, prendere di mira i lignaggi nobiliari è davvero una strategia intelligente. La prima persona ad aver inventato l’espressione “tāmāde” può essere considerata un genio, ma è un genio spregevole».

 

MODI DI DIRE

In italiano non ho trovato frasi fatte con espressioni denigratorie sulla madre. Ce ne sono 8, invece, in alcuni dialetti:

In napoletano:

Tua madre è così grassa: è uno degli insulti contro la madre

♦ chella pereta / loffa ‘e mammeta: quella scorreggia di tua madre

♦ chella zompapereta ‘e mammeta: quella salta scorregge di tua madre: appellativo rivolto alle donne popolane e volgari, o anche alle prostitute

♦ chella latrina / cessa ‘e mammeta: quel cesso di tua madre

♦ chella cessaiola / merdaiola ‘e mammeta : quella lava gabinetti di tua madre 

In veneto:

♦ to mare omo: tua madre è un uomo

Una particolare variante degli insulti materni riguarda evocare la morte della madre oppure insultare i suoi defunti, anche in questo caso nei dialetti:

In livornese:

♦  budello cane di tu madre morta: budella da cane di tua madre morta

♦ il budello de tu ma: le budella di tua madre

In pugliese:

♦ l’ murt de mam’t: i morti di tua madre

E tu, conosci altri modi di dire con insulti alla madre? Scrivilo nei commenti e aggiornerò l’articolo.

Ringrazio Lina Zhou per la preziosa traduzione dell’articolo di Lu Xun.


Ho parlato di questa ricerca a Radio Deejay, ospite della trasmissione “Il terzo incomodo” condotta da Francesco Lancia e Chiara Galeazzi. Qui sotto l’audio dell’intervento:

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“Che nome gli metterò?” — disse fra sè e sè. — “Lo voglio chiamar Pinocchio. Questo nome gli porterà fortuna. Ho conosciuto una famiglia intera di Pinocchi: Pinocchio il padre, Pinocchia la madre e Pinocchi i ragazzi, e tutti se la passavano bene. Il più ricco di loro chiedeva l’elemosina“. Così pensava Geppetto mentre si apprestava a intagliare il suo celebre burattino. Dare il nome a qualcuno significa scegliere il suo avvenire (nomen omen, un nome un destino, dicevano gli antichi) e anche descrivere la sua personalità. E nella fiction – che sia la letteratura o il cinema – il destino dei personaggi è deciso dalla fantasia degli autori. Per esempio, Alessandro Manzoni scelse di chiamare la coprotagonista dei “Promessi sposi” Lucia Mondella: Lucia per evocare la sua natura luminosa, Mondella per alludere alla sua purezza d’animo e alla fase del lavaggio nelle filande.
Perché allora non scegliere anche un nome spinto per un personaggio immaginario?
In questo articolo ne ho raccolti una ventina (e non è detto che siano tutti: se avete segnalazioni, scrivete nei commenti). In questo modo potremo fare un viaggio insolito nella fantasia. Spesso i nomi volgari sono scelti per dare un effetto comico o satirico al racconto, ma a volte anche per descrivere alcune particolari qualità dei personaggi.  

Personaggi cinematografici

 

TONTOLINI

“Tontolini” di Giulio Antamoro, 1910

Tontolini è il burlesco nome del protagonista di questa pellicola del film muto. E’ un popolano sciocco e maldestro, dal viso buffo e con doti da funambolo. Il ruolo è interpretato dall’attore franco-italiano Ferdinand Guillaume.

 

 

CRETINETTI

“Le creazioni svariate di Cretinetti”, 1909 

Il nome è stato reso celebre da Franca Valeri, che così si rivolgeva al marito Alberto Sordi nel film di Dino Risi “Il vedovo” (1959). Ma quel nomignolo non fu un’invenzione della Valeri: era infatti il nome di un protagonista di film comici nell’era del muto, Cretinetti appunto. Era interpretato dal francese André Deed (pseudonimo di Henri André Augustin Chapais), che in Italia recitò in decine di film dando a Cretinetti una gloria internazionale.

CACCAVALLO

“Totò e Carolina”  di Mario Monicelli, 1955 

In questo film totò interpreta l’agente di polizia Antonio Caccavallo, che si lega a una ragazza che arresta per prostituzione (Carolina De Vico).  La pellicola è stata fra le più censurate nella storia del cinema italiano. Soprattutto per i temi affrontati dal regista (prostituzione, figli illegittimi, la morale perbenista).
In origine il protagonista avrebbe dovuto chiamarsi Antonio Callarone: fu trasformato in Caccavallo per far sì che la vicenda suonasse come una farsa fine a se stessa, senza alcun aggancio alla realtà del tempo, a causa delle molte pressioni della Commissione statale di censura dei film.

ROMPIGLIONI

“Il sergente Rompiglioni”  di Giuliano Biagetti, 1973 

Il sergente protagonista del film, Francesco Garibaldi Rompiglioni (Franco Franchi) coltiva due passioni: la musica classica e la disciplina. E istruisce le reclute in modo dittatoriale e isterico: il suo cognome è infatti una contrazione di “rompicoglioni”. Il film ha avuto un grande successo di pubblico, e nonostante il titolo non è infarcito di volgarità. 

NAKA KATA

“Anche gli angeli mangiano fagioli” di E.B. Clucher, 1973

Sonny (Giuliano Gemma) lavora come uomo delle pulizie in una palestra giapponese dove il maestro è Naka Kata (George Wang). Che lo licenzia dopo aver ricevuto da lui un micidiale calcio nei testicoli durante un combattimento.

 

CULASTRISCE 

“Culastrisce nobile veneziano” di Flavio Mogherini, 1976  

Culastrisce sembra un soprannome boccaccesco, invece allude a un antenato Lanzichenecco del protagonista, il marchese Luca Maria Sbrizon (Marcello Mastroianni).
I mercenari svizzeri, infatti,  oltre alle tipiche alabarde portavano brache con spacchi e inserti di stoffe di colori contrastanti: a strisce per l’appunto. Nel film il soprannome viene usato di rado: probabilmente è stato inserito nel titolo solo per evocare le commedie a base di nudi femminili, mariti cornificati e battute triviali.

 

PISELLONIO

“Brian di Nazareth” di Terry Jones, 1979

Il film è una satira dei Monthy Pyton sulla predicazione di Gesù, incarnata da Brian, suo contemporaneo, un rivoluzionario che viene spesso scambiato per il messia. Marco Pisellonio appare accanto a Ponzio Pilato durante la condanna alla crocifissione: è affetto da sigmatismo (zeppola: la “s” fischiante) e deve il suo nome al fatto che nel film originale il personaggio si chiama Biggus Dickus (“big dick” cioè cazzone).

 

KATZONE

“La città delle donne” di Federico Fellini, 1980

Il film è un viaggio onirico nella femminilità. Uno dei personaggi è il dottor Xavier Katzone, un maturo santone dell’eros che vive nell’adorazione di una femminilità che ormai non esiste più. Qui il protagonista Snaporaz (Marcello Mastroianni) scopre la singolare collezione di orgasmi registrati: sono quelli delle innumerevoli amanti di Katzone, che il padrone di casa ama riascoltare premendo dei pulsanti, disposti lungo una doppia parete ricoperta di marmo, che evoca i loculi di un cimitero. Il dottor Katzone li custodisce nella vana attesa di ritornare agli antichi splendori.
Dunque un cognome scelto volutamente per evocare, in modo ironico, l’erotismo.

 

SMERDINO O SMERVINO, SCERIFFO DI RUTTINGHAM

“Robin Hood – Un uomo in calzamaglia” di Mel Brooks, 1993

Il film è una parodia di “Robin Hood – Principe dei ladri” (1991) di Kevin Reynolds, con Kevin Costner. Uno dei personaggi è lo sceriffo di Ruttingham (invece di Nottingham: evoca il rutto), che nell’edizione originale si chiama Mervyn (nome realmente esistente), mentre in quella italiana si chiama Smervino o Smerdino: dal doppiaggio non si riesce a capire quale delle due versioni sia stata scelta (ascoltate il video qui sotto dal minuto 1:33). Ma l’effetto è lo stesso in ambo i casi.

 

CACCA DI NATALE

South Park, di Matt Stone e Trey Parker, 1997

Tra i personaggi di South Park c’è Mr. Hankey, la Cacca di Natale (the Christmas Poo): è un pezzo di cacca con grandi occhi, una bocca sorridente e un cappello da Babbo Natale. Appare nell’episodio intitolato “Uno stronzo per amico”. I bambini della scuola elementare vogliono mettere in scena un presepe tradizionale, ma una donna di fede ebraica chiede di cancellare dalla recita tutti i riferimenti religiosi. Alla fine sarà proprio Mr Hankey a riportare lo spirito natalizio, e alla fine vola via insieme a Babbo Natale. Il personaggio appare anche in altri 6 episodi (fra cui quello intitolato “Un Natale davvero di merda”).

 

CICCIO BASTARDO,  IVONA POMPILOVA, PIRULON, FELICITY LADÀ

Austin Powers – La spia che ci provava”  di Jay Roach, 1999 

Il film è una parodia del mito degli agenti segreti alla 007. Powers è un agente segreto al servizio di Sua Maestà la Regina d’Inghilterra. Rimasto ibernato dagli anni ‘60 a oggi, Powers irrompe nel mondo moderno. Il suo ruolo stride però col suo aspetto fisico piuttosto repellente. A cui lui rimedia col “maipiùmòscio” (nel film originale è il “mojo”, un amuleto),  che gli permette di aver successo con le donne. Fra gli altri personaggi del film ci sono: una ” guardia scozzese ” obesa, Ciccio Bastardo (Fat Bastard); la protagonista femminile, Felicity Ladà (Felicity Shagwell, cioè Felicita Scopabene),  la modella russa Ivona Pompilova ( “Ivana Humpalot” cioè Ivana Scopamolto) e Pirulon (Pirlone), che nel film originale è semplicemente Woody Harrelson che interpreta se stesso.

 

GAYLORD FOTTER e SFIGATTO

“Ti presento i miei” di Jay Roach, 2000

Il protagonista (Ben Stiller) si chiama Gaylord Fotter, un doppio riferimento sessuale: ai gay e all’atto sessuale (come nel film originale, in cui si chiama Gaylord Focker, smile a fucker). Gaylord, detto Greg,  cerca di fare bella figura con i suoceri, in particolare col suocero (Robert De Niro) burbero ex agente della Cia. Fotter cerca di fare di tutto per impressionare favorevolmente i suoceri, ma la sua insicurezza e il nome imbarazzante non lo aiutano. Da segnalare anche il nome del gatto dei suoceri, che nella versione italiana si chiama Sfigatto (Mr Jinx nell’originale: in inglese jinks sono gli scherzi chiassosi), perché ne passa di tutti i colori.

 

THE MOTHERFUCKER

 “Kick-Ass2”, di Jeff Wadlow, 2003

Il film è il sequel di “Kick-Ass”, storia di un ragazzino che diventa supereroe. In questo film il suo coetaneo Chris D’Amico, sconvolto dalla morte della madre, decide di voltare le spalle alla sua precedente incarnazione da eroe e di diventare il primo supercattivo della vita reale, facendosi chiamare Motherfucker, con l’obiettivo di vendicarsi di Kick-Ass. “Motherfucker” letteralmente “uno che si fotte la madre” è l’equivalente di carogna, figlio di puttana. Nella versione italiana non è stato tradotto.

BOGDANA

 “Pazze di me” di Fausto Brizzi, 2013

Il film è una commedia senza molte pretese che racconta la storia di un ragazzo, Andrea Morelli (Francesco Mandelli), unico maschio in una famiglia tutta al femminile. Nel nucleo è presente anche una badante rumena, una scansafatiche cafona che si chiama Bogdana (evidente assonanza con “puttana”). In una scena lei rivela però che quello è “un nome d’arte: il mio vero nome è Niculina” (evidenziando la somiglianza con “culo”).

PHUC

 “The gentlemen”, di Guy Ritchie, 2019

Il film è una storia di gangster della marijuana ambientata nel Regno Unito. Si fronteggiano varie fazioni: protagonista è il boss Michael “Mickey” Pearson (Matthew McConaughey), che ha costruito un impero della cannabis e vuole uscire dal giro. Il boss cinese Lord George gli vuole subentrare, e il suo vice, Occhio Asciutto, congiura per mettersi in mezzo. Uno dei suoi scagnozzi si chiama Phuc, che ha lo stesso suono di “fuck“, fottere. Un gioco di parole provocatorio in una commedia d’azione e sangue decisamente sopra le righe. 

Personaggi letterari

BACIACULO E NASAPETI

“Gargantua e Pantagruele”, François Rabelais, 1542.

Il libro è una satira del suo tempo. In un episodio l’autore racconta che “a quel tempo pendeva nel Parlamento di Parigi un processo su una controversia così alta e difficile «che la Corte del Parlamento non ci capiva più che se fosse alto tedesco». Così il re decise di affidare il giudizio a Pantagruele. I contendenti erano Baciaculo (Baisecul in francese) e Nasapeti (Humevesne): l’episodio è una satira contro la lentezza dei processi e il linguaggio incomprensibile di giudici e avvocati. Alla fine Baciaculo è dichiarato innocente con una lunga e incomprensibile sentenza, che però “lo condanna a tre bicchieroni di latte cagliato, ben mantecati, drogati e preparati secondo la moda del paese, a favore del detto convenuto, pagabili al Ferragosto, di maggio. Ma il convenuto a sua volta sarà tenuto a rifornirlo di tutto il fieno e la stoppa, necessari all’otturazione dei trabocchetti gutturali, con contorno di polpettoni ben arrostiti e conditi. E amici come prima”. E tutti a celebrare la saggezza di Pantagruele.

 

CACASENNO

dalle novelle “Bertoldo, Bertoldino e Cacasenno” di Giulio Cesare Croce, 1620

I racconti riprendono e rielaborano novelle antichissime. Cacasenno è più idiota del padre Bertoldino: il suo nome infatti significa che “defeca la saggezza”, termine che in italiano ancora oggi designa le persone saccente, i saputelli. L’autore lo deride fin dal suo aspetto fisico: “Questo Cacasenno era grosso di cintura, aveva la fronte bassissima, gli occhi grossi, le ciglia irsute, il naso e la bocca aguzza, che certo assomigliavasi ad un gatto mammone, ovvero ad uno scimiotto”. Per dire quanto fosse sveglio e intelligente, basta questo scambio di battute con uno dei personaggi, Erminio:

“Dimmi, come hai tu nome?”. E Cacasenno: “Messer no, che non sono un uomo, sono un ragazzo”. Erminio. “Non ti addimando se sei un uomo, dico il tuo nome: come ti chiami?”. E Cacasenno: “Quando uno mi chiama, ed io gli rispondo”. 

I racconti hanno ispirato tre versioni cinematografiche: la più famosa è quella firmata da Mario Monicelli nel 1984. In una scena, re Alboino solleva in aria il figlio di Menghina e Bertoldino, ma il neonato gli defeca in faccia, “e viene di conseguenza chiamato Cacasenno”.

 

AUGELLO

I gialli di Montalbano, 1994-2020

Camilleri aveva il gusto per i dettagli. Perciò non ha scelto a caso i cognomi de propri personaggi: Montalbano deve il suo cognome a Manuel Vàzquez Montalbàn, prolifico autore di gialli spagnolo che aveva ispirato Camilleri.
Mimì Augello, il vice di Montalbano, è’ un don Giovanni, e proprio per questo il suo cognome sembra evocare l’organo sessuale maschile. Invece così non è, come rivela lo stesso Camilleri (citato in questo studio): “questa storia del braccio destro di Montalbano che si chiama Augello, gli piacciono le donne. L’augello è quello che è, il membro maschile, da noi, il membro virile. Quindi, tutti hanno pensato che io avessi voluto chiamare in questo modo il vicecommissario perché è un gran donnaiolo. Ma manco per idea! Augello è un cognome fra i più diffusi che ci sono tra Siculiana e Realmonte, vicinissima a Porto Empedocle, ecco. Poi il lettore, magari, ci vede chissà quale ricerca etimologica, chissà che cosa. Per me era lontanissima, quest’idea. Augello, semmai, nasceva non dal fatto delle sue capacità virili, nasceva, semmai, dal fatto che svolazzava da una donna all’altra. Semmai, poteva essere lontanissimamente questo”.

Personaggi nelle canzoni

MERDMAN 

dall’album “Henna”, Lucio Dalla, 1994

La canzone parla di un “marziano disgustoso” che precipita sulla Terra, Merdman. Ecco alcune strofe che lo descrivono: A parte il puzzo veramente micidiale, aveva in sé qualcosa di familiare, Sui trent’anni, bocca larga e braghe corte, sempre sporco con uno stronzo sulla fronte. Ogni tanto spiaccicava una parola, e con le dita messe li’ a pistola catturava tutto l’audience della gente…. A poco a poco anche la stampa più esigente, lo trovava bello, fresco e divertente… Non parliamo dei bambini anche i più belli, si mettevano uno stronzo tra i capelli”.
La canzone è una feroce satira contro la tv spazzatura che glorifica il peggio degli uomini.

Qualche anno dopo, nel 2003, Elio e le storie tese scriveranno “Shpalman”, una canzone dedicata a un immaginario supereroe che sconfigge i cattivi” “spalmandogli la merda in faccia”.  

 

GADDA E I SOPRANNOMI DI MUSSOLINI

Fra il 1941 e il 1945, Carlo Emilio Gadda (l’autore del “Quer pasticciaccio brutto de via Merulana”) scrisse “Eros e Priapo: da furore a cenere” una riflessione storica feroce su Benito Mussolini e la sua dittatura (a cui inizialmente Gadda aveva aderito).
Nel saggio non viene mai menzionato il termine “fascismo”, mentre Mussolini viene ribattezzato con decine di nomignoli insultanti: Furioso Babbeo, Sozzo Nostro, Somaro Principe, Primo Racimolatore e Fabulatore delle scemenze, Giuda-Maramaldo, Paflagone-smargiasso, Priapo Moscio, il Gran Correggione del Nulla, il Predappio-Fava, il Culone in Cavallo, Il Fava impestatissimo, il Batrace Stivaluto, il Priapo Tumefatto, Ejettatore delle scemenze, il Giuda imbombettato, il Capocamorra, Appiccata Carogna, il Merda, Primo Maresciallo del Cacchio, il Mascelluto, Gaglioffo ipocalcico, Gran Cacchio,  Maccherone Ingrognato, Scacarcione Mago, Nullapensante, Priapo Maccherone Maramaldo. Solo per citarne alcuni…

Il saggio fu pubblicato solo nel 1967 e in versione censurata, dopo essere stato rifiutato da molti editori.

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Perché i genitali sono diventati insulti? https://www.parolacce.org/2016/02/17/offese-metafore-sessuali/ https://www.parolacce.org/2016/02/17/offese-metafore-sessuali/#respond Wed, 17 Feb 2016 14:07:43 +0000 https://www.parolacce.org/?p=9415 “Cazzone, cazzuto, incazzato“: non passa inosservato il sottotitolo di “Deadpool“, un film su un supereroe per adulti, stravagante, comico e politicamente scorretto. Il film, al cinema in questi giorni, è l’occasione per parlare dei genitali usati come insulti: perché i nomi che designano pene,… Continue Reading

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deadpoolCOLCazzone, cazzuto, incazzato“: non passa inosservato il sottotitolo di “Deadpool“, un film su un supereroe per adulti, stravagante, comico e politicamente scorretto. Il film, al cinema in questi giorni, è l’occasione per parlare dei genitali usati come insulti: perché i nomi che designano pene, vulva, glutei sono usati anche per offendere le persone (coglione, testa di cazzo, faccia da culo, rincoglionito)?
Non è strano che gli organi sessuali (nei quali ho inserito anche i glutei, in quanto richiami erotici) siano usati per descrivere le caratteristiche psicologiche o i modi di fare delle persone, e per di più in modo negativo?
La questione è intrigante. Indagando ho scoperto che queste metafore sessuali sembrano indicarci una rotta morale, additando i peggiori difetti umani, sia intellettivi che comportamentali. E lo fanno con una lucidità sorprendente: sembrano aver attinto da un trattato di psichiatria. I difetti che queste espressioni mettono alla berlina, infatti, sono così universali che caratterizzano molti celebri personaggi cinematografici: non solo Deadpool, ma tutte le macchiette rappresentate nei film di Carlo Verdone… e non solo.

Prima di svelare la mappa semantica degli insulti derivati dai genitali, affrontiamo subito la questione di fondo: cosa c’entrano gli organi sessuali con i difetti morali? Perché i nomi del sesso sono usati per esprimere offesa, disistima, disprezzo?
Innanzitutto perché i nomi osceni, evocando il sesso, sono emotivamente carichi, sono parole impregnate di passioni. Ma questa carica non è solo positiva (eros, piacere, seduzione, forza vitale, eccitazione, fecondità…). Il sesso ha anche un risvolto negativo: ci ricorda la nostra natura animalesca, da cui cerchiamo sempre di prendere le distanze. Ecco perché il sesso è usato per “abbassare” il valore di una persona: se dico a qualcuno che è una “testa di cazzo”, metto la sua intelligenza sullo stesso piano della pulsione sessuale, irrazionale e incontrollata. Quella persona, invece di ragionare col cervello, si lascia guidare dal pube. La “torre di controllo” si è spostata dall’alto al basso

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Iniziativa di un gruppo di creativi free lance: non vogliono essere sotto pagati, cioè trattati da coglioni.

Questa visione svilente della sessualità è stata rafforzata, nella cultura occidentale, dall’orfismo, un movimento religioso nato in Grecia nel VI secolo a.C.: gli orfici disprezzavano il corpo, mortale e limitato, perché lo consideravano inferiore all’anima, pura e immortale. Nei secoli successivi questo contrasto fra mente e corpo è stato rafforzato anche dal cristianesimo, per il quale la vita terrena vale solo in funzione di quella ultraterrena.

Ecco perché, in moltissime lingue, i nomi che designano i genitali sono usati come insulti, anche se con molte variazioni da un Paese all’altro: alcuni Paesi utilizzano più le metafore derivate da pene e testicoli, altri quelle dalla vulva, altri ancora quelle che rimandano ai glutei.
Per esempio, tornando al film  “Deadpool”,  la tripletta inglese che lo descrive, significa letteralmente: tosto, saccente, grandioso, ed è giocata sulle varianti di “ass”, culo. In Italia, anche se culo è una parola dai molti significati (ne avevo parlato qui), preferiamo usare come metafora i genitali maschili: il “lato A” invece del “lato B”. Ecco perché nella versione italiana i traduttori hanno puntato sugli aggettivi derivati dal pene: cazzone, cazzuto, incazzato. Infatti, cazzuto è la traduzione corretta di bad ass,; smart ass è reso con cazzone, mentre sarebbe stato più corretto definirlo cazzaro (fanfarone, spaccone). Per il terzo aggettivo, great ass, non esiste un corrispettivo derivato dai genitali maschili: sarebbe stato corretto tradurlo come figone. E infatti in italiano le metafore derivate dal sesso femminile esprimono per lo più concetti positivi: figa (bella donna), figo (bell’uomo, alla moda, attraente, elegante), figata (cosa bella, piacevole, ben riuscita)… L’unica eccezione è fighetto, inteso come elegante, vanesio, affettato. Ma d’altronde non bisogna dimenticare che fesso (= sciocco, scemo) deriva da fessa (fessura, vulva), e fregnone (= sciocco, stupido) da fregna (vulva).

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T-shirt: sono con un testa di…

Qualcuno ha ipotizzato che forse la nostra cultura è fissata alla fase fallica (la fase dello sviluppo infantile che concentra la libido sul pene) mentre quella anglosassone a quella anale, ma è una lettura troppo semplicista: anche in italiano abbiamo molti riferimenti al deretano (faccia da culo) e agli escrementi (faccia di merda) nei nostri insulti. Forse, il contrasto fra pene-spregiativo e vulva-elogiativa è uno dei tanti sintomi del maschilismo della nostra cultura: i maschi disprezzano il proprio sesso, apprezzando quello opposto. C’è del vero, ma come spiegare, allora, gli spregiativi derivati dal sesso femminile?
E’ più probabile che questa opposizione nasca da un altro aspetto: mentre la vulva è nascosta e misteriosa, il pene è un organo evidente, appeso e penzolante, quindi in balìa dei movimenti del corpo: come tale si presta a diventare il simbolo di un essere passivo e inanimato.
In ogni caso, è impossibile generalizzare: in francese, per esempio, il termine che designa la vulva, con, è usato come insulto: equivale al nostro coglione. Lo stesso avviene anche in inglese, dove il termine twat (vulva) è un’offesa pesante che significa coglione, stronzo, pezzo di merda. I nomi del sesso, insomma, sono veri jolly linguistici che possono esprimere tutto e il contrario di tutto, come già raccontavo in questo post.

Ed è proprio questa ricchezza espressiva a rendere difficile studiare questi appellativi, e tradurli da una lingua a un’altra: che cosa vogliamo dire quando affermiamo che una persona è “un coglione“? E’ questa la prima difficoltà con cui ci si scontra se si vuole fare una mappa semantica degli insulti tratti dal lessico sessuale, traducendo le parolacce in termini neutri o almeno non volgari. Così facendo, ho potuto distinguere gli insulti genitali in due grandi famiglie: quelli contro l’intelligenza e quelli contro il comportamento. E mentre compilavo questo elenco (nel quale ho inserito, in blu, alcuni corrispettivi in inglese) mi sono venuti in mente diversi personaggi cinematografici che incarnassero quei difetti. Tipi umani presenti a ogni epoca e latitudine.

insultiGenitali1Gli insulti contro l’intelligenza si possono dividere in 2 sottocategorie: quelli che condannano l’incapacità di intendere, ovvero il ritardo mentale in varie forme; e quelli che puntano l’indice contro l’ottusità, l’ostinazione, ovvero la demenza e i deficit di attenzione. Mentre i primi sono difetti permanenti, i secondi possono essere transitori: perché si è presa una botta in testa, perché si è invecchiati, perché si è stanchi. Questi insulti, insomma, evidenziano – per contrasto – l‘importanza dell’intelligenza, della prontezza di riflessi, della capacità di discernere e agire di conseguenza.
Chi è privo di queste doti, è emarginato e disprezzato. Ma al tempo stesso fa ridere: se guardate i personaggi che incarnano questi difetti, sono tutti personaggi comici: da Checco Zalone a Mr Bean, fino al tontolone Leo, portato in scena da Carlo Verdone in “Un sacco bello”.

insultiGenitali2Discorso altrettanto interessante si può fare per gli insulti che stigmatizzano determinati comportamenti. Mettendoli tutti insieme, mi sono accorto che coincidono in modo impressionante con i disturbi di personalità, cioè le malattie mentali che compromettono l’equilibrio psicologico e relazionale di una persona. Sono tutte forme di disadattamento: chi ne è affetto risponde in modo inadeguato ai problemi della vita, compromettendo i rapporti con gli altri. Sono persone aggressive, false, esibizioniste, moleste, vittimiste, incapaci di empatia con gli altri, insensibili, cattive. E proprio per questo sono il bersaglio di molti e pesanti insulti, come potete vedere dal grafico qui a lato. Nei loro confronti, è difficile usare una chiave comica: soprattutto verso i sociopatici, che non a caso hanno ispirato schiere di “cattivi” nei film.

Dunque, riunendo tutti gli insulti derivati dai genitali, emerge un quadro sorprendente: additano le peggiori caratteristiche di una persona, che diventa così meritevole di disprezzo e di dileggio. Ma queste parolacce non sono soltanto offese. Indirettamente indicano (per contrasto) i valori più importanti che ognuno di noi dovrebbe perseguire se vuole ottenere la stima e la benevolenza altrui: l’intelligenza, l’acume, la ragionevolezza, l’altruismo, l’empatia, la dolcezza, il rispetto… Insomma, a ben guardare, gli insulti genitali non sono cazzate.

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Parolacce nelle canzoni: il primo censimento https://www.parolacce.org/2015/12/16/studio-parolacce-musica/ https://www.parolacce.org/2015/12/16/studio-parolacce-musica/#comments Wed, 16 Dec 2015 15:29:15 +0000 https://www.parolacce.org/?p=8919 Pensate che il rock sia la musica più trasgressiva? Vi sbagliate: una ricerca ha accertato che è l’hip hop il genere musicale con più parolacce nelle canzoni. La ricerca di cui sto per parlare è uno studio notevole: è il primo ad aver censito… Continue Reading

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Un gestaccio di Jay Z (Shutterstock).

Pensate che il rock sia la musica più trasgressiva? Vi sbagliate: una ricerca ha accertato che è l’hip hop il genere musicale con più parolacce nelle canzoni.
La ricerca di cui sto per parlare è uno studio notevole: è il primo ad aver censito su ampia scala le parolacce nelle canzoni. Gli autori sono Varun JewalikarFederica Fragapane, e l’hanno fatta per musixmatch, uno dei più popolari database mondiali di testi musicali. Un database tutto italiano: è di Bologna.
Il campione di canzoni che hanno esaminato è sterminato: quasi mezzo milione (490.100) scritte da oltre 10mila artisti (10.386). Il risultato? Lo 0,45% di tutte le parole nelle canzoni sono parolacce: una ogni 234. Tante? No, nella media, anzi: un po’ sotto. Lo psicolinguista Timothy Jay, in una passata ricerca, ne aveva censite fra lo 0,5% e lo 0,7% sul totale delle parole dette da una persona in un giorno. Se le canzoni sono lo specchio della vita, allora sono uno specchio abbastanza realistico.

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I dati dello studio (clicca per ingrandire)

Ma come hanno scelto il campione i ricercatori? Hanno censito le canzoni in inglese, scegliendo i 51 artisti più cliccati su Google per ogni genere musicale (8: pop, hiphop, folk, heavy metal, rock, country, indie rock, elettronica). In pratica, si va da Michael Jackson a Bob Dylan, dai Pink Floyd ai Metallica, fino ai Kraftwerk ed Eminem. La popolarità, insomma, ha prevalso sull’omogeneità temporale, il che è un punto debole della ricerca: paragonare le parolacce di Snoop Dog a quelle dei Beatles ha poco senso, perché negli anni ’60 le parolacce erano decisamente più rare che nella musica di oggi.

Ed ecco la classifica dei generi musicali per uso (decrescente) di parolacce:

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Vince l’hip hop, seguito da heavy metal (anche questo era prevedibile), e musica elettronica (dato sorprendente, visto che spesso le canzoni sono solo strumentali). Il rock si classifica solo al 6°posto: non è più la musica trasgressiva di una volta. Non a caso, i giovani di oggi scelgono l’hip hop per esprimere la propria ribellione anticonformista.
E quali sono le parolacce più usate in inglese? Qui c’è un’altra sorpresa: prevale la parola “nigga” (negro), al 24%, seguita da fuck (scopare, 18%) e shit (merda, 14,5%). Se le parolacce sono lo specchio dei valori, delle paure e delle ossessioni di una società, beh: le canzoni rappresentano non solo gli intercalare più usati (fuck, shit) ma anche lo spinoso problema del razzismo, dell’emarginazione delle persone di colore. Anche se, come giustamente sottolineano gli autori della ricerca, la parola “nigga” (negro) nell’hiphop non è usata in senso offensivo, ma come termine gergale, come identità sbandierata senza complessi. Alla luce di questa precisazione, se togliamo la prola “nigga” nelle canzoni hip hop le parolacce scendono da 1 ogni 47 parole a 1 ogni 74 parole.
Nell’elenco delle parolacce, peraltro, c’è l’altro punto debole della ricerca: per stabilire quali fossero le parolacce, i ricercatori hanno attinto a un elenco scritto da Google per filtrare i contenuti in un’applicazione. Ma in questo elenco figurano anche espressioni (sex, sesso, lust, libidine) disturbanti per la sensibilità puritana degli statunitensi, ma non certo per quella di noi europei: motivo per cui li ho cassati dalla lista, e ho anche accorpato fra loro le varianti linguistiche di uno stesso termine (nigga, niggas, niggaz li ho uniti sotto nigga). Ecco i risultati così rielaborati: queste 14 parolacce, da sole, rappresentano quasi l’85% di tutte le parolacce nelle canzoni.

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Insomma, un’indagine interessante. A quando un censimento del genere per le parolacce nelle canzoni italiane? Alcuni studi li ho fatti: li trovate in queste pagine.

Di questo post ha parlato IlGiornale.

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