odio | Parolacce https://www.parolacce.org L'unico blog italiano di studi sul turpiloquio, dal 2006 - The world famous blog on italian swearing, since 2006 - By Vito tartamella Tue, 18 Aug 2020 19:21:17 +0000 it-IT hourly 1 https://www.parolacce.org/wp-content/uploads/2015/06/cropped-logoParolacceLR-32x32.png odio | Parolacce https://www.parolacce.org 32 32 Quanto pesa l’odio su Twitter https://www.parolacce.org/2020/08/18/hate-speech-su-twitter-italia/ https://www.parolacce.org/2020/08/18/hate-speech-su-twitter-italia/#respond Tue, 18 Aug 2020 18:48:55 +0000 https://www.parolacce.org/?p=17441 Facciamo una scommessa. Secondo voi, qual è la percentuale di tweet che contengono insulti in Italia? In altre parole: quanto è diffuso l’hate speech, l’odio,  sui social network nel nostro Paese? Vi do 4 possibilità: A)  28,7%.  B)  21,6%.  C)… Continue Reading

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Il logo del canale Twitter di parolacce.org.

Facciamo una scommessa. Secondo voi, qual è la percentuale di tweet che contengono insulti in Italia? In altre parole: quanto è diffuso l’hate speech, l’odio,  sui social network nel nostro Paese?
Vi do 4 possibilità:

A)  28,7%. 

B)  21,6%. 

C) 13,2%. 

D) 3,7%.

Quale risposta avete scelto? Se è una delle prime 3, beh: siete fuori strada. Perché la risposta corretta è l’ultima: i tweet a contenuto offensivo sono meno del 4% del totale. L’ha accertato una recente ricerca sull’hate speech fatta da DataMediaHub e KPI6: le due società hanno analizzato i tweet scritti fra il 25 aprile e il 17 giugno scorso. Su un totale stimato di  oltre 18 milioni di conversazioni, solo 679mila contenevano insulti. Il 3,7% per l’appunto. E hanno generato un coinvolgimento, un seguito trascurabile: il tasso di engagement (cioè le interazioni: like, retweet, etc) è solo dello 0,26%. 

Al netto di alcune imprecisioni linguistiche, di cui parlerò più avanti, la ricerca è preziosa perché smonta un pregiudizio diffuso: che l’hate speech sia un’emergenza, un fenomeno diffuso. In realtà, è e resta un’eccezione, per quanto inquietante. Come del resto ho scritto in più occasioni, ad esempio quando ho presentato la mia ricerca sulle parolacce più pronunciate in italiano: sono soltanto lo 0,21% di tutte le parole. Dunque, su Twitter (e sui social in generale) si dicono oltre 17 volte più insulti: ma è un dato del tutto atteso, visto che con il paravento di uno schermo ci si sente meno inibiti a offendere rispetto a quanto si fa di persona. La sindrome dei “leoni da tastiera” che tutti conosciamo.

Una sindrome che colpisce soprattutto i giovani maschi, e si manifesta con un sintomo inequivocabile: la mancanza di fantasia. Gli odiatori usano infatti per lo più solo 5 insulti generici (li dico più sotto), prova che non hanno valide argomentazioni per motivare la loro rabbia. O, quanto meno, non le esprimono. Alla fine, i leoni da tastiera si comportano come gli ultras da stadio: tifano in modo acritico per la propria squadra (sia essa un partito, un personaggio, una posizione politica) e insultano quelle avversarie.

L’impostazione della ricerca

I dati demografici del campione (clic per ingrandire)

IL CAMPIONE. I tweet esaminati, come detto, sono stati circa 18,3 milioni. Quelli offensivi risultano 679mila, pari al 3,7% del totale. Li hanno digitati 148mila utenti, pari all’1,4% degli iscritti su Twitter in Italia (10,5 milioni). Come era facile immaginare, gran parte degli “odiatori” sono uomini: il 68%, più di 2 su 3. E la gran parte, il 35,9% sono giovani adulti fra i 25 e i 34 anni d’età. Se si aggiungono anche gli utenti fra i 35 e i 44 anni, emerge che il 64,5% degli insultatori ha fra 25 e 44 anni d’età.

I TERMINI CENSITI. In questa parte linguistica si annidano le uniche imprecisioni dello studio. Gli insulti sono classificati in 7 categorie: generici, sessisti, omofobici, razzisti, antisemiti, di discriminazione territoriale, ideologici, per un totale di una novantina di termini.

Il vocabolario degli odiatori: insulti al posto delle argomentazioni.

L’elenco di quelli generici è però incompleto: mancano (solo per fare i principali esempi) carogna, cornuto, infame, rompicazzo, marchettaro, cazzone; e in questa categoria figura “rotto in culo” che invece, di per sè, sarebbe dovuto rientrare in quelli omofobici. Fra gli insulti sessisti mancano gli insulti rivolti ai maschi (puttaniere, mezzasega, sfigato), come avevo argomentato in questo articolo; e in quelli omofobi mancano quelli rivolti ai transgender (travestito).
Discorso a parte l’elenco di quelli
razzisti, che non comprende termini come crucco e muso giallo; e in questa categoria più generale sarebbe stato più corretto inserire anche quelli antisemiti (giudeo) e di discriminazione territoriale (terrone e polentone) che sono solo varianti sul tema.
D’altronde, va ricordato che gli autori della ricerca non sono linguisti e qualche errore era da mettere in conto (per evitarli bastava leggere il mio
libro , dove c’è l’elenco completo degli insulti e in generale delle parolacce in italiano). Ma l’indagine resta comunque valida perché dà un polso concreto, un ordine di grandezza definito della situazione.

I risultati dell’indagine

I TERMINI PIU’ USATI. Il rapporto sull’hate speech in Italia è interessante anche per un altro aspetto: mostra che la maggior parte degli insulti, il 62,2%, sono offese del tutto generiche (coglione, stronzo…). Seguono, a distanza, le offese politiche (fascista, comunista, etc) col 25,4%, mentre gli appellativi sessisti (troia, zoccola) si fermano al 7,7%. Marginali gli insulti razzisti (negro, terrone, ebreo) , che in tutto raggiungono il 2,77% e ancor meno quelli omofobi (culattone) all’1,9%.

La tipologia di insulti più usati su Twitter (clic per ingrandire).

Non si può dire che gli “odiatori” brillino per fantasia lessicale: i 5 termini più usati (presenti nel 70,38% dei tweet, più di 2 su 3) sono:
♦ coglione: 28,06% (è anche la 12° parolaccia più pronunciata in italiano)
♦ fascista: 16,4%
♦ comunista: 11,20%
♦ stronzo: 8,27%
(8° parolaccia più pronunciata in italiano)
♦ imbecille: 6,45% (26° più pronunciata).
Accorpando questi termini per aree semantiche, gli insulti generici pesano per circa il 42,78%, mentre quelli ideologici per il 27,6%. E anch’essi, in fin dei conti, sono etichette prive di contenuto specifico. Sono giudizi sommari, un modo di liquidare gli avversari gettando addosso secchiate di fango. Senza motivare il perché. E’ vero che il format di Twitter non aiuta: ogni tweet può contenere al massimo 280 caratteri, nei quali non si possono condensare ragionamenti complessi. Ma le ricerche su altri social network (Facebook, chat, etc) danno risultati simili. Quindi, in realtà, la responsabilità dell’hate speech non è del “medium”: è dell’uomo.

PICCHI STAGIONALI. Gli insulti, rileva la ricerca, hanno avuto due picchi in occasione del 25 aprile (festa della liberazione dal fascismo) e del 2 giugno (festa della Repubblica), due date in cui si scatenano le rivalità fra destra e sinistra. L’Italia, insomma, non ha ancora fatto i conti fino in fondo con il proprio passato.

ARGOMENTI SCOTTANTI. Quali sono gli argomenti che scatenano l’aggressività su Twitter? Sono 4, dice il report. 

    1. Gli insulti più usati verso i 3 politici più citati: Matteo Salvini, Giorgia Meloni, Giuseppe Conte (clic per ingrandire).

      politica: è l’argomento del 26% dei tweet. I personaggi che hanno attirato la maggior parte dei commenti astiosi sono Matteo Salvini, Giorgia Meloni e Giuseppe Conte. I primi due per le posizioni sull’immigrazione, il terzo in quanto premier (e quindi incolpabile in via di principio per tutte le decisioni politiche). Sia Salvini che Conte ricevono più spesso l’insulto generico “coglione”; la Meloni quello ideologico “fascista”. Dunque, gli scontri politici si giocano a suon di insulti privi di contenuto, usati per squalificare le persone nella loro interezza più che per criticare posizioni precise con argomentazioni razionali. 

    2. intrattenimento e Vip: il 21% dei tweet ha come argomento i commenti su personaggi pubblici come David Parenzo, Fabio Fazio, Bruno Vespa, Fiorella Mannoia, Enrico Mentana e Beppe Grillo. In realtà, a ben vedere, la colorazione politica emerge anche in questo caso visto che molti di loro hanno una collocazione ideologica netta
    3. news: le notizie di vario genere accendono il 19% dei commenti. Il report non precisa nel dettaglio quale tipo di notizie smuovano la “pancia” degli italiani, probabilmente quelle su economia, crisi del lavoro, immigrazione, lavoro, sesso.
    4. sport: i diverbi fra opposte tifoserie sono al centro del 13% dei tweet offensivi, in particolare Giorgio Chiellini (capitano della Juve e della Nazionale) perché all’epoca dello studio aveva pubblicato un libro autobiografico in cui aveva lanciato delle stoccate a vari colleghi fra cui Mario Balotelli (“una persona negativa, senza rispetto per il gruppo”).
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Cosa svelano le parolacce nei film di Tarantino https://www.parolacce.org/2017/03/30/turpiloquio-cinema-di-tarantino/ https://www.parolacce.org/2017/03/30/turpiloquio-cinema-di-tarantino/#respond Thu, 30 Mar 2017 13:24:36 +0000 https://www.parolacce.org/?p=12065 Si può capire il cinema di Quentin Tarantino studiando le parolacce che ha inserito nei suoi film? La domanda è stuzzicante: il regista più splatter del nostro tempo ama infatti il linguaggio senza filtro, e le sue pellicole ne sono… Continue Reading

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Tarantino posa dopo lasciato l’impronta delle mani nel cemento (Shutterstock).

Si può capire il cinema di Quentin Tarantino studiando le parolacce che ha inserito nei suoi film? La domanda è stuzzicante: il regista più splatter del nostro tempo ama infatti il linguaggio senza filtro, e le sue pellicole ne sono la prova.
Ma quante parolacce contengono, e di che tipo? Ne usa più o meno rispetto ad altri registi? E qual è il film più volgare della sua carriera? 
Per rispondere a queste domande, un giornalista statunitense, Oliver Roeder, ha fatto un lavoro certosino: ha rivisto tutti i film di Tarantino, segnando pazientemente tutte le parolacce dette dai protagonisti. In questo post analizzerò i risultati di questo lavoro, che getta una luce inedita sul regista di “Pulp fiction”.

Innanzitutto, definiamo il campo d’analisi: Roeder ha esaminato le 7 pellicole principali dirette da Tarantino: “Le iene” (1992), “Pulp fiction” (1994), “Jackie Brown” (1997), “Kill Bill vol. 1” (2003), “Kill Bill vol. 2” (2004), “Bastardi senza gloria” (2009), “Django unchained” (2012). A questa analisi (i dati grezzi li trovate qui) ho aggiunto le parolacce contenute in “The hateful eight” (2015), di cui lo stesso Roeder ha esaminato la sceneggiatura (che potrebbe avere alcune differenze rispetto al film effettivo).

Scena da “Pulp fiction”.

Il risultato è impressionante: le volgarità censite sono state in tutto 1882, pari a una media di 235 per ogni pellicola (ma, come vedremo, ci sono in realtà differenze notevoli da un film all’altro). Dato che i film di Tarantino durano in tutto 1155 minuti, significa che, in media, nelle sue pellicole si dice più di una parolaccia al minuto (per la precisione 1,6 al minuto).

Un assaggio eloquente è la scena iniziale delle “Iene” che è un vero concentrato di scurrilità. Basti dire che solo nei primi 10 minuti ne vengono pronunciate 59, quasi 6 al minuto, ovvero una ogni 10 secondi… I protagonisti, infatti, mentre giocano a carte, lanciano interpretazioni sempre più spinte sul vero significato della canzone di Madonna “Like a virgin”. E al minuto 1:24 lo stesso Tarantino si produce in una mitragliata di “cazzo” (ripetuto 9 volte), tanto che Edward Bunker (Mr Blue) domanda: “Quanti cazzi fanno?”. E Harvey Keitel (Mr White) risponde: “Una marea!”. Insomma, un inizio così non passa certo inosservato…

Ma esattamente quali parolacce ha inserito nei suoi film Tarantino? Il lessico è abbastanza vario: Roeder ha censito 27 diverse espressioni, anche se c’è un’ossessiva ricorrenza di fuck (fottere, fanculo) che, nella sue varianti, rappresenta più di una parolaccia su 3. Un dato che sorprende fino a un certo punto, dato che è la scurrilità più usata in inglese, anche come intercalare e rafforzativo: come per noi lo è la parola cazzo, come raccontavo in questo articolo.
Ecco l’elenco delle parolacce censite negli 8 film: nella tabella ho accorpato sotto la voce “altre” le espressioni che ricorrono pochissime volte (da 1 a 3), come cocksucker (succhiacazzi) o il francese merde.

Parolaccia Quantità % sul totale
fuck (fottere, fanculo) 683       36,3
shit (merda) 244       13,0
nigger (negro) 233       12,4
ass (culo) 183        9,7
goddamn (maledizione) 114        6,1
motherfucker (bastardo, carogna) 112        6,0
bitch (cagna, stronza, troia) 87        4,6
damn (dannato) 84        4,5
hell (inferno) 61        3,2
dick (cazzo) 20        1,1
bullshit (stronzata) 15        0,8
bastard (bastardo) 11        0,6
pussy (figa) 11        0,6
altre espressioni 24        1,3
TOTALE 1882 100

Dunque, metà delle volgarità (quasi il 48%) sono di origine sessuale, e anche questo non sorprende, perché in inglese, come in altre lingue, gran parte del turpiloquio è alimentato da metafore oscene. Che sono usate per parlare di sesso in modo diretto e colloquiale, ma anche per esprimere rabbia, enfasi e sorpresa, emozioni fondamentali nell’arte di Tarantino.
Gli insulti, invece, sembrano avere meno peso, rappresentando circa ¼ delle parolacce censite, anche se è una statistica molto approssimata. In realtà, quando deve descrivere l’odio fra le persone, Tarantino preferisce mostrarle mentre lottano fisicamente fino all’ultimo sangue: è molto più spettacolare.

Uma Thurman in “Kill Bill vol. 1”.

Ma in questo scenario ci sono alcune variazioni interessanti: il film con il maggior numero di insulti etnici (negro) è “Django unchained”, e ha senso dato che il protagonista è uno schiavo di colore.
E, allo stesso modo, i film col maggior numero di insulti sessisti verso le donne (bitch, pussy) sono “Jackie Brown”, “Kill Bill” 1 e 2: tutti con protagoniste femminili. Da notare un fatto non scontato: sono quasi assenti gli insulti omofobi, faggot (frocio) è stato censito una sola volta. Almeno finora, quindi, l’omofobia non è dunque una delle ossessioni del regista, che ha preferito approfondire altri sentimenti, dall’odio razziale al senso dell’onore, alla vendetta, e così via.

Tarantino, però, non è stato costante nell’uso del turpiloquio: anzi, come potete vedere nel grafico qui a lato (clic per ingrandire), 2 espressioni volgari su 3 (il 66,9%) sono presenti solo nei suoi primi 3 film. Come mai? Roeder lancia un’interpretazione maliziosa: mentre la violenza verbale non costa nulla, quella fisica è molto costosa da realizzare.
Roeder infatti ha messo in rapporto l’uso di parolacce con la quantità di omicidi nei film di Tarantino. Notando che mentre in “Jackie Brown” muoiono solo 4 personaggi, in “Kill Bill vol. 1” le vittime salgono a 63.Ecco la conclusione di Roeder:  “Se vuoi far salire l’audience dei tuoi film, hai due strade, una costosa e una economica. Se vuoi fare una scena in cui tagli in due una persona, hai bisogno di soldi; se hai un budget scarso, ti butti sulle parolacce. Costa molto meno inserire una dozzina di imprecazioni sulla celluloide, che far accoppare una dozzina di samurai”. Infatti, mentre “Le iene” (10 omicidi) sono costate 2 milioni di dollari, “Django unchained” (47 morti) è costato 100 milioni.

Forse c’è qualcosa di vero, ma in realtà l’uso del turpiloquio dipende dai contenuti della trama, che è comunque estrema, sia nelle scene che nei dialoghi. Se calcolo c’è stato, forse è stato di altro genere: Tarantino, come tutti i registi, vuole che i suoi film siano visti dal maggior numero di persone, e col passare del tempo ha limitato i contenuti volgari per non pregiudicarsi gli spettatori con i divieti ai minori. Gli Usa, infatti, classificano i film con vari tipi di restrizioni anche a seconda del tipo di linguaggio. Tanto che anche la frequenza del turpiloquio è nettamente in discesa nelle sue opere, come mostra il grafico qui a lato (clic per ingrandire).
Dunque, anche il turpiloquio rivela aspetti interessanti sull’arte di Tarantino.
Ma com’è rispetto a quella di altri registi? Va a lui la palma del regista più volgare della storia del cinema?
Impossibile rispondere: nessuno si è preso la briga di censire tutte le parolacce di un autore, come ha fatto Roeder con Tarantino. L’unico censimento disponibile si limita al termine fuck. E ci rivela un dato sorprendente: almeno nell’uso di questa espressione la palma non va a Tarantino… Se volete sapere a chi, potete leggere questo altro mio
articolo.
E se, come me, siete appassionati di cinema, potete curiosare in una nuova categoria che ho creato in questo sito:
parolacce e cinema.
Per finire, potete vedere e ascoltare tutti i “fuck” contenuti nei film di Tarantino, raccolti in un unico video di 26 minuti: sono 1.371 (un totale diverso dal conteggio di cui sopra, perché esamina altri 5 suoi film, ed esclude “The hateful eight”). Da far girare la testa.

Ringrazio Francesca (sei una grande!) per il prezioso aiuto nel rielaborare i dati.

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Esistono lingue senza parolacce? https://www.parolacce.org/2017/02/20/popoli-senza-turpiloquio/ https://www.parolacce.org/2017/02/20/popoli-senza-turpiloquio/#comments Mon, 20 Feb 2017 14:05:47 +0000 https://www.parolacce.org/?p=11790 Esistono lingue senza parolacce? La questione è affascinante: sarebbe bello un vocabolario senza bestemmie, insulti o volgarità… Ma è davvero possibile? La risposta sarebbe utile agli alfieri del “politicamente corretto”. Se fra le 7mila lingue del mondo ce n’è qualcuna… Continue Reading

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Esistono lingue senza parolacce? La questione è affascinante: sarebbe bello un vocabolario senza bestemmie, insulti o volgarità… Ma è davvero possibile? La risposta sarebbe utile agli alfieri del “politicamente corretto”. Se fra le 7mila lingue del mondo ce n’è qualcuna priva di scurrilità, dimostrerebbe che la loro battaglia non è impossibile
Un primo indizio l’ho trovato tempo fa, quando ho intervistato un uomo straordinario, l’esploratore Robert Peroni, che da quasi 40 anni vive in Groenlandia: ci arrivò per una spedizione e rimase affascinato dai luoghi e della cultura degli Inuit, il popolo dei ghiacci che vive fra Groenlandia, Alaska e Canada.
Gli Inuit sono fra i popoli col più alto senso della comunità e della fratellanza sociale: vivere fra i ghiacci, in un ambiente ostile, è impossibile senza collaborazione. “Nella loro lingua non ci sono parolacce” mi ha raccontato Peroni. “Non mi risulta che ci siano imprecazioni né tanto meno insulti, perché la gente è tranquilla e molto rispettosa l’una con l’altra. Nessuno si sognerebbe di prendere in giro o di offendere qualcun altro, in nessuna circostanza”. (Foto sopra e sotto, elaborazione Shutterstock).

Il racconto di Peroni era intrigante. E così mi sono mosso per approfondire la questione con un esperto di lingua inuit. Dopo lunghe e difficili ricerche, mi ha risposto il professor Louis-Jacques Dorais, linguista e antropologo dell’Università di Laval (Canada). Un accademico esperto non solo di lingua ma anche di tradizioni inuit. «E’ vero» mi ha spiegato. «Nella lingua inuit non esistono le parolacce. Ma conosco due eccezioni: irqaaluk, cioè “culone”, “chiappone”, termine usato non come insulto verso qualcuno ma come imprecazione nei momenti di rabbia (tipo “Merda!”); e utsualuit “la tua grande vagina” usato come insulto da donna a donna».
Dunque, in realtà, alcune parolacce esistono, ma non nel modo in cui le intendiamo noi: nessuna singola parola è considerata oscena o proibita. Esistono parole per esprimere la rabbia o l’aggressività, ma è un vocabolario molto ristretto per un popolo a basso tasso di aggressività.
E nel resto del mondo? Impossibile sapere i dettagli di migliaia di lingue. Ma dall’inchiesta che ho fatto, la situazione – pur nelle varianti –  mi sembra simile a quella degli Inuit. Nelle lingue bicolane, parlate nelle Filippine, non esistono parolacce, ma c’è un vocabolario speciale per esprimere la rabbia: una sorta di slang, di gergo usato per far capire all’interlocutore che si è arrabbiati. Il significato di una parola non cambia, cambia però la sua sfumatura emotiva: come per esempio quando usiamo certe parole del gergo militare come muffa, spina, scoppiato, cane morto.
In luganda (lingua parlata in Uganda), invece, si insulta semplicemente variando il prefisso delle parole: per insultare una persona basta rivolgersi a lei usando i prefissi riservati agli oggetti (equivale a chiamare qualcuno “Ehi coso!”). Anche in italiano accade qualcosa di simile quando trasformiamo le parole aggiungendovi i suffissi: “ometto” è spregiativo rispetto a “uomo”, come “donnaccia” lo è rispetto a “donna” (ne ho parlato qui).

Un capo Piaroa (foto Ronny Velazquez e Nilo Ortiz).

Nella lingua Cashinahua, parlata da alcune tribù in Perù e Brasile, c’è un uso delle parole che si avvicina alla nostra tradizione carnevalesca. Nei momenti di festa, infatti, cantano canzoni nelle quali si usano termini scatologici (riguardanti gli escrementi) e sessuali (sui genitali maschili e femminili): di per sè non sono parole tabù, ma vengono usate in modo ironico nei testi delle canzoni che diventano provocanti, ridicole e insultanti (uno dei testi dice: “Hem, hem, la vagina è pelosa”). Insomma, liberano dai tabù come avviene quando i comici (da Benigni a Zalone) dicono le parolacce.
In generale, infatti, le culture etniche hanno diverse parole che non si possono dire: sono l’equivalente delle nostre parolacce, anche se non si riferiscono necessariamente a genitali, escrementi o divinità. I Piaroa, per esempio, una tribù pacifica che vive fra Colombia e Venezuela (foto a destra), non usano i loro nomi personali fino all’età di 5 anni: pronunciare il nome di una persona è sia un insulto che una situazione imbarazzante per chi lo ascolta. Dire il nome di qualcuno è considerato una forma di confidenza intima che riguarda la sfera più privata di una persona.

Ma una lingua davvero priva di parolacce esiste: è il giapponese. Nel loro dizionario non ci sono parole di registro basso e vietate. Ma essendo una lingua molto attenta ai toni di voce, per insultare basta usare un tono di voce basso e gutturale, oppure urlare. Un altro modo di insultare qualcuno è rompere le rigide regole dell’etichetta: per esempio, rivolgersi a un anziano, a un’autorità o a un superiore usando una confidenza indebita, ovvero cambiando i pronomi personali: dandogli del tu (temee) invece che del lei.
In tempi più moderni, i giapponesi hanno escogitato anche un modo di insultare che si avvicina alle nostre parolacce: per esempio usando in modo denigratorio i termini “escremento” (kuso) o “prostituta/cagna” (ama). L’equivalente del nostro vaffanculo è il più crudo shine, ovvero “muori”. Se volete saperne di più, guardate questa divertente video lezione (in inglese, con sottotitoli attivabili):

Quali conclusioni trarre da questo giro del mondo linguistico? Tutti gli studiosi di turpiloquio concordano nel dire che nessuna delle funzioni svolte dalle parolacce (insultare, ma anche descrivere, enfatizzare, sfogare… ne ho parlato qui) di per sè richiede solo e soltanto le parolacce per essere espressa. Ma quelle funzioni comunicative sono ineliminabili: e infatti vengono svolte anche nelle culture prive di turpiloquio.
Salta all’occhio che, gratta gratta, le funzioni fondamentali delle parolacce sono presenti anche nelle culture prive di lessico scurrile:
– l’ostilità, l’odio, il disprezzo;
il sesso (che non può mai essere inoffensivo);
l’aspetto fisico (biologicamente fondamentale, perché veicola informazioni sulla nostra salute);
gli escrementi (altrettanto fondamentali per la salute e l’igiene).
Ecco perché mi fanno sorridere le campagne del “politicamente corretto”: ammesso (e non concesso!) di riuscire a cancellare le parole d’odio (hate speech), non elimineremo per ciò stesso l’odio. Che è poi la vera causa profonda della violenza o dell’emarginazione, non certo le parolacce in quanto tali. Che, ricordiamolo, sono e restano soltanto parole: possono ferire, ma lo fanno sul piano simbolico. Non fanno danni irreversibili come un’aggressione fisica. Tant’è vero che quando le si conosce, le si adottano subito: chiedete ai vostri amici giapponesi

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Insultare? Non ha prezzo. E i tifosi si autotassano https://www.parolacce.org/2016/02/13/parolacce-ultras-basket/ https://www.parolacce.org/2016/02/13/parolacce-ultras-basket/#respond Sat, 13 Feb 2016 17:47:46 +0000 https://www.parolacce.org/?p=9429 Volete cancellare gli insulti negli stadi? Le multe, anche salate, non servono a nulla. La dimostrazione arriva oggi da Bologna: qui i tifosi della squadra di basket la Fortitudo (che milita in A2), hanno deciso di autotassarsi pur di continuare a insultare un… Continue Reading

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lestiniCen

La raccolta fondi dei tifosi bolognesi su Facebook.

Volete cancellare gli insulti negli stadi? Le multe, anche salate, non servono a nulla. La dimostrazione arriva oggi da Bologna: qui i tifosi della squadra di basket la Fortitudo (che milita in A2), hanno deciso di autotassarsi pur di continuare a insultare un avversario odiato senza pesare sui bilanci della loro squadra. Un’iniziativa senza precedenti.
Il razzismo, però, stavolta non c’entra: il bersaglio del loro odio non è un giocatore straniero ma italiano, Federico Lestini, che gioca nel Bawer Matera.  I suoi rapporti con gli ultrà bolognesi (la “Fossa dei leoni”) sono incrinati da tempo: le ruggini risalgono al 2010, quando la Fossa e il giocatore, che vestiva la maglia di Forlì, “passarono un’intera stagione tra provocazioni reciproche, di cui non è si è mai riusciti a capire bene l’origine”, riferisce il Corriere.
Queste ruggini sono inarrestabili: la scorsa estate le proteste dei tifosi hanno impedito il trasferimento di Lestini al Bologna. E lo scorso dicembre, quando Lestini venne a giocare l’ultima volta contro il Bologna, i cori offensivi provenienti dagli spalti contro di lui sono costati alla Fortitudo una sanzione di 1.333 euro. E dato che i bilanci del basket non sono paragonabili a quelli del calcio, e che la Fortitudo già paga forti somme per gli insulti dei tifosi (con 14.520 euro è la società più sanzionata della A2, scrive Repubblica), la Fossa dei leoni ha lanciato su Facebook una raccolta fondi preventiva (1 euro a tifoso), parafrasando un celebre spot di Mastercard: “insultare Lestini? non ha prezzo”. I tifosi hanno anche promesso di devolvere in beneficienza i soldi raccolti se non dovessero essere multati.

La vicenda sarebbe divertente se non fosse avvilente per i sentimenti in gioco: il fair play, questo sconosciuto. “La prendiamo come parte della goliardia che caratterizza l’essere tifoso, mi auguro soprattutto che i tifosi la vivano come tale” ha commentato il ds ed ex capitano Davide Lamma. Ma, visti i precedenti, ho qualche dubbio che i cori contro Lestini saranno solo goliardici. Di certo, l’episodio dovrebbe far riflettere quanti pensano di bloccare le parolacce a suon di multe (tema di cui avevo già parlato qui). Per eliminare gli insulti, infatti, bisognerebbe intervenire sull’odio che li alimenta: ma è molto più difficile che comminare multe.

FossaLeoniAGGIORNAMENTO: dopo il clamore mediatico suscitato dalla loro iniziativa (definita “goliardica”), i tifosi della Fossa dei Leoni hanno deciso di fare retromarcia. Niente collette per favorire gli insulti. La procura della Federazione pallacanestro, infatti, aveva aperto un’indagine sul caso. E loro hanno preferito lasciar perdere: in vista di un’azione premeditata, infatti, i giudici sportivi avrebbero preso provvedimenti contro la Fortitudo. Così, durante la partita (stravinta dalla squadra bolognese) i tifosi si sono limitati a fare qualche fischio e qualche coro.

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Il logo della ricerca di Vox.

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Si può mappare l’odio studiando la diffusione degli insulti su Twitter? Nei giorni scorsi è stata presentata la “Mappa dell’intolleranza”, una ricerca promossa da Vox (Osservatorio italiano sui diritti) in collaborazione coi docenti di 3 università (Statale di Milano, Sapienza di Roma, Aldo Moro di Bari). L’idea è interessante, ma si è rivelata un’occasione mancata per almeno 6 importanti ragioni. Qui spiegherò perché.

I ricercatori hanno studiato i messaggi di Twitter per 8 mesi (da gennaio ad agosto 2014), monitorando la frequenza d’uso di 75 insulti divisi in 5 categorie:

  1. Insulti misogini
    troia, puttana, cicciona, cicciona di merda, vacca, zoccola, mignotta, bocchinara, pompinara, cagna, strappona, smandrappona, bagascia, sfasciolacazzi, culona, frigida, figa di legno, battona, ciuccia cazzi, cesso, sfigata
  2. Insulti omofobi
    frocio, frocio di merda, finocchio, checca, ricchione, invertito, culattone, pervertito, culanda, piglianculo, rottinculo, rotto in culo, culo rotto, bocchinaro, pompinaro, ciuccia cazzi, culo, passiva, deviato, leccafiche, camionista
  3. insulti legati alla disabilità
    handicappato, storpio, mongoloide, cerebroleso, nano, spastico, zoppo, quattrocchi, cecato, mongoflettico
  4. insulti antisemiti
    ebreo di merda, usuraio, rabbino, cazzo mozzo, giudeo
  5. insulti razzisti
    negro, sporco negro, negro di merda, negro di merda, romeno di merda, albanese di merda, zingaro, terrone, muso giallo, muso da scimmia, ebrei ai forni, ebreo di merda, bangla, giudeo, mangiarane, kebabbaro, crucco, rabbino

insulti2Ecco i risultati: gli insulti più diffusi sono quelli misogini, seguiti da quelli legati alla disabilità e da quelli razzisti. Ho evidenziato in arancione i termini che sono risultati i più usati in ogni categoria.
Grazie ai (pochi) tweet geolocalizzati, i ricercatori hanno identificato le aree italiane dove gli insulti sono più diffusi: Lombardia e Campania hanno quasi sempre il triste primato della maggior diffusione di questi insulti.

Ma perché dico che questa ricerca è un’occasione mancata? Perché presenta diversi aspetti critici. Eccoli:

  1. I ricercatori hanno studiato 1.853.092 Tweet contenenti gli insulti di cui sopra. Ma quanti erano in tutto i Tweet presi in esame? I quasi 2 milioni di Tweet insultanti, quale percentuale rappresentano rispetto al totale dei Tweet esaminati? In altre parole: quanto era ampio il campione di Tweet esaminato dai ricercatori? Loro non lo scrivono, ma è un aspetto fondamentale: se dico che in Italia ci sono 10mila persone malate di Aids, può sembrare un numero enorme; ma se lo rapporto al totale della popolazione (60 milioni), i malati rappresentano lo 0,001%. Ho chiesto questo dato con diverse mail e telefonate all’ufficio stampa di Vox, ma non è mai arrivato. Dunque, non sappiamo se questi 2 milioni di Tweet insultanti rappresentano una goccia in un oceano oppure no. E non è poco. Sempre a proposito di campione: i ricercatori hanno tenuto conto del fatto che Twitter è più usato da maschi di istruzione medio-alta e residenti al Nord? I Tweet presi in esame sono molti, ma arrivano da un campione che non è propriamente rappresentativo di tutta l’Italia
  2. Dire che 1 milione e 800mila Tweet contengono termini intolleranti fa effetto. Ma quanto sono diffusi altri termini insultanti altrettanto pesanti come cazzone, coglione, rincoglionito, tangentaro, testa di cazzo, bastardo, stronzo, faccia di merda, figlio di puttana, ladro, mafioso (solo per fare alcuni esempi provenienti da altre aree semantiche)? Non si sa, ma potrebbero essere ancora più diffusi e ridimensionare la “mappa dell’odio”.
  3. La scelta degli insulti presenta diversi aspetti discutibili: fra i termini misogini, per esempio, figurano i termini cicciona (e cicciona di merda), sfasciolacazzi (strana scelta: un termine dialettale invece dei corrispettivi italiani cagacazzi e scassacazzi; stesso discorso per il termine romanesco mongoflettico), sfigata che non sono misogini: infatti sono usati anche al maschile. Diversi termini delle varie categorie (cagna, cesso, camionista, culo, vacca, nano, cerebroleso, leccafiche, pervertito, handicappato, passiva, deviato) non hanno solo un senso insultante, ma potrebbero essere usati anche in modo neutro o comunque non sempre in senso spregiativo: ne hanno tenuto conto i ricercatori? Non si sa, insomma, se le parolacce siano state studiate in relazione al contesto d’uso, che nelle parolacce è determinante per capirne il senso. Non va trascurato anche il mezzo, Twitter: il limite dei 140 caratteri spinge gli scriventi a essere sintetici, sbrigativi e brutali. E’ il limite della Computer mediated communication (Cmc): ne hanno tenuto conto i ricercatori? 
  4. Gli insulti antisemiti (rabbino, giudeo, etc) sono stati studiati due volte? Figurano sia fra gli insulti antisemiti, sia tra quelli razzisti. Se i ricercatori non ne hanno tenuto conto, andrebbero a pregiudicare la validità delle statistiche finali. Senza contare che è discutibile aver inserito il termine usuraio fra gli insulti antisemiti: gli usurai possono essere di qualunque origine etnica, in italiano usuraio ed ebreo non sono sinonimi, né in tutto né in parte.
  5. Fra gli insulti razzisti non sono stati inseriti termini molto usati come polentone (razzismo del Sud verso il Nord) e talebano; figura invece il termine mangiarane (spregiativo nei confronti dei francesi) ben poco diffuso rispetto a mangiabanane (che però non risulta preso in esame).
  6. I ricercatori accostano l’uso di termini insultanti a inquietanti statistiche su aggressioni ai gay, femminicidi, etc. Il salto mi pare un po’ azzardato. Le parolacce possono essere il sintomo, ma non la causa della violenza. E, soprattutto, non tengono conto del fatto che le parolacce sono per loro stessa natura omofobe, misogine, razziste: per fare male devono essere taglienti e brutali. Tutti i termini insultanti sono tali perché usano colpi bassi. E di questo ce ne rendiamo conto fino a un certo punto quando le usiamo: se dico rabbino a una persona poco generosa (che posso offendere, tra l’altro, dicendogli che è un genovese, o uno scozzese, altri termini ignorati dalla ricerca), difficilmente mi accorgo che quella parola ha un’etimologia antisemita. In più, agli insulti misogini corrispondono insulti sessisti contro i maschi (sega, mezza sega, segaiolo, puttaniere, sfigato, cornuto, bastardo, cazzone…). Perché non monitorare anche questi, che sono altrettanto gravi? Sappiamo se sono più o meno diffusi rispetto a quelli misogini? La ricerca non l’ha considerato.

Interessante, invece, il dato sulla frequenza d’uso degli insulti (quelli che ho evidenziato in arancione nell’elenco): ma anche in questo caso i ricercatori non svelano quanto siano diffusi. Peccato.

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