Parole ostili | Parolacce https://www.parolacce.org L'unico blog italiano di studi sul turpiloquio, dal 2006 - The world famous blog on italian swearing, since 2006 - By Vito tartamella Tue, 25 Sep 2018 12:41:15 +0000 it-IT hourly 1 https://www.parolacce.org/wp-content/uploads/2015/06/cropped-logoParolacceLR-32x32.png Parole ostili | Parolacce https://www.parolacce.org 32 32 I prof possono dire parolacce in classe? https://www.parolacce.org/2018/09/13/scuola-insegnanti-turpiloquio-insulti/ https://www.parolacce.org/2018/09/13/scuola-insegnanti-turpiloquio-insulti/#comments Thu, 13 Sep 2018 08:45:11 +0000 https://www.parolacce.org/?p=14581 Lui lo definisce “una tecnica avanzata d’insegnamento”. E, in effetti, ha successo fra gli studenti. Non è l’ultimo modello di lavagna interattiva multimediale, ma il turpiloquio: secondo questo professore, dire parolacce crea un clima divertente e più confidenziale in classe. Permettendo… Continue Reading

The post I prof possono dire parolacce in classe? first appeared on Parolacce.]]>

Locandina di “Fuck you prof”, film tedesco del 2013.

Lui lo definisce “una tecnica avanzata d’insegnamento”. E, in effetti, ha successo fra gli studenti. Non è l’ultimo modello di lavagna interattiva multimediale, ma il turpiloquio: secondo questo professore, dire parolacce crea un clima divertente e più confidenziale in classe. Permettendo così di lavorare sodo.
Parola di Jordan Schneider, docente d’inglese in un’università di New York, il Queensborough Community College. Forse non è l’unico insegnante a fare lezione con un linguaggio sboccato, ma è il primo a teorizzarlo (e farlo) apertamente. «Alcuni pensano che dire parolacce sia un trucchetto a buon mercato, una stampella per sostenere chi non ha forza linguistica» spiega. «A volte è così, ma è altrettanto grave chi usa un linguaggio oscuro, affettato o troppo complicato. Almeno con le parolacce gli studenti capiscono esattamente cosa voglio dire».

Dunque, non è un “cattivo maestro”, un docente in cerca di scorciatoie e facile notorietà: le sue riflessioni, che racconto in questo articolo, raccontano un modo vivace di fare didattica. Schneider, insomma, somiglia agli sboccati protagonisti dei film “Fuck you prof” o di “School of rock”, che però non erano veri insegnanti anche se si spacciavano come tali. Lui invece è un docente vero (esercita dal 2001) e ha successo: sul sito “rate my professor” ha raccolto giudizi lusinghieri (un rating di 4,5 su 5) da parte degli studenti. Che dicono di lui: “E’ il migliore. Ho imparato un sacco e mi sono divertito”.

Un docente impreca in aula (foto Shutterstock).

Ha ragione? Il tema è d’attualità: sta iniziando un nuovo anno scolastico, e anche in Italia gli insegnanti stanno facendo i conti con le parolacce. Non tanto perché le dicono, quanto perché le ricevono: sono insultati apertamente dagli studenti. Uno scenario che, solo 10 anni fa, sarebbe stato impensabile.
Che cosa dovrebbero fare per difendersi? Insultare a loro volta? Denunciare? Far finta di nulla? E, in generale: come devono regolarsi i docenti col turpiloquio?
In questo articolo troverete le risposte, documentate con le ultime ricerche scientifiche sull’argomento. Ma non troverete una soluzione univoca: non è possibile solo l’alternativa manichea fra “non dire parolacce” o “dirle liberamente”.
Le parolacce sono un’enorme famiglia di termini. E si possono usare per gli scopi più diversi, per ferire ma anche per divertire, per emarginare come per coinvolgere, per prevaricare o anche per stabilire un rapporto alla pariDunque, alla domanda “Si possono dire volgarità in classe?”, la risposta è “dipende”. In questo articolo vi dirò da cosa.
Ma prima, una domanda nasce spontanea: come siamo arrivati a questo punto?

[ clicca sul + per aprire il riquadro ]

IL CONTESTO: PERCHÉ ACCADE

Una studentessa provocante (Shutterstock).

L’episodio è emblematico dei nostri tempi, in cui nessuno crede più alle autorità. Insegnanti, controllori dei treni, vigili urbani, poliziotti, funzionari, politici… tutti sono finiti nel calderone della sfiducia, del sospetto, spesso del disprezzo.
La colpa è dei tanti scandali che hanno minato la fiducia nelle istituzioni e in chi le rappresenta. Questo rapporto ha iniziato a incrinarsi con lo scandalo Watergate (1972) negli Usa, che portò a dimettersi il presidente Richard Nixon. E pochi anni, nel 1976, dopo lo scandalo Lockheed in Italia, che costò la presidenza a Giovanni Leone, pur estraneo ai fatti.

Ma questo clima di sfiducia è anche l’effetto della livella che ha appianato le differenze sociali dal 1968 in poi: il (giusto) cammino verso la parità di tutti, la (giusta) lotta contro gli abusi di potere di chi sta in alto, ha prodotto una società in cui tutti sono, o credono di essere, uguali agli altri. L’avvento di Internet, poi, ha dato il colpo di grazia: ciascuno di noi può farsi un giudizio ed esprimere un giudizio su tutto. Anche se non ha la competenza, l’esperienza o i documenti per farlo. E sui social impazzano le parolacce, perché scriverle nascondendosi dietro uno schermo è molto più facile che dirle in faccia a qualcuno.

Ecco perché, dunque, anche uno studentello di 16 anni si sente in diritto di fare il galletto da pari a pari con il suo professore. Ed ecco perché le iniziative che si propongono di ridurre gli insulti nelle scuole (come il manifesto di “Parole ostili”) o di sensibilizzare l’opinione pubblica mostrando l’alto uso di epiteti su Twitter (“Vox diritti”) non potranno mai sconfiggere davvero le ingiurie: perché cercano di bloccare i sintomi ma non affrontano le cause profonde del linguaggio offensivo (sfiducia, livellamento, informalità, mancanza di valori, analfabetismo digitale, narcisismo sociale).

[ clicca sul + per aprire il riquadro ]

I DESTINATARI: CON CHI DIRLE, CON CHI NO

Mai insultare un bambino (Shutterstock).

Le parolacce, comunque, esistono e sono diffuse. Non possiamo far finta di non conoscerle, di non dirle, o che non esistano. Dunque, tanto vale farci i conti. Ma se un insegnante vuole usarle in aula, la prima valutazione da fare è chiedersi chi sono i destinatari. A chi si rivolgono? Un conto è usare un linguaggio sboccato in una classe di alunni di 4a elementare o di 2a media,, un altro conto è farlo in una classe di liceali o di studenti universitari.  Le parolacce non vanno bene nelle scuole di ogni ordine e grado.

E’ vero che oggi i ragazzi sono sempre più precoci nell’apprendere le volgarità. Anche se, giova sempre ricordarlo, la responsabilità di questo è degli adulti, che danno un cattivo esempio in casa, in tv o per strada – salvo poi scandalizzarsi o lamentarsi delle nuove generazioni.
Ma è altrettanto vero che le parolacce sono un linguaggio da adulti, perché è strettamente legato alla vita sessuale (circa il 50% delle parolacce riguardano i genitali, gli atti sessuali e l’etica sessuale). Dunque, non è roba da piccoli. Anche se, come dicevo in un post, a volte è importante parlare di parolacce ai più piccoli, per far capire loro cosa significano, motivando così perché non dirle. Ed è giusto tollerare quando i bambini le usano per gioco o per sfogare un’ansia, come quando parlano di cacca (lo raccontavo in quest’altro articolo).

Allora a quale età degli alunni sarebbe opportuno, per un docente che volesse farlo, usare un linguaggio sboccato? Senz’altro con quelli maggiorenni. Direi dall’università in poi. Ma per quale motivo? Lo spiega molto bene il professor Schneider in un articolo che ha scritto per un notiziario sul mondo universitario The Chronicle of Higher Education“L’università spesso sembra un posto fin troppo serio, e le scurrilità sono un modo di umanizzarlo. Le parolacce diventano un atto di ribellione: chiamare una stronzata col suo nome è spesso più preciso che girarci intorno. E il linguaggio sboccato è un modo di mostrare agli studenti in modo inequivocabile che non sono più al liceo, ma sono entrati nel mondo degli adulti, un mondo in cui è permesso usare un linguaggio salace quando la situazione lo richiede”.
Nelle prossime righe vedremo meglio a quale scopo (e con quali limiti) il professor Schneider usa le scurrilità a lezione.  

[ clicca sul + per aprire il riquadro ]

INSULTI TU, INSULTO IO?

Un prof dà in escandescenze (Shutterstock).

Pochi mesi fa è diventato virale il video di uno studente di un istituto tecnico di Lucca. Che, a 16 anni d’età, dice minaccioso al suo insegnante: “Prof, mi metta 6 e non mi faccia incazzare”. E non è un caso isolato: nei giorni successivi sono emersi episodi simili a Torino, Imola, Cusano Milanino….  Che cosa dovrebbero fare gli insegnanti? Stare zitti, come il professore di Lucca? Rispondere a tono? Tipo: “Non farmi incazzare tu e fila al tuo posto!)? Oppure insultare a loro volta (“Grullo, chiudi il becco o ti mando dal preside”)? Difficile rispondere: potrebbe funzionare, ma si rischia di inasprire lo scontro. Molto dipende dal modo con cui si dicono queste frasi, e dal rapporto instaurato con l’alunno: confidenziale, autoritario, formale….
In ogni caso, rispondere a un insulto, o dirlo in un momento di rabbia sono comportamenti inaccettabili per un professore. Per alcuni motivi intuibili:

  1. è illegale: chi insulta commette il reato di ingiuria (che ho raccontato in questo articolo). Negli ultimi tempi, diversi docenti sono stati condannati per essersi incazzati e aver insultato gli allievi. Un docente di educazione tecnica alle medie di Torino aveva detto “cinese di merda” a un allievo, ed è stato indagato per istigazione all’odio razziale. Il docente di un liceo scientifico di Palermo ha dovuto risarcire con 5mila euro i danni morali a uno studente a cui aveva detto “Sei uno stronzo, sei un cretino, ti senti un cazzo e mezzo, sei un rompicoglioni, non sei adatto a questa società”. Senza contare che l’uso di insulti da parte dei docenti ha, ovviamente, un effetto negativo sulla psiche e sul comportamento degli alunni, come rileva questa recente ricerca dell’università di Dublino su studenti di 9-12 anni
  2. darebbe il cattivo esempio: se un insegnante vuole che i suoi allievi si rispettino e lo rispettino, deve fare altrettanto con loro
  3. è un abuso di potere: un docente è già in una posizione sovraordinata rispetto agli studenti; insultarli sbilancerebbe ancor più questo rapporto
  4. è un boomerang.  In una ricerca del Dipartimento di comunicazione della West Virginia University (Usa) Alan Goodboy ha accertato che avere un insegnante ostile fa ottenere risultati peggiori: in un esperimento con quasi 500 studenti, il gruppo con un docente ostile ha ottenuto punteggi più bassi del 5% rispetto a quelli che avevano docenti che non lo erano. Perché gli studenti erano demotivati e non si sentivano di fare sforzi per imparare. E perché gli argomenti non gli piacevano: l’ostilità si riversava dal prof al contenuto della sua lezione.

Si potrebbe però valutare un’eccezione: a volte un insulto – se detto in modo bonario e a scopo costruttivo, di stimolo – può aiutare a smuovere un alunno pigro o borioso. Nel 2013, la Cassazione ha emesso una sentenza che lascia uno spazio a chi voglia usare un approccio moderatamente ruvido. Ha condannato una professoressa di Rossano che aveva chiamato un alunno “nullità, handicappato, bugiardo”, visto che sono “espressioni obiettivamente denigratorie e indicative di volontà offensiva”. Ma ha tollerato che l’avesse definito “asino”: un epiteto “non lodevole” che, almeno in linea di principio, “potrebbe riconnettersi a una manifestazione critica sul rendimento del giovane con finalità correttive”.  

[ clicca sul + per aprire il riquadro ]

UNO STILE SCHIETTO (MA RISCHIOSO)

Locandina di “School of rock” commedia musicale del 2003.

Già nel mio libro avevo raccontato diverse ricerche che mostrano i benefici effetti per un oratore che usi il  turpiloquio: abbatte i muri comunicativi, accorciando le distanze grazie a uno stile informale, dando l’impressione di una persona schietta e amichevole. E’ fra amici che si parla senza peli sulla lingua, senza doversi preoccupare di essere educati. Le parolacce creano un clima più rilassato. E, certamente, tengono viva l’attenzione.
Come ricorda il professor Schneider: “Le volgarità esprimono le emozioni forti, in un modo così diretto che è impossibile ignorarlo. Per questo sono presenti in molta letteratura, oltre a essere presente nella musica, nei film e in tv. Il mio linguaggio volgare in aula infrange la nozione che l’oscenità sia lo strumento degli inetti, dei maleducati e degli ignoranti”.

Ma questa medaglia ha un rovescio: chi dice parolacce perde autorevolezza. Perché appare una persona senza controllo sulle proprie emozioni, incapace di rispettare le regole della convivenza civile o le sensibilità altrui.
Nonostante nel frattempo le volgarità si siano ancor più diffuse – in politica, in tv, sui giornali – oggi fanno ancora una cattiva impressione. L’ha confermato una ricerca, pubblicata quest’anno, di Melania DeFrank, psicologa alla Southern Connecticut State University. Gli scienziati hanno mostrato a 138 persone (18-53 anni d’età, in maggioranza donne) alcuni dialoghi disegnati su vignette: alcuni erano neutrali, altri mostravano parolacce. Alla fine i partecipanti dovevano dare un giudizio sui personaggi raffigurati.
Risultato: “le volgarità determinano un’immagine più povera del relatore: l’impressione generale è meno favorevole”. Insomma si perdono punti: in dettaglio, “si appare meno intelligenti, affidabili, gradevoli. Si appare come più inclini alla rabbia, alla devianza, meno educati, più offensivi.  Ma anche più anticonformisti e sorprendenti”. E l’effetto aumenta se si parla a una platea mista, di maschi e femmine: il turpiloquio è più accettato se lo si usa con i propri pari (maschi con maschi, femmine con femmine). Diversamente, viene percepito come più offensivo e meno socievole. E attenzione: queste impressioni prescindono da quanto si possa essere puritani o moralisti: circa la metà dei partecipanti aveva persino giudicato non volgari diverse espressioni “forti” scelte dai ricercatori.

Che fare dunque? Il professor Schneider sostiene che le parolacce sono un modo efficace di rompere il ghiaccio e instaurare un clima aperto e sincero. “Incoraggio i miei studenti a trovare la propria voce e a svilupparla. E per farlo devo usare la mia voce in modo onesto, anche violando qualche tabù: se mi assumo questo rischio pur di essere sincero, lo faranno anche loro”. Ma questo può avvenire solo a un patto: che il docente sia abituato a usare un linguaggio volgare anche fuori dall’aula. “Se non siete abituati a dire parolacce nelle vostra vita, non fatelo in aula. Sarebbe innaturale”. Come certi professori che si atteggiano a fare i “giovani”, con esiti pietosi.

Ma attenzione, dire parolacce non basta. Bisogna usarle al servizio di un programma solido. “Dire parolacce in aula può essere pericoloso: alcuni pensano che l’istruzione sia sinonimo di sofferenza, e che se un docente è divertente allora la classe non lo prende sul serio. Ma in realtà le volgarità rendono più difficile nascondere un programma debole, standard bassi o incompetenza. Essere rilassati, divertirsi, fare battute, tutto questo deve essere bilanciato con rigore, abilità, cura e valore educativo reale se gli studenti rispettano l’insegnante. Anzi, usare le parolacce implica che io e gli allievi vogliamo lavorare duro e spingerci oltre, anche divertendoci”. Dunque, se dire parolacce “è una tecnica avanzata di docenza”, è anche una sfida con qualche rischio. “I suoi vantaggi possono essere anche svantaggi: si rinuncia a parte dell’autorità attribuita ai docenti. A volte i prof devono combattere per ottenere il rispetto degli allievi, e un linguaggio informale può rendere questo più difficile. In ogni caso, ognuno è chiamato a decidere cosa dire e chi essere quando sta di fronte a una classe”.

Per quanto mi riguarda, da 9 anni uso un approccio simile – ma più prudente – durante il corso di giornalismo scientifico che tengo al Master di giornalismo dell’Università Iulm di Milano. Nelle prime lezioni espongo con serietà (e severità) i contenuti delle mie lezioni. Se ottengo l’attenzione e il rispetto, allora introduco qualche espressione pepata, quando ci vuole. E, in effetti, si crea un clima più confidenziale e divertente. Ma tutto questo non sarebbe possibile in una classe indisciplinata e disinteressata.  

Questo articolo è stato rilanciato dal blog per studenti “Facce caso“.

The post I prof possono dire parolacce in classe? first appeared on Parolacce.]]>
https://www.parolacce.org/2018/09/13/scuola-insegnanti-turpiloquio-insulti/feed/ 1
Parolacce, la “Top ten” del 2017 https://www.parolacce.org/2018/01/04/classifica-parolacce-anno/ https://www.parolacce.org/2018/01/04/classifica-parolacce-anno/#respond Thu, 04 Jan 2018 10:36:34 +0000 https://www.parolacce.org/?p=13527 Quali sono state le parolacce più notevoli del 2017, in Italia e nel mondo? In questo articolo trovate la “Top ten” degli insulti più emblematici e divertenti: una classifica che quest’anno raggiunge un traguardo importante, la 10a edizione. Come in… Continue Reading

The post Parolacce, la “Top ten” del 2017 first appeared on Parolacce.]]>

La “Top ten” delle parolacce 2017 (montaggio foto Shutterstock).

Quali sono state le parolacce più notevoli del 2017, in Italia e nel mondo? In questo articolo trovate la “Top ten” degli insulti più emblematici e divertenti: una classifica che quest’anno raggiunge un traguardo importante, la 10a edizione.
Come in passato, ho selezionato gli episodi con tre criteri: il loro valore simbolico, i loro effetti e la loro carica di originalità. Sono episodi rivelatori: fanno sorridere ma anche riflettere.
E a proposito di riflessioni, al termine della classifica trovate un approfondimento sugli insulti del presidente Donald Trump: un fatto senza precedenti, che sta corrodendo la democrazia negli Stati Uniti.
Qual è, secondo voi, il vincitore assoluto della Top Ten 2017? Potete scriverlo nei commenti.
Buona lettura! E auguro un felice 2018 a tutti i lettori di parolacce.org.
Se volete leggere le classifiche degli anni passati, potete cliccare sui link alle “Top ten” precedenti: 2016, 2015, 2014, 2013, 2012, 2011, 2010,  2009 e 2008.

INSULTI ATOMICI

 

“Gangster, rimbambito!”
“Pazzo, basso e grasso!”

Kim Jong-un e Donald Trump (foto Shutterstock).

[ per approfondire, clicca sul + della striscia blu qui sotto: IL FATTO ]

IL FATTO

La Corea del Nord ha avviato i suoi primi test nucleari già  nel 2006. Ma Kim Jong-un, al potere dal 2011, li ha intensificati nell’ultimo anno. Quando era in campagna elettorale, Donald Trump si era detto favorevole a incontrare Kim per tentare di disinnescare la crisi nucleare. Ma dopo la sua elezione la crisi fra i due Paesi è peggiorata, ed è diventata uno degli scacchieri internazionali in cui si gioca il confronto fra gli Usa e la Cina, alleata di ferro della Corea del Nord. E così ai test missilistici di Pyongyang è seguito il rafforzamento delle difese aeree e navali degli Usa, della Corea del Sud e del Giappone.
E mentre la minaccia nucleare resta – per fortuna – un deterrente virtuale, i veri scontri fra Usa e Corea sono stati i bombardamenti di insulti fra i leader dei due Paesi. Sono insulti dimostrativi: servono a far sentire forte la propria voce sui media internazionali, e servono soprattutto a uso interno, cioè a cementare l’opinione pubblica a fianco del proprio leader agitando lo spauracchio di un nemico esterno. Perciò, almeno fino a ora, sono stati insulti infantili, che contrastano con la drammaticità della situazione.
L’escalation è iniziata a giugno, quando è morto Otto Warmbier, uno studente americano imprigionato per 17 mesi dopo aver rubato in Corea uno striscione di propaganda. In quell’occasione Trump aveva definito “brutale” il regime di Pyongyang. Le autorità nordcoreane hanno risposto paragonando Trump a Hitler.
Era solo l’inizio: ecco una collezione degli insulti che i due leader si sono lanciati, con tutti i mezzi a disposizione (Twitter, giornali di partito, conferenze stampa) nell’anno appena trascorso: sono diventate un modo per sfogare la tensione, decisamente più innocuo rispetto alle armi nucleari, di cui, peraltro, gli Usa sono i maggiori detentori al mondo.  

  • Jong-un su Trumpgangster mentalmente squilibrato e rimbambito; vecchio lunatico; guerrafondaio; furfante e gangster che si diverte a giocare col fuoco; cane che abbaia e non morde; vigliacco; 
  • Trump su Jong-un: pazzo; basso e grasso; Rocket Man; criminale

FORMATO EXPORT

“Una troia sei! Brutta pompinara!”.

Fabio Fognini alla giudice di sedia, US Open, New York, 30 agosto 2017

[ per approfondire, clicca sul + della striscia blu qui sotto: IL FATTO ]

IL FATTO

Agli US Open, uno dei tornei di tennis più prestigiosi al mondo, Fognini ha affrontato il connazionale Stefano Travaglia. Contrariato da alcune decisioni del giudice di sedia, la svedese Louise Engzell, Fognini ha perso la calma, esclamando: “Una troia sei! Brutta pompinara!”. Sul momento, dato che nessuno capiva l’italiano, non è successo nulla: Fognini è stato battuto al primo turno da Travaglia, e la questione sembrava esaurita sul campo. Fognini se l’è cavata con una multa di 24mila dollari per condotta antisportiva. Ma dopo qualche giorno il video con gli insulti ha fatto il giro del mondo, e gli organizzatori, quando hanno saputo la traduzione delle sue frasi, l’hanno estromesso dal torneo (giocava in doppio con Simone Bolelli , con cui aveva già superato due turni) e l’hanno privato del montepremi che aveva guadagnato (circa 72.000$).
Le sue frasi insultanti hanno anche acceso polemiche politiche: alcune deputate italiane l’hanno accusato di sessismo. In un’intervista il tennista si è poi scusato per l’accaduto, dichiarando di aver sempre amato e rispettato le donne. Lo scorso settembre, la Federazione internazionale di tennis (Itf) gli ha comminato altre sanzioni: una multa di 96mila dollari (ridotta a 48mila se Fognini non commetterà ulteriori gravi infrazioni nei tornei dello Slam fino a tutto il 2019) e la minaccia di sospensione da due tornei dello Slam, uno dei quali deve essere gli Us Open, se dovesse commettere altre gravi infrazioni nei tornei dello Slam fino a tutto il 2019.
Staremo a vedere se queste sanzioni riusciranno a tenere a freno la sua impulsività: nel 2014, dopo una sconfitta, era arrivato a insultare persino suo padre presente fra il pubblico. 

REAZIONE DI MASSA

 

“Siamo tutti sbirri”.

I 25mila manifestanti alla 22° Giornata della memoria delle vittime delle mafie, Locri, 21 marzo 2017

[ per approfondire, clicca sul + della striscia blu qui sotto: IL FATTO ]

IL FATTO

Tutto era cominciato il 20 marzo con una scritta su un muro di Locri, in Calabria, terra di ‘ndrangheta. Poche ore dopo la visita in città del presidente della Repubblica Sergio Mattarella, su una parete dell’arcivescovado, dove era ospitato don Luigi Ciotti, presidente di Libera (associazione che si occupa di sensibilizzazione e contrasto al fenomeno delle mafie) era apparsa la scritta “Don Ciotti sbirro, più lavoro meno sbirri”.  Occorre ricordare che “sbirro” è un termine spregiativo per indicare  i poliziotti: deriva dal latino “birrum” (rosso), perché un tempo le divise erano rosse. Sta a indicare un agente dispotico, che esegue gli ordini ciecamente e facendo soprusi.
La scritta ha suscitato grande indignazione: al punto che il giorno successivo, 25mila persone sono arrivate a Locri per celebrare la 22a giornata della memoria e dell’impegno in ricordo delle vittime innocenti delle mafie, promossa proprio da Libera e Avviso Pubblico. E un altro mezzo milione di persone ha marciato in segno di solidarietà in migliaia di piazze italiane. “Oggi a Locri siamo tutti sbirri: ricordiamo i nomi degli agenti che hanno perso la vita per la libertà e la democrazia del nostro Paese. In testa al corteo c’era la vedova del brigadiere Antonino Marino, ucciso nel 1990: indossava una maglietta con la scritta “Orgogliosa di aver sposato uno sbirro”. “Quando ho visto quelle scritte sui muri” ha detto la donna “mi si è rivoltato lo stomaco. Sono moglie e mamma di un carabiniere: gli sbirri sono persone perbene”. 

INSULTI MILIONARI

Offende i concorrenti: lo sponsor gli chiede 2,1 milioni di euro

L’acqua Rocchetta chiede i danni a Flavio Insinna dopo il suo fuori onda volgare pubblicato da “Striscia la notizia”, 2 novembre 2017

[ per approfondire, clicca sul + della striscia blu qui sotto: IL FATTO ]

IL FATTO

Tutto inizia il 23 maggio 2017, quando “Striscia la notizia” (tg satirico di Canale 5) manda in onda un filmato in cui Flavio Insinna, conduttore del gioco a premi “Affari tuoi” (Rai1) insulta pesantemente i propri collaboratori, accusandoli di aver scelto concorrenti inadeguati per la trasmissione, al punto da aver causato un calo di ascolti. Il filmato – girato a sua insaputa – rivela un lato inaspettato di Insinna, che si rivolge in modo rabbioso e offensivo ai suoi collaboratori, arrivando a insultare anche i concorrenti del gioco: “Nana di merda”, “sette dementi”, “Questa è una merda”…. “non mi rompete i coglioni con questa cazzo di scatola”, “La merce [i concorrenti] la scelgo io”, “Siamo riusciti a prendere degli stronzi” e così via.
Il video fa scalpore: molti fan si indignano nello scoprire questo lato di Insinna, che giorni dopo si è scusato con gli spettatori e i concorrenti, rimarcando però che quel video era stato ripreso a sua insaputa durante una riunione. Mesi dopo, l’epilogo inaspettato: la Cogedi i
nternational, distributrice del marchio Rocchetta di cui Insinna era testimonial, ha chiesto un risarcimento allo showman per le proteste dei consumatori su Facebook, il calo del fatturato e i danni di immagine. Un totale di 2 milioni e 189mila euro, che si aggiungono alla restituzione del cachet di 275 mila euro l’anno che percepiva per gli spot. Amaro il commento di Insinna: “invece di difendermi da una campagna sistematica di denigrazione mi hanno lasciato solo, scaricandomi”. 

LO SBROCCO RUBATO

“Il Grande Fratello? Sfigati, programmi di merda”.

Marco Travaglio vittima de “Le iene” (dal min. 13:23), 12 novembre 2017

[ per approfondire, clicca sul + della striscia blu qui sotto: IL FATTO ]

IL FATTO

Gli autori delle “Iene”, trasmissione di Italia1, hanno avuto un’idea perfida: organizzare uno scherzo a Marco Travaglio, nemico giurato di Berlusconi. Gli hanno fatto credere che suo figlio Alessandro, rapper torinese, avrebbe partecipato al Grande Fratello Vip. Alessandro Travaglio, in realtà, era complice della trasmissione. Quando il figlio gli ha chiesto di intervenire in trasmissione come ospite, il padre ha sbroccato, ignaro di essere ripreso dalle telecamere di Mediaset nascoste a sua insaputa in casa sua: «E’ una trasmissione di sfigati, morti di fama, che non hanno più fama e cercano di recuperarla, mettendo in piazza le loro mutande, le loro scoregge, le loro scopate, le loro pippe, eccetera. E’ un programma osceno. (…) Se tu pensi che ti abbiano invitato perché sei un artista, ti illudi: ti hanno invitato perché sei figlio mio, ovviamente. Non farai il tuo lavoro, farai il coglione in mezzo a un branco di coglioni, di sfigati. Emette puzza anche dal video, quel programma lì, sei sentono le puzze. (…) Non esisto per quei programmi di merda lì, che ho sempre preso per il culo e ho sempre irriso e ho sempre definito programmi diseducativi e orrendi (…) Secondo te vengo in tv a sporcare il mio nome e la mia faccia, a sputtanare un intero giornale in un programma del genere». Io vado lì da loro? Io li schifo, io gli sputo in faccia. Sono gentaglia, personaggi orrendi. Sono la feccia dell’Italia, stanno rincoglionendo milioni di persone. La sola idea di essere avvicinato a loro mi fa venire il vomito. Non esiste proprio al mondo».
Alla fine, quando il figlio gli ha rivelato che era uno scherzo, Travaglio ha tirato un sospiro di sollievo e gli ha detto: «
Idiota. Sei un coglione. Sei veramente una testa di cazzo. Sei scemo. …. Ma è uno scherzo divertente. L’importante è che non ci vai. Cominciavo a dubitare della tua sanità mentale»…

A TUTTA PAGINA

“Patata bollente”.

Titolo di “Libero” su Virginia Raggi, 10 febbraio 2017

[ per approfondire, clicca sul + della striscia blu qui sotto: IL FATTO ]

IL FATTO

Il titolo uscito su “Libero”, il quotidiano diretto da Vittorio Feltri, fa un doppio senso pesante (“patata bollente” è un problema scottante, ma può essere inteso anche come vulva eccitata), per alludere ai guai – giudiziari e forse anche sentimentali – della sindaca di Roma Virginia Raggi.
La sindaca è stata accostata dal giornale agli scandali sexy di Silvio Berlusconi: “mi limito a sottolineare che le debolezze accertate del Cavaliere meritano la medesima considerazione di quelle supposte della sindaca” scriveva Feltri. “Le valutiamo con lo stesso metro di giudizio: l’erotismo è legittimo ed è materia su cui non vale la pena di indagare. Ciascuno ha il diritto di coricarsi con chi gli garba. Si dà però il caso che Silvio pagava di tasca i propri vizietti, mentre Virginia detta Giulietta ha attinto ai soldi pubblici per triplicare lo stipendio a Romeo. Mi pare una aggravante, ma non calchiamo la mano. Invoco soltanto la par condicio per chiunque sia trascinato dalla passione”. Tant’è che “Libero” ha ripreso esattamente lo stesso titolo che si riferiva allo scandalo di Ruby con Berlusconi. Ma con due notevoli differenze: la Raggi ricopre una carica pubblica, e le sue implicazioni sexy sono tutte da provare.
Inevitabile, quindi, che il titolo sollevasse le reazioni indignate, innanzitutto da parte del movimento 5 stelle e della Raggi, che ha annunciato una denuncia a “Libero”: “Lo stile manca a chi per attaccare ricorre all’insulto volgare. Immagino le ore passate in redazione per produrre questa rara perla di letteratura.  C’è un retro-pensiero che offende non soltanto me ma tante donne e tanti uomini. Voglio soltanto svelare un segreto a questi fini intellettuali: un sindaco può essere anche donna! Quando chiederò il risarcimento per diffamazione, ovviamente, lo farò, aggiungerò anche 1 euro e 50 centesimi che ho speso per comprare per la prima ed ultima volta questo giornale”. La Raggi ha ricevuto solidarietà anche da altre forze politiche, che hanno accusato Feltri di sessismo.
Alla fine il titolo è stato punito dall’Ordine dei giornalisti, che ha comminato la sanzione della censura al direttore responsabile del quotidiano, Pietro Senaldi (la posizione di Feltri è stata archiviata mancando la prova che avesse deciso lui il titolo).
Questo scandalo non ha comunque fatto cambiare la linea del giornale, che il 15 maggio, per raccontare che i vertici del Pd non avevano partecipato alle pulizie cittadine organizzate a Roma, ha titolato con greve doppio senso: “Renzi e Boschi non scopano”.
Su questa
pagina trovate altri 14 titoli esilaranti di giornali.

PAROLACCE (DIS)EDUCATIVE

“Linguaggio pulito? Una stronzata ”.

Paolo Ruffini all’evento di “Parole ostili” contro il cyberbullismo, Milano, 15 maggio 2017

[ per approfondire, clicca sul + della striscia blu qui sotto: IL FATTO ]

IL FATTO

Doveva essere il trionfo del rispetto, dei buoni sentimenti, della buona educazione. Invece si è trasformato in un greve show da osteria. Era la presentazione del “Manifesto della comunicazione non ostile nelle scuole”, un decalogo educativo contro “l’hate speech” promosso da Parole O_Stili e rivolto alle scuole di tutta Italia. Gli organizzatori si sono trovati a Milano, con trentamila studenti collegati in streaming da mille scuole. alla presenza del ministro dell’Istruzione, Valeria Fedeli. Ma “alla fine, ironia della sorte, a far notizia è stato proprio il linguaggio. In particolare, quello usato dal conduttore dell’evento, l’attore comico toscano, Paolo Ruffini” scrive il Corriere della Sera. Un ragazzo sale sul palco e dice una parolaccia. Per Ruffini è il «la»: «Non fatemi dire parolacce — ha attaccato l’attore —, perché ci sono questi signori in giacca e cravatta che non vogliono dica parolacce, ma mi sembra assurdo non dirle, perché voi le dite e mettere una distanza tra me e voi mi sembra una stronzata». E ancora: «Chiedo scusa alla suora, al preside e alle istituzioni, al ministro, a tutti, ma fatemi dire le parolacce. Fatemele dire. Posso dire un’altra cosa? La volgarità non è dire cazzo, ma la violenza. È più volgare uno schiaffo che non dire vaffanculo». E così Ruffini si è sentito legittimato a pronunciare una sequela di espressioni scurrili: “rompimento di coglioni”, “bella ficona mia”, “ti stai cagando addosso”, “dove cazzo vai”, “prendete per il culo”, “state facendo applausi di merda”, “cazzo fai?”….
D’altronde, le parolacce sono uno dei ferri del mestiere dei comici e sono un modo per accorciare le distanze e creare un clima informale. Ma farlo in quantità industriale, e proprio in una giornata dedicata al linguaggio pulito, di fronte ai giovani e ad alte cariche dello Stato è stato un boomerang: tutti i giornali hanno notato la contraddizione stridente fra gli scopi della manifestazione e il modo in cui è stata realizzata. Visibilmente in imbarazzo gli stessi organizzatori, con la ministra Fedeli che ha detto di “essersi tappata le orecchie”. Clamorosa la decisione di Trieste, dove il collegamento è stato interrotto in seguito alle proteste dei docenti e dell’assessore all’istruzione del Friuli Venezia Giulia, Loredana Panariti. 

PAROLACCE MUSICALI

“Oooh merda”.

Radiohead, Berkeley, 18 aprile 2017
(dal minuto 2)

[ per approfondire, clicca sul + della striscia blu qui sotto: IL FATTO ]

IL FATTO

Durante un concerto a Berkeley (Usa), i Radiohead hanno fatto un’improvvisazione… colorita. Il cantante Thom Yorke stava improvvisando dei vocalizzi, accompagnato dal chitarrista Jonny Greenwood. I musicisti stavano usando un looper, ovvero un apparecchio in grado di riprodurre all’infinito un frammento musicale (vocale, in questo caso). Ma qualche problema tecnico ha dato noia a Greenwood, che ha esclamato “Oh shit” (Oh merda): ma l’imprecazione è stata catturata dall’effetto, ed è stata ripetuta più volte, diventando un’originale canzone improvvisata fra le risate e gli applausi del pubblico.

PAROLACCE A FIN DI BENE

«Se te ne fotti, l’Aids ti fotte».

Slogan di Anlaids per la Giornata mondiale contro l’Aids
Roma, 1 dicembre 2017

 

[ per approfondire, clicca sul + della striscia blu qui sotto: IL FATTO ]

IL FATTO

Lo slogan non passa inosservato. E in effetti è stato scelto proprio per questo motivo: scuotere le coscienze sul fatto che l’Hiv miete ancora tante (troppe) vittime. Anche in Italia, dove si registrano 4mila nuove diagnosi di infezione all’anno. Così l’Anlaids (Associazione nazionale lotta all’Aids) in occasione della Giornata mondiale contro l’Aids ha scelto questa frase choc per far tornare sotto i riflettori l’allarme Hiv. Unico neo della campagna, l’incongruente espressività dei testimonial (da La Pina a Saturnino): nessuno di loro ha posato in un atteggiamento ironico, allarmato, ammiccante o comunque in linea con il contenuto dello slogan. 

REAZIONE ESEMPLARE

Muntari, insultato dai tifosi, abbandona il campo.

Partita Cagliari-Pescara, Cagliari, 30 aprile 2017

[ per approfondire, clicca sul + della striscia blu qui sotto: IL FATTO ]

IL FATTO

E’ il secondo tempo della partita Cagliari-Pescara. A un certo punto il centrocampista del Pescara Sulley Ali Muntari, ghanese, preso di mira con cori razzisti da alcuni tifosi del Cagliari, va dall’arbitro Daniele Minelli a protestare platealmente, chiedendogli la sospensione dell’incontro. Ma il direttore di gara non apprezza i suoi modi concitati e lo ammonisce. A quel punto, il calciatore ghanese lascia volontariamente il campo per protesta.
La notizia fa il giro del mondo: ne parlano tutti i giornali europei, da “Le Monde” al “Guardian”. Due giorni dopo la vicenda, l’alto commissario per i diritti umani dell’Onu Zeid Rahad al-Hussein definisce Muntari “Un’ispirazione per tutti noi”. Ma la vicenda ha rischiato di trasformarsi in una beffa: il giudice sportivo aveva infatti inizialmente squalificato Muntari per un turno, accusandolo di aver abbandonato il campo senza permesso; ma poi la pena è stata revocata.
Contro corrente le riflessioni del vice allenatore del Cagliari Nicola Legrottaglie: «Se Muntari ha abbandonato il campo perché ferito lo posso comprendere e me ne dispiace moltissimo. Ma se lo ha fatto per protesta, lo ritengo il modo sbagliato per cambiare la situazione. Eleanor Roosvelt disse che “Nessuno può farti sentire inferiore senza il tuo consenso”. Allora non stiamo al gioco di chi vuole farci sentire inferiori! Dimostriamo la nostra superiorità in ciò che facciamo, in questo caso sul terreno di gioco. Uscendo dal campo si rafforza il gesto dei razzisti, enfatizzandolo e portandolo a compimento. Vi ricordate Jesse Owens? Se si fosse ritirato dalle olimpiadi del regime fascista perchè minacciato e gravemente offeso non avrebbe mostrato al mondo la sua superiorità come atleta e come uomo, sgretolando, come ha fatto, la tesi sulla supremazia della razza ariana».

PAROLACCE E POTERE

Donald Trump (Shutterstock).

Perché tornare a parlare degli insulti di Donald Trump? Perché un aspetto è rimasto in ombra: il turpiloquio gli sta dando un potere senza precedenti. Che forse potrebbe esplodergli fra le mani.
Trump ci aveva abituato alle offese durante la sua campagna elettorale: è stato uno dei modi (lo raccontavo in questo articolo) con cui si è presentato come leader innovativo e vicino alla gente. Da quando – un anno fa – è diventato presidente, non ha cambiato stile comunicativo. Ma non è un fatto indolore.
Nell’uso di insulti, Trump somiglia a Silvio Berlusconi: è stato un uomo di spettacolo (ha condotto un talent show, “The apprentice”), ed è un uomo d’affari milionario. Due caratteristiche che gli rendono facile e spontaneo l’uso delle parolacce, sia come elemento di spettacolo, sia come sintomo di una libertà maggiore: in generale, infatti, agli eccentrici – milionari, artisti, vecchi, aristocratici – si perdonano gli eccessi, compreso il linguaggio eccessivo (come raccontavo qui).

Ma Trump non è solo un milionario eccentrico: è il presidente degli Stati Uniti d’America, dunque una persona con un ruolo fortemente simbolico, dotato di ampi poteri e privilegi. Ma questo ruolo è incompatibile con l’uso di insulti. Il presidente di uno Stato democratico, infatti, rappresenta tutta la nazione e non solo la parte che lo ha eletto: additare e offendere nemici interni gli serve a cementare il consenso dei propri supporter, ma aumenta il livore da parte degli avversari. Risultato: negli Usa l’opinione pubblica è fortemente divisa. E Trump sta attirando su di sè molto livore.
Ma non è l’unico effetto negativo: con l’uso degli insulti Trump sta aumentando il proprio potere. Trump è libero di insultare chi vuole, ma non vale il contrario. Come avviene in tutti i Paesi, chi offende la più alta carica di uno Stato rischia sanzioni pesanti. Ma nessun legislatore ha previsto pene particolari se è un presidente a insultare gli altri, proprio perché quel ruolo dovrebbe implicare il rispetto di tutto il Paese che rappresenta. E così, grazie a questo vuoto legislativo, Trump acquisisce un potere senza precedenti: la licenza di offendere.

Il tweet con cui Trump ha annunciato che pubblicherà la lista dei media più disonesti e corrotti.

Dall’alto del suo potere, Trump rompe tutti i tabù di una democrazia, infangando non solo gli avversari politici ma anche le altre istituzioni e la stampa: ciclicamente, infatti, minaccia di pubblicare le liste dei “cattivi giornalisti”. In questo atteggiamento ricorda Rodrigo Duterte, il presidente delle Filippine che (come avevo raccontato) è arrivato a insultare persino il papa e l’Onu.
Trump, insomma, guida gli Stati Uniti come guiderebbe la propria azienda: non tollera controlli e contrappesi al proprio potere. Il suo è un tentativo di corrodere, svilendoli, gli oppositori e chiunque lo critichi. E per arrivare a questo obiettivo, non esita a confondere le acque e mescolare le carte in tavola, tentando di dimostrare che non esistono verità oggettive ma che un’opinione vale l’altra. Perfino in campo scientifico: nei documenti del governo, infatti, al posto di “basato sulla scienza” vorrebbe  l’espressione “raccomandato  in considerazione dei desideri della comunità”.
Ma questa concentrazione di potere non è solo merito (o demerito) suo. Nei mesi scorsi, molti utenti di Twitter avevano protestato perché Trump, a differenza di tutti gli altri utenti, non viene censurato o bloccato quando twitta insulti. Di fronte a questa evidente disparità, il fondatore di Twitter Jack Dorsey ha dato una risposta disarmante: Trump “non viene silenziato perché ciò che dice fa notizia“. Vero, ma la risposta sembra una forma di piaggeria verso il potente. E vuol dire anche che se Trump insulta qualcuno fa salire l’audience – e quindi i guadagni – dei media. Insomma, in cambio di denaro e visibilità un mezzo di comunicazione rinuncia alla giustizia e all’equità.
Questo scenario, comunque, non è esente da rischi per Trump:  molte delle sue prese di posizione si trasformano in boomerang, perché con gli insulti manca di rispetto a chi non la pensa come lui. E’ un atteggiamento incompatibile con una democrazia, tant’è che in molti casi Trump ha dovuto tornare sui propri passi. Gli attacchi frontali di Trump sono in realtà il sintomo della sua debolezza: spesso li usa per sviare l’attenzione dell’opinione pubblica da problemi più grandi e pressanti (come ad esempio le inchieste sul Russiagate che lo riguardano). Ma forse non ha messo in conto che, attaccando gli altri, rende legittimo anche il contrario: se lui è il presidente solo di una parte del Paese, l’altra parte può sentirsi legittimata ad attaccarlo e svilirlo a sua volta.
 Difficile prevedere come andrà a finire. 

Hanno parlato di questo articolo AdnKronos e l’Indro.

The post Parolacce, la “Top ten” del 2017 first appeared on Parolacce.]]>
https://www.parolacce.org/2018/01/04/classifica-parolacce-anno/feed/ 0