Passera | Parolacce https://www.parolacce.org L'unico blog italiano di studi sul turpiloquio, dal 2006 - The world famous blog on italian swearing, since 2006 - By Vito tartamella Fri, 29 Nov 2024 12:25:44 +0000 it-IT hourly 1 https://www.parolacce.org/wp-content/uploads/2015/06/cropped-logoParolacceLR-32x32.png Passera | Parolacce https://www.parolacce.org 32 32 Twitter e parolacce: 9 scoperte della scienza https://www.parolacce.org/2016/08/01/insulti-su-twitter/ https://www.parolacce.org/2016/08/01/insulti-su-twitter/#respond Mon, 01 Aug 2016 11:12:18 +0000 https://www.parolacce.org/?p=10531 Quante parolacce circolano su Twitter? Più o meno rispetto a quante si dicono di persona, faccia a faccia? Quando se ne dicono di più? Sono più volgari gli uomini o le donne? A queste e altre domande risponde una ricerca straordinaria fatta… Continue Reading

The post Twitter e parolacce: 9 scoperte della scienza first appeared on Parolacce.]]>
tweetBQuante parolacce circolano su Twitter? Più o meno rispetto a quante si dicono di persona, faccia a faccia? Quando se ne dicono di più? Sono più volgari gli uomini o le donne?
A queste e altre domande risponde una ricerca straordinaria fatta da 4 scienziati della Wright State university di Dayton (Usa): straordinaria perché gli autori – un gruppo di informatici guidati da Wenbo Wang – hanno studiato una montagna di tweet: 51 milioni, scritti in un mese (dall’11 marzo al 7 aprile 2013) da 14 milioni di persone: in media 3,6 tweet a persona. Insomma, è come se avessero studiato un gruppo pari alle popolazioni di Piemonte e Lombardia messe insieme. Con la differenza, però, che gli autori dei tweet erano parlanti di lingua inglese: le scoperte dei ricercatori, quindi, hanno radici nel mondo anglosassone.
Sarebbe interessante verificare se anche in Italia c’è uno scenario simile: la nostra cultura ha elementi di somiglianza oltre che di differenza con quella anglosassone. (Foto: Gli uccellini incazzosi protagonisti del film “Angry birds”, elaborazione foto Shutterstock).

In ogni caso, la ricerca merita di essere letta anche per la mole di dati che ha interpretato. Solo 20 anni fa sarebbe stata impensabile: all’epoca, per studiare la lingua parlata ci si doveva armare di registratore, girare per le strade e infine trascrivere a mano e catalogare tutte le parole registrate. Un lavoro certosino che, nel 1994, proprio in questo modo ha generato la Banca dati dell’italiano parlato. Un database preziosissimo (è il più corposo dei 5 “corpora” di lingua parlata esistenti in italiano) che però era limitato a un campione di 1.653 parlanti, quasi un decimillesimo rispetto a quelli studiati dalla Wright State university. Oggi invece, grazie all’informatica, si possono elaborare anche milioni di dati, e per la linguistica è una vera manna.
Ecco le 9 scoperte che hanno fatto gli scienziati.

1) QUANTE PAROLACCE SI TWITTANO?

I ricercatori hanno censito la frequenza d’uso di 788 parolacce in inglese, comprese le varianti digitali (la Computer mediated communication, ovvero le parole abbreviate o camuffate tipiche dell’informatica, per intenderci: $hit, b1tch, f*ck, che in italiano diventerebbero m&rda, tro1a, fan*ulo). Ebbene, su Twitter le parolacce sono l’1,15% di tutte le parole: ve ne aspettavate molte di più? Probabile, ma sappiate che anche nella conversazione a voce le parolacce non sono poi tante: sono solo lo 0,5% delle parole, come aveva rilevato una passata ricerca. In ogni caso, su Twitter si dicono pur sempre più del doppio di parolacce rispetto a quante se ne dicono a voce.
I tweet che contengono parolacce sono il 7,73% (uno su 13), ovvero il doppio di quanto è stato rilevato nelle chat (3%) in un’altra ricerca. Dunque, su Twitter si impreca, si insulta molto (rispetto ad altri mezzi di comunicazione): il motivo? Semplice: nascosti dal display di un cellulare o dal monitor di computer (e magari anche dietro un’identità fittizia) ci si sente più liberi d’esprimersi senza censure.

2) QUALI SONO LE PIÙ TWITTATE?

Nella tabella qui sotto potete leggere le 10 parolacce più twittate in inglese. Bastano le prime 7 (con i loro derivati e varianti) a coprire oltre il 90% di tutte le parolacce. Altra osservazione interessante: la maggioranza sono a sfondo sessuale (6: fuck, ass, bitch, whore, dick, pussy), seguito da quello escrementizio (2: shit, piss), etnico (1: nigga) e religioso (1: hell). A occhio, nei tweet in italiano potremmo avere la stessa proporzione di categorie di significato, ma con un lessico diverso.

Parolaccia Frequenza
fuck (fottere, scopare, fanculo) 34,73%
shit (merda) 15,04%
ass (culo, stupido) 14,48%
bitch (cagna) 10.34%
nigga (negro) 9,68%
hell (inferno) 4,46%
whore (troia) 1,82%
dick (cazzo) 1,67%
piss (pisciare, piscia) 1,53%
pussy (passera) 1,16%

3) QUALI EMOZIONI ESPRIMONO?

Viotti

Un tweet di Daniele Viotti (europarlamentare gay del Pd), infuriato con la componente cattolica del partito su unioni civili e stepchild adoption.

La domanda è interessante, ma viene da chiedersi come abbiano fatto i ricercatori a ricavare questa informazione leggendo 51 milioni di messaggi. Semplice: hanno usato un software automatico di riconoscimento di testo, Liwc (Linguistic Inquiry and Word Count), capace di analizzare e collegare i tweet alle 7 emozioni primarie (quelle fondamentali, presenti in ogni cultura): gioia, tristezza, rabbia, amore, paura, gratitudine e sorpresa. Dopo una fase di test su 500mila tweet, i ricercatori hanno però deciso di scartare sorpresa e paura perché il programma aveva una precisione inferiore al 65%. Pur premettendo che il software è tutt’altro che infallibile, ecco i risultati. Le parolacce nei tweet sono associate per lo più alle emozioni negative: a tristezza (21,83%) e rabbia (19,79%); per contrasto, infatti, solo l’11,31% dei tweet senza parolacce esprimevano tristezza e il 4,5% rabbia. Ma, osservano i ricercatori, non va trascurato il fatto che, comunque, il 6,59% dei tweet volgari esprimeva amore: le parolacce, infatti, si usano anche per enfatizzare emozioni positive (“che figata!”), nell’erotismo (“ti scoperei”) o per confidenza fra amici (“Non fare il pirla!”). Per quanto riguarda il tasso di frequenza di messaggi volgari all’interno di ciascuna emozione, il 23,82% dei tweet rabbiosi conteneva parolacce, contro il 13,93% di quelli tristi, il 4,16% di quelli d’’amore, il 3,26% di quelli di gratitudine e il 2,5% di quelli di gioia. In sintesi: se devo esprimere la rabbia tendo a farlo attraverso le parolacce; mentre in assoluto, la maggior percentuale di tweet volgari è figlio di un senso di tristezza.

4) QUANDO SE NE TWITTANO DI PIÙ?

quandoI momenti più “caldi” per insultare o imprecare sono fra le ore 21 e le 22. La maggior concentrazione di tweet volgari si registra dalle 22 all’1,30 di notte. Si è più volgari all‘inizio della settimana (dal lunedì al mercoledì) rispetto agli altri giorni, in cui – ipotizzano i ricercatori – si è più rilassati (cliccare sui diagrammi per ingrandirli).

5) QUALI SONO I TWEET PIÙ VOLGARI?

La più alta concentrazione di parolacce è nei retweet: i commenti senza censure sono quelli più popolari e letti. Insomma, la parolaccia fa notizia e si diffonde col passaparola.

6) DOVE SE NE DICONO DI PIÙ?

Combinando i Tweet con Foursquare, la rete sociale basata sulla geolocalizzazione degli utenti, i ricercatori hanno identificato da quali luoghi twittavano gli autori dei tweet volgari. Risultato: per lo più da casa (7,08%), seguita da università (6,45%), negozi (6,41%), locali notturni (6,37%), luoghi ricreativi (5,7%). Ovvero nei luoghi informali. Gli ambienti naturali (parchi, spiagge, montagna) sono quelli in cui si impreca di meno (4,9%): forse perché all’aperto si è più  rilassati, immaginano ancora gli scienziati. E quindi si ha di meglio da fare che stare a twittare insulti, aggiungo.

7) E CON CHI?

Incrociando le parolacce con il sesso degli utenti, i ricercatori hanno appurato che si è più sboccati soprattutto quando si sta insieme a persone del proprio sesso. E com’era facilmente prevedibile, il tasso più elevato di tweet volgari è nei discorsi fra uomini (5,48%), mentre in quelli tra donne la percentuale scende al 3,81%. Più raffinate, ma non così tanto.

8) MASCHI E FEMMINE DICONO LE STESSE?

No, prediligono insulti diversi: i maschi usano più spesso fuck (fottere, scopare, fanculo), shit (merda) e nigga (negro); le femmine, bitch e slut (troia). Gli uomini, insomma, vanno più sul pesante, ma hanno anche una maggior varietà lessicale, almeno quando si tratta di essere volgari.

9) CHI È FAMOSO NE DICE DI PIÙ O DI MENO?

Un dato curioso: il prestigio, alto o basso che sia, rende più trattenuti nel linguaggio. Infatti, dicono meno parolacce le persone col maggior numero e quelle col minor numero di followers: ovvero, quelli che devono mantenere o curare di più la propria immagine. Chi sta nel mezzo, non si preoccupa molto del proprio prestigio, forse perché ha poco da perdere. Ecco perché fa notizia quando un personaggio celebre twitta una parolaccia.

twit-300x300

Il logo di “parolacce” su Twitter.

Tutte scoperte interessanti, ma i risultati, avvertono i ricercatori, non valgono necessariamente anche fuori da Twitter: 14 milioni di utenti sono davvero tanti, ma non somigliano necessariamente a quelli di altri social network né tantomeno alla popolazione generale. Gli utenti di Twitter, infatti, sono solo una parte (circa il 25%) degli utenti di Internet, e sono per lo più persone abbastanza istruite, di ceto medio-alto, residenti in grandi città e di età compresa fra i 18 e i 50 anni (come ha appurato questa ricerca). Restano non censiti tutti gli altri strati sociali e anagrafici, e non sono pochi. In più, aggiungo, la comunicazione attraverso i sistemi digitali (i 140 caratteri di Twitter, per intenderci) non coincidono con gli stili di comunicazione che abbiamo quando siamo di fronte ad altre persone, senza la mediazione di schermi digitali.
Con questa doverosa avvertenza finiscono le scoperte della ricerca americana. Se volete essere aggiornati via Twitter con le ultime news sul turpiloquio, basta seguire l’account parolacce: dal 2013, più di 2mila tweet sul turpiloquio, in Italia e nel mondo.

The post Twitter e parolacce: 9 scoperte della scienza first appeared on Parolacce.]]>
https://www.parolacce.org/2016/08/01/insulti-su-twitter/feed/ 0
Parolacce nelle canzoni: il primo censimento https://www.parolacce.org/2015/12/16/studio-parolacce-musica/ https://www.parolacce.org/2015/12/16/studio-parolacce-musica/#comments Wed, 16 Dec 2015 15:29:15 +0000 https://www.parolacce.org/?p=8919 Pensate che il rock sia la musica più trasgressiva? Vi sbagliate: una ricerca ha accertato che è l’hip hop il genere musicale con più parolacce nelle canzoni. La ricerca di cui sto per parlare è uno studio notevole: è il primo ad aver censito… Continue Reading

The post Parolacce nelle canzoni: il primo censimento first appeared on Parolacce.]]>
shutterstock_147280757

Un gestaccio di Jay Z (Shutterstock).

Pensate che il rock sia la musica più trasgressiva? Vi sbagliate: una ricerca ha accertato che è l’hip hop il genere musicale con più parolacce nelle canzoni.
La ricerca di cui sto per parlare è uno studio notevole: è il primo ad aver censito su ampia scala le parolacce nelle canzoni. Gli autori sono Varun JewalikarFederica Fragapane, e l’hanno fatta per musixmatch, uno dei più popolari database mondiali di testi musicali. Un database tutto italiano: è di Bologna.
Il campione di canzoni che hanno esaminato è sterminato: quasi mezzo milione (490.100) scritte da oltre 10mila artisti (10.386). Il risultato? Lo 0,45% di tutte le parole nelle canzoni sono parolacce: una ogni 234. Tante? No, nella media, anzi: un po’ sotto. Lo psicolinguista Timothy Jay, in una passata ricerca, ne aveva censite fra lo 0,5% e lo 0,7% sul totale delle parole dette da una persona in un giorno. Se le canzoni sono lo specchio della vita, allora sono uno specchio abbastanza realistico.

Musica1

I dati dello studio (clicca per ingrandire)

Ma come hanno scelto il campione i ricercatori? Hanno censito le canzoni in inglese, scegliendo i 51 artisti più cliccati su Google per ogni genere musicale (8: pop, hiphop, folk, heavy metal, rock, country, indie rock, elettronica). In pratica, si va da Michael Jackson a Bob Dylan, dai Pink Floyd ai Metallica, fino ai Kraftwerk ed Eminem. La popolarità, insomma, ha prevalso sull’omogeneità temporale, il che è un punto debole della ricerca: paragonare le parolacce di Snoop Dog a quelle dei Beatles ha poco senso, perché negli anni ’60 le parolacce erano decisamente più rare che nella musica di oggi.

Ed ecco la classifica dei generi musicali per uso (decrescente) di parolacce:

classOK

Vince l’hip hop, seguito da heavy metal (anche questo era prevedibile), e musica elettronica (dato sorprendente, visto che spesso le canzoni sono solo strumentali). Il rock si classifica solo al 6°posto: non è più la musica trasgressiva di una volta. Non a caso, i giovani di oggi scelgono l’hip hop per esprimere la propria ribellione anticonformista.
E quali sono le parolacce più usate in inglese? Qui c’è un’altra sorpresa: prevale la parola “nigga” (negro), al 24%, seguita da fuck (scopare, 18%) e shit (merda, 14,5%). Se le parolacce sono lo specchio dei valori, delle paure e delle ossessioni di una società, beh: le canzoni rappresentano non solo gli intercalare più usati (fuck, shit) ma anche lo spinoso problema del razzismo, dell’emarginazione delle persone di colore. Anche se, come giustamente sottolineano gli autori della ricerca, la parola “nigga” (negro) nell’hiphop non è usata in senso offensivo, ma come termine gergale, come identità sbandierata senza complessi. Alla luce di questa precisazione, se togliamo la prola “nigga” nelle canzoni hip hop le parolacce scendono da 1 ogni 47 parole a 1 ogni 74 parole.
Nell’elenco delle parolacce, peraltro, c’è l’altro punto debole della ricerca: per stabilire quali fossero le parolacce, i ricercatori hanno attinto a un elenco scritto da Google per filtrare i contenuti in un’applicazione. Ma in questo elenco figurano anche espressioni (sex, sesso, lust, libidine) disturbanti per la sensibilità puritana degli statunitensi, ma non certo per quella di noi europei: motivo per cui li ho cassati dalla lista, e ho anche accorpato fra loro le varianti linguistiche di uno stesso termine (nigga, niggas, niggaz li ho uniti sotto nigga). Ecco i risultati così rielaborati: queste 14 parolacce, da sole, rappresentano quasi l’85% di tutte le parolacce nelle canzoni.

Musica2

Insomma, un’indagine interessante. A quando un censimento del genere per le parolacce nelle canzoni italiane? Alcuni studi li ho fatti: li trovate in queste pagine.

Di questo post ha parlato IlGiornale.

The post Parolacce nelle canzoni: il primo censimento first appeared on Parolacce.]]>
https://www.parolacce.org/2015/12/16/studio-parolacce-musica/feed/ 2
Piacere, Felice Della Sega https://www.parolacce.org/2015/06/05/cognomi-italiani-volgari/ https://www.parolacce.org/2015/06/05/cognomi-italiani-volgari/#comments Fri, 05 Jun 2015 12:30:40 +0000 https://www.parolacce.org/?p=6338 Non vorrei essere nei suoi panni quando arriva il momento di presentarsi: “Piacere, Felice Della Sega“. Portare un cognome volgare può cambiare la vita. Spesso in peggio: scherzi telefonici e citofonici, battutine, prese in giro possono essere un supplizio quotidiano. Ma… Continue Reading

The post Piacere, Felice Della Sega first appeared on Parolacce.]]>
Parma: campagna elettorale di Massimo Passera (Ulivo).

Parma: campagna elettorale di Massimo Passera (Ulivo).

Non vorrei essere nei suoi panni quando arriva il momento di presentarsi: “Piacere, Felice Della Sega“. Portare un cognome volgare può cambiare la vita. Spesso in peggio: scherzi telefonici e citofonici, battutine, prese in giro possono essere un supplizio quotidiano. Ma quanti sono gli italiani con un cognome imbarazzante? Sono casi rari? E qual è la storia di questi cognomi?
Dopo il caso del professor Stronzo Bestiale, finto autore di un paper scientifico nel campo della fisica, avevo promesso di indagare. L’ho fatto, scoprendo una realtà che va oltre ogni immaginazione: in Italia esistono 111 cognomi-parolaccia, portati da oltre 38mila persone. Il signor Della Sega, insomma, è in buona compagnia. Sono lo 0,06% degli italiani: 6 persone su 10mila.  Questo vuol dire che in una città come Milano (1 milione e 350mila abitanti) i portatori di un cognome volgare potrebbero essere più di 800. 

Come faccio a dire questo? In Italia non esiste un’anagrafe centralizzata, e anche se esistesse non sarebbe accessibile. Dunque, per studiare i cognomi esiste un solo modo, scoperto dal linguista Emidio De Felice alla fine degli anni ’70: esaminare gli elenchi telefonici. Oggi il compito è più facile, visto che sono sul Web: così, con pazienza, aggiornando le ricerche che avevo fatto 20 anni fa per il mio primo libro (già: proprio sui cognomi) ho digitato tutte le parolacce della nostra lingua sul sito di Pagine Bianche. In questo modo ho potuto accertare quante persone avevano un cognome volgare (tralasciando i nomi delle attività commerciali, spesso inventati).

Un candidato difficile da dimenticare alle Comunali di Orvieto. Chi ha scritto il suo nome non ha invalidato la scheda.

Un candidato difficile da dimenticare alle Comunali di Orvieto.

Una delle prime verifiche è stata vedere quanti portassero un cognome volgare abbinato a un nome, in modo da formare una frase di senso compiuto. Oltre a Felice Della Sega (esiste davvero!) ecco gli altri casi che ho accertato (potete verificarlo su PagineBianche):
Benvenuta VACCA
Immacolata SOTTOLANO
BOCCHINO Fortunato
TROMBA Alessia
TROMBA Felice
CHIAPPA Rosa

CHIAPPA Chiara
TROMBA Felice
LIMONTA Felice
MADDIO Santo
BIGO Lino
TROIA Fortunata

Un caso celebre, Felice Mastronzo, non risulta in elenco: se esiste davvero, segnalatelo (con le prove!). Gli abbinamenti comici fra nome e cognome involontariamente comici (ma a cosa pensavano quei genitori quando hanno scelto come chiamare i loro figli?) sono comunque una minoranza.
I cognomi volgari, invece, sono 111, e risultano portati da 16.015  persone. Che sono i titolari delle linee telefoniche, ovvero i capofamiglia: e dato che in Italia la famiglia media è composta da 2,4 persone (dati Istat), i cognomi volgari potrebbero quindi essere diffusi fra 38.436 persone.  Ed è probabilmente un numero approssimato per difetto, visto che in molte famiglie la linea telefonica fissa è stata sostituita dai telefoni cellulari.

TuttoOk1Ma vediamo più da vicino quali sono questi cognomi e come sono distribuiti, a seconda del loro significato: la maggior parte (il 71%) fanno riferimento al sesso, ovvero descrivono parti anatomiche o atti sessuali (Cazzoni, Scopano), oppure stigmatizzano comportamenti sessuali (Finocchio, Zoccola). Il resto sono sostanzialmente insulti.
Anche se, come vedremo più avanti, molti cognomi volgari in realtà non sono nati come parolacce: il loro significato originario è spesso neutro e vuol dire tutt’altro che una parolaccia. Tanto più che, nei secoli, i cognomi hanno subìto storpiature ed errori di trascrizione, perdendo la loro forma originaria. Ma ne parliamo in questo blog, perché, di fatto, a prescindere dal loro significato originario, questi cognomi sono percepiti o percepibili come volgari.

Cover-1498

Il musicista Francesco Buzzurro: pur avendo un cognome scomodo, ha scelto di non usare uno pseudonimo.

Accorpando le forme derivate e le varianti, le 10 forme di cognome più diffuse (portate da più di 500 persone ciascuna) sono le seguenti:

1) Vacca (2.552)
2) Porco (2.513)
3) Barbone (1.118)
4) Cazzaro (1.056)
5) Chiappa (813)
6) Troia (799)
7) Cozza (733)
8) Buffone (657)
9) Passera (621)
10) Tonto (506)
In tutto, questi 10 cognomi sono portati da 11.368 persone, il 71% del totale dei cognomi volgari.

Ma vediamo in dettaglio come sono composte le categorie: [ clicca sul + per aprire l’approfondimento ]

COMPORTAMENTI

TuttoOk2I cognomi più diffusi sono quelli inquadrabili come insulti sull’etica sessuale (42%): in realtà, non tutti nascono come tali. Prendiamo il caso di Porco e derivati: come racconta il completissimo “Dizionario dei cognomi italiani” di Enzo Caffarelli e Carla Marcato (Utet), è nato non solo come soprannome spregiativo e offensivo, ma anche come nome affettivo, di modestia e umiltà cristiana. Troia, invece, non nasce come epiteto offensivo, ma come toponimo: è un riferimento alla località di Troia, in Puglia. Vacca era in origine un soprannome legato all’aspetto fisico, al comportamento ma anche a nomi di mestiere; Zoccola, invece, nasce proprio come insulto.
Passando agli insulti comportamentali (85), Buffoni e simili derivano non solo dal termine spregiativo buffone, ma anche da buffo, inteso come strano, stravagante, ma anche colpo di vento (sbuffo), squattrinato (dal lombardo e piemontese buf), paffuto (dal siciliano bbuffu). 

SESSO
TuttoOk3bisAncora più variopinto (e imbarazzante) l’elenco dei cognomi che fanno riferimento in modo volgare a parti anatomiche o atti sessuali (29%). L’elenco, infatti, consiste in 45 cognomi, che vedete a lato. Anche in questo caso, però, l’origine di diversi cognomi è tutt’altro che oscena. Prendiamo ad esempio uno dei più clamorosi, Ficarotta: non significa quello che pensate, ma deriva da ficara, piantagione di fichi. Anche i cognomi che sembrano riferirsi al pene hanno un’origine ben diversa: Cazzato è una variante di cacciato; Cazzaro può derivare da cacio (venditore di formaggi, quindi) o da cazza (mestolo: venditore o fabbricante di mestoli). Fregna, anche se si ricollega al significato di vagina, poteva significare in origine “persona di poco conto” (come fregnaccia), piagnucolone, persona buffa, oppure potrebbe essere un abbreviativo del nome Manfreni (così come Mona è un abbreviativo di Simona). Quanto ai signori Pompa, il loro cognome può derivare da pompa intesa come “dimostrazione di magnificenza, vanagloria” o dal cognome spagnolo Pompa.

CORPO
TuttoOk2bisNotevoli anche i cognomi che fanno riferimento al corpo e al suo metabolismo. Innanzitutto, salta all’occhio che, fra le caratteristiche fisiche, primeggia la pancia in tutte le sue forme: ciccia, pancia, grasso, lardo… Un ulteriore segno dell’emarginazione verso le persone sovrappeso, come raccontavo in questo post.
Anche per questi generi di cognomi, comunque, ci sono diverse precisazioni da fare: Piscione, per esempio, è una variante di pescione, ovvero un grande pesce: l’incontinenza urinaria, dunque, non c’entra. Mentre Cozza, che come insulto significa “donna molto brutta”, può essere anche un abbreviativo di Francescozzo, Domenicozzo, Federicozzo, oppure riferirsi alla località Cozzo, al coccio, oppure al cozzo (urto violento). 

INSULTI
TuttoOk3Infine, ci sono i cognomi classificabili come insulti mentali o classisti. Anche nel loro caso, alcune delle origini non sono necessariamente squalificanti: Tonto e derivati, per esempio, non nascono solo  come soprannomi per indicare persone sciocche, ma possono essere vezzeggiativi derivati dal nome Antonius oppure da “tondo” inteso come “grasso”. Minchioni, oltre a significare “scemi” può derivare dal nome Mincio, oppure da un termine napoletano che significa “fringuello”. Il cognome Barboni, invece, è nato come epiteto  descrittivo (persona con barba), e in alcuni casi potrebbe ricondursi a barba inteso come “anziano”.

Di fronte a tutti questi cognomi scomodi, una domanda nasce spontanea: perché le persone non li cambiano? La possibilità esiste, ed è offerta da una legge aggiornata di recente (il Dpr 54/2012). Chi ha un cognome “ridicolo o vergognoso” può cambiarlo: basta presentare domanda al prefetto. Di solito, chi cambia il cognome volgare lo fa in due modi: o si limita a cambiarne una sola lettera (Merdelli può diventare un rispettabilissimo Verdelli), oppure lo sostituisce con quello della madre.
Una scelta comprensibile, dato che – come raccontavo nel mio libro – nel cognome si condensano le caratteristiche familiari, professionali, etniche e sociali dell’identità di una persona. Dunque, un cognome volgare rischia di  mettere in ridicolo non solo il suo portatore ma tutta la sua famiglia d’appartenenza: il cognome, infatti, è un nome singolare con un significato plurale, perché raggruppa in sè la storia di un’intera stirpe.
Eppure, guardando le statistiche del ministero dell’Interno, i cambi di cognome sono molto meno frequenti di quanto si possa immaginare. L
ultimo dato disponibile, quello del 2011, parla di 2.765 richieste presentate in un anno in tutta Italia. ma solo una minoranza era motivata dal desiderio di correggere un nome di famiglia imbarazzante; la maggioranza delle istanze (il 50%) volevano invece valorizzare il cognome materno, aggiungendolo o sostituendolo a quello paterno.
In ogni caso, gran parte delle persone mantiene un cognome anche se è pesante o ridicolo: come si spiega? In parte per le ricadute burocratiche: se si cambia cognome, bisogna rifare tutti i documenti: carta d’identità, patente, etc etc. Ma i motivi più forti sono altri. In una ricerca di qualche anno fa, lo psicologo statunitense Arthur Frankel (Salve Regina University) ha dimostrato che i nomi insoliti si imparano più facilmente rispetto ai nomi comuni. Cantacesso, insomma, non si scorda, a differenza di un comunissimo Rossi. Ma non è solo questo il motivo: ai cognomi ci si affeziona, perché sono carichi di storia, di ricordi, di affetti. E sbarazzarsene non è così semplice. D’altronde, basta un po’ di ironia per portare, anche con orgoglio, un cognome particolare. Come mostrano le interviste del video qui sotto, realizzato dal sito cognomix.

The post Piacere, Felice Della Sega first appeared on Parolacce.]]>
https://www.parolacce.org/2015/06/05/cognomi-italiani-volgari/feed/ 21
Quando la passera ha un nome maschile (e viceversa) https://www.parolacce.org/2014/09/01/nomi-genitali-maschili-femminili/ https://www.parolacce.org/2014/09/01/nomi-genitali-maschili-femminili/#comments Mon, 01 Sep 2014 11:05:29 +0000 https://www.parolacce.org/?p=5985 L’incidente è passato alla storia: durante un concerto a Lima (Perù) lo scorso 24 luglio, Laura Pausini è uscita sul palco in accappatoio; poiché sotto non indossava nulla, muovendosi, per qualche istante si è visto il suo pube. Appena se… Continue Reading

The post Quando la passera ha un nome maschile (e viceversa) first appeared on Parolacce.]]>

L’incidente è passato alla storia: durante un concerto a Lima (Perù) lo scorso 24 luglio, Laura Pausini è uscita sul palco in accappatoio; poiché sotto non indossava nulla, muovendosi, per qualche istante si è visto il suo pube. Appena se n’è accorta, la Pausini ha chiuso l’accappatoio e ha salutato il pubblico dicendo: “Pues, si han visto, han visto. Yo la tengo como todas, buenas noches!!”. Ovvero: “Beh, se avete visto, avete visto. Io ce l’ho come tutte, buona notte!!”.
Uscita geniale: nella sua schiettezza, ha smontato sul nascere ogni malizia e ogni moralismo. Dove sta lo scandalo, se le donne sono fatte tutte così?

libro 2

“Tutte le fiche la fica e altri poemi profondi”: è il libro di un poeta spagnolo (sotto pseudonimo).

Eppure, in quella frase, la grande Laura ha fatto uno sbaglio. Un errore piccolo, grammaticale, ma è un pretesto prezioso per parlare di uno strano fenomeno linguistico: i nomi del sesso invertiti (o transgender, se preferite).
Ecco di che cosa si tratta. Parlando al pubblico peruviano, la Pausini avrebbe dovuto dire, più correttamente “Yo LO tengo como todas” perché in spagnolo la passera è chiamata coño, al maschile. Deriva dal latino cunnus (da cui cunnilingulus), cioè cuneo (a forma di V), la stessa etimologia di conio. E’ vero che in spagnolo la vulva è chiamata anche al femminile concha (conchiglia), ma questo termine si usa molto meno spesso. D’altra parte, in modo simmetrico, in spagnolo il pene è chiamato con un nome femminile: polla (gallina) o pinga (pendola).
Lo stesso fenomeno avviene in Francia, dove la vulva – sempre per derivazione dal latino cunnus – è chiamata al maschile con (come pure chatte, gatta, al femminile); e anche in Francia il pene è designato con parole femminili: bite (bitta)  o queue (coda).
Il latino cunnus ha influenzato anche il termine inglese cunt: ma in inglese i nomi degli oggetti non hanno genere (non sono maschili né femminili, ma neutri: infatti per un inglese la sessualizzazione degli oggetti è fonte di confusione e di divertimento).
E questi fenomeni linguistici ci sono anche in Italia: nei dialetti del Sud (Calabria, Sicilia, Puglia, Sardegna) la vulva è chiamata con un nome maschile (cunnu, pilu, sticchio), mentre il pene è designato coi femminili minchia, ciolla, ciota, cedda.

Perché c’è questo scenario linguistico? Una ragione è che in latino i nomi degli oggetti erano solitamente maschili. Ma questo non spiega l’origine di minchia, che deriva dal latino mentula (da mentus, mento, o da mingere, orinare, o forse ancora da mantha, mazza)… Insomma, un gran caos. Anzi, peggio: una contraddizione. Perché la vulva, essenza della femminilità, è chiamata con un nome maschile, e il pene, la virilità stessa, con nomi femminili? C’è qualcosa che non quadra: se la lingua esprime una visione del mondo, ci troviamo di fronte a una scelta altamente illogica e inspiegabile. Del resto, tra le migliaia di appellativi che usiamo per designare i genitali (ne ho parlato qui), persino il maschile frutto del fico si è femminilizzato per designare in modo più appropriato l’organo sessuale femminile (fica).

Guy Deutscher e la copertina del suo libro.

Guy Deutscher e la copertina del suo libro.

Di questi argomenti si è occupato un linguista eclettico: Guy Deutscher, ricercatore onorario alla Scuola di linguistica dell’Università di Manchester. Deutscher è l’autore di “La lingua colora il mondo” (Bollati Boringhieri): in questo libro ha dedicato un intero capitolo al caos dei generi nelle lingue europee.
Le posate tedesche” scrive “sono famose per abbracciare l’intera gamma dei ruoli di genere: das Messer (coltello) è neutro, ma accanto a esso il cucchiaio (der Löffel) risplende in tutta la sua mascolinità e, dal lato opposto del piatto, la femminile forchetta (die Gabel) trabocca di sex appeal. Ma in spagnolo è el tenedor (la forchetta) ad avere il petto villoso e la voce roca, e lei, la cuchara, a sfoggiare le proprie curve”.
Perché questa differenza? In latino, le parole avevano 3 generi: maschile, femminile e neutro; quest’ultimo serviva solitamente a designare gli oggetti inanimati e asessuati. Nel dar vita alle lingue moderne (spagnolo, francese e italiano) il latino ha perso il genere neutro, che si è fuso con il maschile. Ma in questo passaggio, dice Deutscher, in realtà tutti i sostantivi di cose inanimate sono stati attribuiti a casaccio al genere maschile o al genere femminile.
E che dire allora dei nomi del sesso? Come si spiega questa illogicità ancora più colossale?

Nel suo libro, Deutscher non si è occupato dei nomi dei genitali. Allora gli ho scritto per chiedergli che cosa ne pensasse di questa macroscopica contraddizione per cui il sesso femminile può avere un nome maschile e il sesso maschile un nome femminile. Ecco la sua risposta: “Caro Tartamella, penso sia estremamente difficile trovare una logica dietro il genere di molti oggetti, come ho tentato di mostrare nel mio libro. Questo è il caso per le parti anatomiche più in generale: perché la virilissima barba in italiano è femminile? E così i nomi dei genitali non sono un’eccezione nell’essere illogici”. Forse, comunque, si può azzardare un’ipotesi per spiegare questi fatti: e cioè che in alcuni casi una determinata metafora poteva risultare efficace a descrivere i genitali anche se aveva un nome di genere opposto. Per esempio, il termine banana, anche se è femminile, evoca immediatamente un’immagine fallica (come raccontavo nell’ultimo post). E così via: anche il maschile cuneo, del resto, ha evocato l’immagine a “V” della vulva…

Galleria fotografica: ogni riferimento alla “cosa” è puramente… voluto.

Quel che conta, comunque, al di là delle cause, sono gli effetti di questa categorizzazione linguistica. Effetti che si annidano nella nostra mente, nella nostra visione del mondo: “L’abitudine di mascolinizzare e femminilizzare gli oggetti comporta che, ogni qual volta i parlanti sentono il nome di un certo oggetto, nelle loro orecchie si insinua un’associazione fra un sostantivo inanimato e uno dei sessi, e che, ogni qual volta accade loro di menzionare il nome di lei o di lui, la medesima associazione si infila loro in gola”, scrive Deutscher.
Queste associazioni, infatti, ci condizionano: lo hanno dimostrato diversi esperimenti. Uno dei più divertenti è quello che lo psicologo Toshi Konishi ha fatto nel 1993 con un gruppo di spagnoli e di tedeschi. Nelle due lingue, infatti, molti nomi di oggetti inanimati hanno generi invertiti: per esempio, die Brücke (il ponte) in tedesco è femminile, mentre el puente è maschile; “e lo stesso vale per gli orologi, gli appartamenti, le forchette, i giornali, le tasche, i francobolli, i biglietti, i violini, il sole, il mondo e l’amore. D’altra parte der Apfel (la mela) per i tedeschi è maschile mentre in spagnolo la manzana è femminile, e lo stesso accade per le sedie, le scope, le farfalle, le chiavi, le montagne, le stelle, i tavoli, le guerre, la pioggia e l’immondizia”.

La "Festa delle fiche" (intese come frutto) a Marittima (Le).

La “Festa delle fiche” (intese come frutti) a Marittima (Le).

Konishi ha chiesto ai parlanti delle due lingue se questi sostantivi li giudicavano forti (=maschili) o deboli (=femminili), grandi (= maschili) o piccoli (= femminili), e così via.  Il risultato è facile da indovinare: i sostantivi maschili in tedesco furono giudicati più “virili” dai tedeschi e viceversa dagli spagnoli, e quelli femminili idem. Insomma, la mascolinità del nome aveva influenzato la percezione dell’oggetto che designava, e la femminilità pure.
Come dice Deutscher, le associazioni mentali sono prigioni da cui non ci libereremo mai. Perciò, volenti o nolenti, per gli spagnoli la vulva (coño) ha un che di maschile, e per i siciliani il pene (minchia) ha qualcosa di femminile… Quali effetti questa associazione abbia prodotto, è difficile dirlo. Ma è affascinante immaginarlo.

The post Quando la passera ha un nome maschile (e viceversa) first appeared on Parolacce.]]>
https://www.parolacce.org/2014/09/01/nomi-genitali-maschili-femminili/feed/ 2
“Non gli resta che Kakà”: 19 parolacce (e figuracce) dei giornali https://www.parolacce.org/2014/07/30/parolacce-dei-giornali/ https://www.parolacce.org/2014/07/30/parolacce-dei-giornali/#comments Wed, 30 Jul 2014 12:03:23 +0000 https://www.parolacce.org/?p=5775 “Il fallo da dietro è da espulsione“: a volte i titoli dei giornali possono essere strepitosi. Se poi, oltre ai doppi sensi, contengono parolacce, il mix diventa esplosivo. Non mi riferisco tanto agli strilli di Libero o del Giornale, che usano di… Continue Reading

The post “Non gli resta che Kakà”: 19 parolacce (e figuracce) dei giornali first appeared on Parolacce.]]>
giornale

Prima pagina del “Giornale” con uno sberleffo alla Merkel.

Il fallo da dietro è da espulsione“: a volte i titoli dei giornali possono essere strepitosi. Se poi, oltre ai doppi sensi, contengono parolacce, il mix diventa esplosivo.
Non mi riferisco tanto agli strilli di Libero o del Giornale, che usano di proposito le volgarità per strizzare l’occhio al pubblico con un linguaggio informale.
Le vere perle memorabili sono quelle che appaiono sui quotidiani per incidenti, sviste e – talvolta – per calcolata malizia. Fare i titoli è un’arte che mescola sintesi, efficacia e creatività espressiva: alcuni sono intuizioni fulminanti che si incollano nella mente. Ma a volte la fretta e la confusione delle redazioni giocano brutti scherzi. E così un titolo ambiguo o sbagliato rischia di trasformare in farse anche fatti drammatici.
Gli svarioni dei giornali sono citati in molti siti Internet. Qui non mi sono limitato a raccoglierli: li ho verificati tutti, scartando quelli non documentati.
Ecco perché in questa pagina non troverete 4 storie che girano su Internet:

  1. il celebre “Falegname impazzito, tira una sega a un passante“: solitamente attribuito al Corriere della sera, non esiste negli archivi del Corriere. Dunque, fino a prova contraria è una battuta inventata.
  2. Idem per “Tromba marina per un quarto d’ora“, attribuito al Corriere del mezzogiorno: dell’originale non si trova traccia.
  3. Invece il divertente episodio della caccia alla prostituta che evirava i clienti a morsi, è il frutto della fantasia di un giornale satirico, La tampa (supplemento di TorinoCronaca), che aveva ribattezzato la donna “Unapomper“: geniale gioco di parole con Unabomber.
  4. E pure “Benzina, stop alla figa in Slovenia” che qualche sito dice essere apparso sul Gazzettino, è in realtà un fotomontaggio: nell’originale c’era scritto fuga.

Quelli che seguono, invece, sono 19 strafalcioni Doc, tutti verificati e realmente accaduti, pubblicati negli ultimi 30 anni (dal più recente al meno recente). Se ne conoscete altri (documentati!) segnalateli, e aggiornerò questa pagina.

INCULATI

Inculati 436 Covid (Il Gazzettino, 27 ottobre 2024)

L’Usl di Treviso organizza un open day per vaccinare la popolazione. E tiene aperte le proprie sedi di sabato per somministrare i vaccini contro il Covid e l’influenza stagionale. All’appuntamento rispondono in centinaia, tanto che il Gazzettino dedica un articolo all’iniziativa. Ma un refuso dà un altro sapore alla notizia: “Inoculati 436 Covid” perde una vocale e diventa “inculati”. L’errore viene stampato, e rimane a imperitura memoria per i posteri: quei vaccini si somministrano in modo davvero strano… La versione online nel frattempo è stata corretta.  

CAGAME

Kagame in testa (ANSA, 15 luglio 2024)

Certe vittorie sono davvero schiaccianti.  Alle ultime elezioni presidenziali in Ruanda, il presidente uscente Paul Kagame (al potere dal 2000) ha ottenuto oltre il 99% dei voti: un plebiscito, un risultato bulgaro, un trionfo elettorale…No, di più: l’Ansa ha titolato: “Kagame in testa col 99,15% dei voti alle preidenziali in Runada”. Un titolo che si prestava a una lettura equivoca, che ha suscitato l’ilarità sul Web: “I suoi elettori potranno dire ‘Kagame in faccia’ a chi non l’ha votato”, hanno scritto nei commenti. E anche: “Al ballottaggio con Kittese Ngula”. Quando si è accorta della gaffe, l’Ansa ha corretto il titolo del lancio in “Kagame verso un plebiscito”. Ma ormai la frittata, pardon: la cagata era stata fatta.

FIGA

Trapani, evaso tenta la figa (IL GIORNALE D’ITALIA, 9 ottobre 2023)

La storia, di per sé, non è particolarmente emozionante: un uomo di 29 anni, agli arresti domiciliari, viene intercettato da una gazzella dei Carabinieri, prova a fuggire ma viene arrestato. Ma un refuso – probabilmente dell’agenzia AdnKronos – cambia una vocale e la vicenda assume tutto un altro significato: l’evaso tenta la…. figa. L’errore, presente nella stringa dell’indirizzo Internet, viene riprodotto anche nel titolo, e cade in errore non solo “Il giornale d’Italia“, ma anche i siti AffariItaliani, il Dubbio e Sannio Portale. Non proprio una figata….

 

SEGA

segaIl braccio destro del papa
fa visita ai fedeli di Sega (L’ARENA, 31 agosto 2016)

Sembra una delle trovate di “Lercio”, il giornale satirico. E invece il titolo è proprio vero: è uscito il 31 agosto sull’Arena, quotidiano di Verona.
Ma il titolista non s’è accorto del doppio senso, ancora più imbarazzante visto il tema religioso? Su Twitter, un tale Roberto ha commentato: “Speriamo che Sega non faccia visita al braccio destro…”.
La notizia, però, è seria: l’articolo parla di monsignor Marcello Semeraro, “strettissimo collaboratore del pontefice”, che farà visita alla comunità parrocchiale di Sega, frazione realmente esistente di Cavaion Veronese (ne avevo parlato in questo articolo dedicato alle città col nome imbarazzante).
Il giorno prima, a onor del vero, lo stesso giornale aveva annunciato in un altro articolo questa visita con un titolo meno efficace: “Il secondo del papa a Cavaion”…

GAZZO

Il Gazzo si rialza e tiene duro fino alla fine (GIORNALE DI VICENZA, 28 novembre 2016)

In provincia di Padova c’è il Gazzo calcio: gioca in terza categoria, girone A. Prende il nome dall’omonimo paese in provincia di Padova. Il buffo nome deriva dal longobardo gahagium (terreno recintato)  ma l’assonanza con l’organo sessuale maschile è piuttosto evidente. Così i giochi di parole si sprecano: l’apparentemente neutro “squadra del Gazzo” può risultare offensivo. Il titolo in questione racconta la vittoria del Gazzo 1-0 nel derby contro il Grantorto. Il titolo risulta involontariamente comico, non sappiamo se intenzionalmente o per incidente. I commenti alla notizia sono altrettanto creativi: «Quando tiene duro, il Gazzo riesce ad essere ficcante fino a trovare il pertugio giusto per andare a segno…. Grazie al Gazzo!».

PASSERA

Passera Belpaese - AdnkronosLa passera d’Italia simbolo del Belpaese, a stabilirlo l’osservatorio sugli uccelli (ADNKRONOS, 18 maggio 2015).

E chi altri poteva stabilirlo, se no? La perla è recente, ed è un lancio di AdnKronos. Una notizia ornitologica che acquista un senso erotico. Dato l’argomento, il titolista non aveva molte alternative… o no?  

SEGA

segaLa riproduzione asessuata del pesce sega (ANSA, giugno 2015).

E ti pareva che il pesce sega non facesse tutto da solo…. La prossima scoperta sarà che è diventato cieco? Straordinario titolo dell’Ansa: quando si è resa conto del doppio senso l’ha corretto (peccato!), come si può vedere qui

BOCCHINI

CalcioMercatoUfficiale: Bocchini in panchina per la stagione 2013/2014 (CALCIOMERCATO.COM, 17 luglio 2013)

Con queste premesse, molti giocatori preferiranno rimanere come riserve e non scendere in campo…. Povero Riccardo Bocchini, allenatore del Martina Franca, squadra che milita nella Lega Pro Seconda Divisione, la vecchia Serie C2. Qui l’originale. 

 

PASSERA

22216889-2

Alcoa: Passera, tenerla aperta costa (ANSA, 4 settembre 2012)

Il titolista si riferiva all’Alcoa, una multinazionale americana che produce alluminio (nel 2012 si prospettava la chiusura dello stabilimento di Portovesme, in Sardegna). Ma la frase, letta dopo i due punti, assume tutt’altro significato. Con buona pace di Passera (inteso come ex ministro, Corrado Passera). La gaffe, riportata da vari giornali, è stata cocente, tanto che l’Ansa ha poi cambiato il titolo alla notizia (ma non al link su Internet). 

SCOPA

CorVEnetoSfigura la moglie con una padella e la scopa (CORRIERE DEL VENETO, 29 ottobre 2012)

Se i titoli sono sintetici, le locandine (i poster che promuovono i giornali nelle edicole) sono ancora peggio: lo spazio a disposizione per strillare le notizie è ancora più limitato, visti i caratteri cubitali che si utilizzano.
In questo caso, la frase scritta sulla locandina del Corriere del Veneto assume un senso diverso a seconda che l’ultima parola sia letta come un sostantivo o come un verbo… E così una notizia drammatica si trasforma in una farsa. 

FIGA

figa_conversano2 Conversano: tre morti per una figa di gas (LA VOCE, 8 giugno 2012)

Cos’è successo nella redazione della Voce di Romagna quel giorno? Nessuno si è accorto dello svarione, e così la notizia della tragica esplosione di una palazzina a Conversano (Bari) è diventata una gaffe clamorosa. Su un titolo a 5 colonne.

POMPA

MessaggeroBenza2Caccia alla pompa low cost (IL MESSAGGERO, 4 gennaio 2012)

L’aumento dei prezzi delle benzina, insieme all’apertura dei saldi, lo shopping natalizio e il grande esodo estivo, sono i grandi tormentoni dei giornali quando le notizie vere scarseggiano. Qui il titolista, per brevità, ha condensato il concetto che i marchigiani vanno in Abruzzo a fare rifornimento di benzina, perché lì costa meno. Meno male che non ha sbagliato a scrivere “La grande fuga” nell’occhiello. La pagina qui (a pag. 16). 

BOCCHINO

Cattura2Bocchino amaro per la Carfagna (AFFARITALIANI.IT, 28 marzo 2011)

Difficile credere alla tesi dell’incidente: questo titolo è volutamente malizioso. Parlare di una storia di corna fra l’ex soubrette Mara Carfagna e il politico Italo Bocchino (sposato con un’altra donna) è stata una tentazione irresistibile per il titolista. Se qualcuno l’avesse denunciato, sarebbero anche cavoli amari. Qui la fonte. 

UCCELLO

ptdc0147Il Cavaliere salva il suo uccello preferito (IL GIORNALE, 7 gennaio 2011)

Cosa può accadere quando un quotidiano che strizza l’occhio al linguaggio popolare affida un articolo a Vittorio Sgarbi? Il mix è esplosivo, e il risultato è evidente.  L’articolo, volutamente malizioso, parla davvero di volatili: 80 colibrì che stavano per essere sfrattati dal Parco di Miramare a Trieste. Berlusconi si è preso a cuore il loro destino, perché nella sua villa di Antigua cantano dall’alba al tramonto.
Per raccontare la notizia, Sgarbi non si è lasciato sfuggire l’occasione per fare una battuta a doppio senso, come recita l’incipit dell’articolo (che nella versione Web, però, ha un titolo più castigato): “Volevo parlare dell’uccello di Berlusconi. Non vorrei che qualcuno equivocasse alla luce delle vicende che hanno privilegiato dell’uccello l’aspetto metaforico ma, non avendo di quello nessuna nozione se non intuitiva, voglio proprio riferirmi a quello che, con mia sorpresa, si è rivelato l’uccello preferito del presidente del Consiglio”. 

KAKA'

liberofranceschinikaka Povero Franceschini – Non gli resta che Kakà (LIBERO, 5 giugno 2009)

L’articolo afferma che il Pd, per guadagnare voti, spera nella protesta dei tifosi contro Berlusconi per la vendita del campione milanista, Ricardo Izecson dos Santos Leite, detto Kakà: un soprannome che, accostato al nome di Dario Franeschini, all’epoca segretario del Pd, è stato una tentazione irresistibile per i titolisti di Libero. Che così, senza troppi giri di parole, l’hanno mandato a Kakà. 

 

FINOCCHIO

Ortolano violentato da un “finocchio” (CORRIERE DEL MEZZOGIORNO, 23 marzo 2007)

Il titolo è impreciso: in realtà, non di violenza carnale si tratta, bensì di molestia o, al massimo, di tentata violenza. Ma questo ha poca influenza sull’infelice gioco di parole scelto dal titolista di questo articolo: un omosessuale che tenta di abusare il titolare di un negozio di ortofrutta. Insomma, un “finocchio” che violenta un ortolano. Nemmeno il “Vernacoliere” sarebbe arrivato a tanto.

 

CAZZONE

Pozzi Qui manca la dida perché quel cazzone di Pozzi non mi ha ancora mandato la copia della foto (IL GIORNO, 23 dicembre 1997)

Questo scivolone l’ho visto da vicino: è nato nella redazione del Giorno dove all’epoca lavoravo. Il lavoro in una redazione è fatto di momenti frenetici e di tempi morti: questi ultimi, spesso, devastanti. Basti dire che il capolavoro di Dino Buzzati, “Il deserto dei tartari“, è nato durante la monotona routine dei turni di notte al Corriere della sera… In uno di questi momenti, una pagina dedicata ai presepi (Natale era vicino) era quasi terminata: c’erano tutti i testi, ma il fotoreporter di turno, Pozzi, non aveva ancora inviato la foto del presepio vivente di Agliate. Così una redattrice, in un momento di noia e di goliardia, aveva inserito quel finto testo nella didascalia (cliccare sull’immagine per ingrandirla). Solo che quando la foto è arrivata, a tarda ora, la collega si è dimenticata di scrivere la didascalia vera. Risultato: la frase dissacrante è uscita in tutte le edicole della Lombardia. Il caso fece scalpore: la giornalista fu sospesa alcuni giorni dal servizio, che finì alla berlina anche su “Striscia la Notizia”. Senza contare la comprensibile incazzatura di Pozzi, finito suo malgrado alla berlina.  

BOCCHINI

AbolizioneBocchini: l’abolizione sarebbe un disastro (CORRIERE DELLA SERA, 14 giugno 1997)

Il “disastro” di cui parla l’articolo sarebbe l’abolizione del ministero dell’Agricoltura: ma il cognome di Augusto Bocchini, capo di Confagricoltura, dà alla frase tutt’altro senso…

POMPINI

pompini-a-raffica-Il LavoroGE2Pompini a raffica. Sammargheritese kappao (IL LAVORO, Genova, maggio 1990)

Il titolo è passato alla storia, sconfinando nel mito. Ma è vero: si riferisce a una goleada del Fiorenzuola che sconfisse la Sammargheritese 3 a 0, con una doppietta di Stefano Pompini, formidabile bomber anni ’90. “Egoista, devastante, opportunista, un rapace del gol quasi infallibile”, lo ricorda un sito dedicato al Fiorenzuola. Tanto da entusiasmare il titolista del giornale, che preso dal tifo sportivo ha confezionato una perla da antologia.  

 

 

Grazie all’amico e collega Marco Basileo per alcune delle segnalazioni.

The post “Non gli resta che Kakà”: 19 parolacce (e figuracce) dei giornali first appeared on Parolacce.]]>
https://www.parolacce.org/2014/07/30/parolacce-dei-giornali/feed/ 4
I mille nomi del pisello e della patata https://www.parolacce.org/2011/08/03/le-parole-del-sesso/ https://www.parolacce.org/2011/08/03/le-parole-del-sesso/#comments Wed, 03 Aug 2011 13:59:10 +0000 https://www.parolacce.org/?p=236 «Gli eschimesi hanno 50 parole per nominare la neve». Suggestivo, ma falso: e da poco, peraltro, si è scoperto che lo scozzese ne ha 421… Ma vi siete mai chiesti quante parole abbiamo in Italia per denominare gli organi genitali e i… Continue Reading

The post I mille nomi del pisello e della patata first appeared on Parolacce.]]>
«Gli eschimesi hanno 50 parole per nominare la neve». Suggestivo, ma falso: e da poco, peraltro, si è scoperto che lo scozzese ne ha 421… Ma vi siete mai chiesti quante parole abbiamo in Italia per denominare gli organi genitali e i rapporti sessuali?
Fate una stima: ottanta? Cento? Duecento parole? Fino a qualche giorno fa anch’io avevo solo un’idea vaga, perché – strano ma vero – nessuno ha mai fatto un calcolo preciso del nostro lessico sessuale. Perciò ho deciso di farlo io. E ho trovato un dato ancora più sorprendente di quello degli scozzesi: in italiano, le parole del sesso sono 3.163. Tremilacentosessantatre. Per avere un termine di paragone, quasi l’equivalente dei primi 4 canti della “Divina Commedia” (3.463 parole). Altro che neve!
Certo, i lessici della medicina e quello della giurisprudenza sono ancora più numerosi, ma sono pur sempre vocabolari specialistici: per impararli, occorre spendere anni di studio. Il lessico erotico, invece, è un patrimonio comune a tutti: non occorre una laurea per apprenderlo. Allora, i risultati di questo conteggio aprono nuove curiosità: perché tutta questa abbondanza di termini sul sesso? Che cosa ci rivelano, questi nomi, sul modo in cui viviamo e giudichiamo la sessualità?

Prima di rispondere, è doveroso raccontare con quale metodo ho fatto questo censimento. La fonte è stato il “Dizionario storico del lessico erotico” di Valter Boggione e Giovanni Casalegno (Tea/Utet). Un’opera che tiene conto di tutti, ma proprio tutti i termini sessuali usati in 8 secoli di letteratura italiana: dalle metafore alle allusioni, dai termini arcaici a quelli moderni, dagli eufemismi infantili ai termini scientifici, fino alle espressioni più volgari.

Una raccolta ricchissima: comprende anche gli appellativi usati verso gli omosessuali (finocchio, etc), che nella presente analisi non ho inserito perché incompleti: andrebbero uniti a quelli sulla morale sessuale (puttana) che però nel Dizionario non sono censiti. Così come i termini strettamente dialettali, cioè usati in una sola area geografica italiana (da bigolo a baggiuggiu fino a barbisa e spaccazza),  e i nomi gergali del sesso (ancora non entrati nell’uso comune, come pipilone o ciuffo: a loro ho dedicato un post). Dunque, se aggiungessimo anche tutte queste categorie, il lessico sessuale italiano potrebbe arrivare a quota 4mila espressioni, forse anche di più: difficile dirlo con certezza, perché manca una raccolta così completa.

Per chi vuole approfondire questo argomento, ne ho fatto una versione accademica pubblicata su “Antares“, rivista scientifica della facoltà di Lettere dell’Università di Caxias do Sul (Brasile). L’articolo – in italiano – si può leggere a questo link. Se invece volete approfondire quali sono le espressioni che descrivono il rapporto sessuale, cliccate su questo articolo.

Stando sui dati certi, che non sono pochi, facciamo qualche approfondimento. Quale ambito ha stimolato maggiormente la fantasia linguistica? Gli atti sessuali (1.147 termini), come emerge da questi grafici che ho elaborato (clic per ingrandire):

Tornando alla prima domanda: perché tutta questa abbondanza? Per tre motivi, che ho trattato più analiticamente nel mio libro:

1)    il sesso è fonte di piacere, ed è una delle pulsioni fondamentali dell’uomo. E’ una spinta verso la sopravvivenza, come per i Sami è fondamentale sapere che tipo di neve ci sia nell’ambiente, per potersi adattare… Inevitabile, quindi, che il sesso animi gran parte dei nostri pensieri e delle nostre emozioni.

2)    Il sesso implica una serie di ansie. E’ un campo tanto intimo e delicato da essere un argomento tabù: bisogna parlarne con cautela. Infatti il sesso può comportare figli illegittimi, incesto, gelosia, adulterio, abbandono, faide, abusi su minori, stupro, sfruttamento, malattie… Ecco perché va “maneggiato con cura”, anche dal punto di vista linguistico. E questa censura genera, per contrasto, un accanimento verbale per tentare di nominare l’innominabile, alludere, parlare in codice.

3)     il sesso è anche mistero, il mistero della vita, dell’energia vitale. E’ la spinta verso il futuro e l’eternità attraverso la riproduzione. Ecco perché in molte religioni il sesso è sacro: è considerato un modo per ricongiungersi al divino, e le rappresentazioni degli organi sessuali sono usati in riti propiziatori sulla fecondità (ancora oggi, le processioni con i ceri sostituiscono antichi simboli fallici). I nomi del sesso sono anche un tentativo di descriverlo, di dargli un’identità altrimenti sfuggente, attingendo ad altri campi della vita quotidiana (cibo, animali, oggetti….).

E veniamo ai nomi dei genitali. La loro abbondanza è diventata il tema di un esilarante monologo di Roberto Benigni:


E dire che l’antologia di Benigni è solo una piccola parte di questo vocabolario… Ma che cosa ci raccontano tutti questi termini? E quanti sono esattamente? Comprendendo tutti i termini della sfera genitale, abbiamo il quadro che potete vedere nei grafici qui sotto: 984 termini complessivi per la sfera sessuale maschile, 766 per quella femminile. Ho classificato a parte i 266 termini relativi ai glutei, perché possono essere una zona erogena sia maschile che femminile.

Limitandoci ai termini che designano il pene e la vagina, sono per 744 per il primo e 595 per la seconda. Qual è il motivo di questo primato linguistico? Un sintomo del maschilismo della nostra cultura, o semplicemente del fatto che i genitali maschili sono più evidenti e quindi più facili da descrivere? La questione resta aperta. Ma quali immagini usa la nostra lingua per descrivere i genitali? Vediamo…

SESSO MASCHILE

In italiano, il sesso maschile ha 2 record: è designato dal più alto numero di termini (se ne contano 744, escludendo i testicoli), ed è la parolaccia pronunciata più spesso, secondo la Banca dati dell’italiano parlato. Del resto, notava lo scrittore Italo Calvino, il termine cazzo ha un’espressività impareggiabile, non solo rispetto a tutti gli altri sinonimi, ma anche alle altre lingue europee. Tanto che, in italiano, è un vero jolly linguistico: può indicare stupidità, nullità e disvalore (cazzone, cazzata, cazzeggiare, minchione, minchiata, cappellata) ma anche il contrario, cioè potenza, abilità e valore (cazzuto). Serve a indicare ira e malumore (incazzarsi), noia e sconforto (scazzato); affari personali e problemi (cazzi miei), parte sensibile (rompere il c a z z o), approssimazione (a  c a z z o).

Una ricchezza del genere si spiega non solo con la sua evidenza esterna. Ma soprattutto con il suo significato simbolico: tra le scimmie, nota l’etologo Irenäus Eibl-Eibesfeldt, la monta è un segno di dominanza, così l’erezione è usata come minaccia simbolica.

Ma com’è descritto il sesso maschile?
E’ visto per lo più come un oggetto (44%: per lo più di uso domestico, come bastone o manico, ma sono numerose le espressioni che attingono alla guerra, vista l’aggressività dell’atto sessuale: clava, mazza). Numerose anche le metafore tratte dal mondo animale (15%: anguilla, uccello, proboscide) e dalle personificazioni (7%: amico, bambino fino a Walter, il termine inventato da Luciana Littizzetto) a indicare il fatto che è un membro “vivo”, che muta forma e consistenza.

Rilevante la quantità di nomi ironici, grotteschi o iperbolici sulla potenza o la dimensione del sesso, ossessione di tutti i maschi: sberla, calippo, pitone, missile, obelisco, sei quinti, torre di Pisa, maritozzo, pendolino delle 9:07, sardeon, sciupavedove, sventrapapere, vermicione e … tronchetto della felicità.

Ecco il dettaglio:

CATEGORIE Lemmi Esempi
Oggetti generici 31 Affare, arnese, malloppo, pacco
Oggetti di uso domestico 82 Bastone, candelotto, cazzo, manico
Agricoltura 31 Cavicchio, falce, pertica
Tessitura, abbigliamento 18 Fuso, manganello
Attrezzi da lavoro 34 Ferro, manovella, randello, mazza
Armi e guerra 45 Asta, archibugio, clava, mazza
Navigazione e pesca 13 Arpione, timone
Strumenti musicali 29 Batacchio, bischero, piffero
Religione 6 Cero, reliquia
Monete e preziosi 16 Fiorino, quattrino
Altri oggetti 22 Cric, menhir, pirla, scettro
327 (44%)
Luoghi 10 (1%) Lì, posto, San cresci
Architettura, edilizia 8 (1%) Campanile, colonna
Animali 3 Bestia
Uccelli 39 Canarino, fringuello, pipistrello, uccello
Pesci 13 Anguilla, pesce, cefalo
Rettili 11 Aspide, biscia
Equini 12 Asino, cavallo
Animali da caccia 4 Bracco, cane
Altri animali 22 Gatto, lepre, toro
Parti di animali 11 Becco, pene, proboscide
115 (15%)
Piante 23 Banano, pino, ramo
Frutti 21 Banana, melone, pannocchia
verdure 37 Carota, cetriolo, fava, pisello
Erbe e fiori 12 Bocciolo, giglio, papavero
93 (13%)
Parti del corpo umano 28 (4%) Braccio, gamba, naso, vena
Cibi 32 (4%) Biscotto, maritozzo, salsiccia, babà
Personificazioni 53 (7%) Amico, bambino, fra mazza
Termini astratti 42 (6%) Natura, pudende, sesso
Altre voci 36 (5%) Asso di bastoni, crescimmano, fallo, minchia
TOTALE 744

 

SESSO FEMMINILE

In molte lingue, è una delle parole più tabù: guai a nominarla. Come dimostra lo scandalo suscitato dallo spettacolo “I monologhi della vagina” della scrittrice Eve Ensler. E un sondaggio del 2004: il 73% delle donne Usa lo ritiene un argomento scioccante.

Ma perché il sesso femminile è più tabù di quello maschile? Stephen Pinker, psicologo della Harvard University (Usa) fa un’ipotesi: prima dell’avvento di assorbenti, carta igienica, bagni regolari e antimicotici, il sesso femminile evocava il rischio di contrarre malattie.

Le parole che designano il sesso femminile – in italiano sono 595, tra metafore e volgarità – manifestano anche lo sgomento e l’ammirazione di fronte a un sesso nascosto, misterioso, che racchiude il segreto della vita. Non a caso alcuni dei termini per designarla (grotta, scrigno, bosco) evocano questo aspetto.

Ma anche una visione maschilista, ha notato il premio Nobel Dario Fo in un saggio recente che ho presentato tempo fa: i termini spregiativi come fesso (da fessa, vulva), sorca (ratto), patacca (moneta di scarso valore) testimoniano la misoginia della Chiesa cattolica.

E come è descritto il sesso femminile?
I nomi mettono in rilievo la recettività e passività dell’organo femminile (designato nel 33% dei casi con oggetti, per lo più domestici), e lo qualificano come un elemento fisso: sostanzialmente, un luogo (23%). Poche, rispetto al sesso maschile, le personificazioni (bernarda, lei, sorella, Filippa, siora Luigia o Jolanda, creato sempre dalla Littizzetto) vista la sua “fissità”. Non mancano appellativi ironici, che manifestano il timore di malattie o di “rimanere invischiati” in un rapporto (trappola, tagliola), ma sono più numerosi quelli poetici (rosa) o affettuosi (paradiso, tesoro), con una venatura di mistero (grotta, scrigno).
Ecco il dettaglio:

CATEGORIE Lemmi Esempi
Oggetti generici 16 Cosa, mercanzia, essa
Oggetti domestici 49 Borsa, padella, pentola, potta, scodella
Agricoltura 11 Botte, sacco
Tessitura, abbigliamento 24 Ciabatta, pelliccia, tasca
Altri attrezzi 15 Gabbia, sfiatatoio, ventosa
Armi e guerra 14 Guaina, vagina, vulva
Caccia e pesca 10 Rete, tagliola, trappola
Barche 5 Barca, vela, gondola
Strumenti musicali 17 Chitarra, piva, zampogna
Religione 6 Altare, reliquie
Monete 5 Patacca
Altri oggetti 24 Gioia, tesoro
196 (33%)
Luoghi 148 (23%) Posto, varco, abisso, buco, fessa, bosco, caverna, valle, palude, giardino, tana
Architettura 63 (11%) Casa, capanna, solaio, porta, canale
Animali 25 (4%) Lumaca, passera, vongola
Vegetali 13 Lattuga, pucchiacca,
Fiori 6 Fiore, rosa, giglio
Alberi 13 Fico, pero, noce
Frutta e verdura 13 Fica, fragola, oliva, prugna
45 (8%)
Parti anatomiche 28 Bocca, coscia, grembo
ferite 3 Piaga
31 (6%)
Cibi 23 (4%) Brodosa, frittella, lasagna, gnocca
Personificazioni 13 (2%) Bernarda, filippa
Termini astratti 60 (10%) Centro, natura, pelosa
TOTALE 595

 

Diversi di questi termini sessuali, sia maschili che femminili, sono molto antichi: ecco perché già quasi 2 secoli fa aveva già celebrato questa ricchezza linguistica il poeta romano Gioacchino Belli (1791-1863) con 2 sonetti straordinari che qui meritano di essere ricordati:

 

 Er padre de li Santi

Er cazzo se pò ddí rradica, uscello,
ciscio, nerbo, tortore, pennarolo,
pezzo-de-carne, manico, scetrolo,
asperge, cucuzzola e stennarello.Cavicchio, canaletto e cchiavistello,
er gionco, er guercio, er mio, nerchia, pirolo,
attaccapanni, moccolo, bbruggnolo,
inguilla, torciorecchio, e mmanganello. Zeppa e bbatocco, cavola e tturaccio,
e mmaritozzo, e ccannella, e ppipino,
e ssalame, e ssarciccia, e ssanguinaccio.Poi scafa, canocchiale, arma, bbambino:
poi torzo, crescimmano, catenaccio,
mànnola, e mmi’-fratello-piccinino.E tte lascio perzino
ch’er mi’ dottore lo chiama cotale,
fallo, asta, verga, e mmembro naturale.Cuer vecchio de spezziale
disce Priàpo; e la su’ mojje pene,
seggno per dio che nun je torna bbene.
La madre de le Sante

Chi vvò cchiede la monna a Ccaterina,
pe ffasse intenne da la ggente dotta
je toccherebbe a ddí vvurva, vaccina,
e ddà ggiú co la cunna e cco la pottaMa nnoantri fijjacci de miggnotta
Dìmo scella, patacca, passerina,
fessa, spacco, fissura, bbuscia, grotta,
fregna, fica, sciavatta, chitarrina, sorca, vaschetta, fodero, frittella,
ciscia, sporta, perucca, varpelosa,
chiavica, gattarola, finestrella,fischiarola, quer-fatto, quela-cosa,
urinale, fracoscio, ciumachella,
la-gabbia-der-pipino, e la-bbrodosa.E ssi vvòi la scimosa,
chi la chiama vergogna, e cchi nnatura,
chi cciufèca, tajjola, e ssepportura.

In conclusione, resta solo un quesito aperto: tutta questa ricchezza linguistica è tipica solo dell’italiano? Certamente no. Anche in inglese, in francese, in spagnolo c’è una grande quantità di termini e metafore sessuali. Ma che io sappia manca ancora un censimento rigoroso: quando ci sarà, vedremo chi ce l’ha più lungo (l’elenco!).

Hanno parlato di questo post:

  • La trasmissione “Mine vaganti” su Radio 24,  condotta da Federico Taddia: un’intervista che potete ascoltare (dal minuto 10:15) cliccando qui.
  • Una pagina de “Il Giornale” con un articolo di Massimo M. Veronese che potete leggere qui.
  • Un articolo de “Il Foglio” che potete leggere qui.
The post I mille nomi del pisello e della patata first appeared on Parolacce.]]>
https://www.parolacce.org/2011/08/03/le-parole-del-sesso/feed/ 17