prigione | Parolacce https://www.parolacce.org L'unico blog italiano di studi sul turpiloquio, dal 2006 - The world famous blog on italian swearing, since 2006 - By Vito tartamella Wed, 21 Feb 2024 19:44:28 +0000 it-IT hourly 1 https://www.parolacce.org/wp-content/uploads/2015/06/cropped-logoParolacceLR-32x32.png prigione | Parolacce https://www.parolacce.org 32 32 Addio Reinhold Aman, pioniere delle parolacce https://www.parolacce.org/2019/04/16/ricordo-aman-maledicta/ https://www.parolacce.org/2019/04/16/ricordo-aman-maledicta/#comments Tue, 16 Apr 2019 10:46:36 +0000 https://www.parolacce.org/?p=15543 Le parolacce gli hanno cambiato la vita. Lo hanno fatto finire in prigione, ma gli hanno dato una ragione di vita, assicurandogli un posto nella storia: è stato infatti il pioniere mondiale nello studio del turpiloquio, fondando la prima (e… Continue Reading

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Reinhold Aman (1938-2019) in una posa ironica e provocatoria con una copia di “Maledicta”.

Le parolacce gli hanno cambiato la vita. Lo hanno fatto finire in prigione, ma gli hanno dato una ragione di vita, assicurandogli un posto nella storia: è stato infatti il pioniere mondiale nello studio del turpiloquio, fondando la prima (e unica) rivista accademica internazionale di studi sul linguaggio volgare, “Maledicta”. Era un linguista competente e appassionato: affermava (con orgoglio e ironia) di saper insultare in 200 lingue.
Sto parlando di uno dei miei maestri: Reinhold Aman. Che è morto lo scorso 2 marzo, all’età di 82 anni nella sua casa a Santa Rosa, in California, dove viveva con la figlia Susan e gli amati gatti. La triste notizia l’ho scoperta in ritardo, ma voglio ricordarlo con la stima e l’affetto che merita. E’ stato infatti la mia prima guida quando muovevo i primi passi nella difficile ricerca sulle parolacce: nel 2005 gli avevo scritto un’email chiedendogli qualche dritta, e lui mi ha inondato di citazioni e riferimenti, mettendomi anche in contatto con altri ricercatori. Un uomo gentile e arguto, sempre pronto a farsi in quattro per chi, come lui, studiava linguistica con passione. Ma altrettanto pronto a dirtene quattro – e senza filtri – se sentiva puzza di ipocrisia, arroganza o incompetenza.
Se oggi si fa ricerca sulle parolacce, una bella fetta di merito è sua, che ha dato dignità accademica a un tema che prima di lui i linguisti avevano per lo più snobbato

Uno degli ultimi numeri di “Maledicta”.

Reinhold Aman era di origine tedesca: è nato nel 1936 a Fürstenzell, una cittadina della Baviera. Dopo gli studi in chimica, iniziò a lavorare come traduttore per l’esercito Statunitense a Francoforte. Poi si trasferì negli Usa, dove nel 1968 prese il dottorato in tedesco medievale all’università del Texas, con una tesi su Parzival, poema epico tedesco del 1200: in quest’opera, nei duelli verbali fra i cavalieri di re Artù, scoprì la potenza espressiva degli insulti. E nel 1977 decise di approfondire gli studi sulle parolacce fondando una rivista specializzata: “Maledicta, il giornale internazionale dell’aggressione verbale”. I numeri raccoglievano saggi non solo suoi, ma anche di ricercatori e docenti universitari, che spesso si firmavano con uno pseudonimo: parlare di escrementi, sesso, barzellette su omosessuali e malati di Aids non è una passeggiata in un Paese dominato da una mentalità puritana. La rivista ha avuto il merito di pubblicare studi sul turpiloquio in varie lingue, aprendo così la possibilità di confrontare i termini offensivi da una cultura all’altra: un aspetto fondamentale per chi fa ricerca in questo campo.
Da questo pool di collaboratori è emerso il talento di Timothy Jay, psicolinguista all’università del Massachusetts college of liberal arts, ancor oggi uno dei principali studiosi di turpiloquio (e altro mio maestro).
Ma i suoi studi sul turpiloquio non l’hanno salvato dalle conseguenze del loro uso inopportuno. Nel 1993, dopo un divorzio burrascoso e una sentenza di divorzio da lui considerata ingiusta, spedì una cartolina e un pamphlet di due pagine piene di insulti all’ex moglie, all’avvocato di lei e anche al giudice che aveva emesso la sentenza. Ecco che cosa aveva scritto:

Ogni volta che leggo le notizie di un altro cattivo giudice o di uno schifoso filibustiere ammazzato, mi rallegro: “Grande! Un pezzo di merda in meno che terrorizza noi persone oneste!”. Dopo essere stato fottuto senza pietà dalla melma legale del Wisconsin, ora posso capire e simpatizzare pienamente con questi cosiddetti “assassini”, che dovrebbero ricevere un premio per aver ripulito il mondo dai parassiti della legge.

Aman nella foto segnaletica quando fu recluso.

Un attacco violentissimo, ma per Aman era solo uno sfogo. Scrisse anche che “sparare alla sua ex moglie e al giudice sarebbe stato troppo veloce e indolore”, ma precisò che non avrebbe mai e poi mai attuato quella minaccia. Per lui l’insulto, l’aggressione verbale era un modo “civile” di sfogare la rabbia, in nome di quella “libertà d’espressione” su cui si fonda il diritto americano. Ma i giudici non sposarono la sua tesi e lo condannarono a 27 mesi di galera. Fu rilasciato dopo 15 mesi e mezzo. Ma non cambiò idea: uscito di prigione, pubblicò un nuovo saggio “Amico di penna di Hillary Clinton”, una guida al gergo usato dai carcerati. L’aveva dedicata sarcasticamente alla Clinton perché a quell’epoca stava vivendo un momento difficile dal punto di vista legale: quella guida poteva tornarle utile se fosse stata arrestata.
Insomma, il carcere non gli aveva fatto cambiare idea sul turpiloquio come valvola di sfogo: in America molti ricordano i suoi insulti, nei forum linguistici su Internet, nei confronti di chi esprimeva in modo arrogante le proprie tesi e non era d’accordo con lui.

Io con Dominique Lagorgette e Reinhold Aman al convegno di Chambéry (2009).

Ma Aman, in realtà, era una persona molto dolce e pacifica: posso dirlo perché dopo qualche anno di scambi via email, ho avuto l’opportunità di conoscerlo in Francia, nel 2009, al convegno internazionale sul turpiloquio “Les insultes 3: bilan et perspectives” organizzato a Chambéry dalla linguista Dominique Lagorgette dell’Université de Savoie. Aman fu molto affabile: io lo chiamavo “Rinaldo”, e lui mi sussurrò in italiano – strizzandomi l’occhio – un proverbio che non conoscevo: “Acqua fresca, vino puro, fica stretta e cazzo duro”. I veri valori della vita, insomma. Non male per un uomo di 72 anni…
Dopo quell’incontro abbiamo mantenuto i contatti via email. Ma nella sua schiettezza Rinaldo non mi nascose di essere depresso: dal 2005 aveva interrotto le pubblicazioni di “Maledicta” perché non riusciva più a guadagnare dalle vendite. “Oggi chi naviga su Internet vuole solo intrattenimento gratis”, si sfogava.
Oggi il suo
sito è offline: vecchi numeri di “Maledicta” si trovano solo su Amazon. E purtroppo nessuno ha raccolto il testimone di un campo di studi così interessante e fertile come il turpiloquio comparato in diverse lingue. Ma a dispetto di questa fine amara, Rinaldo resta negli annali come uno dei più attivi, competenti e appassionati pionieri nello studio del linguaggio offensivo. Ci mancherà.

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Vilipendio: perché il Presidente è un intoccabile? https://www.parolacce.org/2013/05/17/vilipendio-e-lesa-maesta/ https://www.parolacce.org/2013/05/17/vilipendio-e-lesa-maesta/#comments Fri, 17 May 2013 15:57:35 +0000 https://www.parolacce.org/?p=1347 Nel suo blog, Beppe Grillo l’ha definito un “retaggio del fascismo, quando si tutelava dal delitto di lesa maestà la figura del re e di Mussolini”. Si riferisce al reato di vilipendio al presidente della Repubblica, per il quale sono… Continue Reading

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La cerimonia di insediamento di Napolitano.

Nel suo blog, Beppe Grillo l’ha definito un “retaggio del fascismo, quando si tutelava dal delitto di lesa maestà la figura del re e di Mussolini”. Si riferisce al reato di vilipendio al presidente della Repubblica, per il quale sono previsti fino a 5 anni di galera.
La sua critica non è disinteressata, visto che 22 grillini sono finiti sotto inchiesta per aver scritto pesanti commenti su Giorgio Napolitano, tanto che Grillo li ha cancellati. Ma solleva una questione reale, tanto profonda quanto affascinante. Una contraddizione delle democrazie moderne (e non solo d’Italia): se tutti siamo uguali e abbiamo libertà di espressione, perché chi offende il presidente della Repubblica è punito con più severità?
Come ho raccontato nel mio libro, in Italia abbiamo 3 leggi che puniscono duramente gli insulti a un’autorità:
– l’articolo 278 del Codice Penale, che punisce con la reclusione da 1 a 5 anni chi offende l’onore o il prestigio del presidente della Repubblica;
– l’articolo 343 prevede la stessa pena per chi offenda un giudice in udienza;
– dal 2009, come ho raccontato su queste pagine rischia fino a 3 anni di carcere anche chi insulta un pubblico ufficiale (articolo 341 bis). L’azione è la stessa in tutti i casi: offendere un rappresentante dello Stato. Ma questo stesso reato assume nomi diversi: il primo, quello fatto al presidente, si chiama “vilipendio” (= considerare vile); gli altri 2 reati sono chiamati “oltraggio” (= andare oltre).

Ma perché queste speciali tutele? Perché stiamo parlando di chi, a vario titolo, rappresenta lo Stato. E il presidente della Repubblica, in particolare, lo incarna in maniera pregnante: è “il capo dello Stato e rappresenta l’unità nazionale” (Costituzione, art. 87). Dunque, come dice il giurista Vincenzo Manzini, il reato di vilipendio nasce dall’esigenza politica di mantenere “alto e inviolato il rispetto dovuto al suo Capo, allo scopo di impedire il pericolo derivante dall’eventuale discredito dell’Organo Istituzionale che rappresenta il Paese nella sua unità”. In pratica, le offese al presidente sono una minaccia al cuore dello Stato: nessun Potere può funzionare se qualcuno tenta di svilirlo, di accorciare le distanze, di buttarlo giù dal piedistallo.
Checché ne dica Grillo, però, questa speciale tutela non fu inventata da Mussolini. Il precedente più antico della nostra storia recente risale al 1815, con il “Codice dei delitti e delle gravi trasgressioni politiche pel Regno Lombardo-Veneto”. L’articolo 58 puniva con il carcere duro fino a 5 anni (coincidenza, la stessa pena di oggi) “le contumelie (= le offese) pronunciate in società o pubblicamente verso la persona del Principe (Francesco I d’Asburgo, ndr) e dalle quali possa risultare una manifesta avversione e così pure gli scritti e le pitture dirette ad eccitare disprezzo contro la persona dello stesso Principe”. In modo cristallino questo delitto era definito ” di perturbazione dell’interna tranquillità dello Stato”. E fu fatto proprio anche dalle leggi dei Savoia, che Mussolini  inasprì, come ho raccontato qui. Anzi, il duce estese la stessa tutela al Papa, nei Patti Lateranensi (art. 8).

Il re è nudo! La favola di Andersen “I vestiti nuovi dell’imperatore” esprime la dialettica fra potere e critica.

Questo accadde perché all’epoca lo Stato era considerato un’anima, un’idea, una missione, e quindi considerato sacro e inviolabile. Ma questo avveniva anche molto prima: gli imperatori romani (e non solo), si consideravano considerati discendenti diretti delle divinità, perciò offenderli equivaleva a bestemmiare. Per gli antichi Romani, la lesa maestà era un atto sacrilego, punito con l’esilio. Ma tornando a oggi, che senso ha il reato di vilipendio in uno Stato laico e democratico, che si fonda sull’uguaglianza e sul diritto di espressione e di critica?
La discussione non è nata in questi giorni. Già 39 anni fa si era espressa in merito la Corte costituzionale (sentenza n. 20 del 30 Gennaio 1974): il vilipendio è un limite alla libertà di espressione perché questo è il prezzo per difendere altri beni, parimenti garantiti dalla Costituzione, “fra cui è da annoverare il prestigio del Governo, dell’Ordine Giudiziario e delle Forze Armate in vista dell’essenzialità dei compiti loro assegnati”. Sarà. Ma al di là del rispetto esteriore, non è più importante quello sostanziale, cioè l’effettivo funzionamento delle istituzioni? Anzi, c’è un’obiezione molto più incisiva che ha fatto di recente il presidente del Comitato mondiale per la libertà di stampa (World Press Freedom Committee, WPFC) Kevin Goldberg: in realtà chi ricopre una carica pubblica dovrebbe avere minori, non maggiori protezioni contro gli insulti rispetto ai comuni cittadini, perché ha più potere e più privilegi rispetto a loro. “In uno Stato democratico, le leggi contro le critiche ai politici non dovrebbero aver posto”, dice.

Napoleone sul trono imperiale: dipinto di Ingres (1806). Esprime la solennità e l’intoccabilità del Potere.

L’obiezione di Goldberg, peraltro, non si riferiva all’Italia ma alla Spagna. Perché in realtà leggi che tutelano i politici esistono dappertutto: in Spagna chi insulta il Re, un antenato  o un membro della famiglia reale rischia da 6 mesi a 2 anni di carcere. In Francia, chi offende il presidente rischia una multa di 45mila euro. E in Germania, gli insulti sono genericamente puniti col carcere fino a un anno; ma chi volutamente infanga l’onorabilità di un politico per demolirne il ruolo, rischia da da 3 mesi a 5 anni di carcere.
Che fare? La posizione di Goldberg è condivisibile ma forse utopica. Probabilmente, una via attuabile è quella di chiarire i confini tra critica e insulto: la prima anche aspra, vivace e sconveniente va garantita a tutti nei confronti di chiunque perché è un pilastro della democrazia; il secondo, se si riduce a un’offesa volgare, ingiuriosa, gratuita, va punito. Come ha chiarito la Corte di Cassazione nella pronuncia del 17 Ottobre 1977: “la critica è un giudizio meditato su fatti, persone o cose espresso nei limiti di un civile dibattito in forma seria, senza trascendere in espressioni di contumelia e di disprezzo che non sono manifestazioni di esercizio delle libertà democratiche nella misura in cui rivelano uno spirito totalitario diretto a negare qualsiasi valore a beni giuridici protetti”. Magari con pene meno severe, ma dubito che uno Stato dia punizioni blande a chi manifesti scarso rispetto e obbedienza, dando il cattivo esempio…
Vedremo allora, come andrà a finire l’inchiesta  sui grillini. Intanto, si è chiuso un caso simile per Umberto Bossi: è stato condannato a 12 mesi (inizialmente a 18, ma poi la pena è stata ridotta) per aver definito il presidente Napolitano un “terùn” (terrone) durante la festa della lega Nord ad Albino il 29 dicembre 2011. Gli avvocati di Bossi avevano obiettato che la frase non è condannabile perché rientra nelle sue prerogative di parlamentare: l’articolo 68 della Costituzione garantisce ai politici l’insindacabilità (la non contestabilità) delle opinioni espresse nell’esercizio delle loro funzioni. Ma l’epiteto “terrone” non può essere qualificato come opinione. Nel dicembre 2019 il presidente Sergio Mattarella ha firmato la grazia, cancellandogli la pena.
Ecco il video integrale del comizio:

Per chi vuole approfondire, ecco le fonti che ho consultato per scrivere questo articolo (oltre al mio libro):
Tesi di Giovanni Mazzitelli sui delitti di opinione contro personalità dello Stato, università di Parma 2007/8
La voce “lesa maestà” su Wikipedia
La voce “diffamazione” su Wikipedia
Due report del Wpcf su come le leggi mondiali contro gli insulti minano la libertà di stampa

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