processo a Caravaggio | Parolacce https://www.parolacce.org L'unico blog italiano di studi sul turpiloquio, dal 2006 - The world famous blog on italian swearing, since 2006 - By Vito tartamella Mon, 03 Mar 2025 10:55:01 +0000 it-IT hourly 1 https://www.parolacce.org/wp-content/uploads/2015/06/cropped-logoParolacceLR-32x32.png processo a Caravaggio | Parolacce https://www.parolacce.org 32 32 Gli insulti sanguigni di Caravaggio https://www.parolacce.org/2025/03/03/parolacce-di-caravaggio/ https://www.parolacce.org/2025/03/03/parolacce-di-caravaggio/#respond Mon, 03 Mar 2025 10:41:09 +0000 https://www.parolacce.org/?p=21556 E’ l’emblema dell’artista maledetto: genio e sregolatezza. Ha dipinto capolavori immortali ma ha passato la sua breve vita (morì a 39 anni) dentro e fuori dalla galera, fuggendo da condanne, gendarmi, creditori, malviventi (e con un paio di omicidi sulle… Continue Reading

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Nel fotomontaggio, autoritratto di Caravaggio (dal dipinto “Giuditta e Oloferne”)

E’ l’emblema dell’artista maledetto: genio e sregolatezza. Ha dipinto capolavori immortali ma ha passato la sua breve vita (morì a 39 anni) dentro e fuori dalla galera, fuggendo da condanne, gendarmi, creditori, malviventi (e con un paio di omicidi sulle spalle). Caravaggio è uno degli artisti che ammiro di più, e mi è venuta una curiosità: come si esprimeva nella vita di tutti i giorni? In particolare: diceva parolacce, e quali?
Da un personaggio con una biografia del genere ce le possiamo aspettare, ma l’artista non ha lasciato opere scritte.
Eppure possiamo conoscere il suo linguaggio grazie a straordinari documenti del suo tempo: i verbali delle denunce, degli interrogatori e delle sentenze a suo carico. Documenti dell’epoca, che offrono una prospetiva unica sul suo linguaggio (spoiler: molto volgare), oltre che sul suo carattere inquieto, travagliato e facilmente infiammabile. Gli importava più della propria onorabilità di artista e di uomo che della fedina penale. E diceva ciò che pensava a muso duro, senza sconti per nessuno: compresi i pubblici ufficiali.
Le parolacce offrono un ritratto eloquente dell’uomo Caravaggio (soprannome di Michelangelo Merisi), a cui sono dedicate due grandi mostre che stanno aprono proprio in questo mese: una a Roma, a palazzo Barberini (Caravaggio 2025, dal 7 marzo al 6 luglio) e una a Firenze a Villa Bardini (Caravaggio e il Novecento, 27 marzo-20 luglio). 

Un “dissing” del 1600

Autoritratto di Caravaggio nel Martirio di San Matteo (1600).

A Roma, Caravaggio fu più volte denunciato per schiamazzi notturni, atti vandalici, porto d’armi abusivo, aggressioni, ingiurie, resistenza e oltraggio a pubblico ufficiale, diffamazione. Nei verbali dei suoi arresti e processi (conservati all’Archivio di Stato di Roma) emerge il suo linguaggio scurrile, espressione del suo temperamento irruente, competitivo, facilmente infiammabile, attaccabrighe e insofferente verso ogni limitazione.
Fra le imprese che lo hanno portato in tribunale, anche la composizione di due sonetti osceni, in cui prese di mira il suo collega e rivale Giovanni Baglione. Una sorta di “dissing” barocco, che rende Caravaggio simile a un trapper balordo dei nostri tempi. Baglione viene definito “Gian coglione”, le sue opere “pituresse” (croste di nessun valore) buone solo per incartare i salumi o (testualmente) per pulirsi il culo o come falli artificiali. Quei sonetti satirici così caustici, infatti, erano un giudizio artistico sulle opere del rivale, che si fa chiamar “pittore” ma non è capace nemmeno di mescolare i colori. Una prova tangibile di quanto la passione per l’arte coinvolgesse Caravaggio in modo viscerale. La Storia, insomma, non ci ha consegnato solo insulti da risse notturne, che pure furono numerose.

A sinistra, ritratto di Giovanni Baglione; a destra, Caravaggio ritratto da Ottavio Leoni (1621).

Come scrisse Baglione ne “Le Vite de’ Pittori, Scultori et Architetti”: “Fu Michelagnolo [Michelangelo], per soverchio ardimento di spirito, un poco discolo, e tal hora cercava occasione di fiaccarsi il collo di mettere a sbaraglio l’altrui vita”. Baglione, infatti, è autore di una delle pochissime biografie di uno che l’aveva conosciuto davvero: sebbene scritta 30 anni dopo la morte del rivale, trasuda ancora livore. Questi atti giudiziari, oltre a svelare il turpiloquio di Caravaggio, sono un’occasione preziosa anche per conoscere la sua filosofia artistica, i colleghi che stimava e quelli che disprezzava, e quali sue opere, all’epoca, avevano suscitato clamore. 

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Un giovenaccio molto incline alle zuffe

Due autoritratti di Caravaggio: a sinistra, dal dipinto “Il concerto” (1595), a destra “Bacchino malato” (1593).

Caravaggio ha collezionato un curriculum criminale di tutto rispetto, che va però calato nel contesto turbolento della Roma di inizio 1600: la capitale europea dell’arte e dei committenti danarosi, ma anche una città piena di prostitute, di balordi, di gendarmi corrotti e con molta violenza nelle stradeNato a Milano (non a Caravaggio, da cui provenivano i suoi genitori) nel 1571, a 6 anni rimane orfano di padre, ucciso dalla peste. Dopo aver studiato pittura, e aver perso anche la madre, a 21 anni si trasferisce a Roma in cerca di fortuna. Nei primi tempi, essendo molto povero, trova ospitalità nell’Ospedale della SS Trinità, dove lavora in cambio di vitto e alloggio.
Nella città convivono artisti fiamminghi, siciliani, veneziani, milanesi, emiliani. Stanno quasi tutti stipati fra il Pantheon e Piazza Navona, in un quartiere pericoloso e pieno di violenza. Sono pettegoli, gelosi, si dividono in fazioni, sono pronti a menare le mani per ogni minima questione d’onore. La competizione era molto forte: ognuno sgomitava per emergere sugli altri, per ottenere la commessa di un’opera d’arte importante. 

Ritratto anonimo di Caravaggio (1617)

Nel tempo libero frequentano prostitute, prelati, nobili, mercanti d’arte e barbieri, che spesso espongono le loro opere e ne suturano le ferite dopo le frequenti risse. Proprio un barbiere, Lorenzo Carli, descrive così Caravaggio: “Un giovenaccio con poca di barba negra, grassotto, con ciglia grosse et occhio negro, che va vestito di negro non troppo bene in ordine, che portava un paro di calzette negre un poco stracciate e porta li capelli grandi, longhi davanti”. In breve tempo, grazie ai suoi quadri, entrò nelle grazie del cardinale Francesco Maria Del Monte, che gli offrì finalmente protezione e denaro. E la possibilità di circolare con la spada: un privilegio riservato ai nobili, e per Caravaggio uno status symbol, oltre che uno strumento di difesa irrinunciabile in quei quartieri mal frequentati di notte.

Autoritratto di Caravaggio nel Martirio di Sant’Orsola (1610)

Una volta entrato nel giro che contava, l’artista si godeva la movida di Roma. Come scrisse il collega e biografo dell’epoca Karel van Mander: “avendo lavorato un paio di settimane se ne va a spasso per un mese o due, con la spada a fianco, seguito da un servitore, passando da un campo da gioco all’altro, molto incline alle zuffe e litigi”. Ospite fisso di squallide osterie, frequentava gente di malaffare e prostitute. Alcune di loro le impiegò come modelle: Anna Bianchini prestò il volto alla Maddalena (“Maddalena penitente“), Fillide Melandroni alla Madonna (“Riposo durante la fuga in Egitto“) e anche Maddalena Antognetti (“Madonna dei Pellegrini“), destando scandalo in città perché erano famose cortigiane. Con alcune di loro ebbe una relazione, e secondo alcuni storici ne faceva anche da protettore per arrotondare i guadagni. Non è escluso, poi, che Caravaggio fosse bisessuale, avendo relazioni con alcuni dei suoi ragazzi di bottega (Francesco Boneri, che posò per varie opere come “Amor vincit omnia“), Mario Minniti e Giovanni Battista, definito senza mezzi termini in un processo la sua “bardassa” (amante passivo, ma qui inteso più nel senso di ragazzetto inserviente); difficile però averne la certezza, perché all’epoca erano relazioni rigorosamente clandestine: l’omosessualità era reato da patibolo.

Grandi successi e clamorosi rifiuti

La morte della Vergine (1604)

Il pittore visse alterne fortune, alternando grandi successi a clamorosi rifiuti. “La morte della Vergine” (1604) fu rifiutato dai Carmelitani che glielo avevano commissionato: la Madonna era raffigurata con il volto terreo e il ventre gonfio perché Caravaggio avrebbe usato come modella una prostituta trovata morta nel Tevere. Secondo altri critici come Rodolfo Papa, invece, la Vergine è raffigurata con il ventre gonfio perché incinta: un elemento simbolico per sottolineare la maternità di colei che è sempre Madre di Dio. Molto scandalo, in particolare, fecero i piedi ritratti nudi fino alle caviglie.

Particolare da la Madonna dei pellegrini (1605)

Anche il dipinto “Madonna dei pellegrini” (1604) fu criticato per la presenza di due pellegrini, “uno co’ piedi fangosi e l’altra con una cuffia sdrucita, e sudicia; e per queste leggerezze in riguardo delle parti, che una gran pittura haver deve, da popolani ne fu fatto estremo schiamazzo [clamore]”, argomenta il collega snob Baglione. Alcuni suoi contemporanei, infatti, non apprezzavano il suo realismo crudo, fedele e senza sconti: per molti pittori di maniera, l’arte doveva rappresentare una realtà ideale, non contaminata da imperfezioni.

Donne contese e fuga

A sinistra Maddalena Antognetti, a destra Fillide Melandroni.

Nel 1605 ferì un notaio, Mariano Pasqualoni, in Piazza Navona assestandogli un gran colpo con la spada sulla testa. Il motivo? Il notaio aveva corteggiato Maddalena Antognetti, figlia di una vicina di casa di Caravaggio. Egli fu respinto, ma quando venne a sapere che la ragazza sarebbe andata a posare come modella per Caravaggio (per la Madonna dei Pellegrini), contestò alla madre d’aver rifiutato la sua proposta e aver invece mandato la figlia a posare per un artista «scomunicato e maledetto».  Quando Caravaggio lo venne a sapere, si appostò in piazza Navona, e quando lo vide passare lo seguì e dalle spalle gli assestò un gran colpo di spada sulla testa, ferendolo. Voleva vendicare il proprio onore e anche quello di Lena, sua modella prediletta. Ma questa ricostruzione non è condivisa da tutti gli storici: secondo altri, invece, il notaio era un  rappresentante del Vicariato ecclesiastico di Roma, che gli avrebbe contestato l’uso di una cortigiana in una raffigurazione sacra (e che non necessariamente si trattava della Antognetti). Purtroppo, sulla biografia di Caravaggio ci sono ancora molte incertezze.  Resta comunque il fatto che Caravaggio fu processato anche per altre aggressioni a tradimento, alle spalle, nelle quali usava la spada come clava: un comportamento non molto consono all’uomo d’onore che egli sentiva d’essere. 

Caravaggio dovette interrompere la sua carriera romana per aver ucciso Ranuccio Tomassoni da Terni, uno sfruttatore di prostitute, con il quale forse si contendeva la Melandroni: si sfidarono a duello, e Caravaggio gli recise l’arteria femorale all’attaccatura fra la coscia e l’inguine: fu un tentativo di castrarlo. Ma dato che i duelli erano proibiti e condannati con la pena di morte, lo scontro fu descritto come un litigio per una partita di pallacorda. Caravaggio, all’apice della sua carriera dovette fuggire (Napoli, Malta, Sicilia) e fu condannato a morte in contumacia. Di recente un ricercatore, Riccardo Gandolfi, ha scoperto il testo di Gaspare Celio, “Compendio delle Vite di Vasari” (scritto tra il 1614 e il 1638) nel quale l’autore rivela che Caravaggio se n’era andato da Milano “avendo ucciso un amico”.  Questo passaggio, commenta Gandolfi, “potrebbe alludere più a un episodio goliardico – poi finito tragicamente – che a un vero e
proprio omicidio premeditato”. Ma in assenza di altri riscontri storici, è molto difficile far diradare le tante nebbie sulla biografia dell’artista.

Caravaggio si è ritratto in diversi quadri che raffiguravano profeti, santi o sovrani con la testa mozzata: una morte considerata gloriosa, riservata a chi aveva carisma, intelligenza e potere. 1) Davide con la testa di Golia (1610); 2) Davide e Golia (1606); 3) Giuditta e Oloferne (1599); 4) Davide con la testa di Golia (1607)

In viaggio lo stroncò un’infezione intestinale, e così scrive Baglione, nel 1610 “morì malamente, come appunto male havea vissuto. Se Michelagnolo Amerigi [ Michelangelo Merisi] non fusse morto sì presto, haveria fatto gran profitto nell’arte per la buona maniera che presa havea nel colorire del naturale; benché egli nel rappresentar le cose non havesse molto giudicio di scegliere il buono e lasciare il cattivo. Nondimeno acquistò gran credito, e più si pagavano le sue teste [ritratti] che l’altrui historie, tanto importa l’aura popolare, che non giudica con gli occhi  ma guarda con l’orecchie”. Insomma, a suo dire Caravaggio colorava bene ma disegnava male, e la rozzezza dei suoi soggetti piaceva più per il clamore che suscitava nel popolino che per un valore intrinseco. Un giudizio livoroso, dettato – come vedremo – da una rivalità cocente: oggi Baglione è ricordato più come biografo che come pittore, mentre Caravaggio è riconosciuto come uno dei più grandi pittori di tutti i tempi. I suoi quadri, con i giochi di luce e le espressioni intense dei volti, sono inimitabili e vederli dal vero è un’emozione senza pari.

Insulti sferzanti senza censure

Fra i numerosi verbali giudiziari a carico di Caravaggio (nei quali il giudice interroga testimoni e imputati in latino, e loro rispondono in italiano), ne ho trovati 4 costellati di parolacce. Caravaggio le diceva per sfogare la sua rabbia e disprezzare i suoi nemici, con una predilezione per gli insulti di carattere sessuale: i più feroci, rivolti sia alle donne (turare la potta) che agli uomini (becco fottuto, coglione), più diverse altre espressioni scurrili: forbirsene il culo, avere in culo, cazzone, cacca, fottere.

Testa di Medusa (1597): un possibile autoritratto di Caravaggio.

Un campionario nutrito: il pittore non aveva remore a usare il linguaggio scurrile, avendo un temperamento impulsivo, irruente e aggressivo. L’autocontrollo non era il suo forte. Era un uomo passionale e diretto: non aveva filtri né censure, si esprimeva così persino con i gendarmi. E questo gli ha ovviamente procurato diversi guai, da cui si è salvato soltanto grazie all’intervento dei suoi protettori altolocati (nobili e cardinali). E qui si impone un parallelismo con la sua arte: come nei dipinti voleva riprodurre esattamente quello che vedeva, senza alcun miglioramento estetico, così nel linguaggio non ricorreva a eufemismi. Diceva direttamente ciò che sentiva, anche se era sgradevole e offensivo.
Fra gli episodi per cui fu processato, spiccano i sonetti satirici contro il rivale Baglione, pieni di insulti scurrili, anche indiretti: per denigrare Tommaso Salini, dice che ha “un cazzon da mulo” (quindi sproporzionato, animalesco: oggi però suonerebbe come un complimento) ma non lo usa per “fottere la moglie”. E che le tele del suo amico Baglione sono buone giusto per “turare la potta” (la vulva) della moglie, come sostituti fallici. Immagine pesantissima, offesa irriguardosa e trasversale: perché colpisce anche una persona estranea alle dispute artistiche.
In un sonetto, poi, c’è anche uno sberleffo infantile: i quadri di Baglione valgono così poco che vendendoli ci si può ricavare i soldi per un paio di braghe così sottili da mostrare quando si sporcano di cacca.
Da notare l’uso del’aggettivo “fottuto” nel senso di “spregevole” (nell’espressione “becco fottuto“, ovvero “cornuto spregevole”): oggi è in disuso, suonerebbe come un’espressione tradotta dall’inglese, che fa largo uso del termine “fucked” o “fucking”. E, in una società maschilista, l’epiteto di “becco” era considerato massimamente offensivo per un uomo.
Interessante anche il termine “pituressa” (pitturetta), un diminutivo femminile con valore spregiativo.
Si segnala anche l’espressione “avere in culo” nel senso di “avere in antipatia”: oggi diremmo “stare sul culo”.
Negli atti del processo per diffamazione, Salini cita le espressioni “spione becco” e “furfante spione”, a lui rivolte da Onorio Longo, e Baglione lo conferma, aggiungendo che Longo gli aveva detto anche “infame”e  “cornuto”.  Tutti insulti in voga a quell’epoca.

UN COLPO DI SPADA IN TESTA (1601)

Tommaso Salini

Caravaggio incontra per strada Mao (Tommaso) Salini, un collega pittore. Questi dipingeva soprattutto nature morte: cosa che aveva punto sul vivo Caravaggio, tra i primi a inaugurare, a Roma, questo genere di soggetti come elementi autonomi. Secondo Caravaggio Salini era un copione, un plagiatore, e questa cosa era per lui intollerabile. Così, un giorno, lo incrocia per strada, lo fa passare, ma poi lo insegue e gli assesta un colpo di spada in testa. “Michelangelo mi terò molti altri colpi in modo che se non fossero corsi li vicini, et così sentito il rumore facilmente sarei potuto dal detto restare ferito, et forse  morto, havendomi di più ingiuriato, e dirme becco fottuto et altre parole ingiuriose”, rifersice Salini nella sua denuncia.
Occorre sottolineare che questo insulto ricorre più volte nelle denunce contro Caravaggio: lo diceva spesso, e forse era anche un’espressione molto in voga all’epoca.

I ‘LIBELLI FAMOSI’ E IL PROCESSO PER DIFFAMAZIONE (1603)

E’ l’anno 1603. Circolano a Roma alcuni componimenti scurrili, citati a memoria, e trascritti su carta passano di mano in mano. I sonetti satirici prendono di mira il pittore Giovanni Baglione e il suo amico Tommaso “Mao” Salini. Quando Baglione ne viene a conoscenza, denuncia Caravaggio insieme ai suoi amici Onorio Longhi, Ottavio Leoni e Orazio Gentileschi, considerati corresponsabili o almeno informati sui fatti.  Fra Baglione e Caravaggio c’era un’esplicita rivalità, come fra Salieri e Mozart: ma mentre i due musicisti avevano rapporti civili, Caravaggio e Baglione si disprezzavano apertamente. Con Caravaggio, in particolare, c’era una rivalità aperta:  Caravaggio non stimava Baglione, come non stimava quanti cercavano di imitare, senza riuscirci, il suo stile realistico. 

1) Amor vincit omnia (Caravaggio); 2) e 3) Amor sacro e amor profano (Baglione). Nella versione 2) Amore è con la corazza, nella 3), dopo le polemiche, è senza.

La loro rivalità era nata nel 1602, quando Caravaggio aveva dipinto Amor Vincit Omnia per il marchese Vincenzo Giustiniani. Il quadro, che rappresenta il trionfo dell’amore su tutte le arti, ebbe grande successo a Roma. Il modello che aveva posato per l’opera era Cecco Boneri: allievo, factotum e forse anche amante di Caravaggio.
In quello stesso anno, Baglione dipinse il medesimo soggetto “Amor sacro e amor profano”, per il fratello del marchese, il cardinale Benedetto Giustiniani. In una prima versione Amore era vestito con una corazza, ma non rispondeva alla giusta iconografia: “sembra che indossi una caffettiera”, fu il commento sarcastico di Caravaggio. In tutta risposta Baglione ne fece un’altra versione, nella quale l’amore divino irrompeva su un diavolo con un volto simile a quello di Caravaggio, e  un putto che somigliava al suo modello. Come se li avesse sorpresi in atteggiamenti equivociPer quest’opera Baglione ricevette come compenso una collana d’oro dal cardinale Giustiniani, con disappunto dei colleghi.

L’anno successivo i Gesuiti commissionarono a Baglione una resurrezione di Cristo per la Chiesa del Gesù: il dipinto – oggi perduto, ne resta solo un bozzetto – fu molto criticato da Caravaggio e dai suoi amici, che lo dileggiarono con due sonetti. Quando Salini li ascoltò, li trascrisse e li mostrò a Baglione: entrambi avevano ottimi motivi per farla pagare a Caravaggio. 

Bozzetto della Resurrezione di Baglione (andata perduta)

Ecco il testo della denuncia di Baglione: “Avendo io depinto un quadro della resurrettione di Nostro Signore , detto Micalangelo pretendeva farlo lui, perciò esso Micalangelo per invidia, et detti Honorio Longo et Horatio (Gentileschi) suoi amici et adherenti, sono andati sparlando del fatto mio, con dir male di me et biasimare l’opere mie, et in particolare hanno fatto alcuni versi in mio dishonore et vittuperio [vergogna], et datili et dispensatili a più et diverse persone… Li suddetti querelati sempre m’hanno perseguitato, sono stati miei emoli [emuli] et m’hanno avuto invidia vedendo che le mie opere sono in consideratione più che le loro…do querela di questi versi infamatorii fatti contro di me”.  La denuncia fece sicuramente infuriare Caravaggio, che non invidiava affatto Baglione (quantomeno per la pittura), e non era affatto un suo emulo (anzi, era vero il contrario).

E così Caravaggio si trovò per l’ennesima volta alla sbarra degli imputati. Il processo è un documento prezioso, non solo perché rivela le parolacce usate a quell’epoca, ma anche per comprendere la concezione artistica di Caravaggio. Il giudice, infatti, cercò prima di far confessare agli imputati d’aver composto i versi; non riuscendoci, cercò di otttenere da Caravaggio un giudizio positivo su Baglione. Ma una volta messo alle strette, come vedremo, Caravaggio non riuscirà a trattenere la sua completa disistima nei confronti del rivale.

Ed ecco il testo del primo sonetto:

Gioan Bagaglia tu non sai un acca

le tue pitture sono pituresse [dipinti di scarso valore]

volo [voglio] vedere con esse

che non guadagnarai

mai una patacca

che di cotanto panno

da farti un paro di bragesse [paio di mutande] che ad ognun mostrarai

quel che fa la cacca

Porta là adunque

i tuoi desegni e cartoni

che tu hai fatto a Andrea pizicarolo [salumiere] 

o veramente forbetene [ puliscitene] il culo

o alla moglie di Mao turegli la potta
[ otturale la vulva]

che con quel suo cazzon da mulo più non la fotte.

Perdonami dipintore se io non ti adulo

che della collana che tu porti indegno sei [la collana d’oro con cui il dipinto fu pagato]

et della pittura vituperio [disonore].

Giovanni Bagaglia, tu non sai niente, 

i tuoi dipinti sono di scarso valore,

con loro non guadagnerai nemmeno un soldo con cui comprare un paio di braghe con cui tutti potranno vedere
quando fai la cacca.

Dunque, porta i disegni che hai fatto al salumiere oppure usali per pulirti il culo, oppure per otturare la fica della moglie di Salini, che pur con quel cazzo da mulo non la fotte.
Perdonami, pittore, se non ti adulo, perché non sei degno della collana che porti e sei il disonore della pittura.

E questo è il secondo:

Gian coglion senza dubio dir si puole [può]

quel che biasimar si mette altrui

che può cento anni esser mastro di lui.

Nella pittura intendo la mia prole

poi che pittor si vol chiamar colui

che non può star per macinar con lui.

I color non ha mastro nel numero

si sfaciatamente nominar si vole [non ha maestria nel numero di colori, anche se si proclama sfacciatamente un maestro]

si sa pur il proverbio che si dice

che chi lodar si vole si maledice.

Io non son uso lavarmi la bocca

né meno di inalzar quel che non merta

come fa l’idol suo che è cosa certa.

Se io mettermi volesse a ragionar

delle scaure [deformità] fatte da questui [ costui]

non bastarian interi un mese o dui.

Vieni un po’ qua tu ch’e vò’ biasimare

l’altrui pitture et sai pur che le tue

si stano in casa tua a’ chiodi ancora

vergognandoti tu mostrarle fuora.

Infatti i’ vo’ l’impresa abandonare

che sento che mi abonda tal materia

massime [soprattutto] s’intrassi ne la catena

d’oro che al collo indegnamente porta

che credo certo meglio se io non erro

a piè gle ne staria una di ferro [come carcerato].

Di tutto quel che ha detto con passione

per certo gli è perché credo beuto

avesse certo come è suo doùto [perché credo avesse bevuto come suo solito]

altrimente ei saria un becco fotuto. [un cornuto fottuto]

Senza dubbio Gianni si può definire un coglione, perché si mette a criticare chi può essere suo maestro per cento anni.
Parlo della pittura, perché
si fa chiamare pittore persino chi non è capace di preparare i colori.Non è un vero maestro nei colori,
eppure si ostina a farsi chiamare tale,
ma si sa il proverbio:
“Chi si loda, si maledice da solo.”Io non sono abituato a parlare a vanvera,
né tantomeno a esaltare chi non lo merita,
come invece fa il suo idolo, senza dubbio. Se volessi raccontare gli errori che ha fatto questo individuo, non basterebbero un mese o due.Vieni qua, tu che vuoi criticare  i dipinti altrui,  eppure sai bene che i tuoi
restano appesi ai chiodi in casa,
perché ti vergogni di mostrarli in pubblico.Infatti voglio abbandonare questa impresa,
perché mi rendo conto che ci sarebbe fin troppo da dire,  soprattutto se parlassi della catena d’oro che porta indegnamente al collo. Anzi, credo che, se non mi sbaglio,
gli starebbe meglio una catena di ferro ai piedi.Tutto ciò che ha detto con tanta passione
è certamente dovuto al fatto
che era ubriaco, come al solito.
Altrimenti, non ci sarebbe altra spiegazione: sarebbe solo un cornuto spregevole.

Dunque, versi satirici, pesantemente infamanti e ingiuriosi: in sintesi, le opere di Baglione andavano bene come carta per i salumi o come carta igienica, la sua pittura era un disonore, dato che non sa usare i colori. E Baglione oltre a essere un incapace era un “coglione” (rima fin troppo facile e prevedibile), un “cornuto fottuto“, un beone. Caravaggio, come gli altri imputati, negò di esserne l’autore, per evitar di pagarne le conseguenze: “Io non me deletto de compor versi né volgari né latini”, cioè né in latino né in italiano, aggiungendo, anzi di non aver mai sentito “né in rima, né in prosa, né volgari, né latini, né de nessuna sorte nelle quali se sia fatto mentione di detto Giovanni Baglione“. Secondo alcuni storici i sonetti potrebbero essere stati scritti da Onorio Longhi, ma è pur vero l’espressione “becco fotuto” è quasi un marchio di fabbrica di Caravaggio, visto quanto spesso la usava. La verità su quei sonetti non la sapremo mai. Ma senz’altro Caravaggio ne condivideva il contenuto.

Dato che nessuno degli imputati ammise di aver scritto i sonetti, il giudice cercò di approfondire quale opinione Caravaggio avesse sull’arte di Baglione, per accertare se emergessero livori. L’artista si presenta come pittore («L’essercitio mio è di pittore»), e il giudice gli domanda se conoscesse altri colleghi. Caravaggio risponde citando vari nomi, come il Pomarancio, il Caraccio e anche Baglione, precisando però che “non tutti sono valent’huomini”, ovvero che sappiano “depinger bene et imitar bene le cose naturali”. Un documento straordinario perché ci dà, in prima persona, il manifesto della sua arte: per lui consiste nel riprodurre fedelmente la realtà.

Poi Caravaggio aggiunge che Baglione non è suo amico perché “non mi parla”. Il giudice allora gli chiede un giudizio sul rivale: “Io non so niente che ce sia nessun pittore che lodi per buon pittore Giovanni Baglione”. Prima stoccata.

E, interrogato sul dipinto della Resurrezione, del quale Baglione riteneva che Caravaggio fosse invidioso, l’artista risponde senza tanti giri di parole: “Quella pittura della resurrettione a me non piace perché è goffa et l’ho per la peggio che habbia fatta, et detta pittura io non l’ho intesa lodare da nessun pittore et con quanti pittori io ho parlato, a nessuno ha piaciuto”, tranne “da uno che va sempre con lui, che lo chiamano l’angelo custode”: Mao Salini. Seconda e definitiva stoccata.

Alla fine il giudice, non avendo altra prova se non la disistima verso Baglione, condanna Caravaggio e i suoi amici a un mese di arresti domiciliari. Ma la pena fu presto ridotta grazie all’interessamento dell’ambasciatore francese a Roma, Philippe De Béthune.

OLTRAGGIO A PUBBLICO UFFICIALE (1604)

Una spada: particolare del dipinto “La buona ventura” (1596/7)

Caravaggio viene fermato dalle guardie alle 5 del mattino mentre circolava per Roma con addosso spada e pugnale. Le guardie gli chiedono se avesse la licenza per le armi: il pittore la mostra, e tutto sembra risolto. Il capo delle guardie gli dice “Bona notte signore” e Caravaggio in tutta risposta gli ringhia un rabbioso: “Ti ho in culo” (mi stai sul culo). Scatta l’arresto, e quando l’artista è ammanettato urla “Ho in culo te et quanti par tuoi si trovano”. E tutto finisce sugli atti della denuncia a carico di Caravaggio, che passò l’ennesima notte in galera.

PIATTO IN FACCIA A UN CAMERIERE (1604)

Un oste raffigurato ne “La cena in Emmaus” (1601/2)

L’episodio avviene all’Osteria della Lupa, una taverna dove Caravaggio si fermava spesso a mangiare. Quel pomeriggio, verso le 17, l’artista era in compagnia di due amici. E avviene un episodio per il quale il cameriere, Pietro da Fusaccia, lo denunciò alla magistratura: “Havendoli portato otto carcioffi cotti, cioè quattro nel buturo [burro] et quattro col olio, detto querelato mi ha domandato quali erano al buturo et quelli all’olio. Io li ho risposto: che li odorasse, facilmente haverebbe conosciuto quali erano cotti nel buturo et quelli all’olio”.

La risposta, probabilmente accompagnata da un gesto (il cameriere avvicinò il piatto al naso) fece andare Caravaggio su tutte le furie: non era un trattamento rispettoso e adeguato al suo rango. E, obiettivamente, una risposta molto provocatoria. Così, racconta un testimone “Avendo avuto a male Michelangelo si levo in piedi in collera et gli disse: “Se ben mi pare, becco fottuto, ti credi di servire qualche barone!. Et prese quel piatto con dentro i carciofi e lo tirò al garzone nel viso”, ferendolo “al mustacchio” (ai baffi). Poi, racconta il giovane, Caravaggio prese subito mano alla spada, ma i suoi amici lo trattennero, evitando che lo scontro degenerasse. 

FONTI

♦ Massimo Centini “Luci ed ombre di un artista maledetto” (Diarkos, 2024)
♦ Giuliano Capecelatro “Tutti i miei peccati sono mortali” (Saggiatore, 2003)
♦ Michele di Sivo, Orietta Verdi “Caravaggio a Roma. Una vita dal vero” (De Luca, 2011)
♦ Riccardo Gandolfi “Le Vite degli artisti di Gaspare Celio” (Olschki, 2021)
♦ Luigi Garofalo, Barbara Biscotti “Caravaggio, rivalità artistiche e diffamazione” (Corriere della sera, 2019)
♦ Giovanni Baglione, Le Vite de’ Pittori, Scultori et Architetti. Dal Pontificato di Gregorio XIII del 1572 in fino a’ tempi di Papa Urbano VIII nel 1642
♦ Rossella Vodret Adamo “Dentro Caravaggio” (Skira, 2017)
♦ Francesca Curti, Orietta Verdi “Caravaggio, Lena e Maddalena Antognetti. Una storia da riscrivere” (Storia dell’arte rivista, 2022)
♦ Clovis Whitfield “Caravaggio a Roma: dalla miseria alla gloria. Considerazioni sui nuovi documenti sul primo tempo romano del genio lombardo” (About Art online, 2017)
♦ Sergio Rossi ““Lena” e le donne di Caravaggio. Splendori e miserie di artisti e cortigiane nella Roma del primo Seicento” (About Art online, 2021)
♦ Marco Bona Castellotti “Caravaggio arrivò a Roma nel 1596” (Il Sole 24 ore, 2011)
♦ Marco Mascolo “Caravaggio nero, una notizia milanese” (Il Manifesto, 11 aprile 2021)
♦ Aleksander Gielo “Erotismo, violenza e ortodossia nelle opere di Caravaggio” (Kainowska, 2018)

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