Francobollo proposto alle Poste ucraine per celebrare la resistenza anti russa.
Non solo bombe e proiettili. Nel conflitto con i russi, gli ucraini hanno sfoderato un’arma in più: gli insulti. Dai francobolli alle molotov, fino ai cartelli stradali e alle manifestazioni di protesta, la resistenza si è affidata alle parolacce, nella convinzione che “la lingua uccide più della spada”.
Insultare un nemico, infatti, è un modo per manifestare disprezzo, senso di superiorità, coraggio. Ed è una valvola di sfogo della rabbia, della paura e della frustrazione. E così anche in Ucraina le parolacce sono entrate nelle manifestazioni di protesta, negli atti di resistenza, nella propaganda.
Uno scenario che ricorda la Guerra in Vietnam, dove per la prima volta le parole scurrili fecero irruzione nelle manifestazioni di protesta dei giovani alla fine degli anni ‘60: anche i pacifisti, insomma, impararono a usare le parole più bellicose per esprimere la loro totale avversione alla guerra.
La guerra, infatti, è da sempre teatro di violenze anche verbali, come racconto nel mio libro. Ed è anche il linguaggio della sincerità: i conflitti mettono a nudo la cruda verità della violenza e della lotta per la sopravvivenza. C’è una parola russa che accomuna gli sfoghi degli ucraini e dei russi: “pizdets”. Originariamente significa “vulva”, ma oggi indica una situazione difficile, caotica, senza via d’uscita: può essere tradotta come “un gran casino”, “un troiaio”, “essere nella merda”. E’ l’espressione più usata al fronte per descrivere la terribile situazione in Ucraina oggi. Ed esprime, paradossalmente, la vicinanza linguistica e di destino fra i due popoli che si affrontano.
Ho raccolto alcuni di questi episodi raccontati dalle cronache, nella convinzione che una guerra combattuta con le parole è meglio (o meno peggio) di quella a colpi di kalashnikov: orrenda e sbagliata per tutti, sempre e comunque. Se le controversie fra le nazioni potessero risolversi con un duello a colpi di insulti, invece che di mortai – come fanno i rapper con le battaglie freestyle, il “battle rap” – il mondo sarebbe un posto migliore.
Uno dei francobolli proposti: “Nave russa, vai a farti fottere!” dice la scritta. E sotto: Isola Zmiinyi, gloria agli eroi
Dopo che la Russia ha invaso il Paese, all’inizio di marzo le Poste ucraine (Ukrposhta) ha indetto un concorso per disegnare un francobollo che illustrasse “la determinazione degli ucraini a difendere la loro terra”. Le Poste hanno ricevuto 500 disegni, tra i quali hanno selezionato 20 finalisti: gran parte di questi ha riprodotto un episodio accaduto il 24 febbraio, quando una nave da guerra russa ha minacciato 13 guardie di frontiera ucraine che proteggevano l’Isola dei serpenti (Zmiinyi), nel Mar Nero, nella regione di Odessa. La nave, via radio, ha intimato per due volte ai soldati ucraini di arrendersi: «Siamo una nave da guerra russa. Propongo di deporre le armi e di arrendersi per evitare spargimenti di sangue e vittime ingiustificate. Altrimenti sarete bombardati». Ma la risposta dei militari ucraini è stata sorprendente: «Nave da guerra russa, vai a farti fottere». Qui l’audio dello scambio:
Alla fine, ovviamente, le guardie hanno avuto la peggio e sono state catturate (inizialmente si pensava fossero morte). Le Poste sono soddisfatte: «il nostro concorso è diventato una forma di arte terapia. E ora cercheremo di stampare questi nuovi francobolli».
Il ministero dell’Interno ucraino ha chiesto ai residenti di rimuovere i segnali stradali per confondere le truppe russe in arrivo. Gli enti amministrativi delle strade hanno confezionato un cartello stradale di divieto barrato, con la faccia del presidente russo Putin, e l’hanno installato sulle principali arterie di collegamento.
In una delle strade principali di Kiev un cartello dice: “Soldati russi, andate affanculo” (nella foto).
La fabbrica di birra Pravda, con sede a Lviv, in Ucraina, ha sospeso le sue operazioni di produzione della birra: ora sta preparando bottiglie molotov per i residenti da usare contro le forze russe. E a questo scopo utilizzano una particolare birra prodotta dal 2016, la “Putin huilo”, che significa “Putin testa di cazzo”: l’etichetta raffigura il presidente Putin nudo, che tiene sulle ginocchia Dmitrij Medvedev (all’epoca primo ministro), con riferimenti ai rapporti tra Russia e Ucraina, alla Crisi della Crimea del 2014 e lo sfruttamento petrolifero.
L’iniziativa ricalca – in modo più rudimentale – la tradizione, iniziata nella seconda guerra mondiale, di apporre col gesso delle scritte sulle bombe prima di lanciarle sugli obiettivi: i piloti di caccia americani scrivevano messaggi come “Happy Xmas Adolph” (Buon natale, Adolf) sui lati degli ordigni.
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La copertina del libro “Il gesto femminista”.
C’è un gesto che ha cambiato la storia dell’emancipazione femminile. Il gesto della vulva. Alle attiviste degli anni ’70 è bastato unire le punte del pollice e dell’indice, formando un triangolo sopra la testa, per esprimere in modo provocatorio l’orgoglio per la propria identità, per secoli schiacciata ed emarginata. Migliaia di donne di tutto il mondo occidentale hanno sfilato per le strade esibendo quel simbolo, rivendicando il diritto di vivere una sessualità libera (“io sono mia”, “l’utero è mio e lo gestisco io”): anche se questa consapevolezza era anche merito degli anticoncezionali (la pillola!), che avevano permesso per la prima volta alle donne di controllare la gravidanza.
A questo gesto semplice e immediato – nel quale il significante e il significato quasi coincidono – è dedicato un libro appena pubblicato da Derive Approdi: “Il gesto femminista” (a cura di Ilaria Bussoni e Raffaella Perna). E’ l’occasione per raccontare la storia di questo gesto: oggi è ben poco usato, ma ci rivela significati simbolici insospettabili.
Partiamo dalla storia. Il gesto della vulva non è nato in America, come molti pensano, ma in Francia, ed è stato portato alla ribalta mondiale da un’italiana, Giovanna Pala, che nel 1972 era andata a Parigi per partecipare a un convegno sui crimini contro le donne: “A Parigi vidi una rivista, Le torchon brûle (Il cattivo sangue), pubblicata da un movimento di liberazione femminista. In copertina c’era quel segno: ne rimasi colpita per l’immediatezza del messaggio che poteva comunicare la forma della vagina”. Così, quando al termine del convegno alcuni ragazzi alzarono verso il palco il classico simbolo marxista del pugno chiuso, istintivamente mi venne di congiungere le mani a creare il simbolo della vagina. Mi pareva con quel gesto di prendere le distanze dalla politica maschile e di affermare la mia diversità”.
L’affermazione è importante: il pugno chiuso è un evidente segno fallico, e non è l’unico. Il gesto dell’ombrello, il dito medio, il saluto nazista sono solo alcuni dei numerosi esempi di gesti che riproducono l’erezione. Mancava un gesto che evocasse la vulva: ora era nato. Così, quando Giovanna Pala tornò a Roma, portò il gesto nelle manifestazioni di piazza e fu un successo mondiale. “Ostentare in pubblico un segno che in maniera esplicita richiamava la vagina era un elemento di rottura davvero sovversivo” scrive Laura Corradi nel libro. “Da tabù, elemento non nominabile, luogo invisibile della vergogna e del peccato, la vagina diventò materia politica. (…) Rappresentava una sfida alle istituzioni dello Stato, al moralismo bigotto della Chiesa, a un patriarcato opprimente”.
Eppure nella storia non era la prima volta che la vulva era ostentata in modo plateale. Anzi, in passato ha avuto un’importanza capitale in ambito del folklore e della religione.
Si è creduto, per secoli, che i genitali femminili avessero poteri magici: una donna che esponeva deliberatamente la propria vulva nuda aveva il potere di prevenire le sventure, tenere lontani gli spiriti maligni o gli eventi atmosferici, terrorizzare le belve feroci o i nemici, e perfino le divinità.
Plinio il Vecchio (I secolo d.C.) scrive nella “Naturalis historia” che alla vista di una donna nuda la grandine, le trombe d’aria e i fulmini cessano di imperversare. In uno scritto sulle virtù delle donne (Mulierum virtutes), Plutarco (II secolo d.C.) narra di un gruppo di donne che sollevando tutte insieme le loro vesti cambiarono gli esiti di una guerra.
Prima ancora, nelle feste contadine, l’esibizione dei genitali femminili favoriva la fertilità, stimolando la crescita delle piante. Nell’antico Egitto, le donne mostravano il pube davanti ai loro campi, per scacciare gli spiriti maligni e rendere più abbondante il raccolto. Lo testimonia lo storico greco Erodoto (5° secolo a.C.) descrivendo le feste in onore della dea gatta Bubasti: le donne stanno in piedi sulla barca e si sollevano le vesti esponendo i loro genitali e gridando scherniscono le donne delle altre città. Lo stesso avveniva nelle antiche feste di fertilità in onore di Demetra, la madre terra.
A Milano, c’è una statua medievale che era stata posta su Porta Tosa (una porta medievale che fu abbattuta nel 1700): raffigura una donna in piedi, con sguardo fiero, che si solleva una gonna mostrando la vulva; in una mano tiene un pugnale che regge sopra il pube. Si pensa che il suo ruolo, visto che era su un importante ingresso della città, fosse quello di proteggerla dagli influssi malvagi.
In un’incisione del 1700 di Charles Eisen per un’edizione delle “Favole” di Jean de la Fontaine c’è una donna in piedi, sicura di sé, che solleva la gonna e mostra la vulva a un diavolo, che si spaventa: in questo modo, narra la storia, sconfisse il diavolo e salvò il proprio villaggio.
Il gesto di alzare la gonna e mostrare i genitali a scopo apotropaico (per allontanare gli spiriti maligni) ha un nome: anasyrma. Ma come si spiega questo ruolo magico assegnato ai genitali femminili? Ecco la spiegazione di Catherine Blackledge, autrice di “Storia di V”. “Essi sono la fonte di ogni nuova vita, sono l‘origine simbolica del mondo. La vagina è il luogo da cui tutti proveniamo. Ma contengono anche un avvertimento: è importante non dimenticare da dove si viene, Oltraggiare, profanare o violare la vagina significa rivolgersi contro la vita stessa. E da questo non può venire niente di buono,solo distruzione della terra e della sua generosità”.
In quel gesto, la vulva diventa l’essenza della donna: la sessualità diventava la parte più importante dell’identità femminile. Ma oggi l’equazione vulva= donna “di questi tempi sovverte ben poco”, nota la Corradi. Oggi si è perso il mistero, il timore reverenziale verso la vulva, che è tornata a essere un tabù. Tanto che i due gruppi femministi che hanno conquistato la maggiore visibilità mediatica ne fanno un uso indiretto: le “Pussy Riot” solo nel nome (pussy significa vagina) e le “Femen” esibiscono un carattere sessuale secondario, ovvero il seno nudo. Anzi, oggi assistiamo a un paradosso: chi fa l’equazione vulva=donna, invece di rivendicare l’orgoglio femminile (come negli anni ’70) rischia di essere tacciato di sessismo.
Forse anche questo è un segno che viviamo in un mondo al contrario.
The post Il potere della vulva first appeared on Parolacce.]]>In questi Mondiali di calcio, una notizia è passata sotto silenzio nei giornali italiani. Eppure è una notizia clamorosa: anche il Brasile ha avuto il suo “vaffa day”. E ben più eclatante di quello che – nel 2007 – lanciò in politica Beppe Grillo: perché il sonoro “vaffa” ha avuto come destinatario addirittura un capo di Stato e per di più donna, la presidenta Dilma Rousseff. Ed è avvenuto davanti alle telecamere di tutto il mondo e ad altri 12 capi di Stato presenti in tribuna allo stadio di San Paolo.
Il fatto è accaduto il 12 giugno, alla partita di esordio dei Mondiali, durante la partita Brasile-Croazia (vinta dal Brasile 3-1). Tra i 62mila spettatori presenti all’arena Corinthians, in migliaia hanno intonato più volte in coro: “Ei, Dilma, vai tomar no cú” (“Ehi, Dilma, vaffanculo”).
Il motivo? Politico: con una spesa di 14 miliardi di dollari (tra stadi e infrastrutture), il Mondiale in Brasile è stato quello più costoso della storia. Ma molti brasiliani hanno contestato questa scelta, obiettando che il Paese ha problemi ben più gravi su cui il governo avrebbe dovuto concentrare i propri sforzi economici: inflazione galoppante, povertà, sanità pubblica al collasso, scuola pubblica allo sbando, corruzione sfrenata. Tanto che, quando l’anno scorso fu deciso l’aumento di 20 centesimi dei trasporti pubblici, la popolazione scese in piazza per protestare pacificamente, ma la polizia represse le contestazioni a suon di proiettili di gomma e arresti.
Da allora le proteste sono continuate, tanto che l’anno scorso, quando Joseph Blatter (capo della Fifa, nella foto sopra insieme alla Rousseff) affiancò la presidente Rousseff al discorso inaugurale per la Confederations Cup, furono sommersi dai fischi del pubblico.
Ecco perché entrambi, all’inaugurazione dei Mondiali, hanno preferito non fare discorsi. Ma gli oppositori sono riusciti comunque a guastarle la festa, sommergendo la presidenta a suon di “vaffa”: un attacco politico in piena regola, non solo per farle fare brutta figura davanti agli occhi del mondo, ma anche in vista delle prossime elezioni presidenziali previste a ottobre. In un sondaggio svolto questo mese dall’istituto Datafolha il gradimento della presidenta è calato dal 44% al 34%: una percentuale bassa, ma potenzialmente vincente dato che i suoi due principali concorrenti, Aecio Neves e Eduardo Campos, stanno rispettivamente al 19% e al 7%. Ma almeno il 30% dei brasiliani è indeciso, ed è per questo che le opposizioni si sono coagulate nei cori ingiuriosi allo stadio.
Dopo l’episodio la Rousseff ha replicato che non si lascerà intimidire: “ho affrontato situazioni estremamente difficili, situazioni nelle quali ho subito aggressioni fisiche quasi insopportabili (il carcere e le torture negli anni della dittatura militare in Brasile, ndr), ma mai ho deviato dal mio cammino né dai miei impegni”. Sintomo, comunque, che il vaffa è andato a segno.
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