pupù | Parolacce https://www.parolacce.org L'unico blog italiano di studi sul turpiloquio, dal 2006 - The world famous blog on italian swearing, since 2006 - By Vito tartamella Wed, 13 Mar 2024 10:48:10 +0000 it-IT hourly 1 https://www.parolacce.org/wp-content/uploads/2015/06/cropped-logoParolacceLR-32x32.png pupù | Parolacce https://www.parolacce.org 32 32 25 modi di dire. Di merda https://www.parolacce.org/2020/05/03/espressioni-escrementi-italiano/ https://www.parolacce.org/2020/05/03/espressioni-escrementi-italiano/#comments Sun, 03 May 2020 09:02:59 +0000 https://www.parolacce.org/?p=17242 Pandemia, mascherine, isolamento... C’è un solo modo di definire il momento storico che stiamo vivendo: è un periodo di merda. Ma perché gli escrementi sono il simbolo delle peggiori nefandezze? La cacca è anche espressione di salute: il microbioma, cioè… Continue Reading

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Quando si fa una cattiva figura ci si sente come una cacca.

Pandemia, mascherine, isolamento... C’è un solo modo di definire il momento storico che stiamo vivendo: è un periodo di merda. Ma perché gli escrementi sono il simbolo delle peggiori nefandezze? La cacca è anche espressione di salute: il microbioma, cioè i batteri che vivono nel nostro intestino, sono responsabili del buon funzionamento – guarda caso – proprio del nostro sistema immunitario, oltre che della buona digestione e dell’umore. Tanto che l’esame dei nostri scarti metabolici può rivelare molto sulla nostra salute. Senza contare che, come sanno gli stitici, non andar di corpo è un gran fastidio.
Così ho deciso di passare in rassegna tutti i modi di dire… di merda. Ma preparatevi, perché sulle nostre deiezioni si potrebbe scrivere un’intera enciclopedia.

La nostra lingua – come molte altre –  è ricchissima di espressioni escrementizie: la cacca è un simbolo potente, denso di significati affascinanti e divertenti, dalla biologia all’antropologia, fino alla letteratura e all’arte.

Graffito ironico: “merda” è un termine crudo ma schietto.

Ne hanno parlato artisti, intellettuali e perfino la Bibbia. Infatti, gli scarti del nostro metabolismo possono rivelare molto sulla nostra cultura. Come diceva Fabrizio De Andrè, “dai diamanti non nasce niente, dal letame nascono i fior”.
Ma per capire i significati che lo sterco ha acquisito nella nostra lingua, occorre ricostruire gli usi simbolici che ne sono stati fatti nel corso della storia. E non sono tutti negativi, ma a due facce:la pupù ha anche insospettabili aspetti positivi. Il primo è innegabile: nella sua crudezza, ci mostra tutta la precarietà della nostra vita. Senza orpelli, così com’è: nasciamo e viviamo fra gli escrementi e, morendo, diventiamo concime.  Una vita di merda.
Tanto che in un recente studio, “cacca” è risultata la parola che ci distingue dalle intelligenze artificiali.

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SIMBOLO DI VITA E DI ABBONDANZA

Lo scarabeo stercorario: era adorato dagli Egizi perché fabbricava la pallina di sterco come il dio Khepri creava il Sole.

Partiamo dalla biologia: se il microbioma ha un ruolo fondamentale nella salute, dall’altro lato le feci sono anche un terribile vettore di malattie: un grammo dei nostri scarti intestinali può contenere 10 milioni di virus, 1 milione di batteri, oltre a parassiti e vermi. E questa ambivalenza si riflette anche in tutta la simbologia della cacca, che non è associata solo a sporco, rifiuti e malattie: “In molte culture, le feci sono considerate la potenza biologica sacra che risiede nell’uomo e che, anche evacuata, potrebbe essere recuperata. Dunque, ciò che in apparenza è del tutto privo di valore, ne sarebbe al contrario carico: in molte tradizioni i significati dell’oro e degli escrementi sono collegati”, scrivono Jean Chevalier e Alain Gheerbrant nel “Dizionario dei simboli” (Bur). D’altronde, dato che può defecare solo chi ha mangiato, la cacca è diventata il simbolo dell’abbondanza, della ricchezza.
Insomma, la merda vale oro, come aveva intuito lo scultore Piero Manzoni, che nel 1961 inscatolò i propri escrementi in un barattolo, la “Merda d’artista”, un’opera entrata nella storia dell’arte. Manzoni mise in vendita i barattoli allo stesso prezzo di 30 grammi d’oro. Era una critica, provocatoria e feroce, al mercato dell’arte: una gigantesca truffa, che consiste nel vendere merda al prezzo dell’oro. E non è l’unico artista ad aver dato dignità creativa alle feci, come raccontavo in questo articolo: l’artista Paul McCarthy ha fatto un’installazione a forma di cacca alta 33 metri). In campo musicale, Elio e le storie tese hanno inventato un insolito supereroe, Shpalman, che “spalma la merda in faccia” ai cattivi (qui la canzone).

La “Merda d’artista” di Piero Manzoni (1961).

Per le civiltà più antiche, però, gli escrementi erano oro in tutt’altro senso: servivano a concimare i campi, erano usati come farmaci e per alcuni incantesimi. «Le feci sono al confine fra la materia viva e quella morta, perciò erano viste come emanazioni dell’anima» scrive l’antropologo James Frazer.
Dunque, come ricorda l’antropologa francese Nicole Belmont, «gli escrementi sono anche un segno di prosperità, benessere, di dispendio e abbondanza di risorse; essi entrano in molti giochi e in vari tipi di festa dove vengono mangiati o versati sulle persone come augurio di matrimonio e di fertilità».
E su queste radici culturali si sono innestate, nel Medioevo, le “feste dei folli”, manifestazioni goliardiche di tipo carnevalesco organizzate da studenti e chierici fra Santo Stefano e l’Epifania. Erano parodie grottesche dei riti religiosi: il funerale, ad esempio, era rappresentato da chierici a bordo di carri carichi di letame, che gettavano sul popolo. Come spiega il critico letterario Michael Bachtin, «gli escrementi sono materia gioiosa, fecondano la terra come il corpo di un uomo morto. Attraverso di loro, la paura della morte si trasforma in un gioioso spauracchio carnevalesco. Il letame è la personificazione della materia, del mondo, che diventa intimo, vicino e comprensibile». Insomma, la cacca ci fa ridere perché ci libera dalla paura della morte e dal mistero della vita: è tutta una cagata.

Anche i bambini piccoli riflettono questa duplicità degli escrementi: sono la loro prima creazione, ne sono attratti, li vogliono toccare. Proprio da queste radici infantili nasce l’uso giocoso e gioioso della cacca di cui parla Roberto Benigni nell’esilarante “Inno del corpo sciolto”: “Non sono mai stato cosí giocondo, viva la merda che ricopre tutto il mondo”. Senza dubbio la merda è la quintessenza della comicità, perché ci fa tornare come bambini spensierati. “Cacare è soprattutto cosa umana… E a chi ci dice, dice ‘Te fai questo o quello’, gli cachiam addosso e lo copriam fino al cervello… colla merda poi far la rivoluzione!”.

Ma i genitori cercano di contrastare questa anarchia infantile cercando di educare i bimbi a controllare lo sfintere, soprattutto nella “fase anale” dai 18 ai 36 mesi, una fase della crescita che, secondo la psicoanalisi,  ruota tutta intorno al controllo intestinale. E avrà due possibili esiti estremi nell’età adulta: da un lato, la persona “anale espulsiva”, disordinata, crudele, e distruttiva, con tendenza alla manipolazione (significato che ritroviamo nel modo di dire “spandi merda”); oppure “la personalità anale ritentiva”, pignolo, parsimonioso, avaro, possessivo, molto organizzato, ossessionato per l’ordine e l’igiene, testardo e ostinato. Insomma, stitico anche nei sentimenti.

Un’offesa assoluta, dalla Bibbia al papa

Papa Francesco ha definito “caca” (in spagnolo) chi ha insabbiato i casi di pedofilia.

Ma col passare dei secoli, abbiamo smarrito la consapevolezza del valore degli escrementi, che nella nostra lingua sono rimasti simbolo dei peggiori mali: sono l’essenza del negativo. Del resto, una delle possibili origini della parola “cacca” sarebbe il greco “kakòs”, maligno, cattivo, brutto. Persino nella Bibbia, nel libro del profeta Malachia, al capitolo 2, fra le minacce ai sacerdoti infedeli c’è anche quella di… smerdarli [2:3]: «Se non mi ascolterete, dice il Signore (…) io spezzerò il vostro braccio e spanderò sulla vostra faccia escrementi, gli escrementi delle vittime immolate nelle vostre solennità».

Non stupisce quindi che nel 2018, papa Francesco abbia definito “cacca” i vescovi che avevano insabbiato i casi di pedofilia: proprio per manifestare con una parola forte la sua più aspra condanna.

Uno spettacolo teatrale sulla miserabile condizione umana.

E quando in una cultura la cacca diventa il simbolo di ciò che è sporco, repellente, disgustoso, insomma del massimo disvalore, perfino gli animali lo recepiscono. Come avevo raccontato in un altro articolo, Washoe, il primo scimpanzè della storia che ha imparato a esprimersi con il linguaggio dei segni, ha trasformato spontaneamente il gesto che significa “sporco” (riservato a quando defecava nel vasino) in un insulto applicato a tutto ciò che non gli piaceva: “sporco gatto”, “sporca scimmia”, e così via. Ecco perché la nostra lingua ha assorbito questa valenza negativa.

L’italiano, a dire il vero, non ha molti lemmi volgari derivati dall’area escrementizia: come calcolavo nel mio libro, rappresentano il 9,3% del totale. E, come ho accertato in una recente indagine, i termini escrementizi rappresentano solo l’11% delle parolacce che pronunciamo ogni giorno, contro il 49% di quelle sessuali (“cazzo” in primis). La parola “merda”, comunque, è la terza che pronunciamo più spesso, e rappresenta il 6,8% delle parolacce che diciamo. Ed è la terza anche nella classifica degli insulti che arrivano nelle aule di tribunale in Italia, dopo “puttana” e “figlio di puttana”.

Adesivo contro chi parcheggia male a Roma.

Le parolacce scatologiche (dal greco “skatòs”, cacca) sono molto più usate in francese, in inglese e soprattutto in tedesco: forse, i Paesi nordici sono meno sessuofobici rispetto ai Paesi latini, e molto più ossessionati, invece, dalla pulizia e dalla paura delle malattie.
La cacca è l’emblema dell’incoscienza infantile, il fondamento della creatività e della comicità, oltre che il simbolo della negatività e precarietà assoluta della vita. “Merda” è, in un certo senso, la capostipite di tutte le parolacce, ed è fra le più sincere e ironiche del nostro repertorio linguistico. È cruda, e proprio per questo vera e schietta, semplice e diretta. Descrive alcune situazioni in modo sintetico, iperbolico e grottesco, come nel film “La grande scommessa”, che racconta i motivi della grande crisi finanziaria del 2008: ““Le obbligazioni ipotecarie sono merda di cane, i CDO (Collateralized debt obligation) sono merda di cane avvolta in merda di gatto”. Più chiaro di così!

Le 23 espressioni… intestinali

Ecco come lo sterco “concima” diverse espressioni in italiano: 23 per la precisione.  Si possono accorpare in due macro aree, al netto di alcuni significati particolari: da un lato, lo sterco è simbolo del negativo, del disvalore assoluto e della rovina (in 12 casi su 23); dall’altro, se applicato alla propria immagine, risulta un modo efficace per descrivere la perdita della faccia, dell’onore (smerdare, faccia di merda, etc) in 8 casi su 23: quando ci si sente male, quando la propria dignità sociale viene intaccata, ci si sente una nullità e una schifezza (e qui si ritorna al simbolo del negativo assoluto). Ecco le 23 espressioni, riunite per significati affini. Nel riquadro più sotto ne segnalo altre 2 che si discostano da queste di segno negativo.

SPREGEVOLE, NEGATIVO, REPELLENTE, SENZA VALORE

“Merda” è un tipico insulto da stadio.

♦ Essere una merda / essere una merda secca: essere una persona spregevole, un vigliacco degno solo di disprezzo, una nullità (“secca” è usato come rafforzativo)

♦ Non voler dire / non significare una merda: non significare nulla

♦ Figura di merda: figura pessima, imbarazzante (ci si sente come un escremento)

♦ Stare / sentirsi / trattare / restarci di merda: stare malissimo

♦ Pezzo / sacco di merda: essere ributtante e spregevole (“pezzo” e “sacco” sono rafforzativi)

♦ Oggetto (film, libro, auto, telefono…) di merda: oggetto inservibile, mal fatto, pessimo. Come ad esempio le “traduzioni di merda”, a cui è dedicato un sito ricco di casi divertenti

♦ Testa di merda: idiota, inetto, imbecille

♦ Questa / quella merda di…. : questa schifezza di…

Da segnalare, in quest’area semantica, anche  “stronzo” (crudele, egoista, persona di nessun valore).

 FINIMONDO, CAOS, GUAI, ROVINA, MALISSIMO

Un’associazione ambientalista riminese.

♦ Essere / finire / trovarsi / andare in / nella merda: essere, finire nei guai

♦ Lasciare nella merda: lasciare qualcuno nei guai senza aiutarlo

♦ Essere nella merda fino al collo: essere nei guai gravi, sull’orlo del tracollo

♦ Scoppiare la merda: succedere il finimondo (è l’equivalente dell’espressione inglese “shit storm”, tempesta di merda)

♦ Finire / andare a merda: finire nel peggiore dei modi

 INDIGNAZIONE, COLLERA, STUPORE, IRA, PERPLESSITÀ, DISAPPUNTO

♦ Merda! porca merda! Esclamazione di rabbia, disappunto

♦ Cosa merda dici? Rafforzativo: equivale a “che cazzo dici?”

 SFRONTATO, IMPERTINENTE
♦ Faccia di merda: sfacciato (ha lo stesso significato di “faccia di cazzo”, “faccia da culo”)

 DISPREZZARE, SVERGOGNARE, INFAMARE, UMILIARE/ESSERE UMILIATI

Titolo de “l’Unità” del 1928: molto trasgressivo per l’epoca.

♦ Smerdare: umiliare, infamare

♦ Buttare merda addosso: umiliare, infamare

far sfigurare, svergognare, infamare (o anche imbrattare)

♦ Mangiare merda: essere umiliati

♦ Mangiamerda: persona remissiva che subisce ogni tipo di umiliazioni / persona spregevole

♦ Prendersi palate / secchiate di merda: essere umiliati

 VANITOSO
♦ Spandimerda: vanitoso, esibizionista. L’immagine fa venire in mente il dipinto del seminatore di Vincent Van Gogh

 DROGA
♦ (Hai preso) la merda? Hai preso l’hashish (per la sua somiglianza allo sterco)? E’ un’espressione usata nel gergo giovanile
QUANDO PORTA FORTUNA (E PERCHE')

Attenzione, tempesta di merda in arrivo.

In inglese, il termine “shit” (merda) non è usato soltanto come termine negativo e svilente. E’ anche sinonimo generico di “cosa, roba, faccenda”, ma perfino “cosa da sballo, figata” (the shit), organizzarsi (get one’s shit together, mettere insieme la propria cacca), tipo in gamba (hot shit, cacca calda), sapere il fatto proprio (to know one’s shit, conoscere la propria cacca), grandioso (shit-hot, cacca bollente). C’è anche l’imprecazione “holy shit” (santa merda) che è uno stratagemma per attenuare la volgarità di “shit” con l’aggettivo “santo”.
In italiano questi aspetti mancano. O meglio, sono presenti solo in 2 casi, nei quali gli escrementi sono considerati fonte di fortuna:

♦ Calpestare la cacca (di cane o di mucca) porta fortuna: non credo che questa credenza nasca tanto dal fatto che lo sterco è un fertilizzante e quindi “porta bene” ai campi e ai raccolti. Alcuni sostengono invece (e mi sembra molto plausibile) che questa espressione risalga ai tempi della seconda guerra mondiale, quando furono usate le prime mine antiuomo: i sentieri dove c’era la cacca di qualche animale segnalavano che quei tragitti erano sicuri, sgombri da ordigni, altrimenti nessun animale avrebbe potuto lasciare un “ricordino”. Più buona sorte di così. L’unico modo di verificare se questa ricostruzione sia corretta è verificare quando è apparsa in letteratura la prima volta. D’altra parte, ricordo che “pestare una merda” significa anche fare un passo falso, una gaffe, un grave errore o incappare in una grande disgrazia, ovvero in una grande sfortuna. E questo ha tutta l’aria di essere il significato originario dell’espressione.

Ballerini della scuola “On stage” di Brescia dicono “Merda, merda, merda!” prima di uno spettacolo

♦ Il “Merda, merda, merda!” che gli attori urlano in coro tenendosi per mano prima di andare in scena. E’ un rito scaramantico, che si ritiene porti fortuna a chi deve calcare un palco davanti al pubblico. Qual è la sua origine? L’uso di questa espressione risale al XVII secolo, quando il pubblico andava a teatro in carrozza. Se l’afflusso di spettatori era elevato, si assembravano molte carrozze davanti all’ingresso. Di conseguenza, davanti al teatro si accumulava anche molto sterco lasciato dai cavalli da traino: quanto più erano abbondanti gli escrementi di cavallo dopo lo spettacolo, tanto maggiore era stato il successo di pubblico, e quindi l’incasso.

Offendere coi suffissi: da merdaiolo a merdaccia

In italiano i suffissi possono aggiungere ulteriori sfumature di significato alle offese (ne avevo parlato in questo post). E questo capita anche con i derivati della parola “merda”, che può essere modificata aggiungendo accrescitivi, diminutivi, accrescitivi, spregiativi. Sono in tutto 9 e si riferiscono sia a persone che a oggetti o situazioni. Eccoli.

L’emoji della cacca, usato come insulto, sfogo o battuta.

RIFERITO ALLE PERSONE
♦ merdaiolo: chi spazza gli escrementi per strada; termine generico di disprezzo

♦ merdaiola: prostituta di infimo rango

♦ merdone: persona tanto tronfia e presuntuosa, quanto vile e pusillanime. E’ affine a “cagone” (persona estremamente vile, paurosa, mediocre, incapace).

♦ merdina: persona ignorante e vile, che vale poco

♦ merdino: persona ignorante, inetta e presuntuosa. E’ affine a “caghìno”: presuntuoso ed esibizionista (deriva da “cagare” nel senso di considerare con disprezzo)

♦ merdaccia: persona inetta, schifosa, disprezzabile (era uno degli insulti preferiti da Paolo Villaggio, di cui ho parlato qui)

RIFERITO A OGGETTI / SITUAZIONI
♦ merdaio: luogo sporco, situazione moralmente disgustosa

♦ merdata: situazione o oggetto che non funziona o di scarso valore; frase o comportamento condannabile; frottola (equivale a “cagata“).

♦ merdoso: imbrattato di sterco/disgustoso/inefficiente, spregevole. E’ simile a “cagoso” (spregevole, meschino).

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E’ diseducativo scherzare coi nomi della cacca? https://www.parolacce.org/2017/05/17/escrementi-parolacce-bambini/ https://www.parolacce.org/2017/05/17/escrementi-parolacce-bambini/#respond Wed, 17 May 2017 08:00:47 +0000 https://www.parolacce.org/?p=12275 Lo confesso: quando ho visto in tv lo spot dei “Kagottini”, da genitore mi è scattato un moto di indignazione.  I “Kagottini” sono l’ultimo gadget per bambini: sono animaletti di plastica che… fanno uscire dal sedere una bolla di gomma… Continue Reading

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La pubblicità dei “Kagottini”.

Lo confesso: quando ho visto in tv lo spot dei “Kagottini”, da genitore mi è scattato un moto di indignazione.  I “Kagottini” sono l’ultimo gadget per bambini: sono animaletti di plastica che… fanno uscire dal sedere una bolla di gomma slime quando gli schiacci la pancia. Insomma, sono come dice lo spot “animali schifosetti” che fanno la cacca, seppur di plastica.
“Ma come si permettono?” ho pensato. “Sfruttare le parolacce come marketing per vendere un prodotto per bambini… Sono degli irresponsabili: rischiano di insegnare che le parolacce, sotto sotto, si possono dire senza problemi”.
Superato questo momento, ho smesso i panni del genitore apprensivo e indossato quelli del linguista, e ho affrontato la questione a mente fredda. E ho cambiato idea. Confortato anche dal parere di un pedagogo e scrittore al di sopra di ogni sospetto: Gianni Rodari. Secondo il genio della letteratura per bambini, infatti, non solo è lecito scherzare coi nomi della cacca, ma è anche utile, se non addirittura necessario. E tra l’altro Rodari aveva previsto che proprio quest’anno, il 2017, avrebbe segnato una rivoluzione in questo campo…

Libri, pupazzi e spray

I 12 Kagottini (clic per ingrandire)

Prima di parlarne, torniamo per un attimo ai Kagottini. Innanzitutto, ho voluto guardare più da vicino questi pupazzetti, venduti nelle edicole come portachiavi. Li distribuisce una società padovana, la Gameshop, che non produce solo giochini scurrili: vende anche gadget della Disney e della Marvel, da Frozen ai Minion.
I “Kagottini” sono una linea di 12 animali: cagnolini, mucche, ippopotami, pesci, con i nomi riveduti e corretti per alludere ai loro prodotti intestinali: E.S. cremento, Ele pupubomba, Bau Miscappa, Bè Fattagrossa, Clara Tortamolla, Ippo Caccainacqua, e Arturo Siluro. Bisogna ammetterlo: sono spiritosi.

Solo a quel punto, quando mi si è formato il sorriso sulle labbra, mi sono ricordato che io stesso avevo in casa un libro che a mio figlio era piaciuto molto: “La famiglia Caccapuzza”, un racconto divertente su una famiglia di zozzoni. E anche  “La cacca, storia naturale dell’innominabile”, un manualetto divulgativo che racconta l’evoluzione e l’importanza degli escrementi.
Allora mi sono messo a cercare su Google e ho scoperto che non erano affatto casi isolati o di contrabbando: c’era anche il libro “Iacopo Po’ genio della cacca”, geniale nome inventato dall’autore, l’amico Federico Taddia; “L’isola delle cacche” della piscoterapeuta Maria Rita Parsi. E “La canzone della cacca”, di Roberto Piumini, cantata – senza alcuno scandalo – in tantissimi asili d’Italia.
Poi, tornando ai giocattoli, lo “Spray cacca”, che spruzza una schiuma marrone, per fare scherzi realistici. E, sempre in questo campo, il celeberrimo “Cuscino scorreggione” che imita il rumore di un peto (se ci si siede sopra quando è gonfiato).
Insomma, un vero marketing delle deiezioni, se si eccettuano i personaggi Fighetto e Fichetto: il primo è uno dei protagonisti di “Turbo”, un cartoon della Dreamworks, e il secondo è (con Grattachecca) il cartone animato preferito da Bart e Lisa Simpson. Ma in questo caso interviene un altro fenomeno: la trasformazione dell’aggettivo “figo”, in origine volgare, in una parola familiare: ne avevo parlato in questo post.
In tutti questi casi, va subito notato, si tratta di parolacce che hanno meno peso specifico: sono più leggere perché sono usate in modo ironico e affettivo.

Quelle ansie da vasino


Ma qual è il motivo di tanta ossessione per la pupù? La risposta più bella l’ho ritrovata in un libro, “Grammatica della fantasia”, scritto dal più grande autore di storie per bambini, Gianni Rodari.
«Sappiamo quanta importanza abbia nella crescita del bambino la conquista del controllo delle funzioni corporali» scriveva Rodari. «Il passaggio dal pannolino al vasino genera ansia in figli e genitori. E sono minacce se non la fa, premi e trionfi se l’ha fatta. E poi attente ispezioni, discorsi fra adulti sul significato di determinati indizi, consultazioni col medico, telefonate alla zia che sa tutto... Non c’è davvero da stupirsi se nella vita del bambino, per anni, il vasino e ciò che lo riguarda acquistano un rilievo quasi drammatico. E gli adulti, per dire che una cosa non è buona, dicono che “è cacca”.

Gianni Rodari.

Tutte queste ansie l’adulto le stempera nelle barzellette. Ma questo riso al bambino è vietato. E invece è proprio lui ad averne bisogno più dell’adulto. Le storie tabù, che trovo utile raccontare ai bambini. Rappresentano un tentativo di discorrere col bambino di argomenti che lo interessano intimamente… Le sue funzioni corporali e le sue curiosità sessuali. Credo che non solo in famiglia, ma anche nelle scuole si dovrebbe poter parlare di queste cose in piena libertà.
Quanti insegnanti riconosceranno ai loro scolari la libertà di scrivere, se occorre, la parola merda? Le fiabe popolari, in proposito, sono olimpicamente aliene da ogni ipocrisia. E non esitano a far uso del gergo escrementizio. Possiamo far nostro quel riso, non indecente ma liberatorio? Penso onestamente di sì. Niente come il riso può aiutare a sdrammatizzare. C’è un periodo in cui è quasi indispensabile inventare per lui storie di cacca. Io l’ho fatto».

La favola (e la profezia) di Rodari

Ecco come inizia la storia di Rodari sulla cacca: una perla, come tutte le sue altre più celebri.
A Tarquinia si verificano incidenti d’ogni genere: un giorno cade un vaso da un balcone e accoppa mezzo un passante, un altro giorno si stacca la gronda dal tetto e sfonda un’automobile… Sempre nei paraggi di una certa casa… Sempre a una certa ora… Stregoneria? Malocchio?
Una maestra in pensione, dopo attente indagini, riesce a stabilire che i disastri sono in relazione diretta con il vasino di un certo Maurizio, di anni 3 e mesi 5. Alla cui influenza, però, sono da attribuire anche molti lieti eventi, vincite al lotto, ritrovamenti di tesori etruschi, eccetera. In breve: i vari accadimenti – fausti o funesti – dipendono dalla forma, quantità, consistenza e colore della cacca di Maurizio….

(Il seguito lo trovate nel suo libro, un best seller edito da Einaudi).

Ed ecco la conclusione (profetica!!!!) di Rodari: «Se un giorno scriverò questa storia, consegnerò il manoscritto al notaio, con l’ordine di pubblicarlo intorno al 2017, quando il concetto di “cattivo gusto” avrà subìto la necessaria ed inevitabile evoluzione. A quel tempo, sembrerà di cattivo gusto sfruttare il lavoro altrui e mettere in prigione gli innocenti. E i bambini, invece, saranno padroni di inventarsi storie veramente educative anche sulla cacca».
Il libro “Grammatica della fantasia” fu scritto nel 1973: sono passati 44 anni. Siamo davvero pronti a un passo del genere?

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Cosa sono le parolacce? «Se nessuno mi chiede cosa sono, lo so. Ma se volessi spiegarlo a chi me lo chiede, non lo so più…». Così diceva secoli fa Sant’Agostino a proposito del tempo. Ma l’osservazione vale anche per le parolacce: definirle è difficile. Perché la parola escrementi si può dire ma merda no? Tette è una parolaccia? E perché marrano non è più un insulto?
Su questi temi argomenti c’è molta confusione. Ma sono temi appassionanti: me ne sono accorto nelle scorse settimane, quando su Twitter è nata un’accesa discussione con alcuni amici proprio su queste questioni. Ma se ne può uscire solo se si ha un’idea chiara di cosa siano le parolacce (foto Shutterstock).
Vocabolari ed enciclopedie, però, ne danno una descrizione sorprendentemente povera: il Sabatini Coletti, come molti altri, definisce la parolaccia come “parola volgare, sconcia, offensiva”. Corretto, ma questa descrizione non coglie l’essenza di queste parole speciali. Qual è il loro minimo comun denominatore? Quali caratteristiche deve avere una parola per essere considerata una parolaccia?

In questo post svelo la formula delle parolacce. Questa:

Parolaccia = limiti d’uso + (connotazione ∙ registro)

In generale, le parolacce sono parole vietate, o almeno hanno notevoli limiti d’uso: non si possono usare in qualunque momento e in qualunque contesto. Non si possono dire nelle situazioni pubbliche e formali: a scuola, sul posto di lavoro, in tribunale, alle cene “eleganti”… altrimenti rischiamo di passare per maleducati, cafoni, irrispettosi. Ma perché sono vietate? Il problema non sta tanto nei contenuti, nelle cose che dicono: le parolacce parlano di sesso (cazzo), religione (bestemmie), malattie (mongolo), metabolismo (merda), comportamenti (rompicoglioni), origini etniche (negro), ovvero degli argomenti più delicati connessi alla sopravvivenza e ai rapporti umani. Eppure, questi temi non sono tabù in assoluto:  posso dire glutei senza scandalizzare nessuno, ma divento offensivo se lo chiamo culo.
Dunque, l’aspetto nodale delle parolacce non sta in quello che dicono, ma come lo dicono: parafrasando Dante, “il modo ancor m’offende”.  

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Film di Pasquale Festa Campanile (1981).

E allora vediamo quali sono i “modi” delle parolacce. Dal punto di vista linguistico, hanno 2 modi che le rendono tali: la connotazione e il registroPartiamo dalla connotazione: è l’insieme dei valori affettivi, cioè delle emozioni che circondano una parola. Per esempio, la parola deserto significa di per sè un’area geografica disabitata e senza vegetazione (e questa è la denotazione); ma ha anche la connotazione, cioè il senso emotivo, di solitudine, isolamento, desolazione. Qual è, allora, la connotazione, l’alone emotivo delle parolacce?
Il turpiloquio può essere usato per esprimere le emozioni più diverse (ira, eccitazione, paura, gioia…), ma in generale le parolacce hanno una connotazione disfemistica: richiamano alla mente gli aspetti più sgradevoli di un oggetto. E’ l’esatto contrario degli eufemismi: mentre questi ultimi cercano di addolcire un pensiero sgradevole (“Non mi è molto simpatico”), i disfemismi vanno dritto al punto, senza imbellettare la realtà (“Mi sta sui coglioni”). Le parolacce sono un modo di dire la verità così com’è, in modo diretto: nuda e cruda.
Questo vale per tutte le parolacce rispetto ai loro corrispettivi neutri: “pene” è più accettabile perché è un termine a bassa carica emotiva e immaginifica, mentre “cazzo” evoca l’immagine del sesso in tutti i suoi particolari. Le parolacce, in particolare, hanno connotazioni spregiativa (= esprimono disprezzo), offensiva (= squalificano qualcuno o qualcosa) o oscena (= parlano di sesso senza pudori).

diffSemLo psicolinguista Charles Osgood, per misurare la connotazione delle parole, ha ne identificato 3 dimensioni:
valutazione: buono/cattivo, bello/brutto, piacevole/spiacevole;
potenza: forte/debole, grande/piccolo, pesante/leggero;
attività: attivo/passivo, rapido/lento.
Le parolacce si trovano sul lato “oscuro” e negativo di questi assi: sono negative, cattive, brutte, spiacevoli, forti, grandi, pesanti, attive, rapide.

La connotazione è un aspetto importante: è l’aspetto dinamico delle parolacce, e delle parole in generale. Una parola può mantenere lo stesso significato, ma cambiare (acquisire o perdere) connotazioni nel corso della storia: in origine, per esempio, la parola negro non aveva una connotazione spregiativa (significava solo “scuro”) ma l’ha acquisita nell’ultimo secolo, diventando un insulto. Al contrario, invece, la parola marrano (= ebreo convertito), un tempo offensiva, oggi è diventata una parola arcaica e inoffensiva. E la parola islamico, di per sè neutra, sta acquisendo una connotazione spregiativa (come sinonimo di terrorista).
Ma non basta la connotazione per fare una parolaccia: ladro ha senz’altro una connotazione spregiativa ma non per questo è una parolaccia. Dunque, la connotazione disfemistica è una condizione necessaria ma non sufficiente. Per generare una parolaccia occorre abbinare alla connotazione un altro ingrediente: il registro.

Cos’è il registro? E’ lo stile del linguaggio: può essere forbito, letterario, burocratico, colloquiale… Le parolacce cadono nel registro basso, volgare, popolare, ma anche in quello gergale, colloquiale, informale. In pratica, il turpiloquio è il tipo di linguaggio che usiamo nel parlato, quando ci rivolgiamo ad amici, familiari, persone con le quali abbiamo un rapporto di confidenza; il linguaggio “da strada”, “da osteria”, “da caserma”. Un linguaggio che diventa inappropriato nei contesti formali, ufficiali, solenni.
I registri danno una miriade di sfumature che consentono di esprimerci in contesti diversi: lo stesso concetto, infatti, può essere modulato in molti modi.

registro

scientifico

registro

neutro

registro

infantile

registro

popolare, colloquiale

registro

volgare

registro

gergale, dialettale

feci, sterco, deiezioni  escrementi pupù, cacca merda, stronzo
testicoli palle, balle coglioni
mammelle seno, petto  ciucce, tette pere, bocce, meloni tette, poppe  zinne, zizze
amplesso, rapporto sessuale fare l’amore, fare sesso trombare scopare, chiavare, fottere, sbattersi, farsi fare zum zum, bombare, schiacciare
fxtv02

Campagna di tv Fx: gioca sul doppio senso delle “pere”.

Insomma, anche le parolacce hanno “50 sfumature di grigio”, ma anche di arancione, verde, blu…: sono una straordinaria tavolozza espressiva. Ed è difficile tracciare una linea di confine netta fra un’espressione colloquiale e una volgare: spesso sono percezioni soggettive, che variano da una persona a un’altra. O da un momento a un altro.
L’
unico criterio-guida, per classificare una parola come parolaccia, è l’esistenza di un limite d’uso: chiamereste “tette” il seno se andate a fare una mammografia? No. Allora è una parolaccia (anche perché evoca in modo diretto, onomatopeico, l’atto del succhiare), per quanto a basso tasso di offensività. Non tutte le parolacce, infatti, hanno la medesima forza: alcune possono scandalizzare (pensate alle bestemmie), altre sono bonarie (sciocco).
Ecco perché, anni fa, avevo lanciato il volgarometro, la prima indagine che ha misurato la diversa forza offensiva di oltre 300 insulti. Ho riassunto i risultati del sondaggio in questo poste chi vuole approfondire  può leggere qui una versione accademica appena pubblicata dall’Università della Savoia di Chambéry (Francia). Certamente, l’intero registro volgare è classificabile come parolaccia, ma non vale il contrario: le parolacce non si esauriscono nel solo registro volgare (ma ce ne sono anche in quelli gergale, popolare, etc).

In questo scenario, c’è una sola eccezione: le profanità, ovvero i termini sacri usati a scopi profani. “Madonna!”, “Cristo”, o “Della Madonna” non sono di per sè parolacce, ma usate come esclamazioni o rafforzativi lo diventano. Del resto, le parolacce – ovvero il profano – seguono le stesse regole del sacro: “non nominare il nome di Dio invano”. Anche le parolacce, come le parole del sacro, vanno dette con cautela, sono sottoposte a censure e tabù.
E infatti è probabile che le prime forme di turpiloquio siano state le blasfemie, le bestemmie, o anche i giuramenti nei quali le divinità erano tirate in ballo come testimoni e garanti nelle questioni terrene: “per Giove, giuro che non ho rubato quei soldi!”. E così l’uso improprio, l’abuso ha dissacrato i nomi sacri.
Ma c’è anche un’altra eccezione: alcune parole apparentemente “innocue” ma in un certo senso magiche. Hanno il potere di trasformare  in parolacce qualunque cosa tocchino… Quali sono? Ne parlo in questo post. Restate sintonizzati! 

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